hakurenshi: (Default)
hakurenshi ([personal profile] hakurenshi) wrote2025-04-13 10:57 pm
Entry tags:

Along the way (COWT14, week 6, M4)

Prompt: strada

Missione: M4 (week 6)

Parole: 12465

Rating: explicit

Fandom: Haikyuu!!

Warnings: road trip au, omegaverse



Quello non era il tipo di cosa che Iwaizumi avrebbe mai pensato di fare in vita sua, a dirla tutta. Appena diplomato, forse, per una incoscienza tutta particolare della tarda adolescenza ma a ventisei anni cominciava a essere a suo modo fuori target. A essere del tutto sincero Hanamaki era in questo caso la causa primaria del suo male - un aspetto mai davvero cambiato rispetto ai tempi del liceo - dopo averlo preso per puro sfinimento. Il problema con lui era che ricopriva il ruolo dell’amico tecnologico del gruppo, quello che non importava se un’app era stata rilasciata neanche ventiquattro ore prima, lui avrebbe comunque saputo spiegare ogni più piccola funzionalità come se la utilizzasse da mesi. Era sempre stato così e anche in questa occasione non aveva fatto alcuna eccezione, martellando metaforicamente la psiche di Hajime fino a quando non aveva raggiunto il limite della sopportazione. Pensare che era anche molto più paziente di un tempo, poi. 


Naturalmente sperare nell’aiuto di Matsukawa era sempre stato abbastanza inutile e la cosa non era andata migliorando da quando ormai tre anni prima avevano definito di essere in una relazione stabile. Iwaizumi non aveva mai capito se Matsukawa fosse il tipo da voler semplicemente viziare la persona con cui stava o se la sua riserva energetica gli impedisse di faticare senza motivo sulle battaglie perse in partenza.


In ogni caso, alla fine, si era fatto convincere dall’ennesimo fiume di parole da parte di Hanamaki e dal suo continuare a ribadirgli che «E’ del tutto sicura!» oppure «Pensa che devi comunque inserire il tuo secondo genere e fanno dei controlli il giorno della partenza» e anche «Ti ci vuole una cosa più trasgressiva di due birre davanti a netflix, dai.» con cui si era guadagnato uno scappellotto dietro la nuca, perché sì.


L’app in questione non era malvagia di per sé ma, quando l’altro gliene aveva parlato all’inizio, Iwaizumi l’aveva etichettata subito come l’ennesima app di incontri solo mascherata da altro e questo l’aveva fatta precipitare nella sua lista di cose importanti da ricordare. A quanto pareva, però, non si era rivelata niente di troppo trash come Iwaizumi pensava e anzi era diventata anche piuttosto famosa sul web; lui si era limitato a scorrere qualche articolo senza leggerlo con vero interesse, ma ormai nella sua formula recensita da tantissime persone aveva trovato un modo vincente di sopravvivere a tutte le altre. Bastava davvero poco per iscriversi e usufruire di “On the road”: si creava un account in cui le informazioni obbligatorie da inserire erano data di nascita e secondo genere. Iwaizumi aveva scoperto che non c’era molto della dating app, lì dentro: non ci si sceglieva a vicenda, non si visualizzavano centinaia di profili con foto discutibilmente vere per poter flirtare via chat. I dati in questione servivano unicamente agli organizzatori dietro il servizio che On the road offriva: un viaggio appunto su strada, scelto in base alle preferenze sia di lunghezza che di punto di partenza e punto di arrivo. Erano poi gli amministratori a effettuare i matching e a controllare, il giorno di ogni partenza, che tutto rispettasse quanto dichiarato.


Alla fine l’organizzazione era sembrata decente abbastanza da farsi convincere. Ora, la sera prima della partenza, Iwaizumi si chiedeva se fosse stato saggio riservarsi come primo approccio un viaggio di ore percorrendo una parte del Giappone.


«Domani è il gran giorno eh?» sentì dire a Matsukawa dall'altra parte del telefono, per quanto nel ricontrollare al volo il borsone che aveva intenzione di portarsi dietro, Iwaizumi aveva poggiato il cellulare sul materasso limitandosi a metterlo in viva voce. Chissà se così l'altro avrebbe sentito più forte e chiaro il «Fottiti.» che pronunciò al suo indirizzo, per quanto ormai fosse più l'intercalare di anni di amicizia che non qualcosa di detto con cattiveria. Prevedibilmente, la risata di Hanamaki arrivò quasi subito, anticipando il suo «Devi assolutamente mandarci degli aggiornamenti! Usali quei social network visto che da ottimo amico quale sono mi sono preso la briga di spiegarti come funzionano anni fa!»


Non visto, Iwaizumi alzò gli occhi al soffitto, senza nemmeno rispondergli.


«Facci sapere almeno se sopporti per più di un'ora chi ti hanno dato come compagno di viaggio.» aggiunse Matsukawa, limitandosi a pochi altri scambi prima di lasciarlo in pace e chiudere la chiamata.


Hajime, assicuratosi di avere tutto il necessario, recuperò il telefono stendendosi sul letto; aprì l'applicazione, scorrendo le informazioni che erano state caricate sul suo profilo una volta effettuato il matching e dove c'era a disposizione anche l'itinerario. A quanto pareva anche quello veniva valutato a seguito di tutta una serie di richieste che si inserivano nel form da cui gli organizzatori prendevano le informazioni necessarie - c'erano le più disparate, in effetti, tra cui anche la preferenza del secondo genere del proprio compagno di viaggio. A Iwaizumi non piaceva l'idea, ma quando aveva visto quella domanda a scelta multipla si era chiesto quanti accettassero di viaggiare con gli Omega. Aveva supposto che forse a parte scegliersi tra loro, l'unica altra alternativa fossero i beta come lui e per questo alla fine aveva deciso di spuntare l'opzione "indifferente" perché potessero accoppiarlo un po' a chiunque. Dopotutto per lui indifferente lo era sul serio.


