hakurenshi: (Default)
2025-04-18 09:55 pm
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Burn it all (COWT14, week 6, M5)

 

Prompt: bad ending

Missione: M5 (week 6)
Parole: 10101
Rating: mature
Fandom: original

Warnings: scene violente, accenno alla tortura, graphic violence, menzioni di suicidio





Tatsuya ricorda perfettamente la prima volta in cui ha provato il suo potere, scoprendo un'abilità che nessuno prima di lui aveva mai avuto in famiglia: ricorda la meraviglia, lo stupore, la curiosità. Ricorda come il primo pensiero sia stato che così sarebbe potuto essere un supereroe anche se forse questo non sarebbe piaciuto a suo padre - difficile esserlo quando si è destinati a prendere le redini di un gruppo della yakuza.


Sua madre aveva accolto la sua capacità molto meglio di come lo avesse fatto suo padre, forse aiutata dal fatto di essere di indole molto più accogliente e basta, o forse perché per lei suo figlio era tutto. Tatsuya non si sentiva in difetto con lei e a volte, quando era sicuro di non rischiare di essere visto da suo padre, faceva qualche piccolo gioco con il suo potere per farla ridere. Quando ci riusciva pensava che qualunque cosa pensasse suo padre, non poteva esserci nulla di male nell'avere un'abilità speciale, specie se riusciva a mettere sua madre di buon umore. Poco importava, nel tempo, aver compreso che sarebbe stato qualcosa a cui si sarebbe dovuto abituare da solo e che nessuno sarebbe stato in grado di insegnargli. A Tatsuya andava bene doversela cavare da solo perché almeno, forse per la prima volta, aveva qualcosa di unicamente suo.


Non era mai stato un peso, una vergogna, ma nemmeno qualcosa per cui sentirsi troppo speciali. Era solo stato parte di sé.


Nessuno si aspetta che una parte di sé finisca per trascinarlo all'inferno.


*


C'era chi diceva il Miyuki-gumi avesse cambiato leader troppo presto, non tanto per piangerne il vecchio quanto più per preoccupazione verso il suo successore. Tatsuya non se ne era mai curato davvero, nonostante alcuni soprattutto tra i membri più vicini alla sua età - pochi - o quelli che lo avevano letteralmente visto crescere non apprezzassero particolarmente quelle voci mai dette davvero in faccia. La verità era che giovane in fondo lo era sul serio e di sicuro nei piani di suo padre non c'era mai stato di vederlo a capo del gruppo a soli diciotto anni, poco importava che il suo destino fosse comunque arrivare a esserlo.


Tatsuya avrebbe mentito se avesse detto di aver iniziato sapendo cosa andasse fatto, perché tutta la preparazione del mondo e i meeting a cui assistere accompagnando suo padre in via ufficiale non avrebbero mai potuto prepararlo davvero al cento per cento. Eppure era certo di aver a suo modo imparato da sé, proprio come era riuscito a fare con la sua abilità, la stessa che nel suo gruppo era stata rivelata solo ai membri più anziani e più leali. Non perché Tatsuya non si fidasse degli altri, quanto più perché non avrebbe mai voluto che diventasse la risoluzione di qualunque problematica. Manipolare il Tempo non era uno scherzo e lo aveva capito molto presto; sfruttarlo per cose di poco conto e con scarsa attenzione, invece, sarebbe stato un disastro anche solo in generale senza nemmeno iniziare a considerare i problemi di "contraccolpo" che ne sarebbero derivati. Lo scenario peggiore era che non riuscisse più a controllarlo, diventando un buco nero ambulante.


L'unico con cui si concedeva il lusso della totale sincerità era la persona che suo padre avrebbe approvato meno in assoluto: Moriguchi Jin, futuro leader del clan Moriguchi. Per quanto ci fosse una chiara alleanza tra i due gruppi, si parlava pur sempre di qualcosa di intangibile che dipendeva molto dalla guida degli stessi. In generale rivelare il proprio più grande segreto proprio a un altro leader non sarebbe stata considerata una buona idea, ma Tatsuya aveva passato il liceo con lui - tampinato, da lui - e pensava di essere piuttosto bravo a giudicare le persone. D'altronde, Jin aveva ricambiato rivelandogli la propria abilità oltre che di possederne una a sua volta. A Tatsuya questo bastava.


Jin aveva impiegato molto a entrare nelle sue grazie, a entrarci davvero, in quel modo che nel linguaggio personale di Tatsuya significava due cose: avrebbe dato un arto per lui senza battere ciglio e, allo stesso modo, gliene avrebbe tranciato di netto uno se solo Jin lo avesse tradito.


Era piuttosto sicuro che l'altro lo avesse capito quasi subito e da allora era stato un amico leale. Per questo, quando erano insieme, Tatsuya permetteva a se stesso di non essere un leader e di non essere nemmeno un ability user. Era solo Tatsuya.


Sul tetto della scuola, durante la pausa pranzo, quando leader non lo era ancora nessuno dei due ogni tanto ne avevano parlato come si faceva delle cose che si reputano ancora troppo distanti nel tempo - anche se non lo diceva, per evitare che nel suo caso sembrasse una freddura di pessimo gusto - per doversene preoccupare davvero. Non lo facevano mai in modo troppo romanzato, almeno la maggior parte delle volte; altre invece lo rendevano volutamente simile ai terribili film che si facevano sull'argomento. C'era stata, nello specifico, un'occasione in cui avevano parlato di alleanze e temibili vendette per le cose più stupide come "se dovessero rubarti l'ultima onigiri li posso uccidere" e simili, senza immaginare che un giorno la vendetta avrebbe portato uno di loro oltre il punto di non ritorno.


Erano solo ragazzini, dopotutto. Perché mai avrebbero dovuto immaginare un futuro simile, nonostante il mondo a cui appartenevano?


*


Ha sentito spesso nelle serie tv frasi su come nel momento subito prima della morte la vita passi davanti ai tuoi occhi, come in un riassunto veloce; c’è anche chi dice che, invece, siano i momenti più significativi a rimanere impressi, quasi dovesse essere un qualche tipo di consolazione. Tatsuya sente di avere le gambe e le braccia intorpidite, si sente presente ma assente al tempo stesso. Guarda a ciò che lo circonda come uno spettatore passivo che non ha mai davvero avuto intenzione di assistere allo spettacolo noioso che è l’immobilità del Tempo. 


E’ come vivere due esistenze contemporaneamente senza, però, viverne davvero nessuna. I suoi occhi vedono le persone andare e venire in quella stanza di ospedale e in una certa misura registra anche il modo in cui interagiscono con lui: i medici, attenti e scrupolosi e metodici; le infermiere, silenziose e piene di compassione, a volte si perdono in qualche commento passeggero e di forma tra loro come «Così giovane…» oppure «Non si arrenda, Miyuki-san.» 


Ogni tanto arriva il secondo in comando dei Moriguchi, un uomo che ha visto Jin crescere e che a un certo punto è diventato familiare anche per lui. Si fa portavoce di un gruppo il cui leader non può chiaramente girare a piede libero come se nulla fosse, dopo quanto successo, almeno per la sua incolumità. Tatsuya li vede andare e venire, fermarsi qualche minuto o qualche ora, anche se raramente. Vede nei loro occhi che non si aspettano reagisca, parli, dia un segno di esserci ancora mente e corpo. Vorrebbe dire loro che c’è, li vede, li sente ma è così stanco, gli sembrano così lontani e la sua coscienza è come liquido che continua a fluire e passare da una parte all’altra senza lui possa intrappolarlo in alcun modo. 


D’altra parte, ci sono momenti del giorno - non sempre gli stessi, non sempre della stessa durata - in cui le immagini che vede con i suoi occhi sono lontane, percepite come un ricordo più che come qualcosa su cui stia davvero posando gli occhi. Tutto intorno a sé ha la stessa percezione di quando usa la sua abilità: il Tempo gli scorre vicino, dentro, è un luogo buio fatto di luci piccolissime che Tatsuya non saprebbe dire se siano solo gli eventi o le infinite possibilità esistenti. Sa solo che ogni tanto gli vorticano intorno e non importa quale aspetto o disposizione assumano dopo averlo fatto: concepisce distrattamente l’idea di essere in un flusso del Tempo stesso, ma avverte la certezza assoluta che non ne uscirà mai.


Deve essere l’unica cosa da cui, anni prima, lo hanno messo in guardia: se ti perdi nelle pieghe del Tempo a forza di manipolarlo, ti perderai.


*


Si dice che sia molto più facile dimenticare le cose felici che quelle tristi. Sembra che tutto ciò che causa dolore o sentimenti negativi finisca sempre per attecchire di più, per segnare più in profondità. E’ una delle tante dietrologie dietro i discorsi motivazionali che si fanno per insegnare a qualcuno come gestire i commenti negativi, le critiche distruttive. 


Tatsuya non sa se sia vero e non si è mai interessato più del dovuto alla psicologia, ma di sicuro il suo cervello deve aver scelto per lui e continua a riproporgli il momento peggiore della sua vita - anni fa aveva pensato che nulla avrebbe superato il dolore di perdere sua madre e in un certo senso era ancora di quell’avviso. Il rapporto con sua madre è sempre stato talmente forte che quando l’ha persa, troppo giovane lei e decisamente troppo giovane lui, ha pensato che niente gli avrebbe restituito quel pezzo di sé che se ne stava andando con lei. Così era stato, anche se qualche ricordo gli aveva permesso almeno di rendere tutto meno acuto, con il passare del tempo.


Poi, in un giorno come tanti, ricorda la figura di uno dei suoi ragazzi: il volto terrorizzato è qualcosa che non dimenticherà mai ma, ancora di più, la voce straziata con cui gli ha detto «Moriranno tutti.»


*


In quel labirinto nel Tempo da cui non sta neanche davvero provando a uscire, una delle immagini più vivide è quella di un palazzo in fiamme. Uno di quelli che si amalgamano con facilità nell’urbanistica di una metropoli media giapponese, uno che dall’esterno può passare inosservato come tanti altri. Tranne quando è in fiamme.


Tatsuya si osserva come se guardasse la vita di un altro, come se ripercorrere la propria ancora e ancora - di nuovo? - fosse la punizione di chi ha osato troppo pur sapendo di non poterselo permettere. 


Arriva trafelato, con un completo che lo fa sembrare più grande e più serio di qualche anno, in apparenza disarmato. E’ una delle cose di cui è sempre andato fiero, oltre che uno dei suoi più grandi punti di forza: agli occhi di chiunque è sempre apparso come una minaccia solo nel nome che rappresenta, mai come persona in sé. Poco incline a portarsi dietro un’arma a causa della mente tradizionalista di suo padre e di una propensione quasi imbarazzante per le armi da taglio, non c’è mai stato un secondo della sua vita in cui si sia sentito davvero in pericolo o minacciato da quando ha imparato a erigere quella “barriera temporale” attorno a sé. Tatsuya lo vede negli occhi del se stesso che osserva: non ha mai pensato di poter essere colpito. Non ha mai pensato a questo.


Scoprire il colpevole in questo momento è impossibile, le priorità sono altre: prendono la forma di ingressi bloccati, di urla straziate provenire dall’interno di quell’edificio. Si concretizzano nell’immagine di un’esplosione di vetri e di un corpo in fiamme che si lancia da una finestra. Tatsuya - da lontano, ma anche da vicino in quel ricordo - lo guardano atterrare scomposto, morto sul colpo per la caduta; un atto di pietà della natura, per evitargli di bruciare fino alle ossa. Non riesce nemmeno a riconoscerlo. Non si dà modo, non rimane fermo.


Il Tatsuya di quel passato per nulla lontano si avvicina incurante di chi lo richiama, ignorando chi cerca di fermarlo - si volta a guardare il povero compagno con nello sguardo la violenza di chi potrebbe uccidere chiunque si metta sul suo cammino senza nemmeno pensarci su un secondo, alleato o nemico ha già perso d’importanza. Il suo potere è come una seconda pelle, ferma il tempo di quelle fiamme fino a toccare la superficie dell’edificio senza bruciarsi o sentire alcun calore; non esita un solo istante a fare ciò che con il Tempo non si dovrebbe fare mai: lo riavvolge fino a vedere le fiamme ritrarsi, fino a quando non spariscono. Vede i volti di chi blocca le entrate, di chi appicca il fuoco.


Quando toglie la mano, il mondo riprende a muoversi nella sua naturale velocità e direzione.


Quello che il Tatsuya del passato ancora non sa è che se si prova a ingannare il Tempo, quello finirà per ingannare te.


*


Guardarlo di nuovo deve essere la punizione per chi ha osato troppo, è la spiegazione che Tatsuya si dà. Si chiede, per un istante, immobile in un letto di cui ha coscienza ma dal quale non sa se riuscirà mai ad alzarsi, se sia la sua legge del contrappasso: imparare da un errore commesso senza potervi porre rimedio mai, lui che ha cercato di forzare l’impossibile. 

Il Tatsuya che può osservare senza essere visto, nitido nei suoi ricordi fin troppo freschi, si affanna su per le scale del primo, del secondo piano e cerca disperatamente di incrociare qualcuno da strappare a sorti che non si merita e di cui lui sente l’irrazionale responsabilità. Finalmente riesce a trovare uno dei suoi compagni ed è questione di un secondo, forse due prima che i loro sguardi si incrocino e subito dopo parte del soffitto crolli su di loro: il suo compagno si spinge in avanti, si slancia per allontanarlo dal pericolo e Tatsuya è salvo, ma lui no. Il sangue sgorga copioso, gli macchia le mani e i vestiti e tutto ciò che vorrebbe fare è urlare anche mentre cerca di allontanare il corpo ormai senza vita dalle macerie, perché non rimanga schiacciato come un topo in trappola. 


Al piano di sopra cominciano a sentirsi urla, voci che avvisano «Al fuoco!» e «La porta non si apre!» e il Tatsuya del passato - lo vede, lo riconosce perché sono la stessa cosa e lo ha provato ed è stato terribile - realizza che è già troppo tardi. Non è andato abbastanza indietro. Perciò la mano cerca spasmodicamente una parete mentre il resto del soffitto sembra cedere. 


Le macerie non lo raggiungono mai, il cemento non lo schiaccia; si ferma a mezz’aria e inverte la sua rotta e Tatsuya lo guarda (si guarda) mentre un cuore torna a battere e un corpo schiacciato è di nuovo sano, un uomo è in piedi sulle scale, l’edificio è ancora sano. Va indietro, indietro, indietro. Vede compagni fare su e giù per l’edificio, ignari, poi quando gli sembra sia abbastanza ferma il flusso del proprio potere. 


E’ stanco, perché riavvolgere il Tempo non è uno scherzo ed è forse il peggiore sforzo a cui un Cronocineta possa sottoporre il proprio corpo. Eppure non è importante, mentre cerca di respirare e di focalizzare lo sguardo, perché ha bisogno di essere attento, non può permettersi di perdere alcun dettaglio di vitale importanza.


Se non vede ogni cosa, non può prevenirla.


Non sa ancora che manipolare il Tempo, anche con le più nobili intenzioni del mondo, non lo rende Dio.


*


Ci vogliono tentativi su tentativi, per capire la dura verità, quella che non si riesce ad accettare neanche quando viene sbattuta in faccia con una violenza inaudita. Ogni volta riesce a salvare qualcuno, a evitare la morte di un compagno, ma il Tempo sembra esigere un numero di vittime specifico e non voler fare sconti di alcun tipo: per ogni persona che strappa alla morte, una finisce per essere sacrificata comunque.   


Tatsuya osserva il suo passato, lo guarda come un monito e al tempo stesso cerca di distogliere lo sguardo come se fosse una tortura, obbligato immobile a guardare. 


La consapevolezza di non poter fare nulla è qualcosa che arriva lenta, leggera al punto da non accorgersi che c'è fin quando ormai non ricopre tutto; ha la viscosità di una melma che immobilizza, piano e gradualmente, come un veleno che entra in circolo e quando i primi sintomi lo rendono ovvio è già troppo tardi per assumere un antidoto. Il Tatsuya di un passato che l'aver abusato della sua abilità forse gli mostrerà fino alla morte continua a salvare, poi a vedere morire, poi a riavvolgere il tempo.


Ogni volta va sempre peggio, Tatsuya sa riconoscere i segni che sul momento la disperazione ha nascosto con meticolosa attenzione: si muove sempre peggio fino a deambulare; respira affannato, come se ogni utilizzo del suo potere minacciasse di rallentargli il cuore fino a fermarlo; non riesce a mettere a fuoco, si nota da alcuni suoi movimenti, ma l'unica cosa che cresce è la schiacciante, tremenda consapevolezza di non poterli salvare.


Il Tatsuya del passato vede l'edificio prendere fuoco di nuovo, prima che lui riesca a fare nulla per evitare che uno dei suoi uomini lo spinga via, sacrificandosi per salvarlo. Si piega sulle ginocchia, tossisce fino a quando lo sforzo non gli stringe lo stomaco al punto da fargli vomitare la bile. A terra, lì a toccare il suo personale punto di non ritorno, stringe una mano a pugno e colpisce il duro pavimento mentre un urlo di frustrazione, disperazione e tristezza gli graffia la gola e non serve comunque a niente più che sfogare la propria impotenza per qualche secondo. Anche se ora, con il volto che non si vede, Tatsuya non riesce a distinguere la sua espressione sa che si sta concedendo l'ultimo pianto prima di una decisione definitiva. Un atto di debolezza, prima di uno di forza - o di incoscienza.


