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 Le dita di Cu si muovono dentro di lui ancora per qualche attimo prima che lui le tiri fuori, lasciandolo lì a sentirsi vuoto e nudo – più nudo di quanto già non sia, con i vestiti strappati via in fretta e furia poco prima, ora lì a giacere sul pavimento. Ritsuka ha appena il tempo di prendere coscienza di quel vuoto improvviso e dell’uomo di fronte a sé, prima che Cu lo tiri su di peso e se lo porti sul proprio bacino, il petto ampio che sfiora il suo, le mani che dai fianchi scendono sulle natiche, stringendole. Ritsuka si ritrova a poggiare le mani sulle sue spalle, per tenersi su, aggrapparsi a qualcosa, il viso così vicino a quello di Cu che è impossibile non notarne il ghigno sulle labbra, l’espressione soddisfatta di chi pregusta qualcosa di già provato ma che non gli basta mai.
Ritsuka deglutisce, sentendo la testa leggera e il corpo molle, come argilla tra le mani dell’altro; la presa sulle sue natiche è possessiva, il peso che si spinge contro di lui unica concretezza in una stanza di cui a stento percepisce i contorni, perché l’odore forte di Cu gli penetra nelle narici e diventa il centro di ogni cosa. Le mani dell’uomo passano lungo le sue gambe, fino a sistemarsi meglio per tirarlo su di peso quanto basta; lo tiene così per qualche istante, cercando il suo sguardo con il proprio, quell’espressione soddisfatta ancora sul viso. Si lecca le labbra, quasi saggiasse nell’aria un qualcosa che potrà divorare di lì a poco, e poi allunga il viso per catturare le sue. Non c’è niente di casto, non è un semplice bacio nemmeno per un istante: la sua lingua scivola subito nella bocca di Ritsuka con prepotenza, invadendo un territorio che sente suo di diritto, mentre i loro corpi sono così vicini che l’erezione di Cu preme contro di lui e sfrega in parte contro la sua. Ritsuka geme, un suono che si perde dentro la bocca di Cu che sente tremare di eccitazione sotto di sé. Poggia le braccia sulle sue spalle, unisce le mani dietro la sua nuca – le dita di una s’insinuano tra i capelli corti – e gli si stringe addosso più che può. L’odore forte di Cu ha una punta di sudore a renderlo leggermente più acre, il suo perfetto opposto a giudicare da come il suo compagno abbia sempre sostenuto dalla prima volta quanto dolce sia invece quello emanato da lui.
Cu si allontana, non senza mordergli appena il labbro e succhiarlo, non come una provocazione ma come un diritto; solo poi le sue mani si muovono, allargandogli le natiche e facendolo scendere sulla propria erezione, scivolandogli dentro in un movimento unico. Ritsuka ansima, il respiro che per un momento gli si blocca in gola, il piacere che lo invade e lo fa tremare; viene contro lo stomaco di Cu senza alcun preavviso, con un gemito alto che non trattiene affatto, seguito da un altro che è un misto di sorpresa e dolore quando i denti del compagno affondano nella sua spalla. Non è una novità, che la sua pelle venga segnata dai morsi, che Cu lo marchi come sua proprietà ancora e ancora, alternando i denti al succhiargli la pelle finché non diventa livida. Ritsuka lo sente muoversi, dopo essere rimasto fermo finora, e spingere dentro di lui, a ritmo sempre più veloce. Un braccio di Cu è intorno alla sua vita, sorreggendolo e tenendoselo stretto addosso allo stesso tempo, mentre la mano libera lo tocca in più punti, sempre diversi: passa sul fianco, sale lungo il petto, si sofferma su un capezzolo e poi scende di nuovo, gli tocca la punta del sesso, lascia una carezza per tutta la sua lunghezza e poi devia di nuovo verso l’alto, in un sali e scendi che gli fa venire i brividi. Quella mano è improvvisamente tutto ciò di cui ha bisogno, e tutto ciò che gli viene dato; la segue con l’istinto più che con la testa, mentre l’odore di Cu si fa ancora più forte e lo inebria al punto che Ritsuka non è sicuro di quanto ancora riuscirà a rimanere cosciente, soffocato da quello e dal piacere che ogni spinta gli causa, specie quando Cu inizia a muoversi più veloce e verso un punto preciso, quello di massimo godimento per lui. Sente a stento la propria voce riempire l’aria, Cu dice qualcosa che la sua mente non riesce a registrare, e quella sua mano sale di nuovo fino alla sua nuca, affonda fra i suoi capelli e lo avvicina ancora, ancora, come se l’altro pretendesse di inglobarlo completamente, di divorarlo senza lasciare niente di lui.
La sua bocca si muove di nuovo, lascia un secondo morso mentre le dita sfiorano il marchio che li rende compagni per la loro intera esistenza, raggiunge l’orecchio – gli succhia il lobo, e Ritsuka sente di non potercela fare, di non avere quasi più concezione di cosa lo circonda, troppi stimoli su cui concentrarsi e troppa poca lucidità per farlo. Una spinta più forte delle altre lo fa gridare, mentre sente Cu svuotarsi dentro di lui e stringerlo come se volesse spezzargli le ossa, i denti che affondano di nuovo nell’incavo tra collo e spalla – Ritsuka annaspa, ripete il suo nome una, dieci, cento volte e avverte un bisogno viscerale che lo fa muovere ancora con il bacino, su e giù, che lo fa andare incontro alle spinte del compagno, che gli fa chiedere ancora, con un tono di cui in condizioni normali si vergognerebbe.
«Devi— devi…!» non riesce a dirglielo – devi spezzarmi – perché nemmeno nella sua testa basta a esprimere quello che vuole, una sfacciataggine non da lui acquisita nel naturale istinto di unirsi e sentirlo muoversi dentro di lui.
Ci riprova, s’interrompe, ansima, geme e non riesce a finire la frase mentre è ancora duro e l’eccitazione sembra non aver mai trovato sfogo.
«Devi—» di più, ancora di più «Devi—»
«Lo so.» è un ringhio basso contro la sua bocca.
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