L'itinerario, doveva ammetterlo, non era male: personalmente non aveva inserito troppe specifiche, solo una preferenza di paesaggio o di punti di interesse in cui fermarsi brevemente. Sulla carta il viaggio di per sé era di sette ore e mezza, ma questo supponeva non fermarsi mai, cosa che era ovviamente impossibile oltre che sconsigliato; parte dell'obbiettivo, dopotutto, era interagire anche con l'altra persona e godersi qualche luogo particolare lungo la strada. Nel suo caso il percorso selezionato dagli organizzatori era una cosiddetta "strada panoramica": da Iino-Ura a Ine, si passava tra delle foreste e persino lungo una costa. Lungo la strada, a quanto sembrava, ci si imbatteva in Izumo dove vedere uno dei più antichi santuari del Giappone - uno che Iwaizumi, a onor del vero, non aveva mai visitato prima - era un must. Indicati come altri punti di possibile interesse, a scorrere lì sullo schermo del telefono, c'erano la baia del lago Shinji e le dune di un parco nazionale. Le uniche del Giappone, apparentemente. Alla fine si sarebbero fermati a Ine, un villaggio famoso per le case galleggianti in riva al mare. Iwaizumi non riusciva a immaginarsele viste dal vivo, avendole avute sotto gli occhi una o due volte e di sfuggita, in foto di guide turistiche. Non faticava a credere, però, che dovessero avere un loro perché.


Sospirò, impostando la sveglia e mettendo il telefono in carica. Ormai, anche volendo, non poteva comunque disdire all'ultimo e tutto sommato sembrava valerne la pena.


*


Se l'inizio della giornata era da considerare un segno sul tornare a dormire, Iwaizumi non aveva colto come avrebbe dovuto. D'altra parte farsi cadere di mano la fetta di toast - rigorosamente dal lato della marmellata, perché doveva essere una chiara legge universale - era per lui più motivo di un'imprecazione che non di superstizione.


Chiuse il bagagliaio, assicurandosi che fosse a posto, prima di muoversi verso il posto di guida vinto con un agguerrito scontro a sasso, carta, forbici. Gli organizzatori avevano appena finito di dare le ultime informazioni al suo compagno di viaggio per la prossima manciata di ore che, come lui, aveva passato anche i controlli - alfa, esattamente come dichiarato all'iscrizione e lo stesso si poteva dire per la sua identità e data di nascita. Quello che gli organizzatori non potevano immaginare era che Iwaizumi non aveva avuto bisogno dei loro controlli per sapere di avere davanti esattamente chi l'altro diceva di essere.


Oikawa Tooru era stato una presenza nei corridoi per tutti e tre gli anni del liceo, ma mai una nella sua classe. Iwaizumi lo conosceva perché non era letteralmente possibile essere uno studente della sua scuola e non sapere chi fosse Oikawa: perennemente in una relazione, un flirt su gambe, asso della squadra di pallavolo della scuola e forse uno degli alfa più ambiti della scuola. Il bastardo lo sapeva benissimo e non aveva mai fatto alcun mistero della cosa, né di certo gli era mai appartenuta la falsa modestia. Iwaizumi ci aveva parlato giusto un paio di volte, accompagnando Hanamaki a vedere le partite della squadra per via di Matsukawa, ma l'altro non aveva abbastanza tempo da perdere con le conversazioni con gente a cui non era interessato. Non che Hajime ci avesse perso il sonno, chiaro.


Era abbastanza certo che Oikawa non avesse la minima idea di chi lui fosse e andava bene così. Magari crescendo era migliorato. Forse sarebbe stato un viaggio inaspettatamente piacevole. Dopotutto--


«Aw, quindi ti chiami Iwaizumi Hajime! Bene, da adesso in poi sarai Iwa-chan!»


Dopotutto poteva ucciderlo nel sonno e abbandonarlo sul ciglio della strada, nessuno lo avrebbe mai saputo, giusto?


Nel dubbio, trovandosi ancora a portata di occhi e orecchie indiscreti, decide di non inveirgli contro minacciandolo di buttarlo giù dalla macchina alla prima curva dall'aria sufficientemente pericolosa; piuttosto sale sull'auto, chiude la portiera e proprio mentre Oikawa finisce di inserire le informazioni nel navigatore lui gli pianta una mano in faccia per allontanarlo con un burbero: «Fa già caldo abbastanza senza che mi aliti addosso mentre guido.»


Ottenne in cambio uno sguardo offeso e un «Sei violento, Iwa-chan!» che gli penetrò le orecchie.

Ebbe il sospetto che la strada fosse destinata a sembrare mille volte più lunga di quanto già non fosse e che quei trecentocinquanta chilometri sarebbero sembrati  miglia intere.


*

I primi trenta minuti di strada si erano rivelati a dir poco insopportabili: Oikawa non aveva smesso di parlare un secondo, facendo rivalutare a Hajime tutte le sue scelte di vita, compresa l'amicizia con Hanamaki al quale avrebbe imputato per tutto il resto della propria esistenza la decisione di affidarsi a una app per un esperimento del genere. Poco importava fosse stato il caso - o il karma, non poteva che essere quello - a farlo finire con Oikawa.


Il karma non poteva picchiarlo, Hanamaki sì.


Neanche il principio di foreste che era previsto avvistassero per prime lungo la strada aveva avuto il potere di zittire Oikawa. Avesse almeno cercato di fare attiva conversazione, Hajime ci avrebbe quantomeno provato. Invece era stato un monologo randomico, passando da un discorso all'altro senza che ce ne fosse anche soltanto uno interessante o che fosse pensato per essere un botta e risposta, uno scambio di qualche tipo. Hajime, nel sentirlo finalmente restare in silenzio dopo così tanto tempo, decise che non importava nemmeno troppo il motivo: ne era comunque grato.


Riuscì finalmente a rilassare la presa sul volante, che non si era nemmeno accorto di aver stretto così tanto fino a quel momento pur di scaricare il nervosismo, e a sospirare concedendosi un po' meno rigidità all'altezza delle spalle.


A giudicare da quanto riportato sull’itinerario, la prima area di sosta sarebbe stata molto più avanti, a metà tra la parte di foresta e costa e quella prima di raggiungere Izumo. Di norma il silenzio con uno sconosciuto in macchina poteva risultare pieno di quell’imbarazzo di quando non si sapeva cosa dire, ma Hajime non la considerava così male come situazione: in primis perché Oikawa gli aveva già fatto sanguinare le orecchie abbastanza, per i suoi gusti; secondo, perché doveva ammettere che il panorama già da ora sembrava valere la pena. Era bastato allontanarsi un poco dal punto di partenza, di sicuro studiato perché non si dovesse percorrere metà della strada prevista per cominciare all’effettivo a godersi quello che il tragitto studiato avrebbe dovuto permettere di ammirare. Come tutte le foreste e i luoghi affini, Hajime si accorse subito di due aspetti: il vento sembrava arrivare meglio, di certo aiutato dal loro percorrere la costa, e l’atmosfera era quella di un luogo lontano da qualsiasi fonte di stress il resto del mondo potesse subire.