La mano si allunga di nuovo, rimane lì col palmo aperto ad aderire al pavimento e Tatsuya sa che il se stesso del passato sta per riavvolgere il Tempo un'ultima volta, quella che lo condannerà al fallimento, alla perdita e a vagare con la coscienza in quello stesso Tempo che da bambino pensava sarebbe stato il suo modo di essere un super eroe.


*


Non sa quanto duri. Forse settimane, forse mesi. Le visite dei medici si fanno meno frequenti, quelle delle infermiere gli sembrano rimanere sempre identiche invece. Il braccio destro dei Moriguchi torna di rado, ma una volta lo fa con Jin - Tatsuya vorrebbe almeno muovere le dita della mano, dargli un segno che in un certo senso è lì anche se non c'è davvero. A un certo punto smette di rivedere sempre le stesse scene, anche se sono lì in agguato e quando meno se lo aspetta è come viverle di nuovo, e di nuovo, e di nuovo.


Altre volte sono flash brevi dell'infanzia, sono le chiacchierate con Jin sulla terrazza della scuola, sono cose stupide fatte da ragazzo. Sono la famiglia che non esiste più da nessuna parte, i legami spezzati per sempre. Ogni tanto a Tatsuya sembra di dimenticare la propria identità. In altri momenti che quasi somigliano a quelli di lucidità, invece, si sente più presente di quanto non sia mai stato e ha il sentore di poter quantificare da quanto tempo sia lì oppure quanto riesca in effetti a muoversi. O quanto potrebbe farlo, se la sua coscienza tornasse ad allinearsi con il suo corpo anziché perdersi in uno spazio che non è da nessuna parte se non nella sua testa e nella sua essenza di ability user.


Se glielo avessero chiesto in passato non avrebbe mai creduto alla possibilità di divenire un giorno prigioniero dello stesso potere che lo aveva sempre fatto sentire libero.


Poi è successo senza che ci sperasse nemmeno più - perché in fondo, anche riprendendosi e tornando a vivere, il Miyuki-gumi non esiste più e la sua famiglia lo stesso. Non fa in tempo a chiedersi se almeno Jin sia ancora in quella città che non potrà mai fare altro che ricordargli quello che ha perso, da ritrovarsi ad accorgersi vagamente della presenza di Jin lì nella stanza. Deve aspettare sia l'altro a entrare nel suo campo visivo, data la posizione in cui lo sistemano le infermiere ogni giorno, ma alla fine riesce.


Non è così diverso da come lo ricorda, perciò forse non sono passati anni e anni. E' solo, se non con un membro che non riconosce e che quindi suppone sia nuovo: è un ragazzo giovane, dall'aspetto peculiare e non per la cicatrice da ustione che gli copre una porzione di viso. Rimane fermo in piedi dietro Jin e Tatsuya, nella vaghezza di pensieri che non sono più abituati a essere formulati in ordine, riconosce in quella sua postura il ruolo di una guardia del corpo.


«Tsuya» pronuncia Jin, senza parole di conforto inutili, specie se non è nemmeno sicuro di essere sentito «li abbiamo trovati. Manca poco, solo essere sicuri che siano i diretti responsabili.»


Per chiunque, sarebbero una condanna a morire di nuovo nella consapevolezza di essere inchiodato al letto di un ospedale; per lui è lo strappo violento che la realtà attua su di lui: è come una mano che lo strattona con violenza e una manciata di secondi dopo lui sente la gravità tornare ad avere presa su di lui. Cade a terra dal letto, forse per un movimento troppo brusco, forse per uno spasmo muscolare per quel poco di muscoli rimasti dopo tanta immobilità. Non incontra il freddo pavimento solo perché Jin è veloce ad evitarglielo, anche nel pieno stupore di fronte a quello che chiunque considererebbe un miracolo.


Sente parole da parte sua ma fatica a distinguerle; nella nebbia della sua testa rimbomba solo una frase a cui le corde vocali, dopo tanto riposo forzato, faticano a dare voce.


Punta gli occhi ambrati in quelli di Jin e sa che, in una manciata di secondi, lui capisce comunque.


Sono miei. Lasciali a me. A costo di farmi ammazzare.


*


Si rivela tutto molto più difficile e di sicuro meno immediato di quanto il suo desiderio di vendetta vorrebbe per lui. Mesi di totale immobilità richiedono non solo una serie di accertamenti medici prima che venga autorizzato anche solo a essere accompagnato fuori nel giardino dell’ospedale in sedia a rotelle - e il medico in ogni caso non ne sembra particolarmente entusiasta se non con il controllo costante di un infermiere - ma richiedono una riabilitazione che presto si trasforma nel più grande e frustrante degli ostacoli.


La fortuna nella sfortuna è che non si tratta di una riabilitazione dovuta a condizioni pesanti come gli capita di vederne quando va per i suoi appuntamenti nell’area dedicata dell’edificio: ci sono persone sottoposte a operazioni importanti o altre che devono imparare a vivere di nuovo da zero senza un arto. Tatsuya, a confronto, sente di potercela fare molto più velocemente ma forse una vita intera passata a non doversi preoccupare di quanta energia e forza nelle gambe ci volesse per fare quindici passi rende complesso accettare di non riuscire in tutto subito.


Alla frustrazione di una ripresa troppo lenta, mentre come unico obiettivo non riesce a pensare ad altro che alla vendetta, si aggiunge quello che si rivela essere il vero problema della sua ripresa completa. Contro ogni aspettativa, sono gli incubi a sfinirlo: più di una volta apre gli occhi, con la sensazione di star soffocando e dopo aver mandato per terra qualche oggetto del comodino senza volerlo. Di solito ci sono due infermiere del turno di notte e dopo tre episodi consecutivi, ormai hanno il loro modo di svegliarlo e gestirlo prima che si faccia male per errore. 


E’ qualcosa su cui non ha il minimo controllo e che non si era nemmeno aspettato: mesi con la coscienza intrappolata nella propria stessa abilità a rivivere il ricordo del suo fallimento a ripetizione l’avevano illuso di potersi dire ormai insensibile abbastanza perché non fosse un impedimento. Invece, dopo due settimane in cui gli incubi continuano a interrompere bruscamente quel riposo di cui avrebbe tanto bisogno, Tatsuya ha un’epifania: da quando ha riaperto gli occhi, non ha mai fatto uso del suo potere.


Per la prima volta in vita sua, tutto ciò che è sempre stato parte di lui è diventato il suo peggior nemico.


*


Quando finalmente il medico annuncia di poterlo dimettere, Tatsuya si aspetta un problema che viene risolto ancora prima che possa porsi: la soluzione assume l’aspetto di Moriguchi Jin e della sua guardia del corpo che si presentano all’ingresso dell’ospedale come se lui non fosse il nuovo leader di un gruppo della yakuza e come se il mondo non se ne accorgesse già solo guardandolo. Eppure Jin si comporta come se stesse entrando dentro casa propria - un modo di fare che gli è sempre appartenuto - e lo saluta gioviale nemmeno fosse suo cugino venuto a prenderlo per andare a fare un picnic.


Tatsuya non ha nemmeno il tempo di chiedergli nulla: Jin fa un mezzo gesto con la mano ed è costretto a interromperlo neanche a metà perché la sua guardia del corpo sta già togliendo dalle mani di Tatsuya il borsone mezzo vuoto che ha. Prova a protestare ma Jin scuote la testa, quasi a volergli suggerire che sarebbe solo un enorme spreco di fiato. 


«Lascia la borsa a Isen, su.» lo vezzeggia come se Tatsuya fosse un bambino «Hai bisogno di un posto dove riprendere ad allenarti in pace, giusto?» la butta lì come se lui fosse un grande sportivo che deve riprendere l’attività dopo un periodo di fermo a causa di un imprevedibile incidente. Nelle sue parole c’è la promessa di un luogo dove possa riprendere a utilizzare la propria abilità ma, soprattutto, la spada. La promessa di un posto dove chi vi transita non si farebbe domande, non le farebbe a lui e forse si presterebbe anche a quegli allenamenti se solo Tatsuya dovesse decidere di chiedere aiuto.


Non ci vuole molto per capire che il posto di cui parla è il territorio dei Moriguchi stessi.


«No.»
«Non te lo stavo chiedendo e soprattutto non te lo chiederebbe mio nonno, per cui comunque sei un nipote più apprezzabile del sottoscritto!» ribatte Jin, accompagnandovi quella mezza risata da iena che si ritrova. Tatsuya sa che Moriguchi Kazuma è un uomo complesso, di altri tempi e che avere la sua stima è qualcosa che risale ad anni prima. Per quanto quella dell’essere il nipote preferito sia una inside joke da tempo e Jin non sia certo detestato da suo nonno, Tatsuya comprende il peso dietro quelle parole in apparenza solo giocose.


Per quanto il pensiero di essere cercato da chi ha annientato il suo gruppo e di rischiare così di essere la causa dello stesso destino anche per i Moriguchi gli faccia venire da vomitare, non è così stupido da credere che Jin gli stia lasciando davvero scelta. O di averne una alternativa. 


Così accetta e passa i mesi successivi ad allenarsi fino a non sentire più le gambe e le braccia, fino a ritrovare lo smalto che gli è sempre stato proprio.


*


Quando è troppo stanco per muovere anche solo un muscolo, si stende sul pavimento in legno e  respira fino a regolarizzare l'alzarsi e l'abbassarsi del suo petto, tenendo lo sguardo sul soffitto senza che ci sia nulla di particolare da vedere. L'assenza di dettagli lo aiuta a fermare la mente, a darsi tregua. Lo fa infinite volte, ogni tanto si distrae qualche secondo soppesando l'idea di ricominciare ad allenare anche il potere - o meglio, di vedere se quello arrivi come la seconda natura che è sempre stato oppure se debba scendere a patti con l'idea di aver bisogno di ancora più tempo prima di poter andare a compiere la propria vendetta.


Jin gli ha detto di aver mobilitato solo uomini di fiducia per assicurarsi informazioni esatte che gli permettano di andare a colpo sicuro senza sorprese, ma Tatsuya ormai sospetta che le abbia da molto e stia semplicemente aspettando di vederlo pronto come una volta. Quello che invece è inaspettato è sentire la porta aprirsi e, nel voltarsi verso di essa, vedere la guardia del corpo di Jin entrare.


Isenlen è una creatura particolare, Tatsuya ha impiegato poco a notarlo: silenzioso, peculiare anche per una guardia del corpo. In genere quelle si riconoscono abbastanza facilmente dal modo in cui si rapportano con il proprio boss, ma Isen è diverso in un certo senso. Rimane accanto a Jin quando c'è bisogno - principalmente quando si tratta di affari all'esterno, da quanto Tatsuya ha avuto modo di osservare - ma non ha quel senso di protezione quasi ossessivo che in genere le figure come la sua hanno. Lo stesso Jin un po' lo punzecchia per farlo ammattire come ha sempre fatto con tutti quelli che hanno ricoperto quel ruolo, un po' Tatsuya ha notato lo sguardo che Jin rivolge al ragazzo e che con i ruoli ha davvero poco da spartire.


Il punto è che sentire la voce di Isen è quasi un miracolo, al di fuori delle interazioni con lo stesso Jin, così come la guardia del corpo è introversa abbastanza da non farsi trovare quasi mai al centro degli spazi comuni o nei gruppi più o meno numerosi formati dagli altri membri. Il fatto che sia venuto lì ma, soprattutto, che nel vederlo sembri aver trovato proprio chi stava cercando non può che lasciare Tatsuya perplesso. Non lo caccia di certo, comunque. Per quanto ospitali siano i Moriguchi, Isen ha più diritto di lui a muoversi ovunque voglia in quell'edificio.


Il ragazzo lo raggiunge, fino a sedersi vicino abbastanza da lasciar intendere di voler avere una conversazione con lui ma non tanto da invadere il suo spazio vitale. Tatsuya lo apprezza, non perché ne abbia bisogno ma perché quel tipo di attenzione è una qualità rara. Isen tace, lo fa così a lungo che Tatsuya inizia a dubitare delle sue intenzioni, o almeno che tra quelle non ci sia il parlare. Proprio quando sta per rinunciare e prendendo in considerazione l'idea di alzarsi e riprendere l'allenamento, la voce bassa di Isen lo raggiunge: «Jin dice che forse posso aiutarti con il potere, Tatsuya-san.»


Lo dice in un modo così diretto che a Tatsuya scappa da ridere. Non è una risata sentita, non è l'espressione di una gioia che non pensa sarà più in grado di provare, ma si porta dietro uno strascico di divertimento. Quelli come Isen, così diretti e sinceri al punto da poterlo quasi considerare un difetto, sono rari - e Tatsuya non osa neanche pensare a quanto uno così possa far penare Jin. Seppure inconsciamente, sospetta.


«Jin dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che il mio potere è raro anche per un ability user e che funziona in modo anche troppo specifico. Apprezzo l'interessamento, però.»

«No, non per il tipo di potere» chiarisce Isen corrugando appena la fronte, come se nemmeno lui riuscisse a capire come si suppone debba portare avanti la conversazione «ma perché forse ne sei spaventato, ora.»


Tatsuya lo capisce subito, perché tutto del linguaggio del corpo di Isen lo dice: non lo ha pronunciato con cattiveria né come una provocazione, ma come una semplice e obiettiva verità. Allo stesso tempo è chiaro che Jin non debba avergli spiegato nel dettaglio cosa lo abbia condotto in ospedale; dovesse tirare a indovinare, Tatsuya azzarderebbe a dire che forse Jin deve aver parlato di un utilizzo eccessivo del potere o poco più. Isen, per il tipo che sembra, non deve nemmeno aver fatto domande. Potrebbe tirarsi su a sedere, ma dubita l'altro si faccia troppi problemi sulla posizione dalla quale decide di rispondergli.


«Tu sei spaventato dal tuo potere?»

«Ora non più.»

«Manipolazione del fuoco, giusto?» domanda Tatsuya, avendone avuto solo un minimo assaggio e così veloce che per quanto gli sembri quello il caso, potrebbe comunque essere qualcosa di leggermente diverso. L'annuire di Isen toglie però ogni dubbio e permette a Tatsuya di dare voce a un «E' perché ti sei procurato quella?» indicando con un gesto vago la cicatrice sul viso altrui.


Con sua sorpresa, però, Isen scuote la testa.


«No, è per quello che ho fatto agli altri.»


Tatsuya non ha bisogno di chiedere altro perché a quel punto immaginare l'episodio è molto semplice: il problema delle abilità elementali è spesso quello, non importa quale sia l'elemento interessato. Quando si scopre come controllarlo è già troppo tardi.


«Ti fa paura il tuo potere?» chiede Isen, gli occhi puntati sul viso di Tatsuya senza alcun imbarazzo. Il suo accetto è leggermente più duro, si indovina facilmente che non sia cresciuto in Giappone anche se non tradisce la sua provenienza. Tatsuya ha notato quasi subito la sua eterocromia - un occhio grigio e uno azzurro, entrambi fissi sulla sua persona come se si aspettassero di leggergli tutto in faccia. Eppure l'aspetto curioso e divertente di quel ragazzo è che quando non trova ciò che cercava, semplicemente lo chiede laddove altri cercherebbero di scrutare ancora e ancora. Forse è anche per questo che decide di premiarlo con la sincerità, o almeno ciò che più ci si avvicina.


«Non lo so, ma nel complesso credo di no.» confessa, gli occhi ambrati di nuovo a puntare il soffitto «Ormai ho visto il peggio che può farmi e il limite oltre il quale non può andare. Credo che dobbiamo solo tornare ad andare d'accordo.»


Isen annuisce e basta, come se gli bastasse questo e il suo compito fosse concluso. Tatsuya decide che non c'è ragione di dirgli che il motivo per cui non ha paura è che non conta di tornare vivo, una volta che avrà lasciato l'edificio dei Moriguchi per andare a vendicare i suoi compagni.


*


Mentre aspetta il momento giusto per colpire, Tatsuya si ritrova a pensare a quando suo cugino Chihiro gli ha detto di essere un ability user a sua volta. Avevano undici o dodici anni, Tatsuya aveva già un buon controllo del proprio potere tutto sommato e le vacanze a Kyoto stavano andando bene come ogni volta. Si ricorda di un pomeriggio come tanti, di come Chihiro che in fondo è sempre stato un bambino e un ragazzo abbastanza strano a modo suo e nel suo essere silenzioso gli si sia seduto vicino. Senza una parola, per un tempo piuttosto lungo. Tatsuya non gli aveva detto niente, perché non si trattava di un atteggiamento fuori dalla norma, anzi era qualcosa a cui si era abituato da che aveva memoria.


Chihiro gli piaceva - come gli piace tuttora - e per quanto sia sempre stato un po' una oddball anche tra le persone dotate di poteri, Tatsuya non riesce a non pensarlo sempre con affetto, non importa di quale ricordo si tratti. Questo in particolare, tuttavia, gli causa un moto di tenerezza e ora che sono adulti entrambi, anche uno di dispiacere.


