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Fandom: Ballroom e youkoso
Prompt: spokon (m1)
Parole: 640
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Le note del valzer risuonano, dando inizio alla finale.

Tatara è lì, al centro della pista da ballo: le luci sono su di lui e su Mako, i faretti fanno sembrare l’area dell’esibizione come un insieme di carboni ardenti che portano la temperatura a un punto insopportabile se si indossa un completo classico da competizione. Sente una goccia di sudore scendere lungo il collo, di riflesso stringe la presa sulla mano di Mako mentre muove il primo passo - scivola di lato, sposta il peso sulla gamba portante, gira appena il bacino, imprime forza nel movimento. Il ballo è iniziato, la musica gli scivola sotto la pelle, gli si insinua fino al cuore; Mako lo segue alla perfezione, si affida a lui e nell’esatto momento in cui lo percepisce Tatara comprende alla perfezione che il problema non è lei, ma lui, e dunque a poter risolvere la situazione non è lei ma - di nuovo - lui.

Conosce i suoi limiti: non ha tempo di imparare, si è allenato quanto poteva ma la verità brutale, tremenda, ineluttabile è che è un principiante e non c’è nulla da fare in gara, non sono quelle cose da poter aggiustare con l’improvvisazione.

La sua mente va a forza cento mentre volteggia, la mano minuta di Mako nella sua, il suo corpo esile fasciato dal meraviglioso abito giallo così vicino da sembrare parte di lui e al tempo stesso un essere diverso, sconosciuto eppure complementare. Cosa può fare? Cosa conosce? Cosa può utilizzare come un’arma senza che essa diventi a doppio taglio?

Tatara inspira, espira, gira di nuovo, fa susseguire i passi adagiandosi sul brano di valzer; conosce le basi, ecco cosa. Conosce il suo corpo e come si muove durante le basi, perché ha passato ore a guardarsi allo specchio. Conosce una parte di routine di Hyoudou-kun. Ha impressi nella mente e nel corpo i giorni di perfezionamento di un solo movimento. E’ su quello che deve contare. E’ su quello che può contare.

Un pensiero gli attraversa la mente, febbrile, e senza bisogno di comunicare cambia il proprio andamento e Mako lo segue, perfetta come un braccio destro con il suo leader in cui crede ciecamente.

Ma lui non può essere il leader, lui deve essere l’appoggio e Mako deve splendere, essere il sole, il focus di tutti in quel luogo; decide, forse più d’istinto che di testa, di doverla rendere il gioiello più prezioso. Mako è delicata, ma forte, come i fiori di montagna che crescono nelle zone più impervie senza essere notati da nessuno se non per caso. Eppure, chi li vede almeno una volta nella vita, difficilmente può dimenticarli e sogna di poterli portare sempre con sé, desidera di strapparli alla terra e alle rocce pur consapevole che il fiore così appassirebbe in breve tempo.

Questa è l’immagine da creare, il modello da plasmare; Mako deve essere quel fiore, l’anemone da guardare e proteggere, da ammirare e sognare soltanto, quello che in mezzo alla neve è l’unico punto di colore dal quale non allontanare mai lo sguardo.

Tatara sente, anche se non comunicano con le parole, che Mako ha compreso le sue intenzione e percepisce il modo in cui lei si abbandona alla sua guida. 

Agli occhi di Tatara lei forse sospetta di essere un semplice bocciolo di campagna come se ne vedono a migliaia, così come lo crede anche suo fratello. 

Sbagliano. Tatara non può essere il ballerino perfetto, ma può essere la roccia, il terreno, può essere ciò che si calpesta per arrivare a guardare da vicino, in silenzio, quel fiore prezioso.

La musica sta volgendo al termine, e perciò c’è solo una cosa da fare: lasciare che tutti la guardino. Lasciare che ammirino. Farla brillare.

Le stringe la mano, la lascia volteggiare fino a guidarla con naturalezza al centro della pista mentre la musica finisce.

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