«Bisogna dire che per essere un bel percorso da fare, lo è.» sentì pronunciare al proprio fianco, ma il tono di voce era così diverso da prima - e molto meno fastidioso, soprattutto - che Hajime impiegò un paio di secondi a realizzare che si trattava sempre di Oikawa e a ricordarsi di avere lui seduto sul sedile del passeggero. Gli dedicò un’occhiata laterale, breve, prima di tornare a fissare la strada davanti a sé. Si rese conto che quello doveva essere il massimo tentativo di conversazione che l’altro potesse offrire ora come ora.


«Di sicuro è studiato per andare bene sia a chi preferisce la parte della foresta, sia a chi apprezza stare vicino all’acqua.» osservò, maledicendosi nel rendersi conto di suonare più o meno come il presentatore del meteo o una guida turistica poco convinta. Si aspettava di sentire l’altro ridere o prenderlo in giro, ma Oikawa rimase in silenzio e si limitò ad abbassare un poco il finestrino mentre Hajime svoltava immettendosi nella strada che a quel punto e per un lunghissimo tratto avrebbe dovuto solo limitarsi a seguire ignorando qualsiasi svolta verso l’entroterra a giudicare da quanto il navigatore rimandava sul suo schermo. Quasi per dargli conferma, la voce pre-impostata iniziò a pronunciare un «Proseguire lungo il percorso…»


«Dovendo scegliere, la costa.» se ne uscì Oikawa, agganciandosi all’osservazione generica di Hajime. Non se l’aspettava, ma suppose fosse il massimo di input alla conversazione che potessero avere e decise che avrebbe almeno dimostrato di apprezzare lo sforzo: «Mh. Forse anche io.» soppesò la cosa, mantenendo comunque l’attenzione e lo sguardo davanti a sé sulla strada «Anche se non è una preferenza assoluta. Anche i sentieri di montagna in mezzo al bosco non sono male.»


«Ew, ma è pieno di schifezze. Scommetto che sei uno di quelli che poi trova accettabile fare la pipì dietro un cespuglio e dorme a terra come un sasso.»
«Sì chiama campeggio, Oikawa, non so se te lo hanno mai spiegato alle scuole elementari.» rimbeccò, pur dovendosi impegnare a nascondere un accenno di divertimento che altrimenti non avrebbe faticato a trasparire dal tono di voce.


«No, Iwa-chan, non hai capito.»
«Cosa non ho capito?»
«Dormi a terra… come un sasso…» ripeté Oikawa più lentamente e, approfittando di un momento in cui Hajime spostò lo sguardo su di lui, fece un movimento su e giù con le sopracciglia con l’espressione più stupida del creato. Gli ci volle qualche secondo per capire l’orrenda freddura di cui quell’imbecille andava tanto fiero al punto da ripeterla anche, per essere certo Hajime la cogliesse. 


«Ti meriteresti che andassi fuori strada, se solo conoscessi un modo per farlo senza finirci di mezzo anche io.» commentò aspro, smettendo di guardarlo e sentendolo esclamare subito un «Questa è cattiveria gratuita?!» che decise di ignorare.


*


A Iwaizumi non ci era voluto molto per capire l’arcano su cui non si era mai davvero soffermato durante il liceo, ossia cosa di Oikawa Tooru lo rendesse tanto popolare, al di là degli aspetti più superficiali. Hajime ricordava una sola volta in cui aveva pensato di trovarlo oggettivamente interessante ed era stato durante una delle partite della squadra a cui si era fatto trascinare da Hanamaki. Il fatto che Oikawa fosse un atleta di spicco, Hajime lo aveva notato senza difficoltà: lui aveva giocato a pallavolo solo durante le scuole medie, scegliendo di lasciar perdere e non proseguire al liceo se non di tanto in tanto per qualche partita amichevole con i ragazzi e gli adulti del quartiere. Nonostante questo non serviva essere un allenatore certificato per riconoscere non solo il valore di Tooru ma anche per rendersi conto di come fosse una spanna sopra tutti gli altri, a eccezione di Matsukawa che gli stava dietro senza eccessive difficoltà.


Eppure l’unico momento in cui Oikawa gli era sembrato qualcosa di più di un bravo atleta con un ego troppo grande, era stato quando lo aveva visto perdere. Non perché Hajime gli augurasse di fallire - la sua esistenza era di rilievo quanto lo era la propria per Tooru, ossia quasi per nulla - ma perché per la prima volta aveva visto sul suo viso un’espressione diversa dall’arroganza che sembrava tenersi addosso come un obbligo morale. Oikawa aveva mostrato di tenerci e di essere umano e Hajime aveva saputo apprezzarlo davvero in quell’occasione. Peccato si fosse rivelata estremamente rara, non si fosse ripetuta e avessero frequentato circoli talmente diversi che in ogni caso la situazione si sarebbe potuta presentare con molta difficoltà.


Ripensandoci adesso, costretti nella stessa macchina e superata ormai la prima ora e mezza di percorrenza, lo stesso sentore avuto anni fa in una palestra scolastica si era ripresentato: Oikawa Tooru aveva un suo perché e, incredibilmente, era capace di essere una compagnia piacevole se si sopportava il suo primo approccio - e non si macchiava la propria fedina penale arrendendosi al forte istinto di soffocarlo. 


«Ci fermiamo a Izumo, giusto Iwa-chan?»


O se si accettava di avere un nomignolo non richiesto come ineluttabile destino.


«Direi. Hai già visitato il santuario?»
«No, mai. Pensavo che magari potremmo allungare un po’?»
«Allungare tipo?» chiese, inarcando un sopracciglio e guardandolo di sottecchi per qualche istante. La strada si dispiegava ancora per un po’ davanti a loro e Hajime aveva concordato un cambio al volante proprio nel ripartire da Izumo. Non gli pesava guidare per un tratto in più, ma l’idea di fare una deviazione su un percorso ragionato e programmato era un’altra questione. Di contro, il punto del viaggiare con un’altra persona che in teoria non si conosceva - o come nel suo caso, si conosceva molto poco - era anche il compromesso e Hajime immaginava non sarebbe stato il massimo impuntarsi già ora con davanti a loro almeno altre sei ore di viaggio. 