Gli torna alla mente, vivida come non mai, l'immagine di quel bambino di appena un anno più piccolo di lui con i piedi dondolanti e una mano aveva finito col cercare la sua, fermandosi invece alla manica come faceva spesso: «Tsuya-nii» lo aveva chiamato, senza però ricambiare il suo sguardo «sai che se ti fai male io posso farti sparire tutto?» aveva detto con una vocina bassa, decidendosi finalmente a guardarlo «Quindi se un giorno qualcuno ti dà fastidio tu me lo dici e ci penso io.» aveva concluso speranzoso. Tatsuya non aveva capito subito la portata di quanto gli era stato rivelato, ma quando tornando a casa lo aveva detto a sua madre, lo sguardo rattristato di lei gli aveva fatto intendere ci fosse più di quello che la sua mente aveva registrato.


Quando, qualche anno dopo, Chihiro non era stato mandato in vacanza da loro come era successo in altre occasioni, Tatsuya non aveva avuto bisogno di chiedere perché o di sbattere i piedi per capriccio. Aveva capito che quello di cui parlava Chihiro era un potere in apparenza molto utile ma che poteva avere delle implicazioni tremende: se un manipolatore del tempo e uno della soglia del dolore avessero potuto agire insieme, in un territorio sotto il controllo di diversi gruppi della yakuza, cosa mai ne sarebbe potuto uscire? Torture infinite su torture infinite. Al mondo non sarebbe bastata la parola d'onore di un ragazzino che assicurava quanto buono di indole fosse suo cugino: se la voce si fosse sparsa, agli occhi di tutti sarebbero stati solo il duo più letale della città e nessuno degli altri gruppi - specie quelli non alleati o con un patto di non aggressione con i Miyuki - avrebbe aspettato di scoprire se un futuro leader yakuza mentiva.


Tatsuya aveva capito che lo avrebbero ucciso senza pensarci due volte. Così non aveva più invitato Chihiro e, nel tempo, aveva smesso di recarsi spesso a Kyoto. I diversi ritmi di vita avevano fatto il resto.


Appostato in attesa di una vendetta che forse lo ucciderà, non può fare altro che ringraziare di aver preso quella decisione; eppure al tempo stesso si sentiva incredibilmente solo. Sarebbe stato di conforto girarsi e trovare al proprio fianco l'unico membro della famiglia ancora vivo, con la certezza che l'altro gli avrebbe guardato le spalle senza neanche bisogno di chiederlo. Per la prima volta da quando si è svegliato, vorrebbe potersi alzare per andare via, senza sentire alcun obbligo e convincersi che sarebbe comunque in grado di vivere una vita dignitosa oppure di rifarsene una da qualche parte. Oppure vorrebbe alzarsi, entrare nell'edificio che ospita tutti i responsabili - diretti o meno - dello sterminio del suo gruppo e avere la certezza che quando ne sarà fuori quelli avranno subito le pene dell'inferno.


Chihiro però, per fortuna, è lontano chilometri e chilometri.


Così Tatsuya sospira, si alza in piedi dopo che l'ultimo uomo è entrato nel palazzo richiudendosi la porta alle spalle. Ricaccia indietro il ricordo di suo cugino, di un passato in cui non c'era da preoccuparsi di nulla e i poteri più letali sembravano solo quelli adatti a prendersi cura delle persone care.


Muove diversi passi con circospezione, si accosta alla porta che ha visto chiudere poco prima, assicurandosi di non aver erroneamente ignorato qualcuno in borghese o con un profilo basso ma appartenente al gruppo. Nessuno gli va incontro né lancia qualche tipo di segnale, quindi suppone di no. La katana è ancora nel suo fodero, fissato contro la schiena e lui, semplicemente, bussa.


Non si stupisce di vedere la porta aprirsi, nessuno si aspetterebbe un vendicatore che bussa con educazione e chiede magari anche "permesso". L'uomo che si ritrova di fronte non lo riconosce subito o forse non lo fa affatto, ma poco importa in realtà; in ogni caso se anche riesce lo fa troppo tardi, mentre la lama di un pugnale nascosto che non ha nemmeno visto tirare fuori gli affonda nello stomaco mozzandogli il respiro, mentre un dolore acuto deve colpirlo. Tatsuya lo guarda con la stessa empatia e la stessa carica emotiva che potrebbe rivolgere a un ciottolo per la strada, qualcosa di così poco rilevante e così semplice da ignorare che spesso nemmeno si nota davvero.


Quello prova a dire qualcosa, forse urlare; Tatsuya si assicura di girare la lama nelle sue viscere e quello fa per urlare di dolore. Per quanto conti di generare il caos a breve, nemmeno per lui è comodo che questo avvenga non appena varcata la soglia, perciò ferma il suo tempo. Dapprima abbastanza per chiudersi la porta alle spalle e poi lo osserva, pondera, cercando di decidere il da farsi.


Alla fine il tempo di quell'uomo di cui neanche conosce il nome, riprendere a scorrere mentre Tatsuya inizia a salire le scale. E' comunque troppo tardi perché il cuore riprenda a battere.


*


Potrebbe rendere tutto molto più semplice di così, lo sa bene. Se in ogni caso non si preoccupa di cosa gli accadrà alla fine, se non è importante sopravvivere, Tatsuya sa che potrebbe semplicemente scaricare tutto il suo potere su un intero edificio per la seconda volta e aspettare abbastanza tempo per replicare su larga scala quanto fatto con l'uomo che ha avuto la sventura di aprirgli la porta. Invece ha deciso di fare alla vecchia maniera, di ucciderli uno per uno, specie quando dopo il quarto uomo incontrato qualcuno ha finalmente lanciato l'allarme.


I motivi sono semplici: in primis, perché potrebbe avere un contraccolpo prima di compiere la sua vendetta o non avere reale certezza di averli uccisi tutti prima di soccombere a sua volta. Secondo, non sa chi sia stato ad aver materialmente appiccato il fuoco o se l'abbia fatto con un potere; non sa nemmeno se sia la stessa persona ad aver prima bloccato la maggior parte delle vie di fuga, lasciando solo quelle particolarmente in alto, con la crudeltà della consapevolezza che fuggire da lì avrebbe comunque comportato la morte di chi avesse tentato. La realtà però è che non gli interessa neanche più saperlo, non è importante. A questo punto sono tutti ugualmente colpevoli: carnefici diretti o indiretti è diventato un dettaglio estremamente trascurabile per lui. L'unico aspetto di reale interesse è vederli morire, lasciandoli soffrire più possibile e ha tutta l'intenzione di guardarli negli occhi mentre lo fa. Certo, non è come avere la possibilità di ferirli continuamente e assicurandosi che avvertano il quadruplo del dolore che dovrebbero provare di solito, come avrebbe potuto fare se avesse coinvolto Chihiro o qualcuno con il suo stesso potere... ma Tatsuya può accontentarsi. Può farsi bastare una soglia del dolore normale, senza modifiche da parte di nessuna capacità speciale.


Quello a cui non può davvero rinunciare è guardarli negli occhi, cercare la paura e il momento esatto in cui la presa di coscienza assume la tinta precisa di chi sa di non avere più scampo. Di chi guarda la morte in faccia e comprende che nessuno lo potrà salvare.


Tatsuya, katana impugnata, affonda la lama nella schiena dell'ultimo uomo del piano su cui si trova e lo vede crollare a terra mentre il sangue inizia a uscire copiosamente. Quello si tampona in modo spasmodico la ferita, nella sciocca e disperata convinzione che possa bastare a garantirgli la sopravvivenza. Quando Tatsuya torreggia su di lui, quella speranza vaga sparisce del tutto e nei suoi occhi rimane solamente la paura. Si aspetta un colpo di grazia che non arriva e non certo perché lui voglia risparmiarlo.


«Per quanto meriteresti di rimanere steso a terra a dissanguarti, non posso permettermi il lusso che tu sopravviva. Per quanto vaga sia la possibilità che succeda.» gli fa presente, il tono placido, senza fretta: «Ma quello che voglio sapere è: chi ha appiccato il fuoco all'edificio del Miyuki-gumi sei mesi fa?»


Negli occhi dell'uomo vede il lampo della comprensione e questo lascia supporre a Tatsuya che sia un membro di quel gruppo da abbastanza per sapere di quale "incidente" si parli, ma non di alto grado tanto da conoscere la risposta. Fa l'errore, forse, di credere che fingendo di tacere perché vuole Tatsuya gli risparmierà la vita pur di avere l'informazione che vuole; non sa che in un modo o nell'altro la otterrà comunque e quindi, quando intuisce che la cosa potrebbe inutilmente andare per le lunghe, l'ex leader del Miyuki-gumi si limita a far calare la katana su di lui con fare quasi disinteressato.


Passa oltre, niente di più.


*


Sono dentro quella stanza da quasi un'ora. Tatsuya, lo deve ammettere a se stesso, mai una volta in vita sua ha preso in considerazione la tortura. Va contro tutto ciò che gli è stato insegnato da suo padre: l'onore, il rispetto, anche - soprattutto? - per colui con cui si incrocia l'arma, specialmente la spada. Va contro ogni cosa che sua madre ha sempre rappresentato e sperato lui rappresentasse a sua volta: la gentilezza anche quando rivolgerla a qualcuno sembra impossibile, la correttezza anche quando gli altri non lo sono. Infine, è certo che se potesse vederlo ora, non potrebbe mai approvare il modo in cui la vendetta lo ha mangiato vivo.


Eppure, nonostante tutto questo rappresenti ciò che è sempre stato, al momento ignora tutto. Il responsabile della caduta del suo gruppo, delle persone che hanno rappresentato la sua famiglia anche quando entrambi i suoi genitori sono morti chi prima e chi dopo, è lì. Troppo ferito per tentare la fuga, troppo provato dal dolore per ragionare lucidamente, senza voce per le troppe urla per poter sprecare fiato in suppliche che ormai avrà capito essere inutili. Tatsuya lo osserva forse prendendosi per la prima volta il tempo di farlo: è un uomo più giovane di come sarebbe suo padre se fosse ancora vivo. Uno che deve aver fatto abbastanza esperienza da poter ricoprire il ruolo di leader del suo gruppo, uno minore che forse in un'altra situazione Tatsuya avrebbe del tutto ignorato.


E' così patetico, in balia di un potere troppo grande che Tatsuya ha persino usato il minimo sindacale. Nei suoi occhi, deve dargliene atto, non c'è la paura - non più di tanto. C'è la rassegnazione alla morte però, quello sì.


«Sarebbe più facile per te se mi dicessi il motivo dell'attacco.» la butta lì, con il disinteresse di chi ha tutta la giornata, ma forse anche tutta la vita. Di sicuro ha tutto il tempo del mondo.


L'uomo sbuffa, o forse lo farebbe in condizioni normali, ma in quelle in cui versa sembra più il tossire per sputare sangue che continua a perdere anche dalle ferite sebbene lentamente. E' come guardare una morte compiersi inesorabile senza impegnarsi a fermarla né a velocizzarla.


«Saresti... così misericor... dioso?» ansima quello, cercando di piazzarsi sulle labbra un sorriso arrogante. Tocca a Tatsuya, ridere, ma è una risata vuota che sbatte contro le pareti di quella stanza creando un suono quasi distorto.


Si sposta dalla parete contro cui si è poggiato poco prima e si avvicina a lui, guardandolo persino annoiato: «Non ho intenzione di darti nulla che non ti meriti. La misericordia non è tra questi. La tua dov'era?» lo interroga, in un chiaro riferimento all'annientamento del proprio gruppo. L'uomo tossisce di nuovo, scuotendo appena il capo in uno spreco di energie che Tatsuya non si spiega ma nemmeno si impegna chissà quanto a comprendere. Lo vede sforzarsi di alzare lo sguardo e di assumere un'espressione dignitosa e per com'è messo, specie fisicamente, deve dargli atto di riuscirci almeno vagamente.


«I tuoi... uomini» inizia a fatica, ottenendo in un istante la sua attenzione «non erano... forti abbastanza.» commenta. In quell'affermazione, Tatsuya comprende che non si stia parlando solo di forza fisica e all'improvviso una consapevolezza gli gela il sangue nelle vene: cercavano un ability user. Cercavano lui.


Il dolore che pensava non avrebbe provato mai più, dopo i tentativi di salvataggio e gli incubi e i mesi passati a rivivere tutto come una punizione si riaffaccia ora. E' acuto, è pungente e sembra volerlo soffocare per una manciata di secondi. Poi arriva come un'ondata inarrestabile: la rabbia cieca di chi ottiene una risposta e prevedibilmente quella riesce a essere sia quella che si voleva, sia quella che non si sarebbe mai voluto conoscere.


Tatsuya abbassa lo sguardo, senza un reale bisogno, sui propri vestiti: la camicia bianca ormai non solo non è più indossata con ordine, ma è quasi più macchiata di sangue che del suo colore originario. La giacca l'ha abbandonata due piani sotto, i pantaloni sono un disastro. Sposta gli occhi ambrati su quell'uomo e quella rabbia che lo scalda come lava, all'improvviso è come se si azzerasse. Come se all'improvviso dentro avesse solo il ghiaccio. Sente una lucidità che non pensava più di avere o che di certo non si sarebbe riaffacciata qui e ora; scorge nello sguardo dell'uomo che nessuna di queste reazioni è quella che si aspettava.


«Io non andavo particolarmente d'accordo con mio padre.» comincia a dire Tatsuya, le dita a sfiorare la lama anche se non necessariamente per ripulirla del sangue della scia di morti che si è lasciato alle spalle. Deve sembrare del tutto fuori di testa come discorso, eppure lui non si ne preoccupa e continua: «Sapeva cosa voleva che diventassi, ma detestava che mia madre mi rendesse più debole. Io non mi sono mai davvero opposto a fargli da successero, ma non era un uomo votato al dialogo con suo figlio. Rimane il fatto» continua, senza guardarlo «che come leader ho ereditato tutto da lui: il gruppo, le persone che ne erano parte, l'arte della spada nonostante ormai non la utilizzi praticamente nessuno nel nostro ambiente.» prosegue con quell'elenco che l'uomo ormai non riesce neanche a seguire, forse.


«Inutile dire che ho ereditato anche il suo codice: onora l'avversario, me lo avrà ripetuto un milione di volte.» ammette, il tono atono di chi non si sta certo perdendo nel prezioso ricordo d'infanzia in cui crogiolarsi «Sai cosa fa la yakuza a chi fa una cosa come quella che voi avete fatto al Miyuki-gumi?» domanda, osservandolo. Quello, com'è prevedibile, cerca di raddrizzarsi più possibile. Tatsuya in quel semplice movimento riconosce un uomo che a prescindere dalle sua azioni, almeno nella sua testa si pregia di essere un esponente di quella stessa yakuza di cui lui sta parlando. Ed è tutto ciò che Tatsuya ha bisogno di sapere.


La mano si muove veloce, afferrandogli bruscamente un ciuffo di capelli per tirare e fargli piegare la testa all'indietro con forza. Un verso di dolore, di certo per le ferite all'addome e non solo per la tirata di capelli, lascia le labbra dell'uomo e un colpo di tosse gli fa sputare del sangue. Tatsuya se ne frega, si china su di lui fino a quando i loro visi sono vicinissimi e si assicura di piantare il proprio sguardo nel suo.


«Dimenticalo.» qualsiasi cosa faccia la yakuza di fronte a un torto come quello subito da lui «Perché io non ti darò nessuna di quelle possibilità. Non onorerò il mio avversario come tu non hai onorato il mio gruppo. E mentre il resto dei tuoi uomini sono solo cadaveri a fare da tappezzeria ai piani inferiori, ti darò la morte meno onorevole possibile.» sibila con una crudeltà che non gli è mai appartenuta ma che, in fondo, perché mai non dovrebbe riservargli. Non ha nulla da perdere, perché ha già perso tutto.


La katana viene alzata e portata al collo altrui. Un lampo di terrore nei suoi occhi rivela a Tatsuya come l'altro abbia finalmente capito e non può - né vuole, in fondo - impedire alle sue labbra di incurvarsi nel sorriso cattivo di chi gode del terrore di un altro.


«Ti taglierò la gola e ti guarderò dissanguarti per i pochi secondi che ci vogliono e li renderò così lenti che ti sembrerà stiano passando ore. Ma il dolore non sparirà e tu sentirai di star morendo e sarà la cosa peggiore che avrai mai provato. L'ultima cosa che vedrai sarò io e, te lo assicuro, mi implorerai di farti morire più in fretta.»


L'uomo lo guarda, apre la bocca per dire qualcosa, forse una supplica. Forse un insulto.


Tatsuya non glielo permette, lo anticipa: la lama si porta in un movimento fulmineo alla sua gola, ne lacera le carni; il sangue a stento riesce a iniziare a sgorgare che la sua manipolazione del Tempo è già attiva, capace di rendere una morte quasi istantanea la più lenta delle agonie.


Il suo potere non lo tradisce: funziona come ha sempre fatto, rispondendo a qualcosa che in lui è naturale come respirare. In un certo senso è un ritrovare se stessi. Come una eco lontana, la voce di Isen gli risuona in un angolo di mente: hai paura del tuo potere?


Tatsuya guarda la vita scivolargli tra le mani al tempo deciso da lui, semplicemente perché può farlo. Lì, a vendicare uomini morti per lui, dando alla propria sopravvivenza l'unico senso possibile. La paura del proprio potere non ha mai davvero significato nulla.


A fargli paura dovrebbe essere se stesso, quello che guarda un uomo morire e non riesce a sentire più nulla.


