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Eternal garden (COWT10, week 3, m2)
Fandom: Fate series
Prompt: mitologia greco-romana (m2)
Parole: 684 (carta dolce miele di Melek)
Warnings: what if?, original!Heroic spirit, mito di Ganimede
Lui e il suo Master non hanno avuto esattamente il migliore degli approcci. A conoscere la sua storia, chiunque penserebbe che uno Spirito Eroico simile non veda l’ora di essere in qualche modo liberato, seppure per essere sfruttato in una guerra non sua, dall’infinito ripetersi di un passato a cui non vuole né pensare né sentirsi legato. In una certa misura, forse, è anche così ma la verità è che al contrario di quanto possa essere romanzato il suo mito - di cui non esiste nemmeno una sola versione, dal poco che sa - è stufo marcio di avere qualcuno più potente di lui convinto di potersi appropriare della sua esistenza e deciderne ogni dettaglio o il fine ultimo.
Razionalmente capisce di essere ingiusto nei confronti del suo Master: è niente più di un ragazzo, qualcuno che forse nella guerra morirà per primo o non durerà comunque a lungo, uno che non sembra nemmeno fatto per cose del genere. Se fossero amici, e non legati da un contratto magico, forse riuscirebbe a essere più morbido nei suoi confronti e a capire che tutto quello non dipende da lui. Ma è stato ragazzo e il destino non gli ha fatto sconti; il mondo lo crede un prescelto e invece è stato solo il gioco preferito di un dio e per un tempo decisamente breve; dopo è diventato solo un trofeo esposto, ma a osservarlo era solo una persona.
E’ la prima volta che lui e il suo Master condividono uno spazio insieme, sdraiati l’uno accanto all’altro, in silenzio. Lui non è di molte parole, ma non nega una risposta secca, spesso anche brusca se gli si fa una domanda. Sotto un cielo notturno senza nemmeno una nuvola, uno specchio di pace che dovrebbe invece riflettere l’inizio di una guerra imminente, il suo Master rompe il silenzio.
«Cosa vedono gli Spiriti Eroici prima di essere richiamati da un Master?»
Ganimede non lo guarda, mentre gli risponde: «Io vedevo un giardino eternamente in fiore.»
*
Le notti sono calde ma non afose, nel suo regno; non ci sono stagioni ad alternarsi, non si patisce il freddo come non si soffre la calura da cui bisogna ripararsi sotto l’ombra degli alberi per non rischiare di rallentare il pascolo, una cosa a cui è stato abituato fin dalla tenera età e che invece ora è così distante da lui, dalla sua vita - no, più che vita, di ciò che gli resta della sorte di essere un fanciullo dalla pelle perfetta, i lunghi capelli che brillano al sole, come lo decanterebbero gli artisti che sanno giocare con le parole, gli occhi un tempo curiosi e scintillanti di vita e ora freddi, come il più cupo antro del regno di Ade.
Ogni giorno, ogni ora, è circondato da meravigliosi fiori: boccioli che timidi si celano al sole, perché la loro peculiarità è fiorire di notte alla luce più lieve ma elegante della luna; altri del tutto sbocciati invece, a mostrarsi in ogni istante della giornata. Il loro profumo inebria senza nauseare, accompagna senza sovrastare, a volte sembrano sussurrare con le leggere folate di vento e altre sono muti spettatori, consiglieri che fanno solo presenza senza offrire soluzioni. Ganimede è il padrone di un giardino di cui è prigioniero, un fanciullo con dei fiori di cui occuparsi ma trattato egli stesso come il fiore all’occhiello di qualcos’altro, di qualcun altro. Gli vengono fatti i doni più preziosi, eppure anche lui è considerato un dono di cui ci si è appropriati con la forza anziché essere regalato dal fato.
Zeus il fato lo schiaccia, vede qualcosa di gradito e se ne appropria, lo investe di un ruolo che sembra importante - il coppiere degli dèi! - che è solo un modo di dire “schiavo”, di dire “proprietà”. Ganimede ha passato un’eternità intera a percepire il suo sguardo lascivo su di sé, a sentirsi sussurrare complimenti e vezzeggiativi, con la promessa di tutto ciò che desiderava e la negazione dell’unica cosa che voleva: essere libero. Andare via. Tornare mortale.
Il giardino lo culla come la più amorevole delle madri.
Ganimede vorrebbe vederlo bruciare.