«Tipo parcheggiamo, andiamo a visitare il santuario, mangiamo qualcosa e magari ce la portiamo dietro. C’è la spiaggia a pochi minuti di macchina, quanto potrà mai essere a piedi?» propose Oikawa e Hajime dovette ammettere che non era poi un’idea così malvagia. Aveva bisogno di sgranchirsi le gambe e il tempo era buono. Allungare un po’ la strada non era così tragico, specie visto che non sembrava essere una grande deviazione e non c’era nulla di male né era vietato dalle regole dell’organizzazione di on the road


«Va bene.» replicò quindi, semplicemente. Con la coda dell’occhio vide Oikawa voltarsi incredulo verso di lui con un: «Ma dai? Ti ho già convinto?!» e, dovette ammetterlo, non poté fare molto per mascherare lo sbuffo divertito che gli sfuggì tra le labbra. 


*


Il santuario di Izumo si era rivelato essere il tipo di posto capace di zittire anche una persona come Oikawa e di renderlo la rappresentazione del tipico giapponese: all'occhio di un qualsiasi turista i santuari dovevano sembrare tutti piuttosto simili, eppure riuscivano comunque ad avere un fascino tutto loro. Per lui, Hajime, averne visto uno non significava automaticamente averli visti tutti; tuttavia, anche quando andava sempre allo stesso per la visita del nuovo anno, non riusciva comunque a non avvertire quel qualcosa nell'atmosfera generale. Il santuario di Izumo gli faceva lo stesso effetto e fu strano condividerlo proprio con Oikawa, ma si presero il loro tempo anche separandosi a un certo punto.

Una volta riuniti, non era stato così difficile trovare dove recuperare qualcosa da mangiare e dal momento che la strada fino alla spiaggia Inasa era piuttosto semplice da percorrere anche a piedi e ben divisa dal tratto percorribile dalle macchine, si mossero fino a lì assecondando la richiesta dello stesso Tooru.


Il bel tempo si rifletteva anche nel mare e nel suo essere una tavola calma e piatta. La brezza era piacevole, ma non forte abbastanza da rendere il loro pranzo immangiabile a causa della sabbia. Tooru aveva insistito per piazzarsi, contrariamente a quanto Hajime avrebbe scommesso, in un punto da cui guardando verso l'orizzonte il mare sembrasse spezzato a metà dal grande scoglio caratteristico della spiaggia. All'inizio non aveva trovato un grande senso nella cosa, ma non se ne era fatto davvero un problema, limitandosi a sedersi sulla sabbia e provando a guardare nella sua stessa direzione per capire cosa ci trovasse.


Aveva quasi finito di mangiare il secondo onigiri quando la voce di Oikawa ruppe il silenzio.


«Una volta ho visto una foto di questo posto, credo fosse stata scattata all'alba.» iniziò a raccontargli un po' dal nulla, con nella mano ancora una polpetta di riso anche lui. Gli occhi erano verso l'orizzonte, l'espressione rilassata come chi osserva un panorama conosciuto a memoria che ormai si guarda per lo più per nostalgia e non per la curiosità di qualcosa di nuovo da fissare nei propri ricordi. Hajime non fece domande, perché aveva la sensazione che a Oikawa non servisse essere incalzato - o forse avrebbe avuto persino l'effetto contrario. Non gli aveva mai dato l'idea di un ragazzo particolarmente serio, ma Hajime non dimenticava il fatto di star parlando dell'Oikawa adolescente che apparteneva al suo ricordo altrettanto adolescente.


Per quanto la base di un carattere fosse sempre la stessa e magari non sarebbero stati i migliori amici né allora né adesso né mai, non significava che non avesse il suo bagaglio personale fatto di esperienze e che fosse quindi anche molto diverso da come Hajime lo ricordava.


«Sembrava diviso a metà. Quasi avessero preso due foto diverse, fatte in momenti differenti per poi metterle solo una vicina all'altra. Quel lato» e indicò sulla sinistra «era più sull'azzurro. L'altro» e indicò alla propria destra «era al tramonto, credo. Era incredibile.» lo sentì mormorare, come se fosse un qualche tipo di segreto da rivelare a pochi eletti. Hajime non riusciva a immaginarsi quel gioco di colori senza vederselo davanti agli occhi, ma guardando Oikawa e ascoltando il modo in cui ne parlava ebbe la sensazione che forse anche lui a un certo punto di fosse sentito spaccato a metà.


Ricordandolo nella sua arroganza di adolescente, Hajime si chiese quando gli fosse successo.


Ricordandolo in quella sua esistenza perfetta agli occhi di un'intera scuola, si chiese perché.


*


La strada dal santuario di Izumo alla città di Matsue aveva un tempo di percorrenza, a giudicare da quanto segnato sul navigatore della macchina, di poco meno di un’ora. Lui e Oikawa si erano presi il giusto tempo, una volta mangiato, di fare una passeggiata - o meglio, l’altro aveva insistito per mettere i piedi in acqua nonostante non fossero ancora temperature così calde da giustificarlo. Hajime aveva passato il tempo solo a guardarlo, all’inizio, non avendo poi tutta questa voglia di passare il tempo a togliersi la sabbia da in mezzo alle dita dei piedi. In un primo momento Oikawa aveva semplicemente tolto le scarpe lasciandole lì vicino a lui, i calzini infilati alla meno peggio nelle stesse e aveva arrotolato un poco le gambe dei pantaloni per muoversi verso il bagnasciuga. Poco era importato che l’acqua fosse calda, gelida o tiepida perché Oikawa non si era fermato né aveva rallentato il passo: aveva semplicemente immerso i piedi e poi fatto quei due, tre passetti tipici di quando il freddo arriva tutto insieme e si rimpiangono le proprie scelte.


Poi si era messo a ridere come un ragazzino, continuando a dire «E’ freddissima, Iwa-chan!» come se lui dovesse farci qualcosa e, al tempo stesso, senza davvero uscire dall’acqua nonostante sarebbe stata l’unica cosa logica da fare. 


Alla fine dopo una decina di minuti si era arreso a tornare verso di lui, avevano aspettato che la sabbia sui piedi fosse asciutta abbastanza da essere tolta alla meno peggio per poter indossare le scarpe e si erano rimessi in macchina con Oikawa alla guida. 


Hajime iniziava giusto a sentire, dopo ormai un quarto d’ora di percorso, un po’ di sonno arrivare - non così strano considerando quanto presto si fosse svegliato per raggiungere il punto di partenza di quell’itinerario - quando la voce di Oikawa quasi sembrò richiamarlo all’ordine.


«Mi ricordo di averti visto, una volta, a una delle partite della scuola.» se ne uscì l’ex pallavolista, con il tono leggero di chi faceva conversazione sui pochi argomenti comuni che era riuscito a individuare. Hajime annuì, dimentico di come l’altro avesse giustamente gli occhi sulla strada: «Accompagnavo Hanamaki a fare il tifo per Matsukawa.»