*


Quando, per mesi, Tatsuya ha pensato solo alla vendetta non si è mai chiesto cosa avrebbe fatto dopo. Nel suo immaginario, uscire vivo da un edificio in cui aveva tutte le intenzioni di infilarsi da solo aveva assunto le tinte della pura utopia e quindi fare dei piani per il futuro non è mai stato contemplato. 


In quel momento, quando ha ucciso il leader dei responsabili, il silenzio è stato assordante ma ha anche portato con sé un senso di liberazione; poi, come se quello avesse finalmente tolto il tappo a tutto il resto, gli si era rovesciato addosso il dolore della solitudine e della perdita che pensava di aver elaborato e in qualche modo esorcizzato. La consapevolezza - magra consolazione - di aver raggiunto l’obiettivo e di averli vendicati tutti. Poi, la presa di coscienza: non avere più niente nel senso più ampio del termine. Non avere una famiglia; non avere uno scopo.


Sa e ha sempre saputo che se solo volesse, avrebbe un posto tra i Moriguchi. Lo ha reso chiaro Kazuma in passato, non ne ha di certo mai fatto mistero Jin. Anche quando è uscito da quell’edificio lasciandosi dietro una scia di morte, non lo ha stupito trovare proprio Jin lì fuori ad attenderlo. Tatsuya non esclude che in realtà sia arrivato ben prima che lui finisse il lavoro e che debba aver tenuto d’occhio in qualche modo la situazione, pronto a intervenire se la sua vita fosse stata in pericolo. Per quanto gli sia profondamente grato di non aver messo bocca sulla questione, di non aver neanche provato a convincerlo a desistere dal suo proposito di vendetta e per non essere intervenuto… Tatsuya non potrebbe mai accettare di unirsi al suo gruppo. Non quando l’ombra del suo ancora gli pesa sulle spalle, non mentre le urla dei suoi compagni ancora gli risuonano nelle orecchie.


Jin lo ha portato semplicemente a casa sua, distaccata dal resto del ritrovo dei Moriguchi; un luogo più tranquillo, appartato e di cui solo i membri più degni di fiducia sono a conoscenza. Non lo ha stupito quindi vederci dentro Isen, come anche Eishi o Tooru. Distrattamente, Tatsuya ha soppesato quanto dica di Jin il fatto che alcune delle sue persone più fidate siano anche i membri più giovani del gruppo, quelli che lo hanno conosciuto prima che fosse leader a eccezione forse di Isen. Nessuno dei ragazzi gli ha chiesto nulla, seppure per motivi diversi. Solo Isen ha provato ad allungare una mano, il palmo verso l’alto, in un tacito invito a lasciare che portasse lui la spada; Jin gli ha poggiato una mano sull’avambraccio, facendo una pressione levissima per farglielo abbassare, senza dire nulla oltre un semplice ed essenziale: «Non c’è bisogno.»


Tatsuya ha stretto la presa sulla katana, perché se avesse lasciato andare anche quella forse la sua coscienza sarebbe di nuovo scivolata chissà dove, circondata da soli incubi. Lui è troppo stanco per sopportarli.


*


Quando passa più di una settimana, non lo stupisce che Jin non lo abbia ancora approcciato per parlare anche se intuisce che buona parte dei membri dei Moriguchi se lo aspetta. Jin lo conosce troppo bene e da troppi anni per credere che basti una chiacchierata cuore a cuore per risolvere l'irrisolvibile e ha ragione. Salvare un uomo non è facile, ma non sempre è così difficile: se si hanno i mezzi e i giusti elementi, oltre a un po' di fortuna in qualche caso, Tatsuya lo ha anche visto succedere. Ci sono salvezze fisiche e salvezze emotive, ma non è necessario essere dei laureati in psicologia per sapere che quasi sempre le seconde sono le più complesse.


Alcuni potrebbero leggere la distanza che Jin lascia tra loro come disinteresse, quasi menefreghismo; Tatsuya invece è del tutto consapevole che sia perché nessuno lo capisce meglio di Jin, non solo per la conoscenza e l'amicizia che li lega, ma anche per il ruolo. Jin è un ability user ed è un leader. Risponde della condizione di tutti gli uomini sotto di lui, ne è rappresentanza e protettore insieme. Non esiste, nell'esperienza di Tatsuya, un uomo che abbia coperto la loro stessa posizione senza immaginare almeno una volta lo scenario peggiore: l'annientamento del proprio gruppo e il sopravvivergli come unico superstite. Perciò anche Jin deve averlo fatto e vederlo succedere così vicino a sé deve aver acuito la consapevolezza per cui Tatsuya ormai può considerarsi un uomo morto. Nessuna offerta di unirsi a un altro gruppo potrà mai superare quello che ha dentro e che gli scava il petto con una violenza inaudita, ogni giorno. Forse gli incubi a un certo punto finiranno, anche se non presto; forse cambierà vita e si allontanerà dall'ambiente in cui è cresciuto e nel quale pensava sarebbe morto.


Ma Tatsuya non ne ha la forza. Mentre siede lì sul cornicione del tetto, l'edificio dei Moriguchi di poco più alto di quelli adiacenti, guarda dritto davanti a sé: un palazzo alto almeno il doppio di quello dove si trova lui si staglia nemmeno troppo in lontananza, come un faro nella notte per chi cerca salvezza e come la condanna che incombe su di lui che la salvezza non la desidera più.


Glielo hanno presentato come un'organizzazione estremamente diversa dal gruppo di cui è stato il leader e per il quale si è sporcato le mani. Nelle strade del suo (ex?) ambiente, ora, circola voce di una strage compiuta da un solo uomo: molti la considerano già una leggenda metropolitana perché dopotutto, chi mai potrebbe credere al quel si dice un solo uomo li abbia uccisi tutti e trentatré che serpeggia nelle vie, anche in quelle abbandonate? Ma in fondo a lui sta bene che rimanga solo una leggenda metropolitana - dopotutto di encomiabile c'è davvero poco. Di certo non abbastanza da convincere un'organizzazione che collabora con il governo a prenderlo con sé.


«Ci stai pensando, Tatsuya-san?» una voce lo coglie relativamente di sorpresa. Aveva percepito già l'arrivo e l'avvicinarsi di qualcuno, senza preoccuparsene troppo. A stupirlo vagamente è che si tratti di Eishi. E' uno dei più giovani del gruppo Moriguchi, raccattato Jin solo sa dove. All'epoca gli è stato presentato come qualcuno di spaventosamente intelligente e deve ammettere di aver avuto lo stesso sentore in un paio di occasioni in cui ha potuto in effetti parlare con lui più a lungo di un semplice scambio di convenevoli. Proprio per questo non si aspetta di vederlo lì - lo reputa, per l'appunto, troppo intelligente per pensare sia venuto a cercare di convincerlo - ma al tempo stesso forse se qualcuno doveva presentarsi, Tatsuya avrebbe dovuto intuire che sarebbe stato lui.


Tatsuya torna a guardare di fronte a sé, verso l'alto edificio.


«No.» ammette «Ma immagino Jin preferirebbe una risposta diversa.»

«Tutti si aspettano da te risposte diverse, Tatsuya-san» pronuncia Eishi come se fosse un'ovvietà, accompagnando la frase con un'alzata di spalle «Tooru si aspetta che lotti, ma Tooru è stupido come un comodino ed empatico come un frigo, quindi possiamo ignorare le sue opinioni come sempre.» elenca velocemente, lasciando intendere come consideri il coetaneo degno di attenzione quanto una formica per strada. Tatsuya si limita a guardarlo di sbieco, senza proferire parola.


«Isen forse pensa che non accetterai l'idea. Dico forse perché tirargli fuori cinque parole è un'impresa su cui sto ancora lavorando.» ammette, sebbene sembri intenzionato a prenderla con tutta calma: «Il Boss credo non dica cosa vorrebbe tu scegliessi solo per rispetto. Ma direi che la risposta che vorrebbe sia ovvia per tutti quelli con un cervello funzionante. Quindi tutti tranne Tooru.» rimarca la sua antipatia, ma non la rende la protagonista del discorso.


«Tu invece su quale risposta scommetti?» non può che domandargli Tatsuya, con un pizzico di curiosità. Eishi fa vagare lo sguardo, a un certo punto anche verso l'edificio in questione, ma senza soffermarsi troppo. Appare molto più interessato a Tatsuya e i suoi eventuali cambi di espressione. Cerca di leggerlo, questo è evidente e porta persino Tatsuya a incurvare le labbra nel sorrisetto stronzo di chi ora ha tutte le intenzioni di mettersi d'impegno per rendere il lavoro dell'altro molto più difficile.


«Io sto decidendo se scommettere sulla tua intelligenza o sulla tua voglia di morire, Tatsuya-san.»


Eccola, la totale mancanza di tatto di Eishi, quella di cui Jin gli ha parlato quasi subito, definendolo un ragazzo intelligente ma quasi incapace di provare empatia. Solo uno del genere potrebbe andare da qualcuno seduto su un cornicione, con tutte le carte in regola per lasciar vincere dei pensieri suicidi e dirgli che la sua voglia di farla finita sta combattendo con l'intelligenza di chi sa bene non otterrebbe granché.


Tatsuya guarda l'edificio, abitato da un'organizzazione che lo porterebbe a interagire di nuovo con un gruppo e - nella peggiore delle ipotesi - a guidare alcuni dei suoi membri. Un'organizzazione che potrebbe accoglierlo senza riserve, almeno in parte, e cercare di farlo sentire di nuovo a casa, di nuovo non solo. Quell'edificio sa di promessa, di vita ricostruita, di legami e fiducia e spirito di sacrificio per le persone con cui si vive sotto lo stesso tetto.


Al solo pensiero, a Tatsuya viene da vomitare.


Si alza dal cornicione, con attenzione; muove un passo indietro, palese scelta silenziosa verso la vita. Un gruppo simile gli ricorderà costantemente ciò che ha perso e non è stato in grado di proteggere. L'eterna maledizione di chi l'eternità, forse, potrebbe viverla sul serio grazie al suo potere.


Questa, si dice, è la morte che merito.

hakurenshi: (Default)
2025-04-05 11:36 pm
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Stop it now (COWT14, week 5, M3)

 

Prompt: tempo

Missione: M3 (week 5)
Parole: 100
Rating: teen up
Fandom: originale

Warnings: //


Non c'è una sola volta in cui ricordi di aver temuto il proprio potere di fermare il tempo o che non si sia fidato delle proprie capacità e della portata dell'abilità stessa. Eppure ora, mentre guarda l'edificio del suo gruppo in fiamme, per un istante Tatsuya non sa cosa fare.


Potrebbe fermare il tempo, ma fermerebbe anche le fiamme. 

Potrebbe farlo tornare indietro, sarebbe abbastanza per evitarlo prima che accada?

Ci sono così tante possibilità quando si può piegare una cosa enorme come il tempo eppure lui è lì, come il più piccolo degli esseri umani, inerme e solo.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 11:28 pm
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Just a joke (COWT14, week 5, M3)

 

Prompt: tempo

Missione: M3 (week 5)
Parole: 100
Rating: teen up
Fandom: originale

Warnings: //


Il lato negativo di avere un'abilità rara è non avere un predecessore che insegni quanto necessario. Poi c'è anche il non avere ability user di nessun tipo nei paraggi, se non il proprio più o meno migliore amico che è una merda peggiore di quanto potrebbe mai essere lui, Tatsuya.


Così, semplicemente, Jin continua a sfidarlo a fermare il tempo degli oggetti lanciati mentre sono ancora a mezz'aria, lì affacciati alla finestra.


«Che succede se mentre fermi il tempo di palpo il culo, Tatsu?»


Il poveretto a cui finisce in testa il suo succo di frutta non è divertito quanto Jin.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 10:54 pm
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First time (COWT14, week 5, M3)

 

Prompt: tempo

Missione: M3 (week 5)
Parole: 100
Rating: teen up
Fandom: originale

Warnings: //


La prima volta che Tatsuya capisce di avere un potere ha sei anni e la fantasia dei bambini, capaci di sognare di poter essere supereroi anche senza che qualcosa di genetico glielo permetta davvero.


E' nel giardino di una casa troppo grande e troppo vuota, arrabbiato con un padre assente e con ai propri piedi il vaso di un bonsai irreparabilmente rotto. Il suo è il desiderio infantile di far tornare tutto com'era prima, quello che gli adulti sostengono sempre sia impossibile - perché tutto ha delle conseguenze.


Eppure il Tempo si piega al suo desiderio e lui capisce: può controllarlo.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 10:27 pm
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Di autisti con la pioggia (COWT14, week 5, M3)

 

Prompt: tempo

Missione: M3 (week 5)
Parole: 100
Rating: teen up
Fandom: originale

Warnings: //


«Che tempo di merda!» sbotta Elias, scansando l'ennesima pozzanghera al contrario dello stronzo in auto che l'ha appena presa in pieno, alzando un mini tsunami che ha dovuto prendere quasi in pieno perché l'alternativa sarebbe stata prendere un palo di faccia.


Lo sguardo segue l'autista, che ha pure il coraggio di suonare il clacson come a dargli la colpa.


«SONO SUL CAZZO DI MARCIAPIEDE SPERO CHE QUESTO TEMPO DEL CAZZO TI FACCIA SCHIANTARE CONTRO UN ALBERO.» gli urla dietro, mentre l'acqua del diluvio universale in corso ormai gli ha fradiciato persino le mutande. Che odio.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 10:24 pm
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La matematica ai tempi degli Archivisti (COWT14, week 5, M2)

 

Prompt: Confused Lady

Missione: M2 (week 5)
Parole: 3298
Rating: gen
Fandom: originale

Warnings: solo il nonsense dell’annuale fic celebrativa di squadra.




Il covo degli Archivisti era un luogo su cui le dicerie erano tante quanti i loro archivi - e una delle leggende in questione, dopotutto, parlava proprio di questi ultimi: labirinti di scaffali, scaffali, scaffali... al punto tale che si diceva qualcuno si fosse perso nella profonda cultura che si respirava anche solo stando lì. La Storia, quella con la S maiuscola. E come le più Marzulliane domande... era forse l'attesa dell'archivio l'archivio stesso?


Eppure, c'erano anche voci sinistre su quel luogo. C'era chi avrebbe potuto giurare fosse in continua mutazione e a un certo punto le storie che si raccontavano su quel posto erano talmente tante che era divenuto impossibile distinguere la verità dalla menzogna. A onor del vero non si trattava sempre di elementi sinistri: per esempio c'erano Arricciaspi-- Arrostici-- Arciaruspici tra cui serpeggiavano ricordi di corgi dalle corte zampe ma dal grande cuore. Corgi coraggiosi, partiti per un road trip che li aveva portati ai confini del mondo (o alla fine di una storia, nessuno ormai lo sapeva più con certezza). Testimonianze ormai perdute nel tempo, senza che nemmeno un Archivista (o quasi) potesse più risalire a quelle fonti, riportavano di mucche bionde la cui capigliatura al vento avrebbe rappresentato un segnale di buon auspicio.


Tuttavia, c'erano anche infausti episodi indissolubilmente legati a queste figure. La piccola Rya non ne aveva sentite molte fino ad allora, specialmente quando aveva firmato per unirsi a uno degli organi di Alorea - qualcuno, quando la sua assegnazione era stata annunciata, aveva sussurrato incauto "povera ragazza... dopo l'incidente dei pescipene, così giovane..." - ma forse la caparbietà, forse l'incoscienza della gioventù, forse ancora il non sapere cosa mai fosse un pescepene (beata innocenza!)... o forse l'aver ormai firmato col sangue e dato in pegno un pezzo di anima, non si era fatta scoraggiare.


Così, ora, si trovava di fronte alla porta della sede degli Archivisti. A un primo sguardo, l'edificio dall'esterno sembrava sorprendentemente normale: ampio, il che non stupiva se davvero conteneva un labirinto di scaffalature, dall'aria pulita e curata. Uno spazioso giardino, con alberi potati e fiori lì lì per sbocciare ora che la primavera era arrivata. Il lato opposto a quello di entrata, per quanto non si vedesse del tutto da lì, sembrava ospitare una... torre. Rya non fece in tempo a interrogarsi sulla natura di quella costruzione che la porta si aprì, mostrando una persona.


«Ah! Tu sei quella nuova, sì?» si sentì chiedere dalla donna davanti a lei, sebbene fosse molto difficile mantenere l'attenzione completamente sulla sua espressione a giudicare dal catboy che le stava attaccato alla gonnella. Silenzioso, un po' timidino, ma di sicuro non dall'aspetto minaccioso. Rya non poté fare a meno di chiedersi se fosse una mascotte o l'animale domestico degli Archivisti - o forse ognuno poteva avere il proprio? Avrebbe dovuto indagare.


«Sì, sono Rya» si presentò «è la prima volta che mi unisco a una causa come questa, spero di fare del mio meglio.» aggiunse, incontrando il sorriso rassicurante della donna mentre questa si faceva da parte e le rispondeva con un entusiasmo: «Ma sì, ma sì, vedrai! Io sono TheUnlikelyOne, prima del suo nome, 42ShadesOfHyena, nata dalla polvere di stelle di Cigno, mezza Hyoga e mezza Xena.» si presentò. Dovette capire dallo sguardo confuso (disperato? Perplesso?) di Rya che forse, ma solo forse, era un po' troppo lungo da chiamare. Se fosse servito per salvarla dalla caduta da un dirupo? Avrebbe fatto in tempo a resuscitare e cadere due volte per essere salvata la terza.