«Ah, Mattsun, ma certo!» esclamò Oikawa, contento «Mi ricordo che aveva iniziato tipo a frequentarsi da poco, lui e Makki, sì? Non molto seriamente, nel senso, non erano proprio una coppia fissa o sì?» chiese, dubbioso. Non gliene fece una colpa, dopotutto era stato tutto abbastanza fumoso per fin troppo tempo anche per gli amici più stretti e non aveva idea di quale tipo di rapporto avessero all’epoca Oikawa e Matsukawa. Anche ai tempi del liceo non è che Hajime avesse sentito quest’ultimo parlarne più di tanto, se non quando accennava a qualche aneddoto di squadra. 


«Non credo lo fossero, allora, no.» ammise, solo per sentire Oikawa esclamare immediatamente: «Adesso sì?!»


Fu più forte di Hajime: si ritrovò semplicemente a guardare il viso di Oikawa e poi a scoppiare a ridere, non così sguaiato, ma senza dubbio divertito dalla reazione. 


«Lo dici come se avessi aspettato per anni di sapere se la tua coppia preferita era vera oppure no!»
«Stai scherzando?! Tutto lo spogliatoio aveva scommesso! Beh, tranne Mattsun ovviamente. Se lo avesse saputo non penso l’avrebbe presa bene, anche se io sono sicuro lo sapesse e lo stronzo lo abbia fatto di proposito a non dirci nulla fino al diploma.» disse con un broncio evidente, mostrato senza alcuna vergogna. 


«Considerando Matsukawa, non mi stupirebbe per niente.» ammise con un sorrisetto «Ma non credo siano diventati ufficiali così facilmente come credi. A loro modo avevano dei tempi discutibili e abbastanza diversi dalle altre coppie che avevamo al liceo.» la buttò lì, perché alla fine Hajime non era mai stato il tipo da impicciarsi degli affari degli altri. Se Matsukawa e Hanamaki fossero andati a chiedergli di parlare, non si sarebbe sottratto, certo. Da lì ad andare a chiedere di sua volontà, però, c’erano centinaia di altre possibilità nel mezzo e non per disinteresse, ma per rispetto della loro privacy. Hajime era più tipo da vegliare sugli amici da lontano.


«Coppia difficile, mh?» fece eco Oikawa, rallentando un poco per adocchiare meglio il navigatore e assicurarsi di star prendendo la svolta giusta. Non lo diceva però con un tono ironico né derisorio, anzi, sembrava a suo modo star accarezzando un ricordo o un concetto a cui era particolarmente affezionato: «Comunque» riprese come se fosse stata una parentesi di distrazione gradita ma che non voleva rendere il focus della conversazione «mi ricordo di te quella volta sugli spalti in alto.»


Hajime lo osservò in maniera più diretta, non riuscendo a indovinare in quale direzione dovesse andare quella chiacchierata.


«Anche io me lo ricordo. Non che ne abbia viste abbastanza da confonderle.» aggiunse con onestà, sentendo Oikawa sbuffare divertito «Sono sicuro che te la ricordi per i motivi sbagliati.»
«Tipo tu che piangi disperato per la sconfitta?»
«Che stronzo! Non piangevo disperato!» rimbeccò Oikawa, staccando una mano dal volante e allungandola abbastanza da dargli una leggera spinta. C’era una complicità strana in quel momento tra loro, quella che Hajime immaginava ci sarebbe stata con più naturalezza se avessero avuto tempo di instaurare un certo tipo di rapporto negli anni, magari proprio con Matsukawa e Hanamaki a fare da collante. Non era comunque spiacevole come se la sarebbe aspettata all’inizio di quel viaggio, quello doveva ammetterlo.


«Non era comunque male.» gli fece presente, a lasciar intendere che piangere come un disperato non dovesse essere necessariamente considerato un suo pungolarlo su qualcosa di cui vergognarsi. Vide Oikawa assumere un’espressione poco convinta, lasciando poi che il broncio scivolasse via, il suo posto preso da un fare più serio e assorto. 


«A nessuno piace perdere.» disse alla fine Oikawa, quasi avesse impiegato tutto quel tempo a elaborare una spiegazione che nessuno gli aveva chiesto e che di certo Hajime non pretendeva da lui a quanto, dieci anni dall’accaduto? Non sapeva bene come rispondergli, a essere sincero: supponeva che il problema principale, in effetti, potesse essere che in quanto Alfa Oikawa non doveva essere stato granché abituato a non raggiungere certi risultati. Non aveva nessuna idea di come fosse il suo ambiente famigliare, quindi erano tutte supposizioni a cui non se la sentiva di dare voce, perché quello era uno dei modi migliori di fare figure pessime e di toccare senza volerlo dei tasti a dir poco dolenti. Alla fine, quindi, non poteva fare altro che annuire senza sbilanciarsi davvero, eppure quello ebbe il potere di far sbuffare divertito l’altro.

«Non volevo un discorso motivazionale da parte tua, smettila di pensare a qualcosa da dire, ti vengono le rughe!» lo sentì prenderlo in giro e stava anche per rispondergli a tono quando notò che il suo viso si illuminava e lo sguardo si faceva più vispo «Guarda, Iwa-chan!» esclamò infatti, indicando davanti a sé. La strada che avevano percorso fino a quel momento faceva una curva leggera oltre la quale all’improvviso, neanche il tragitto stesso l’avesse tenuto nascosto fino ad allora per permettere un certo effetto sorpresa, la baia del lago Shinji diventava visibile. 


Hajime sentì la macchina rallentare un poco e suppose fosse perché Oikawa voleva nel suo piccolo impedire al panorama di sfrecciare troppo velocemente. L’ideale sarebbe stato fermarsi di nuovo, era vero, ma avevano fatto pausa nemmeno un’ora fa e se avessero continuato a fare soste, avrebbero allungato inverosimilmente il percorso. Raggiunta la città di Matsue, infatti, avrebbero avuto come tappa seguente di interesse il parco nazionale di San’in Kaigan che distava altre due ore. Da lì, si supponeva che l’ideale potesse essere fare quindi tutto l’ultimo pezzo senza ulteriore fermate fino ad arrivare alla città di Ine. Da lì avrebbero deciso se prenderla con calma e partire direttamente il giorno dopo - opzione consigliata dagli organizzatori di On the road, quantomeno per una questione di sicurezza alla guida - o fare una vera e propria traversata al contrario con come unica possibilità il guidare di notte.


Per quanto lo riguardava, preferiva di certo stare tranquillo sull’essere riposato mentre era alla guida, specialmente se portava un passeggero con sé. Immaginava che anche Oikawa non avesse reali motivi per decidere diversamente, per quanto non ne avesse una reale certezza. Vedendo però come aveva rallentato per godersi il panorama e considerato anche quale esperienza particolare fosse quella che stavano facendo… 


«Perché non facciamo sosta a Matsue?» la buttò lì, osservandolo. Le sue parole sembrarono far tornare Oikawa più presente e fargli perdere un pizzico dell’interesse che aveva per il paesaggio lacustre, catapultandolo tutto su Hajime stesso.


«…Finiremmo per allungare un po’, però.» gli fece notare Oikawa, come se non fosse sicuro che Hajime lo avesse preso in considerazione e al tempo stesso volesse assicurarsi di non vederselo rinfacciare poi «Pensavo fossi più tipo da attenerti al piano e al percorso.»
«Nemmeno abbiamo delle vere indicazioni, addirittura consigliano di pernottare anziché tornare indietro direttamente rischiando di guidare di notte. Oltretutto ci siamo fermati per uno spuntino e se andiamo ancora dritti dopo Matsue, finiamo di sicuro per trovare l’altro stop oltre l’ora di pranzo o di doverci fermare dove non era neanche previsto. Non che comunque ci rimproverebbe nessuno.» sottolineò Hajime per cui, davvero, non era questo grande dramma il doversi fermare in più. Era un’esperienza ma soprattutto per lui era anche uno stacco dalla vita di tutti i giorni, viverlo con l’ansia di dover rispettare chissà quali orari quando non gli erano stati imposti, non lo trovava così piacevole. 


Oikawa sembrava combattuto. Hajime non riusciva davvero a ipotizzare perché e chiederlo, sospettava, non sarebbe davvero servito. 


«Però voglio mangiare granchio a pranzo.» se ne uscì.

«Ma siamo al lago.»
«E quindi? Io voglio il granchio!» proseguì infantile, ma Hajime si limitò a sospirare e scuotere la testa, impegnandosi a sembrare più rassegnato di quanto fosse davvero.


*


Alla fine fermarsi a Matsue si era rivelata una scelta giusta. Hajime si era informato un poco sui vari itinerari e cosa potessero offrire, certo, ma non aveva fatto lo stesso livello di ricerche di quando era lui a organizzare per sé qualche viaggio anche solo fuori porta. Così pur avendo sentito parlare più volte di come Matsue fosse considerata una “città sull’acqua”, non ricordava di preciso quanto fosse consigliato lo spostamento in barca. Un’esperienza che si sarebbe di sicuro perso se non fosse stato per Oikawa che lo aveva trascinato subito dopo il pranzo, a suon di «Eddai, Iwa-chan, non puoi perdere l’occasione!»


Il modo in cui le imbarcazioni adatte a muoversi per i canali della città scivolavano sulla superficie dell’acqua era quasi strano, dopo ore sulla strada e con la macchina come mezzo. C’era qualcosa di calmante nel lieve sciabordio dell’acqua, nei versi di uccelli che sembravano chissà quanto lontani quasi a portare i loro suoni fossero più che altro le loro eco. I canali offrivano la possibilità di guardarsi intorno e individuare tanto verde quanto gli scorci del quartiere dei samurai. L’uomo che guidava la loro imbarcazione dava loro le spalle, lì sulla prua, in un placido silenzio che per lui doveva probabilmente sapere di quotidianità. Sotto la parte coperta, a una distanza di oltre la metà dell’intera lunghezza dell’imbarcazione, Hajime e Oikawa sedevano ai due lati opposti così che entrambi potessero anche godersi la vista o sporgersi appena. Hajime pensava non avrebbero scambiato molte parole e gli andava bene così, dopotutto; si stupì un po’ quindi, quando la voce dell’altro lo raggiunse. 


«Perché non hai mai partecipato a un club sportivo? Mattsun diceva che eri una delle persone più diligenti che conosceva e che andavi a correre tutte le mattine anche se poi non eri parte di una squadra. Diceva anche che saresti stato un compagno con cui si sarebbe divertito a giocare e Mattsun non lo diceva spesso degli altri.» pronunciò Oikawa e quando Hajime si voltò a cercare il suo sguardo lo trovò ancora insistentemente rivolto all’acqua. Era un argomento così randomico rispetto a quello che stavano facendo che Hajime per qualche istante non seppe bene cosa rispondere, ma solo perché non capiva se ci fosse qualcosa di più preciso che avrebbe dovuto cogliere oppure no. 


Alla fine rinunciò a trovare per forza un senso.


«Penso sia molto più semplice di quello che stai pensando.» gli disse con un'alzata di spalle «Mi piace fare attività fisica quanto mi piaceva allora, solo non al punto da far parte di un club. Non nego che ci fosse una bella atmosfera nella vostra squadra e l'ho notato, quando sono venuto a vedervi ma penso non fosse del tutto per me.» aggiunse, senza darvi troppo peso. Dopotutto non c'era chissà quale motivazione drammatica dietro la sua scelta, nessun trauma o vecchio infortunio; era solo stata una scelta come tante altre. Oikawa doveva essere abbastanza convinto dalla sua risposta, considerato come non sembrasse particolarmente turbato dalla risposta. O almeno, considerato come ancora non aveva neanche postato lo sguardo dall'acqua, doveva non esserci nulla nella sua risposta ad aver destato la sua attenzione.


Di nuovo, però, proprio quando si era convinto che non sarebbe seguito molto altro, Oikawa ruppe il silenzio rifilandogli un «E' un peccato.»


Toccò a lui, Hajime, guardarlo con più attenzione ora. C'era qualcosa di quasi malinconico nel modo in cui parlava, ma ai suoi occhi quasi non aveva senso: non c'erano cose non dette tra loro, non c'erano rapporti del passato che si erano chiusi male o con grandi litigi. Lui e Oikawa erano state due linee rette che si erano mosse per tre anni negli stessi spazi senza incrociarsi mai davvero eppure l'altro parlava di quell'assenza di Hajime nella sua squadra come se lui li avesse abbandonati a metà campionato. Non riusciva a comprendere che tipo di sentimento animasse Oikawa nel parlare a quel modo, quale flusso di pensieri stesse seguendo. Nemmeno Hanamaki o Matsukawa ai tempi gli avevano mai parlato di Oikawa come di qualcuno che potesse avere qualche tipo di interesse nel conoscerlo o verso di lui come persona in generale, eppure eccolo lì l'ex capitano della squadra di pallavolo del liceo: a parlargli come se dovessero analizzare, lì e ora, tutto quello che sarebbero potuti essere e non erano stati. L'equivalente di due amanti con un destino avverso, non fosse stato che Hajime in quanto Beta sarebbe stato difficilmente nelle mire di un Alfa.