«42 o Shades andrà benissimo.» aggiunse dandole una pacca sulla spalla una volta che Rya ebbe varcato la soglia, chiudendole la porta subito dietro. Quella cigolò, come nei peggiori film horror, ma Shades le fece l'occhiolino: «Tranquilla, è per fare scena. Così sembriamo un covo figo.» commentò, iniziando a farle strada.


La prima area dove la portò fu la cucina, forse per darle modo di bere qualcosa dopo il lungo viaggio: nella stanza, molto spaziosa e luminosa, c'erano due persone. Intente a parlottare tra loro con la stessa pacatezza con cui due amiche potevano prendere insieme tè e biscotti - cosa che era effettivamente presente al tavolo della cucina - Rya colse uno stralcio della loro conversazione: «Ma quindi» stava chiedendo una delle due, un poco confusa «ho capito che Shinichi e Kaitou sono cugini e quindi adesso arriverà la polizia di twitter sotto tutti i profili di quelli che li shippano... ma in Giappone non è un problema.» specificò, con l'aria stanca delle persone che hanno vissuto troppe battaglie e adesso sono troppo vecchie dentro per prendervi ancora parte.


«Eh!» esclamò l'altra, chiaramente sulla stessa lunghezza d'onda «Ma poi io ho i vecchi millenari ma uno sembra un ragazzino di quindici anni. Che vuoi che siano due cugini.»

«Comunque ancora non riescono ad andare in trend come la Odazai ogni tre mesi.» confermò l'altra con aria saggia, bevendo un sorso di tisana o tè che fosse quello nella piccola teiera di ceramica poco distante.


Fu in quel momento che Shades si inserì: «Morale è bello ma lercio è meglio, ragazze, io lo dico sempre!» esclamò, indicando alle due Rya quando portarono entrambe lo sguardo sulle due sulla soglia della cucina: «Lei è la nuova Archivista! Le sto facendo fare il giro, sapete, per conoscerci e vedere com'è il posto e soprattutto insomma, con le voci che girano...» lasciò intendere il resto.


Rya, un'anima candida, la guardò fraintendendo il senso di quella frase lasciata a metà: «Non vi preoccupate, io non ascolto troppo i pettegolezzi...» tentò di risollevare il morale, sebbene fosse un po' confusa, non capendo se fossero effettivamente dispiaciute della fama che precedeva il loro gruppo oppure no. Shades rise: «Ah ma sono tutte vere eh! Ma siamo anche normali ogni tanto.» assicurò come se non ci fosse proprio nulla di cui preoccuparsi.


«Io sono Sidra» si presentò l'Archivista con in mano la tazza con la tisana «lavorando qui ogni tanto potresti avere un gatto che ti dà testate alla mano... è tutto normale. Vuole partecipare.» assicurò pacata, aggiungendo un «Ogni tanto una mano in più fa bene.»


«Vuless 'a maronn.» commentò l'altra ragazza, annuendo con aria quasi solenne, prima di presentarsi a propria volta «Io sono Shiroi! Di solito mi occupo delle tabelle.» spiegò, sebbene Rya non avesse idea di quali tabelle fossero. Immaginò si trattasse di qualcosa che nel suo ruolo di Archivista avrebbe appreso presto e quindi si limitò a un cenno affermativo del capo, ascoltandole parlottare un po' tra loro e accettando il tè con i biscottini quando le venne offerto.


Stava giusto iniziando a capire in quali credenze fosse il cioccolato, quando una figura ammantata dalla bandiera francese apparve sulla soglia della cucina; un quaderno sottobraccio, una penna in mano, era chiaro fosse venuta per una tra Shiroi e Sidra, ma la sua attenzione fu catturata proprio dal nuovo viso tra quelli presenti.


«Bonjour!» salutò prima di cominciare a riportare alle altre: «Allora, ho quasi mille parole di M2, poi ne ho scritte anche duemilaseicento, mille e quattrocento, seimila e cinquecento...» iniziò a elencare, sfogliando febbrilmente le pagine del quaderno «Poi sto lavorando a un'altra piccola... poi ho fatto seicento parole ma forse aumento... ah già. Poi ho quasi quattordicimila.» concluse, osservandole «E' che stamattina mi hanno interrotta.» aggiunse, mentre Rya sembrava aver in viso un'espressione che da sola voleva dire "pensa se non l'avessero interrotta".


La nuova figura la osservò, mentre le altre sembrarono accogliere il tutto con entusiasmo e senza nemmeno apparire troppo sorprese o allucinate: «Ah, io comunque sono Europa» si presentò anche lei, osservando Rya come se dal solo aspetto potesse carpire un'incredibile quantità di informazioni. Sebbene un po' confusa, la giovane Archivista pensò che forse era una capacità degna del ruolo che adesso avrebbe finalmente ricoperto anche lei e qualcosa che forse un giorno sarebbe stata in grado di fare.


Fece un solo, unico errore: «Io sono Rya... come mai hai una bandiera della Francia addosso?»


Un bisbigliato oh no che non avrebbe saputo dire se provenisse da Sidra o da Shiroi la raggiunse, ma ormai la domanda era stata posta e gli occhi di Europa brillavano di luce propria. Le portò un braccio attorno alle spalle e le sorrise: «Mia cara, hai un momento per parlare dei nostri signori i Francesi di Bungou Stray Dogs?» chiese, meglio dei fanatici religiosi pronti a rivelarti l'intero Verbo in una sola giornata.


Shiroi tossicchiò, forse per attirare l'attenzione «Ma gli altri?» chiese e questo sembrò ridestare la Francese, il cui volto improvvisamente si incupì. Un'espressione grave - la Francia aveva perso ai mondiali? - la portò ad abbassare lo sguardo per qualche istante come se il quaderno con tutte quelle -mila parole potesse anche contenere la risposta a una domanda in apparenza semplice.


«Le tabelle...» disse, come nei migliori film pieni di cliffhanger «sakurai e Sed sono alle tabelle.»


Dal repentino cambio di mood anche in Shiroi e dal modo in cui cominciò a muoversi a passo spedito, Rya comprese che forse era arrivata in un momento caldo in cui avrebbe capito subito cosa potesse significare un momento di crisi tra le fila degli Archivisti. E se fosse peggio o meglio di pescipene di cui ancora non sapeva abbastanza.


*


Shades, Europa, Sidra e Shiroi la guidarono lungo i corridoi dell'edificio e poi giù per le scale. Più si addentravano in un'ala che era chiaramente poco in vista per gli ospiti che non venivano indirizzati per bene o per coloro che non appartenevano agli Archivisti, più si respirava l'odore di mistero. Di segreto. Di proibito, quasi, nell'accezione più ampia del termine. Rya scese le scale, svicolando subito sulla destra con Sidra a chiudere la fila mentre Europa con la sua bandiera francese le guidava; roba che guide turistiche "seguite la mano" levate proprio.


A un certo punto, prima che raggiungessero quella che doveva essere la reale meta, una figura che Rya non aveva ancora mai incrociato si palesò nella penombra: appollaiata su una sedia ergonomica come un goblin, o come uno Smigol che ce l'ha fatta, in una posizione che nessun essere umano avrebbe dovuto considerare comoda e la luce acquarellosa dello schermo di un tablet tra le mani. Il viso sembrava provato e per un fugace istante Rya si chiese se le cinque tazze di caffè sulla mensola poco distante da lei dovessero essere segnale di qualcosa. Oltre che di una vita discutibilmente sana.


«Lei...» tentò, richiamando l'attenzione di Shades; prima che quest'ultima potesse rispondere, l'altra giovane alzò di scatto gli occhi su di loro, facendo sussultare l'Archivista più giovane: «Ssssh...» pronunciò piano, un indice sulle labbra «disturberai il flusso.» aggiunse in un mormorio basso. Solo allora Rya si accorse di come, tendendo l'orecchio, fosse possibile cogliere un suono a cui non riusciva a dare effettiva collocazione non soltanto nello spazio ma anche in generale. Le ricordava qualcosa - un rito satanico? - ma al tempo stesso non riusciva a distinguere le parole. La ragazza che aveva parlato, le indicò poco distante: una porta aperta faceva scivolare fuori dalla stanza una luce fioca, ma visibile.


Rya, un po' incerta, osservò le altre ma fu proprio Sidra a piegarsi leggermente verso di lei e sussurrarle all'orecchio: «Non preoccuparti, lei è Cain» presentò la giovane che intanto si era rimessa a disegnare o appuntare qualcosa sul tablet, come se l'interruzione non ci fosse mai stata.


«Cosa sta facendo?» chiese la giovane Archivista «Sembra... impegnata.»

«Sta disegnando. Molto.»

«E non può fermarsi...?»

«Potrebbe» disse Sidra «ma non lo farà. Inoltre, di solito si occupa anche di Sed.» aggiunse, risvegliando la curiosità di Rya. Quest'ultima non fece in tempo a chiedere, confusa, chi fosse quest'altra persona appena nominata e perché mai dovesse avere qualcuno a "occuparsene" che dalla stanza fiocamente illuminata arrivò una forte, improvvisa esclamazione che la fece sobbalzare.


«VULESS 'A MARONN»


Le presenti tacquero. Poco dopo, dalla stanza uscì un giovane ma Rya non potè fare a meno di accorgersi del suo vestito: era inequivocabilmente quello di un cardinale. Lui le vide e sembrò scorgere in loro la Luce, l'Altissimo e tutta una sequela di figure di cui era andato evidentemente in cerca finora - o forse era solo in cosplay.


«Shiroi» la chiamò, avvicinandosi un po' come se dovesse darle l'estrema unzione, serio in volto «ho bisogno di te. Tua moglie» calcò la parola con gravità «ha bisogno di te. Sai che io purtroppo sono esperto di due cose: Conclave e i dinosauri. Eppure nessuna pittura rupestre mi ha parlato.» affermò scuotendo la testa neanche fosse un insulto personale, questa gravissima mancanza di comunicazione.


Rya non riuscendo a capire appieno quanto serio fosse il ragazzo, si voltò verso Shades che era stata la sua guida dalla porta d'ingresso, in pratica. La osservò, certa di avere un'espressione decisamente confusa ma non potendoci fare molto: il mondo degli Archivisti sembrava molto più complesso di quanto avrebbe mai potuto credere.


«Ma... è il vostro prete personale?» chiese in un sussurro, mentre il catboy di Shades che li aveva seguiti fino a quel momento in silenzio arrotolava la coda intorno alla gamba della... madre? Padroncina? Creatrice? Decise di dover chiarire un dubbio alla volta. La donna scosse la testa: «No, Sed è solo un entusiasta.» spiegò l'Archivista più grande «Per certi versi si potrebbe dire abbia un suo culto... ma sarebbe meglio te ne parlasse lui, ecco. Quello per i dinosauri non lo so, invece, sai? Lui e Cain un giorno sono arrivati qui, da non ho capito bene quale situazione... ma quello che conta è che ora siano Archivisti.» chiarì, dando a Rya la sensazione che una volta dentro, non contava da dove si veniva.


Come in una famiglia. Come in una setta.


«Cos'è che è la cosa dei dinosauri di Sed?» chiese Shades, forse perché ora le era rimasto il pallino. Attorno a lei, tutti assunsero un'espressione pensosa - l'unico che avrebbe potuto rispondere era impegnato a parlare con Shiroi della situazione dentro l'altra stanza da cui era uscito.


«Passione?» ipotizzò Sidra «Fissazione?» fece eco Cain, ancora appollaiata sulla sedia, ancora intenta a disegnare, ancora evidentemente persa nel contratto col Diavolo che prevedeva altri dieci disegni e mani con le piaghe «Fetish?» la buttò lì Europa, perché tutto poteva essere. Poi, come un cerchio che si chiudeva, Shades le guardò tutte esclamando convintissima «CIUCHINO!»


Il silenzio di tomba cadde nel corridoio, mentre paia di occhi su paia di occhi si soffermavano sulla figura di Shades. Lei rise: «Scusate» disse subito «è che il bricchetto più piccolo è nel suo periodo Shrek.» fu l'unica spiegazione che diede e l'unica che - decisero in silenzio e all'unanimità - si sarebbero fatti bastare. Definito che il problema di Sed con i dinosauri sarebbe in realtà sempre rimasto indefinito, Rya spostò lo sguardo su lui e Shiroi di nuovo intenti a scambiarsi informazioni. Quest'ultima soprattutto sembrava capire ma, al tempo stesso, non capire affatto. Era come se le mancasse un pezzo fondamentale del puzzle.


«Devi sapere» spiegò Shades «che l'ultimo Archivista che ti manca di conoscere è sakurai, la moglie di Shiroi. Nessuno sa di preciso quando si siano sposate o come, o almeno sakurai non se lo ricorda. E' un'unione platonica nata dal cowt


«Nata da cosa?» fece eco Rya con un sopracciglio inarcato: «Il cowt. La leggenda narra che un tempo dei titani si affrontassero in una sfida all'ultima parola... all'ultimo sangue... all'ultimo porno.» pronunciò solenne Europa, anche se in realtà non ci credeva troppo nemmeno lei nella solennità del tutto.


«E cosa significa cowt

«Clash of Writing Titans, così era un tempo in antichità.» spiegò prontamente Sidra, veterana di guerra «Oggi, con le nuove generazioni e le interferenze linguistiche siamo in pochi a ricordarlo. Qualcuno suggerisce "Cataclisma Oratorio Weramente Truculento.»

«Ma "weramente" si scrive con la--» iniziò Rya, ma un'esclamazione improvvisa proprio dalla sala da cui era uscito Sed la interruppe bruscamente.


Quella voce racchiudeva disperazione e frustrazione in uguale misura.


«'STI CAZZO DI NUMERI MALEDETTI.»


Ma racchiudeva anche un po' di romano coatto.


Shiroi corse subito dentro la stanza, di certo preoccupata di quali atrocità si stessero verificando all'interno. A giudicare dall'atteggiamento degli altri, non doveva essere la prima volta che questo dramma si consumava e tutti dovevano avere grande fiducia nel fatto che lei avrebbe potuto salvare la situazione. Rya, incerta se fosse il caso di entrare o meno, si rivolse alle senpai esperte lì presenti mentre Sed conferiva con Cain - o forse cercava di staccarla dalle grinfie del Demonio con cui doveva avere un patto per cagare fuori art con più frequenza delle polemiche fandomiche su quanto dei personaggi 2D si possano offendere se li shippi con persone di ben due anni più grandi di loro. E le polemiche erano molte.


«E' una cosa grave?» chiese Rya con un cenno verso la stanza. Shades le diede una spintarella, per incitarla a entrare e vedere con i suoi occhi, mentre Sidra - con ancora la tisana in mano, comunque - prendeva parola: «Devi sapere che uno dei grandi Signori del cowt ha un potere terribile» disse, facendo una pausa a effetto che rendeva l'idea prima di aggiungere «la matematica.»


Europa rabbrividì, stringendosi nella sua bandiera francese; Shades poggiò una mano sulla testa del suo catboy, terrorizzato; Sed si fece il segno della croce, mentre Cain iniziò a dondolare sulla sua sedia. Si vedeva che l'unico motivo per cui Sidra riusciva a mantenere i nervi saldi era solo per la grande esperienza.


«Ogni anno promette che non ci sarà matematica... o che ce ne sarà meno.» continuò «Ma alla fine succede sempre che si debbano fare le tabelle di excel... perché possano contare al posto nostro.» chiarì, muovendosi con tutte le altre fino alla soglia della stanza. Lo spettacolo era terribile: sul muro di fronte alla porta d'ingresso era proiettato su schermo gigante quello che il portatile sulla sinistra mostrava più in piccolo. Un grande file di excel con almeno quattro fogli di calcolo, tabelle di colori diversi, X e W e numeri; parole come "prompt" e "fill" e negativi, insieme ai nomi di tutti gli Archivisti che fino a quel momento gli erano stati presentati.


Seduta a terra, quella che doveva essere sakurai: l'aria di una persona a metà tra lo scegliere la violenza come unica soluzione e la crisi di pianto. Shiroi, al suo fianco, le teneva la mano sulla spalla mentre lo sguardo confuso continuava a stare puntato sullo schermo gigante. Rya quasi poteva vedere formule matematiche aleggiarle davanti al viso, come la proiezione di ciò che doveva star esplodendo nella mente dell'Archivista - senza saperle comunque capire, le formule, ma intanto c'erano. A peggiorare i suoi incubi, forse.


«Parlami, moglie» la chiamò Shiroi «lo supereremo insieme.»

«Abbiamo tre missioni.»

«Sì...»

«E dobbiamo tenere il conto della media.»

«Sì...»

«E la media è un numero f-fratto» incerta su quella parola amena «un altro numero. Giusto?»

«Bravissima.» si complimentò Shiroi facendole una carezzina sulla testa, un po' come ai bambini, un po' come al Labrador che pensa di essere un pincher e vuole appallottolarsi sullo zerbino con la pretesa di starci come dimensioni.


sakurai fece un verso frustrato: «E' TUTTO SBAGLIATO.» ribadì «NON SCALA LA MEDIA COME DOVREBBE.» aggiunse, sempre più confusa.


Gli Archivisti si guardarono. Guardarono Rya. Lei guardò loro. La perplessità di chi non ha soluzione regnava sovrana.