«Non capisco cosa ti passa per la testa al momento.» disse, perché tanto da ragazzo quanto ora non era mai stato troppo famoso per avere del tatto o per il suo girare intorno alle questioni - non feriva volutamente le persone e anzi, a modo suo cercava di non toccare tasti dolenti volutamente o altro del genere. Tuttavia, non era il tipo di persona paziente abbastanza da tollerare a lungo un continuo girare intorno a una questione senza che nessuno degli interlocutori si decidesse prima o poi ad affrontarla di petto.


Di solito quell'interlocutore era lui.


«Ne parli come se ci fosse altro e stessi aspettando il mio arrivarci da solo per continuare il discorso. Se devi dirmi qualcosa, dimmela e basta?» lo incalzò, cercando comunque per quanto possibile di non suonare troppo brusco. Vide Oikawa cambiare un minimo espressione per la prima volta - stringere gli occhi, arricciare appena le labbra infastidito, stringersi inconsciamente nelle spalle sebbene in maniera quasi impercettibile. Agli occhi di Hajime appariva come qualcuno che non era stato ancora ferito ma che doveva aver sentito il colpo arrivare troppo vicino alla parte che cercava di proteggere per essere a suo agio o per dissimularlo abbastanza bene. A quel punto Hajime aveva due opzioni: lasciar cadere il discorso, supponendo che Oikawa avrebbe fatto lo stesso, oppure continuare a pungolare fino a quando non sarebbe riuscito a scoperchiare il metaforico contenitore che sembrava essere la psiche di Oikawa.


«Non c'è niente da dire in particolare, era solo un'osservazione.»

«O forse continuare a parlarne ci porterebbe al punto in cui dovresti spiegarmi troppo? Sei il tipo che scava finché si tratta degli altri e poi quando si tratta di te, si può cambiare argomento?» incalzò Hajime, senza sapere davvero perché - non aveva nessun motivo in particolare per litigare ed era ben consapevole di come le parole appena pronunciate fossero in tutto e per tutto una provocazione che era difficile non sfociasse in una discussione quantomeno dai toni aspri.


Si sarebbe aspettato uno sbottare di qualche tipo, infantile come Oikawa poteva essere per quelle che percepiva come offese leggere oppure qualche approccio più duro nel caso si fosse sentito offeso sul serio. Hajime aveva dimenticato un dettaglio che, sebbene ne fosse a conoscenza, non emergeva così tanto come si era sempre immaginato potesse fare nella vita di tutti i giorni o come gli sembrava di ricordare succedesse invece ai tempi della scuola: Oikawa Tooru era un Alfa. All'epoca bastava guardarlo sul campo da gioco per rendersene conto. Con un solo sguardo diventava lampante quanto fosse sicuro di sé in quanto giocatore, padrone di un campo che sembrava essere stato costruito su misura per lui e per sottostare al suo regno incontrastato, alle sue regole. Oltre a quello, però, si vedeva anche la sicurezza che non aveva a che fare con le doti sportive, ma con un qualcosa che era radicato nell'indole, nella personalità. Ogni Alfa poteva essere diverso e Hajime non aveva mai creduto nel fatto che il secondo genere di una persona definisse quest'ultima in tutto e per tutto. Aveva avuto modo di conoscere Omega caparbi e ambiziosi, così come Alfa piuttosto placidi e non poi così tendenti al risultato; anche in quei casi, tuttavia, avevano una sicurezza difficile da attribuire a chiunque altro, qualcosa che più che caratterizzarli sembravano proprio emanare di per sé.


In quel momento, guardandolo quasi come se lo stesse sfidando a osare andare oltre con quello che stava dicendo, Oikawa faceva esattamente quello: emanava la sicurezza quasi arrogante di chi si sarebbe sempre sentito superiore, anche solo a livello inconscio.


«Se anche fosse?» ribatté Oikawa, le labbra incurvate in un sorriso sghembo «Non pensare di poter nemmeno riuscire a reggere cosa troveresti sotto il coperchio, Iwa-chan. Uno come te non riuscirebbe nemmeno a immaginarselo.» pronunciò, condiscendente. Già solo quello irritò Hajime più di qualsiasi altra cosa.


«Ah? Che dovrebbe significare?»

«Restate nella tua bolla felice di persona che non ha aspettative. Non è colpa tua» continuò Oikawa, apparendo ora quasi annoiato «sei solo un Beta.»


Hajime si rese conto a malapena di essersi alzato - facendo anche oscillare l'imbarcazione con quel movimento - e di averlo preso per il bavero della maglia che indossava, se non quando ormai il suo viso era pericolosamente vicino a quello altrui. Persino l'uomo che fino a quel momento era rimasto tranquillo a guidare l'imbarcazione per il percorso previsto si assestò per riprendere l'equilibrio e si voltò a guardarli, provando a richiamarli e a consigliar loro di sedersi. Hajime, però, non mosse un muscolo: rimase lì, con la stoffa tra le mani e gli occhi puntati in quelli di Oikawa. Questi sembrava per nulla impressionato dalla reazione, quasi annoiato da qualcosa di incredibilmente prevedibile che gli era successa così tante volte da non essere più nemmeno troppo degna della sua attenzione.


Rimasero entrambi fermi e in silenzio per qualche secondo. Quando Hajime lo vide in procinto di dire qualcosa, forse per uscire da quella situazione di stallo, lo lasciò andare prima che potesse farlo. Con poca delicatezza, certo, ma senza neanche rifilargli un pugno in faccia dopotutto. Oikawa sembrava un po' aspettarselo, un po' esserne sorpreso e Hajime si accorse - anche quando smise di guardarlo - di essere seguito dallo sguardo altrui nel suo sedersi di nuovo.


Sapeva che all'altro non doveva nemmeno interessare molto e che con ogni probabilità altri dovevano avergli detto qualcosa sulla falsa riga di un «Sei come tutti gli altri Alfa» o «Mi aspettavo fossi meglio di così» ed era probabile che non ne sarebbe stato toccato dall'ennesima occasione in cui gli venivano rivolte frasi di quel genere. D'altronde, perché mai gli sarebbe dovuto interessare? Senza contare quanto stupido sarebbe suonato dirgli di avere aspettative su di lui perché, a ruoli inversi, come prima cosa Hajime si sarebbe chiesto: e perché mai? Ci conosciamo abbastanza perché tu possa aspettarti qualcosa di così specifico da me?