Poi shiroi osservò il foglio proiettato; aggrottò la fronte, in un chiaro sforzo di comprensione.


«Moglie» la chiamò «manca l'uguale della formula.»


Quel giorno Rya comprese subito l'iscrizione che aveva notato all'ingresso ma dalla quale era stata distratta troppo in fretta per chiedere subito.


Cosa diciamo al Dio della Matematica?

NON QUEST'ANNO.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 08:01 pm
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Con gli occhi del cuore (COWT14, week 5, M2)

 

Prompt: They’re the same picture

Missione: M2 (week 5)
Parole: 628
Rating: gen
Fandom: originale

Warnings: //



La cosa stava senza alcun dubbio sfuggendo di mano.


Non c'era altro a cui potesse pensare Heise mentre la tragedia si consumava nell'ampio salotto di casa Sievert. Avrebbe voluto poter dire che in fondo non succedeva mai, che dopo i pasti consumati rigorosamente insieme - su espressa richiesta di Xylia, giustificati a non presenziare solo per cause di forza maggiore (la morte?) - ci fosse solo la calma del riposo pomeridiano. Invece la dura realtà era che in casa Sievert Heise difficilmente assisteva a quella calma, specie agli orari dei basti o subito dopo, proprio perché essere tutti nella stessa stanza evidentemente creava dei grossi squilibri nel karma o qualunque altra Forza aleggiasse intorno a loro.


Seduto sul divano, Lawrence Hamilton con il suo sorriso allegro e l'espressione contenta di chi anche a quarant'anni passati si sentiva un ragazzino dentro, sembrava il ritratto del relax: tranquillo nella postura, giusto un poco incuriosito nel tenere gli occhi verdi sulla figura dell'uomo di fronte a lui che non sarebbe potuto essere più diverso. Freyr Sievert non era famoso per la calma, quanto più per la sua ansia e i suoi traumi esistenziali; narravano le voci di corridoio che niente più di un trauma radicato avrebbe mai potuto convincere altrimenti una persona sana a prendersi un pappagallo urlante come Jack. Fuori dalle sue crisi, tuttavia, Freyr era un uomo capace di grande pacatezza, forse di indole un po' timida perfino; minore di due - ah no, tre - fratelli, non era la prima volta che Lawrence metteva la sua calma a dura prova.


Non si trattava di cattivo sangue a scorrere tra i due, no. Il problema era che Lawrence, spirito libero e anima candida, spesso andava fin troppo con il flow perché un uomo angosciato come Freyr potesse tollerarlo. 


«Allora» riprese Freyr, massaggiandosi un poco le tempie prima di recuperare i due fogli che aveva in mano prima e che per disperazione aveva posato, ponendoli di nuovo all'attenzione dell'inglese: uno dei due raffigurava l'immagine di un cucciolo di pastore tedesco, un batuffolo di carineria che nemmeno la persona più brutta del mondo - e in quella stanza ce ne erano diverse a poter concorrere per il titolo - avrebbe potuto non considerare adorabile. L'altro foglio invece era chiaramente una foto di qualche anno fa, ma la faccia da cazzo di Siegfried Sievert sarebbe stata impossibile da confondere con quella di chiunque a parte lui - soprattutto per non offendere nessuno. 


«Voglio che le guardi» continuò Freyr, cauto «bene.» calcò un poco la parola «Possibilmente con gli occhi quelli veri, non con gli occhi del tuo affetto assolutamente mal riposto.» aggiunse esasperato «E vorrei che mi dicessi la differenza tra questa» e alzò appena la foto con il cucciolo «e questa.» conclude alzando un poco quella con Siegfried. Lawrence le osservò di nuovo, prendendosi il suo tempo come se quella non fosse la terza volta che succedeva questo teatrino nell'arco di venti minuti. Alla fine sorrise contento: «Nah» decretò «sono la stessa.»


Un verso frustrato uscì tra le labbra di Freyr; Irina si cappottò quasi dalla poltrona, mentre Jack si univa al disagio cominciando a svolazzare urlando per il salotto. Siegfried nemmeno era presente, ma Heise sentì uno sbuffo al proprio fianco e nell'inquadrare la figura di Leon si rese conto che sorrideva e guardava non i due interessati, né chi faceva casino intorno a loro. Seguendo la linea del suo sguardo si accorse di Tatsuya e del suo far il segno "okay" con il pollice all'indirizzo di Lawrence, rimanendo comunque alle spalle di Freyr per non essere visto.


Quando sentì Leon sussurrare un divertito «Che pezzo di merda.» quasi fosse invece un complimento, Heise capì. Ed ebbe un po' di pena per Freyr, in effetti.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 07:57 pm
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The day I became a Three Headed Dragon (or a part of) (COWT14, week 5, M2)

 

Prompt: Three Headed Dragon

Missione: M2 (week 5)
Parole: 597
Rating: gen
Fandom: originale

Warnings: //






«Tanto per cominciare» pronunciò snervato «io vorrei capire a chi cazzo è venuto in mente di fare questa cosa.» sbottò Elias, mentre per poco non si ammazzava infilandosi un calzino - meno male che doveva pure essere antiscivolo, sennò come minimo sarebbe morto in uno dei modi più stupidi del mondo dopo lo strozzarsi con la propria saliva e pochi altri. 


Al suo fianco, anche Rikiya non sembrava per nulla entusiasta: «Senti bro» cominciò «non sono più felice di te, okay? A parte che comunque non ho capito perché io dovrei fare proprio la testa stupida delle tre!» obiettò, infilandosi la manica mancante così da concludere parte della sua vestizione e tirare su la zip all'ultimo quando sarebbe stato quasi ora di "andare in scena". Guardò gli altri due, come anche le persone presenti per aiutarli a vestirsi nel momento in cui il costume stesso avrebbe reso difficile usare bene le mani, aspettandosi che qualcuno gli desse man forte; gli sguardi su di sé gli suggerirono che forse tutti sapevano esattamente perché fosse toccato a lui: «EHI.»


«Comunque» Elias gli parlò sopra senza troppa grazia, puntando gli occhi chiari su i due Sasahara intenti uno ad aiutare Nikolai che tutto contento si stava persino facendo sistemare i capelli con una forcina a forma di drago e l'altro in procinto di recuperare i copricapo per tutti e tre. Quest'ultimo - Jun, il maggiore di tutto quel branco di fratelli - sorrise serafico in risposta, aspettando che Elias finisse: «Posso dire "che idea di merda"? CHE IDEA DI MERDA.»


Jun non diede segno di essere troppo sconvolto ma, d'altronde, non lo era mai. Sembrava davvero che nemmeno la sfuriata più aggressiva del mondo potesse davvero farlo sentire minacciato o farlo arrabbiare di riflesso. Anche in questo caso si limitò a sorridere dicendogli: «Per rispondere alla tua domanda del perché abbiamo pensato di farlo: perché così i bambini si divertono.» diede come semplice risposta, recuperando il copricapo per Elias e piazzandoglielo in testa senza troppe cerimonie e un «Su, zio Elias.»


*


Avrebbe voluto urlare, con quella puzza di gomma bruciata nel naso e il sudore a imperlargli la fronte... ma doveva dare atto a Jun che si sarebbe sentito una persona orrenda a far piangere uno dei bimbi Sievert - o forse temeva che se lo avesse fatto, poi Xylia lo avrebbe ucciso. Dolorosamente.


«Signor drago, signor drago...!» lo chiamò uno dei bambini e a questo punto se doveva calpestare la sua dignità sarebbe stato il cazzo di drago migliore del mondo. O almeno: la testa di drago migliore del mondo.


«Giovanotto!» fece la voce grossa, piegandosi in avanti «Ti sembriamo uno?»

«Ooooh...» il coro dei bambini quando anche le altre due teste iniziarono a muoversi «Ebbene siamo tre, ma siamo uno.» commentò la testa di Nikolai «Ma siamo pure tutti diversi eh!» aggiunse Rikiya, quasi a volersi discostare da questo disagio. Nel pezzo di costume condiviso, Elias gli pestò il piede, ottenendo un ululato poco dragonico, ma... succedeva. Il bello della diretta.


«Io sono Lai» improvvisò Nikolai «la testa intelligente!»

«Io sono Sal, la testa del coraggio!» lo seguì Elias, giusto per reggere un copione che era già morto dieci righe fa; Rikiya, dopo aver smesso di ululare, cercò di riprendere il filo chinandosi in modo che da davanti la sua faccia di drago stupida fosse più vicina ai bambini: «Io sono Riya! La testa buffahAHAHAHAHAH» 


Elias avrebbe voluto dirgli che al massimo era una testa di cazzo (dragonico), ma sospettò di non voler essere la ragione della prima parolaccia pronunciata in gruppo dai bambini. Non con Xylia presente, almeno.


hakurenshi: (Default)
2025-04-05 07:55 pm
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Piromania (COWT14, week 5, M2)

 

Prompt: Disaster Girl

Missione: M2 (week 5)
Parole: 691
Rating: gen
Fandom: originale

Warnings: //



Era vero che ad avere il nemico in casa, senza sapere che fosse all'effettivo un nemico, si finiva con il dimenticare le cose basilari. Importava poco essere stati addestrati - e non nel più gentile dei modi, a dirla tutta - a saper riconoscere alcuni segnali evidenti all'occhio di un assassino esperto: la violenza, la propensione all'uccisione e alla distruzione, non erano qualcosa che si acquisiva del tutto randomicamente e da un giorno all'altro. Si trattava di indole, di qualcosa che in realtà si poteva insegnare solo fino a un certo punto: la grande differenza tra chi assassino nasceva e chi era solo addestrato per diventarlo, era proprio come gestiva il dopo. Il dolore, la disperazione, il senso di colpa.


I Sievert avrebbero dovuto essere perfettamente in grado di riconoscere il caos in terra quando lo avevano di fronte, eppure i Sasahara erano particolari: cinque fratelli e una sorella che non sarebbero potuti essere più distanti dal loro ambiente di assassini - o di ability user, anche, considerato come ben quattro su sei ne fossero del tutto sprovvisti. I loro caratteri per lo più pacati e socievoli, oltre al loro modo incredibilmente sano di essere una famiglia unita, aveva messo in secondo piano dettagli che sfuggivano se non li si teneva volutamente in testa: Hiyori, che pur essendo un medico - o forse perché medico? - aveva dimostrato di poter paralizzare una persona con la semplice pressione sui punti giusti del corpo. Oppure Jun, che nessuno credeva potesse essere più forte di Hiyori nel combattimento corpo a corpo finché non gli era stato dimostrato.


Eppure... nessuno aveva mai sospettato di Tarja, l'unica sorella.


«Tar...» chiamò piano Hiyori, osservando lo spettacolo assurdo che si stagliava davanti agli occhi di tutti loro. Gli altri fratelli, come anche alcuni dei Sievert, osservavano piuttosto increduli - almeno emotivamente, loro e le poker face non richieste - quella casa in fiamme dove i vigili del fuoco stavano prontamente agendo, cercando di domare le fiamme più velocemente possibile. Il lungo idrante giallo si srotolava fino alle mani degli addetti ai lavori, puntato verso la costruzione. 


«Ma quando è successo, esattamente.» pronunciò Elias, sebbene la sua espressione non fosse del tutto turbata, ma più un mix che sembrava dire al tempo stesso "non ho capito ma bel fuoco" e "lo voglio davvero sapere? No", rimasto scottato - pun intended, avrebbero detto alcuni - da esperienze passate da cui l'unico insegnamento possibile da cogliere era che a volte non fare domande era meglio.


Tarja guardava la casa a sua volta, difficile capire dal suo viso cosa le stesse passando per la testa in questo momento: «E' stato improvviso.» cominciò poi a parlare, guadagnando in un attimo l'attenzione di tutti gli altri, chi vicino e chi alle sue spalle «Stavo tornando dalla spesa con Kaoru. Voglio dire, Xylia mi chiede di darle una mano, chi sono io per dirle ma di no? E poi a me fare la spesa piace.» puntualizzò «Comunque» riprese il filo del discorso «questi tipi si avvicinano no. Palese volevano rimorchiare. Che va bene, cioè, io lo capisco: io e Kaoru siamo tanta roba.» disse, senza falsa modestia. Non che nessuno se la sentisse di contestare: i Sasahara dovevano avere un evidente patto genetico col diavolo e quello era assodato.


«Ma a parte che fischi a tua madre» continuò Tarja, con la delicatezza che la contraddistingueva sempre «però come ti permette di toccare il culo a mio fratello. E sapete cosa mi hanno risposto?! "Pensavo fosse una ragazza". Cioè e quindi scusa, se te ne accorgevi palpavi solo il mio?!» sbottò guardandoli tutti per un attimo prima di tornare poi alla casa in fiamme «Ringraziasse che non avevo niente per tagliargli la mano.» borbottò offesa.


Tutti si scambiarono un'occhiata, ma solo Elias ebbe il coraggio di chiedere ciò a cui tutti stavano pensando: «Sì, okay, ma nel senso... tu non hai un'abilità di fuoco. Cos'è, gli hai acceso un fiammifero sotto le fondamenta e gli hai bruciato casa a mani nude?» ironizzò. Poi la vide: Tarja che si voltava lentamente, le fiamme alle sue spalle, le labbra piegate in un sinistro e soddisfatto sorriso.


Mai. Fare. Domande.


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2025-04-05 07:53 pm
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Illusione a tre (COWT14, week 5, M2)

 

Prompt: Three Spidermen

Missione: M2 (week 5)
Parole: 631
Rating: gen
Fandom: originale

Warnings: //



Akemi doveva ammettere almeno a se stesso - e a Izumi, forse, gli altri potevano tutti implodere se avessero anche solo osato chiederglielo - di avere un trigger piuttosto importante riguardo le persone con lo stesso aspetto. Dopotutto la sua storia personale, di cui erano al corrente solo Izumi in quanto migliore amico e Reiji in quanto boss del gruppo, non era stata generosa in questo senso. Se però lasciava da parte il proprio vissuto, non poteva non rispondere alla situazione attuale esattamente come stava facendo: abbarbicato sulla poltroncina del salotto del ritrovo dei Sohma, con le gambe penzoloni da uno dei braccioli morbidi e la schiena poggiata contro l'altro - e non senza un comodo cuscino nel mezzo - e per finire una fantastica scatola di cioccolatini poggiata ad altezza stomaco. Continuava a prendere un bonbon alla volta, gustandoselo, muovendo di tanto in tanto la mano per andare a recuperare la tazza di tè sul tavolino basso poco distante.


Lo spettacolo offerto? Tutto merito dei gemelli (a ben pensarci gli pareva sempre più evidente che il karma lo stesse prendendo per il culo, ma decise di lasciar stare), ma soprattutto di Kei. La piccola bastarda - con affetto, sempre - e il suo stramaledetto potere illusorio avevano appena creato la situazione più esilarante di tutte: Shinya, vittima sacrificale perfetta perché troppo pura per potersi davvero arrabbiare, guardava basito un altro Shinya... che guardava quasi annaspando un terzo Shinya. Per il bene della propria psiche, Akemi decise che li avrebbe chiamati Shinyan, Shinyap e Shinyahahah. Ma solo perché lui era ancora più stronzo di Kei, che almeno lo faceva per dell'ingenuo divertimento.


Dopo la prima comparsa a tradimento, la situazione che si era creata e ancora non accennava a cambiare era una di stallo: i tre continuavano a guardarsi, un po' nella disperazione di chi non capisce perché tutto ciò stia succedendo e un po' perché forse a furia di guardare altre persone identiche a sé una crisi esistenziale veniva per forza. Se non si era abituati o se, come Shinya(n) si era composti per il novanta per cento di pura ansia - personale, sociale, Akemi supponeva l'altro avesse fatto un po' l'en plein. 


Kei in tutto questo ridacchiava, assicurando al povero Shinya(n) che «Ma guarda che ci sono un sacco di lati positivi! Per esempio» iniziò e Akemi capì che questo punto specifico non voleva davvero perderselo «un giorno vuoi stare a riposo dal lavoro? Ci pensa uno di loro.» sottolineò, incredibilmente pragmatica. Hotaru, suo fratello, stava cercando forse di suggerirle che se non avesse fatto venire meno l'illusione al poveretto sarebbe venuto un colpo - beh, pensò Akemi, in quel caso sparirebbero comunque e sapremmo chi era l'originale


Ebbe la decenza di non dirlo ad alta voce.


L'unica vera incognita a cui nessuno aveva pensato, purtroppo, era Shinobu nella sua totale follia incomprensibile persino per Akemi. Capì che era troppo tardi quando lo vide bloccarsi sulla soglia, notare i tre Shinya e sorridere come se gli avessero appena messo di fronte una montagna di giocattoli e lui avesse cinque anni - Akemi sosteneva strenuamente che il suo cervello non fosse molto più grande di età rispetto all'impressione che dava quella sua faccia in quel momento, ma Reiji non sarebbe stato entusiasta di sentirglielo dire.


Shinobu si avvicinò, piazzandosi in mezzo ai tre e senza alcun preavviso, passò da uno all'altro per posare loro un bacio sulla guancia; prima che potesse farlo anche col terzo, quello si accovacciò a terra piazzandosi le mani in faccia con un «Aaaaaaaaah» di evidente morte interiore.


Akemi sbuffò: «Che noia, così è troppo facile. Fallo di nuovo con Rokuya.»