Prima ancora che Oikawa potesse aggiungere altro, Hajime gli piantò addosso lo sguardo senza nemmeno preoccuparsi di far trasparire un sentimento piuttosto che un altro; semplicemente lo guardò per una manciata di secondi prima di sospirare: «Che tristezza.»


Si accorse con la coda dell'occhio dell'espressione che si dipinse sul viso di Oikawa ma decise, non senza una certa dose di testardaggine, che non gli sarebbe importato.


Neanche di averlo - forse - volutamente ferito.


*


Rimettersi in macchina e raggiungere il parco nazionale di San'in Kaigan era stato un supplizio, ma raggiungere il parco nazionale di per sé aveva permesso loro di dividersi e visitarlo così ognuno per proprio conto. Si erano solo dati appuntamento per evitare di aspettarsi troppo a lungo a vicenda, trattandosi di percorsi diversi, per poi ritrovarsi e ripartire senza perdere troppo tempo a cercarsi. Del tempo da solo era stato decisamente d'aiuto, per quanto fosse chiaro ormai che l'umore non sarebbe mai tornato dei migliori e l'esperienza ne sarebbe stata senza dubbio influenzata.


Una volta in partenza dal parco nazionale, era stato di nuovo tempo di fare a cambio per la guida e Hajime era stato contento toccasse a lui: tenere le mani sul volante e l'attenzione sulla strada e sul navigatore lo avevano aiutato a concentrarsi su altro. Aveva lasciato che Oikawa gestisse la musica tramite la radio, senza lamentarsi né delle canzoni su cui si soffermava né delle stazioni radiofoniche, lasciando che per lui diventassero più un rumore di sottofondo sufficiente a riempire un silenzio teso che non avrebbe aiutato nessuno di loro due. Anche quando il tragitto fino alla meta, ossia la città di Ine dove avrebbero pernottato, era di due ore e mezza e a tratti era sembrato interminabile.


Hajime aveva cercato di godersi comunque il panorama, ma non era stata la stessa cosa, quando in uno spazio ristretto aveva a pochissima distanza una persona il cui umore era quasi peggiore del suo. O molto simile.


Raggiungere Ine fu una benedizione e Hajime fu contento e al tempo stesso maledisse se stesso per aver prenotato per comodità e per disponibilità un'unica stanza con letti singoli. Era un bene perché rischiare di dover cercare qualcosa sul momento quando la stanchezza di una giornata in macchina si stava facendo sentire sarebbe stato l'ennesimo peso, ma d'altra parte non erano nelle condizioni migliori per godersi una camera in comune.


Hajime si preoccupò di parcheggiare nel posto privato e che aveva prenotato insieme alla stanza, facendo poi il giro per aprire il bagagliaio e tirarne fuori il proprio borsone. Durante la mattina non ci aveva fatto caso, preso da altro, o forse a ben pensarci non aveva visto l'altro posare le sue cose... ma si rese conto, ora, che il borsone in cui Oikawa aveva portato i suoi effetti personali era quello del team di pallavolo del liceo. L'altro lo recuperò con un movimento meccanico, mettendoselo in spalla e iniziando ad avviarsi verso l'ingresso senza dire una parola. Hajime fece lo stesso col proprio, uno classico da palestra nero e senza alcun logo particolare, assicurandosi di chiudere la macchina prima di dirigersi all'ingresso. Oikawa aveva solo varcato la soglia ma non si era diretto alla reception, forse perché in effetti la prenotazione era a nome di Hajime.


Sbrigarono in poco le formalità del caso, ottenendo la chiave in doppia copia per potersi muovere autonomamente dentro e fuori dalla camera. Questa era spaziosa il necessario a ospitare un'area che vedeva dritto per dritto rispetto alla porta d'ingressa un tavolino basso e delle sedie vicine, mentre il lato destro della stanza era del tutto occupato da una parte rialzata adibita a ospitare i due letti singoli richiesti. Sulla sinistra si apriva una piccola porta che portava al bagno con tutto il necessario e, poco più avanti di quella, una cabina armadio essenziale ma che una volta aperta guadagnava spazio in profondità. Oltre il tavolino e le sedie, invece, c'era il pezzo forte della stanza: una finestra per far filtrare più luce naturale possibile - sebbene ora visto l'orario sarebbe stata sfruttabile ancora per poco - e una porta-finestra che dava su un terrazzino sviluppato in orizzontale e in cui non c'era modo di aggiungere molto altro oltre delle sedie da esterno. A mozzare il fiato, però, era la vista: dava direttamente sull'oceano e, guardando leggermente in basso sporgendosi il minimo necessario, si potevano vedere le funaya. Erano letteralmente case sull'acqua, di cui Hajime aveva visto delle foto e di cui naturalmente conosceva l'esistenza, ma ora sporgendosi ebbe la conferma che le foto non rendevano affatto giustizia allo spettacolo che si dimostravano essere dal vivo.


«Posso usare il bagno?» sentì chiedere a Oikawa dietro di lui, voltandosi a cercarne la figura. Lo vide vicino a uno dei letti, col borsone poggiato ai piedi di uno di essi, intento a tirarne fuori un cambio di vestiti.


«Sì, io vado dopo.» replicò, vedendolo annuire appena prima di recuperare quanto tirato fuori dalla borsa e dirigersi al bagno, chiudendosi la porta alle spalle; tempo qualche secondo e il rumore della doccia gli diede un segno inequivocabile del fatto che per almeno quindici minuti sarebbe rimasto da solo nella stanza. Considerato come Oikawa era stato quello che aveva insistito per fermarsi alla spiaggia, per infilare i piedi nell'acqua nonostante fosse fredda e tutto il resto che aveva avuto modo di vedere di lui in quel viaggio... si sarebbe aspettato di vederlo uscire in balcone per primo. Non aveva abbastanza elementi per capire se fosse un atteggiamento normale o se fosse da imputare alla discussione che avevano avuto, per quanto a Hajime sembrava piuttosto ovvio.


Sapeva solo che rendeva tutto così complicato da essere irritante - soprattutto perché una parte di lui sapeva di non essere stato del tutto corretto e di aver colpito volutamente dove sapeva avrebbe fatto effetto, ma dall'altra Oikawa non ci era di certo andato più leggero.


Si trattava di capire solo quanto avesse senso mantenere il punto, a discapito del resto, e quanto invece fosse perfettamente inutile.