Il medico, dall'angolo della stanza, si limitò a un sorriso mite che ad Akemi ricordò più quello di un assassino pronto a sgozzarti: «Ripensandoci, no.»


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2025-03-07 11:35 pm

Tutto il tempo del mondo (COWT14, week 1, M2)

 

Prompt: “Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo”

Missione: M2 (week 1)
Parole: 1550
Rating: teen up
Fandom: original

Warnings: accenni di violenza




Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo.


O meglio: perché lo stessero facendo nonostante entrambi avessero cambiato vita, in un certo senso, dando a essa un indirizzo in apparenza lontano anni luce dal precedente. 


A Tatsuya veniva da ridere: non importava a quante persone, tra quelle che conoscevano Aoi da molti anni, rivelasse la loro parentela. C'era sempre una reazione al limite dell'incredulo che per lui finiva con l'essere solo estremamente divertente. Ma questo, al contrario del legame di sangue tra lui e Aoi, non stupiva nessuno. Dopotutto come Irina avrebbe detto - così sosteneva - anche quando da morta starò di sicuro tormentando qualcuno, era troppo stronzo perché il suo ridere del disagio altrui arrivasse come qualcosa di inaspettato. D'altronde, non sentiva di poterle dare torto. Lui stesso con Aoi non aveva condiviso l'infanzia, ma lo aveva comunque conosciuto che era un ragazzino di quindici anni di cui comprendeva il terribile lutto subito - la perdita di una madre, Tatsuya lo sapeva, era qualcosa di insuperabile. All'epoca non aveva la forza né l'empatia necessaria (e forse neanche il coraggio) di dirgli che il massimo che sarebbe riuscito a fare sarebbe stato imparare a convivere con quel dolore, con quella mancanza. Era il massimo che si poteva fare. Il massimo che si poteva chiedere a se stessi.


Guardandolo ora, a venticinque anni e dopo dieci di conoscenza, era quasi difficile credere di avere davanti la stessa persona; Tatsuya, tuttavia, riconosceva in lui ancora un'anima non così dissimile da quella che era certo non avrebbe retto a lungo nella vecchia organizzazione in cui si erano incrociati per la prima volta. Era difficile dimenticare un ragazzino non troppo alto, pronto a impegnarsi nel comprendere qualcosa di difficile come la medicina pur di essere di supporto a discapito di un potere potenzialmente distruttivo. Era quasi impossibile dimenticarsi le sue mani fasciate nella speranza che una perdita di controllo distruggesse delle bende, prima di fare del male a qualcuno; di come lo trovava spesso a dormire fuori della sua stanza, rannicchiato tra i mobili, perché le cose, se distrutte, posso in qualche modo provare a ripararle. Lo aveva visto tentare e lo aveva visto fallire; lo aveva osservato affezionarsi e colpevolizzarsi ogni volta in cui qualcuno tornava con una ferita di troppo; lo aveva visto diventare il centro del mondo di una persona, condividere con quella tutto ciò che di più intimo aveva e di cui non aveva mai osato parlare; giorno dopo giorno Tatsuya aveva osservato, notato come Aoi fosse riuscito alla fine a toccare qualcuno senza paura di ucciderlo per errore. Lo aveva visto trovare una figura a metà tra un padre e un fratello.


Poi lo aveva visto capire di non essere abbastanza per loro - in quel modo terribile e collaterale, in cui si era importanti ma non abbastanza, non tanto quanto un ideale, non al pari di una decisione.


Tatsuya era sicuro di poter dire, non che fosse questo grande vanto nei confronti di un altro essere umano, di aver visto l'esatto istante in cui Aoi era passato dall'essere un ragazzo testardamente ottimista all'essere un uomo capace di vedere ancora il buono, ma anche di riconoscere le verità più crude. Non avrebbe saputo dire se quello fosse stato il momento in cui anche il suo potere aveva fatto un cambiamento importante né se fosse necessario perché avvenisse. Era solo cambiato, divenuto più stabile e Aoi aveva ora una consapevolezza e comprensione tale del proprio potere da essere uno degli ability user più forti e pericolosi in circolazione. Poco importava sottolineare quanto non fosse praticante, per dirlo in modo delicato, se non per esigenza.


«Non c'è nulla di sospetto nella stanza.» pronunciò Aoi, tirandolo fuori da quel flusso di coscienza che tempo fa non si sarebbe mai concesso. Tatsuya vorrebbe poter dire di non avere più l'istinto di una volta, ma saprebbe di mentire. Mai come negli ultimi anni aveva compreso le parole di suo padre che, nonostante non gli mancasse nemmeno un'unghia di quanto gli manchi sua madre, non era mai davvero riuscito ad accantonare. Troppo tempo della sua infanzia e della sua adolescenza era stato passato ad apprendere anche solo passivamente da lui, consapevole di come un giorno lo avrebbe sostituito, com'era poi successo. Lo diceva sempre, Kensuke Miyuki: un assassino non smette di esserlo solo perché decide di vestirsi da essere umano da un giorno all'altro.


A onor del vero, i Miyuki non erano mai stati assassini. Il codice gli imponeva un rigore assoluto. Ma nel loro ambiente era poco credibile pensare non sarebbe arrivato il giorno in cui ci si sarebbe sporcati le mani del sangue di qualcuno e Tatsuya non aveva fatto eccezione - aveva lasciato alle spalle, tra le dicerie dei vicoli, un record di cui non c'era nulla per cui essere fieri umanamente parlando. Ma il punto era che suo padre aveva ragione: Tatsuya non era più a capo del Miyuki-gumi - non esisteva più, un Miyuki-gumi - ma sapeva ancora come si impugnavano due katane contemporaneamente ed era certo di poterle usare meglio di molti altri, con la stessa precisione e freddezza di un tempo, al pari di quanto era sicuro di saper ancora respirare senza nemmeno dover pensare di farlo.


«Certo» riprese Aoi spostando lo sguardo su di lui e mantenendo un sorriso morbido «non pensavo sarebbe di nuovo capitato di essere insieme in una circostanza come questa, Tsuya.»


Ci era voluta una vita, prima di sentire Aoi utilizzare un nomignolo con lui; ora lo faceva come se non avessero avuto mai un rapporto diverso da quello di adesso.


«Ti dirò, un fidanzato nella mafia russa e essere adottato da una famiglia di assassini tedeschi forse avrebbe dovuto suggerirmi che potesse almeno succedere. Anche se ormai non esercito più, come direbbero alcuni.»

«Credo sia solo perché non ti chiedono di esercitare.» sentì dire ad Aoi, il tono morbido di chi immaginava non sarebbe mai stato in grado di smettere di essere gentile almeno con i suoi affetti: «Ma se chiunque della famiglia di Xylia ti chiedesse di tornare a fare questo lavoro ogni giorno, non ci penseresti affatto. Nemmeno ora che sei padre, forse.» lo sentì aggiungere, quasi in extremis.


Padre. Non ci avrebbe scommesso neanche uno yen, meno di un anno fa.


«Ahimé, rimango uno dei migliori ed è la croce delle persone di talento.» pronunciò, suonando volutamente più arrogante di quanto già non fosse la frase di per sé. Aoi, alla sua destra e di un paio di passi più avanti per meglio lasciar fare al suo potere il proprio dovere, sbuffò una risata quasi infantile.




«Allora sarai felice di sapere che la tua fama ti precede.»

«Ah, mi dai sempre buone notizie. Ero quasi preoccupato di aver lucidato le lame per niente. Ci pensi, tornare da Irina e deluderla dicendole di non averle nemmeno estratte dal fodero?» ironizzò, premurandosi di estrarne una sola per il momento. Avvertì gli occhi di Aoi seguire quel movimento, attenti ma al tempo stesso come si sarebbe potuto fare nel vedere un gesto conosciuto. 


«Sai chi sarà davvero deluso? Chihiro.»

«Non dirglielo» si raccomandò con un pizzico di serietà in più «penserebbe che sono tornato davvero a muovermi in un certo ambito e insisterebbe per venire qui.» proseguì, cercando il contatto visivo con Aoi «E non tornerebbe più a casa.»


Aoi non chiese di più, perché in fondo non aveva bisogno di farlo - aveva conosciuto Chihiro, aveva parlato con lui e aveva inquadrato più di quanto forse lo stesso Chihiro immaginasse. 


«Quindi» riprese Tatsuya guardando davanti a sé prima e verso il soffitto poi «quanti ne senti?»

«Difficile darti un numero esatto. Se salissi più di due piani, forse bloccherei qualche piede e perderemmo l'effetto sorpresa.» ammise, spostando anche lui lo sguardo verso il soffitto «Ti direi Due. Poi tre.» riportò, abbassando gli occhi sulle proprie mani. Tatsuya lo vide iniziare a liberare la destra della benda - ormai erano più simboliche, lo sapeva, ma c'era qualcosa di inspiegabile nel vedere Aoi toglierle volontariamente e con la calma di chi si priva di un indumento nel cambiarsi d'abito, quando si sapeva cosa nascondevano. 


«Solo la destra?»

«Preferirei non dover togliere anche l'altra. Significherebbe che siamo nei guai.»

«Stai insinuando che non sappia proteggerti, moccioso?» lo prese in giro Tatsuya, incurvando le labbra in un sorrisetto sghembo. Sentì Aoi cercare, senza troppo impegno, di mascherare l'accenno di una risata da sbuffo rassegnato.


«Non oserei, Tsuya.»

«Bene.» chiuse il discorso ma, soprattutto, la parentesi poco seria lasciando che il proprio potere andasse a coprire più superficie possibile. Al contrario di Aoi, esteso per due piani o per quindici non c'era affatto differenza nel suo caso - se non nella stanchezza che lo avrebbe aggredito a lungo andare, era ovvio. Ma in termini di percezione, non c'era modo per un nemico di accorgersene, nemmeno per la quasi totalità degli ability user. O forse nemmeno tra loro c'era qualcuno che avrebbe potuto percepirlo prima che fosse troppo tardi. 


Una manciata di lunghissimi secondi, quelli in cui rimasero avvolti nel silenzio per lasciare a Tatsuya tutto il tempo del mondo - un modo di dire che non avrebbe mai smesso di farlo ridere.


«Aoi.»

«Mh?»

«Non credo avrai bisogno di togliere le altre bende.»


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2025-03-07 11:33 pm

Di pappagalli e cucine esplose (COWT14, week 1, M2)

 

Prompt: “Sapeva già che sarebbe stato un disastro”

Missione: M2 (week 1)
Parole: 1550
Rating: teen up
Fandom: original

Warnings: linguaggio colorito



Sapeva già che sarebbe stato un disastro. Quello che non aveva considerato era la portata del disastro e le aggravanti.


Yukinaga si è sempre reputato una persona pacifica e no, essere diventato capitano della squadra di kendo e avere dei legami con un ex gruppo mafioso non è il tipo di cosa che lo definisce - né quella di cui parla con i compagni di classe durante l'intervallo, a dirla tutta. Yukinaga, il cui nome è ormai storpiato in ogni modo perché evidentemente lì in Germania c'è un problema quando una parola include troppe vocali, è lo stereotipo del ragazzo giapponese nella mente di molti lì ma non se ne è mai davvero fatto un problema. Dopotutto la sua famiglia lo conosce in ogni sua sfumatura e gli basta questo - non importa davvero che la nuance in questione sia cosa gli piaccia mangiare nei giorni in cui è giù di morale, o quante persone sarebbe in gradi di uccidere impugnando una katana. 


La situazione lì nella cucina di casa Sievert è qualcosa che definirebbe drammatica e poco importa quanto Yamato, in visita, continui a ripetergli che "dopotutto la maggior parte del cibo era già stata spostata ed è salva". I suoi occhi non si schiodano dalla figura di Rikiya che, Yukinaga non ha bisogno di leggergli nella mente per saperlo, è a metà tra cercare una via di fuga già consapevole di non averla e il desiderio di potersi far inglobare dal pavimento. O di potersi fingere morto come un opossum ed essere credibile. E' solo con la coda dell'occhio che il ragazzo, ormai inquadrato da tutti anche ufficialmente come il secondo in comando dei Miyuki - se non fosse che non serve più il concetto di un secondo in comando, ma ha rinunciato a ripeterlo soprattutto a Irina -, tiene d'occhio il disastro purtroppo già analizzato fin troppo nel particolare. La credenza? Un ricordo di altri tempi, con uno sportello ancora aperto e il resto pieno di farina e polveri di altro genere. Una cosa che in casa Sievert può significare "cacao amaro" o "polvere da sparo" ma ha deciso per il proprio bene di dare per scontato ci sia solo il primo nella cucina. Il lavandino, un'ecatombe di piatti, forchette e ciotole utilizzate sopra cui un tempo doveva esserci stato del sapone per piatti o almeno dell'acqua corrente... ora devastati da glitter. Sulla sinistra, la tavolata usata ogni mattina per la colazione senza preoccuparsi di apparecchiare nel salone dati gli orari tutti diversi degli occupanti di casa. Basta uno sguardo anche solo sbieco per rendersi conto di come sia sinistramente piegata e la tovaglia poggiata sopra per evitare macchie del cibo preparato per tutta la durata della mattina non è sufficiente a mascherare come, quasi senza dubbio, nella parte centrale debba essere spezzata. 


Un sospiro lento e lungo è quello che si fa scivolare tra le labbra, le braccia incrociate al petto e gli occhi ambrati fissi sulla figura di Rikiya come se volesse sfidarlo ad alzarsi dalla posizione seiza in cui è da cinque minuti. Quasi lo sfidasse ad andarsene senza il suo permesso -  non che di norma debba chiederglielo né Yukinaga si sia mai posto in quei termini, ma un po' di sano regno del terrore a volte è necessario. 




Yamato ha smesso anche di cercare di salvare l'insalvabile, limitandosi a restargli di fianco, sebbene Yukinaga sospetti possa essere più per un eventuale e disperato tentativo di aiutare Rikiya che non per spalleggiare lui. Non che la cosa lo offenda, in ogni caso, e la sua attenzione è comunque su ben altro adesso.


«Rikiya.»


L'altro giapponese sobbalza appena, perché Yukinaga si ricorda bene di quando una volta gli ha detto "Yuki-san, mi fai più paura quando non urli. In effetti non urli mai, quindi mi fai sempre abbastanza paura" e dunque non solo per indole, ma anche per rimarcare il concetto non alza la voce in questo momento. Aspetta però di vedere le iridi altrui posarsi sulla propria figura, vedendolo irrigidirsi nelle spalle al pari di chi sta cercando di farsi coraggio e mostrare una sorta di dignità. Gliene dà atto.


«Sono abbastanza sicuro di aver parlato con te di molte cose riguardanti il tuo potere.» comincia, senza spostare lo sguardo da lui «Proprio perché io non ne ho uno e quindi in molti casi non so bene come rendere più facili le cose a voi ability user, se non me lo dite chiaramente. Mi hai spiegato che a volte le esplosioni arrivano prima di poterle fermare o controllare, sì?» chiede una conferma di cui non ha bisogno, ma al di là di tutto ha sempre cercato di non dare per scontato niente con le abilità delle persone che Tatsuya ha conosciuto nel tempo o - come nel caso di Rikiya - direttamente accolto in casa. 


«...Esatto.» pronuncia Rikiya deglutendo, suo malgrado, in modo piuttosto rumoroso. Yukinaga finge di non notarlo.


«Se non sbaglio, poi, queste esplosioni spesso dipendono da quello che provi, giusto? Nel senso che se perdi il controllo e ti arrabbi molto, per esempio... beh.» un'occhiata laterale al tavolo «Credo di non dover fare descrizioni troppo lunghe.» aggiunge, tornando a guardare il colpevole dello stato pietoso in cui versa la cucina. Stavolta, Rikiya si limita ad annuire sebbene Yukinaga lo veda in procinto di dire qualcosa e poi ripensarci molto velocemente. Non ha bisogno di guardare Yamato per scommettere sull'alta possibilità che il suo ragazzo abbia fatto cenno a Rikiya di tacere per accelerare tutta la questione.


«Quindi» riprende, cercando di non incurvare le labbra nel sorriso spontaneo che minaccia di scappargli solo perché ha un partner troppo cuore di panna «cosa avevamo concordato riguardo i preparativi per la festa di oggi?» domanda e stavolta si assicura di guardare Rikiya in modo da non lasciare spazio a dubbi sul fatto di volere da lui una risposta verbale e articolata, non un docile annuire o dargli ragione.


«Ma Yuki-san...!» comincia lui, salvo fermarsi - deve bastargli l'occhiata che Yukinaga cerca di rifilargli in maniera inequivocabile, ossia una per suggerirgli di non iniziare da delle scuse ma da quanto si erano effettivamente... detti, più che promessi. Un accordo, per così dire appunto.


«...Avevamo detto che non avrei aiutato in cucina, ma che potevo occuparmi degli addobbi esterni.»

«E questo perché?»
«Perché se esplode qualcosa fuori al massimo chiediamo scusa ai vicini.» se ne esce Rikiya provando a buttar lì una battuta. Yamato, stavolta senza nemmeno curarsi di non farsi vedere o di indietreggiare di quel passo sufficiente a non rientrare nel campo visivo di Yukinaga, gli sillaba (con tanto di gesto della mano) un "too soon". Rikiya sembra cogliere al volo, come tutte le persone - e gli animali? - molto istintivi.


«Ehm» si schiarisce la voce «perché le esplosioni all'esterno possono essere contenute meglio. Insomma, almeno quelle del mio potere.» specifica, finendo per posare su Yukinaga lo sguardo di chi vorrebbe aggiungere altro ma non osa farlo senza permesso.


«Quindi perché è esplosa la cucina, Rikiya?» chiede lui, ancora con le braccia strette al petto, ma in evidente ascolto. L'altro giapponese sospira, sconsolato: «Perché volevo aiutare con la torta. Ma poi è passata Irina-san.» un nome una garanzia, per chi soffre di cuore (Freyr) o ha il tipo di capacità molto influenzata dall'emotività (Rikiya). Yukinaga sente già il mal di testa: «Che stava seguendo Jack» prosegue l'altro e questo, in effetti, fa inarcare un sopracciglio a Yukinaga perché non lo aveva affatto previsto.


«Jack?» ripete, per essere sicuro di aver compreso bene «Il pappagallo di Freyr?»

«Sì!» si illumina Rikiya, quasi quel riconoscimento lo scagionasse «Urlava come al solito ed Elias urlava minacce e poi Irina è entrata e pensavo volesse tipo farci il tiro al bersaglio con i coltelli da lancio.» prosegue, tutto preso dalla discussione.


«I coltelli da lancio che usa per cercare di uccidere Tatsuya-san quando si annoia, in onore dei loro vecchi tempi prima che fossero alleati ufficiali?»

«No, credo a un certo punto abbia preso quelli di Xylia della cucina.»


Un silenzio di tomba cade tra loro, sebbene per la durata di non più di una manciata di secondi.


«...Non stai per dirmi che avete fatto esplodere la cucina e lanciato via i coltelli di Xylia, vero?»

«No, quelli li ha rubati Jack. Sapevi che sapeva prenderli al volo? Ci credo che Elias non riesce ad ammazzare quel pennuto di merda. Gli avevo proposto di farlo esplodere in aria, secondo me funzio–»

«Gli hai proposto che cosa?!» sbotta definitivamente, sciogliendo l'incrocio delle braccia e fissando Rikiya come se fosse a tanto così da renderlo un puntaspilli, ma con i suddetti coltelli che in effetti - a guardarsi meglio intorno - non riesce a individuare tutti.


«Ma solo per gioco, mica lo uccido davvero!»

«Ci mancherebbe altro!» sbotta Yukinaga, finendo col portarsi una mano alla tempia per massaggiare tutto: «Okay, lasciamo stare per un attimo Jack» riprende «ti voglio fuori dalla cucina, chiama chi non sta ultimando i preparativi e mandamelo, così cerchiamo di pulire e salvare quello che non avete completamente distrutto.» pronuncia, cercando di valutare intanto a vista cosa sia fattibile abbastanza.


Rikiya pronuncia uno sbrigativo «Sì!» fiondandosi fuori dalla cucina. 


Ci vogliono trenta secondi perché si sentano un «PENNUTO DI MERDA» e un'esplosione.


Yukinaga sospira, stanco. Se non altro proviene dal giardino e il fastidioso «CRAAAAAA» di Jack gli fa supporre di non dover anche sotterrare un cadavere.


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2023-03-30 08:44 pm
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COWT13 (week 6, M2) Calici 2.0: l'invasione

 

Prompt: invasione di pesci pene
Missione: M2 (week 6)
Parole: 1694
Rating: teen up
Warnings: pesci pene. Mi sembra un warning importante. Future!fic (?).



Le serate tranquille come quella sono sempre state le migliori per avere un po’ di quality time e per passare alle nuove generazioni i giusti insegnamenti, le storie di come si siano trovati e poi uniti, dei loro successi come anche dei loro insuccessi. Ogni settimana la serata di chiusura del ristorante offre loro questa opportunità: la luce soffusa, il rumore delle onde. L’atmosfera perfetta.


Un vociare sommesso si leva da uno dei tavoli più vicini alle grandi finestre che affacciano sul mare. Un gruppo di Calici si sistema, mentre asciuga dal lavaggio in lavastoviglie, lasciando la parola ai giovani perché questa è una serata importante. Il bricchetto maggiore, ormai un adolescente in verità, si rivolge a tutte le sue numerose zie: «Quale storia ascoltiamo, stasera? Chi la racconta?» chiede curioso. Sono cresciuti tanto i due bricchetti del gruppo, da quando erano Calici troppo piccoli per partecipare attivamente anche solo al Consiglio Superiore. Di molte storie non hanno ricordato nulla finché non gli sono state narrate anni dopo, nello stesso modo in cui si può raccontare un aneddoto dell’infanzia.


«Ci sono ancora molti racconti che non avete ascoltato.» fa notare zia Donut, cercando con lo sguardo il sostegno degli altri Calici. Ci sono alcune storie di cui è stato richiesto il bis già in altre occasioni: l’elevazione di zia futa a importante figura religiosa di Futacristo; il colpo di Stato, per gli amici altresì conosciuto con il nome di “la settimana di sale e forconi”; le innumerevoli battaglie per l’unico S.P.R.C (Signore e Padrone Re Calico) - con possibilità di leggere la stessa sigla con la doppia valenza di Siamo Piccoli e Rilassati Calici. Senza contare il viaggio on the road, una delle storie preferite del bricchetto più piccolo. Ma altri racconti, troppo cruenti per i loro giovani bordi vetrati, sono stati rimandati.


«Io credo ormai sia abbastanza grande per quel racconto.» pronuncia smile, consapevole che chiunque abbia combattuto al suo fianco sappia di cosa si parla. D’altra parte, è avvenuto proprio nell’anno in cui i Calici l’hanno accolta tra le loro fila nella credenza… non potrebbe mai dimenticarlo. Per correttezza cerca lo sguardo di Unlikely: in quanto madre, è naturale che l’ultima parola in merito sia la sua. Lei guarda con occhi amorevoli il suo bricchetto maggiore, annuendo prima di tornare a osservare gli altri Calici: «E’ pronto.» assicura, mentre il bricchetto più piccolo è già stato messo a dormire «L’anno prossimo sarà un Calice a tutti gli effetti. Deve conoscere questo aneddoto, perché possa essere forte e tintinnare anche nelle avversità.» dichiara infine.


Ognuno dei Calici guarda il proprio vicino, tutti consapevoli che sia il momento giusto. Tra di loro è futa a prendere la parola: «Credo che il compito di raccontare spetti a sakurai. E’ lei che di solito si occupa di queste cose… particolari


Sakurai tace per qualche attimo; vedendo tutti i Calici d’accordo con la proposta di futa, si raddrizza in tutto il suo splendore.


E’ tempo.


*


La mattinata è quasi pigra, lì al ristorante sulla spiaggia. I Calici sono nel pieno del risveglio lento, quello di quando non c’è ancora bisogno di essere scintillanti e pronti ad accogliere le persone. La cucina è silenziosa, le porte ancora tutte chiuse e le luci spente. Solo le finestre offrono una certa luminosità, la stessa che raggiunge la credenza dove dormono tutti ordinatamente sistemati ogni notte. 


In un angolo, smile, janie, akemi e mapi stanno ancora sonnecchiando. Hapworth si è appena destata dal suo sonno di bellezza, quello a cui si è dedicata perché si oppone al consumismo e il finish in pastiglie non si avvicinerà mai più a lei a costo di fingere di scivolare dal suo cestello, allearsi con il forchettone al piano di sotto e bloccare tutta la fottuta lavastoviglie. Shiroi ogni tanto apre un occhio, sbircia se sia necessario il suo aiuto per qualcosa di non meglio definito, poi torna a dormire. Sakurai, sua moglie - calicicamente parlando - da poco più di un anno, è leggermente inclinata verso di lei e ronfa. Liz e tabata, vigili veterane forgiate dal fuoco di mille battaglie che vetro di Murano levete proprio, guardano verso l’orizzonte nel loro turno di guardia. Lo sanno, che i gabbiani sono malvagi. Dopo che uno ha recentemente attentato al cristallo della povera janie, è guerra aperta.


Gli altri Calici stanno chiacchierando con toni sommessi per non svegliare i compagni, quando Donut attira la loro attenzione. Gli occhi si assottigliano nel guardare verso il mare, l’esterno: lo fissa come se fosse un nemico che in lontananza propone di rubare, copiare, duplicare, leccare - non si sa mai, con questi soggetti frustrati - i preziosi PM. Futa e nemi notano la sua serietà e sono subito in allerta a loro volta.


«Cosa succede?» domanda nemi, mentre futa le si accosta e si rivolge anche lei alla compagna che sembra aver scorto qualcosa: «Cosa vedono i tuoi occhi di Calice, Donut
«Non ne sono certa… sembra… che il mare porti qualcosa con sé.»


Liz e tabata aguzzano la vista a loro volta. Sono di certo, tra loro, quelle che hanno visto più nemici tentare di prendersi il mare, il ristorante, la credenza. Bastardi, tutti loro. 


«Quelli…» sussurra tabata, quasi non si fidasse dei suoi occhi vecchi e stanchi. Ma Liz, compagna e Papessa fedele, pronuncia ciò che a tutti sembra di vedere sempre più chiaramente. Lo fa con crudezza, non perché la vita le abbia remato contro a suon di threesome negate e abolite, ma perché è il suo modo di prendersi cura degli altri Calici. Niente segreti. Nessun indorare la pillola. 


«Quelli sono cazzi


*


Da quando la minaccia è stata inquadrata, un panico organizzato ha preso possesso della credenza in cui i Calici riposano: nemi e shiroi si sono subito messe all’opera, menti organizzate del gruppo; smile ha immediatamente supportato Unlikely nel mettere al sicuro i suoi bricchetti, così da poter combattere con valore - lei, un po’ Xena e un po’ Hyoga del Cigno. Mentre tabata ha recuperato il suo lanciafiamme («Tab! In acqua stanno, che ci fai col lanciafiamme?!» «Il fuoco è sempre la risposta, blasfema!»), futa il suo rosario e il santino con la preghiera a Futacristo, akemi e janie hanno barricato le porte in attesa del momento migliore sferrare l’attacco.


Altri Calici invece sembrano star studiando sulle antiche scritture a loro disposizione se una tale sciagura si sia mai verificata prima o se si tratti solo di qualcosa di simile, ma non identico. Capeggiati da Liz, confabulano come solo delle comari farebbero.


«Vedi?» sta dicendo mapi mostrando la sua pergamena magica, raffigurante EdmondNu:Carnival in atteggiamenti vilipendiosi «La forma è assolutamente identica. Non è un serpente.»
«Lo dicevano anche del cobra.» osserva con fare quasi distratto Liz, comprendendo dagli sguardi dei più giovani che la citazione è troppo antica. Muove quindi la mano, a suggerire di ignorare e passare oltre.


«Tecnicamente» avanza la sua ipotesi hapworth «lui è un serpente gigante e questo comunque non gli impedisce di avere–» si lancia nella sua invettiva, sbandierando la figura altrettanto vilipendiosa di YakumoNu:Carnival. A interromperla è la voce di Donut che le richiama al punto della situazione con una certa urgenza: «Avanzano!»

«Cazzo!»
«E’ quello che stiamo cercando di definire con sicurez–»
«No, nel senso, in acqua!»
«janie» pronuncia nemi preoccupata «te lo avevo detto di non farti riempire di vino fino all’orlo, ieri…»
«NO CI SONO CAZZI IN ACQUA SUL SERIO!» smile abbandona ogni delicatezza, mentre una grande, immensa ondata di presunti peni arriva imponente come una poly a quadriglia, minacciosa come Castaros a percentuali massime.


I Calici lo capiscono subito: la battaglia non può essere evitata, questa volta.


Liz prende in mano la situazione, voltandosi verso nemi e shiroi: «Sappiamo come annientarli?»
«Noooo» si sente esclamare con disperazione proprio a shiroi, i fogli pieni di tabelle excel tra le mani: «HO SCORDATO DI INSERIRE UN GIORNO. E’ TUTTO SBAGLIATO. TUTTO DA RIFARE.»


Tutti si guardano per un lungo istante, consapevoli di essere matematicamente troppo stupidi per provare ad aiutare. Mortificati nella loro impotenza, ma con il forte desiderio di rivalsa di chi nella vita è mosso dall’unica, immensa forza dello spite, si stringono gli uni agli altri. Qualunque sia la loro sorte, l’affronteranno insieme.


shiroi si appanna, che è tipo sbiancare ma da Calice elegante. Guarda tutte le sue compagne, con gravità: «Ho capito cosa sono…» pronuncia, quasi senza osare andare oltre. Tutte sanno che l’ultima volta in cui è stata pronunciata una frase simile, Bella ha dovuto dire a Edward di conoscere la sua natura di vampiro per poi ritrovarsi con un trasferello sbrilluccicoso come marito eterno. Forse sono meglio i pesci pene.


«Dillo.» interviene akemi, risoluta: «Siamo abbastanza forti per sopportarlo. Non devi sostenere questo peso da sola.» dice, mentre gli altri Calici annuiscono. Così, nel silenzio del ristorante, mentre una mareggiata riempie la sabbia di orribili pesci di tragicomiche forme…


«Nel mio luogo di origine le chiamano… minchie di mare


*


Un silenzio consapevole riempie il ristorante, mentre il baluginio delle luci illumina i Calici riuniti. Il loro bricchetto più grande è ammirato e teso al tempo stesso - possono immaginare i dubbi della sua giovane età: saprò essere all’altezza? Pure a me il mare porterà dei piselli?


«Ma…» comincia, passando lo sguardo da una zia all’altra «com’è finita poi?»
«Alla fine qualcuno ha detto che era colpa delle tabelle che sono un’eredità di Fabian,» comincia a spiegare pazientemente akemi, con smile a inserirsi con un: «Solo che sakurai ha urlato qualcosa nel suo dialetto che non ho capito, perché pensava fosse un’offesa a shiroi che si occupa delle tabelle.»


janie si fa un po’ più avanti, schiarendosi la voce: «Permettetemi.» dice per prendere la parola, fare un bel respiro e poi esprimersi nella perfetta imitazione romana «AO’, E’ DE MI MOJE CHE PARLI, LAVATE LA BOCCA CO’ L’ACIDO.» venendo subito approvata da sakurai. Il Calice narrante infatti tintinna con orgoglio: «Era per puntualizzare. Comunque alla fine i pesci pene ci hanno insegnato due cose.» prosegue «La prima è che non c’è nulla che, uniti, non possiamo sconfiggere.»


Il bricchetto, ormai quasi calice adulto, la guarda ammirato: «E la seconda?»


«Eh.» sospira lei «La seconda è che se quei pesci ti invadono la spiaggia, so cazzi
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2023-03-29 03:51 pm
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COWT13 (week 6, M6) bury them

Prompt: tema libero (fandom: originale)

Missione: M6 (week 5)

Parole: 100

Rating: teen up

Warnings: mention of childe abuse


Kaede ha due ricordi di sua madre: il primo è uno tra tanti, più vivido solo perché avvenuto più in tarda età e quindi più semplice da tenere a mente senza che svanisca consumato dal tempo, ed è la risata di quella donna che fino a un certo punto è riuscita a guardarlo senza odiare ciò che vedeva. L'altro è fatto delle accuse per essere nato e dell'impotenza di non poter cancellare niente di ciò che era e che sapeva distruggerla - la somiglianza con suo padre, l'essere la testimonianza vivente di non essere stata scelta. 


Li seppellisce, perché non lo uccidano.

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2023-03-23 12:48 pm
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(don't) say the word (COWT13, W5, M2)

 

Prompt: taboo
Missione: M2 (week 5)
Parole: 924
Rating: teen up
Warnings: linguaggio scurrile






«Ve lo dico subito: i parenti non stanno in squadra insieme, non mi fate incazzare.» mette subito in chiaro Elias, fissandoli male uno per uno, soffermandosi - per la sorpresa di nessuno - su Irina mentre lei apre bocca per lanciare una frecciatina (perfettamente udibile): «Non è colpa sua, è che nessuno gli ha insegnato a perdere.»


Se uno sguardo potesse fulminare - o se, semplicemente, Elias fosse un ability user - Irina sarebbe già carbonizzata.


«No è che avete i cazzo di sensi di ragno.»

«Ma in questa stanza esiste qualcuno non imparentato?» fa eco Reizo, che ha già reso chiaro di non voler prendere parte al gioco. Pentendosene quando il suo disgustoso fidanzato ne ha approfittato per dargli un bacino sulla guancia e rivolgergli un aw, Reichan puoi fare il tifo per me allora.


«Io direi di farli semplicemente a estrazione.» propone Yvan, mentre Elias guarda taboo aperto e pronto per essere giocato lì, sul tavolino «Io direi che Leon gioca col cazzo, lui e il suo essere un mind reader di merda.» aggiunge Elias prima di cominciare a fare i foglietti per l'estrazione dei nomi - nessuno ha il coraggio di dirgli che la tecnologia potrebbe andargli incontro con un apposito sito internet per fare quella stessa estrazione senza sprecare della carta. E’ già tutto abbastanza difficile così.


*


Tatsuya deve ammettere che, in fondo, non è davvero colpa di Elias. Probabilmente se avesse fatto questo stesso gioco con la vecchia organizzazione gli sarebbe partito un embolo dopo un solo giro - o avrebbe dato fuoco alle carte di taboo per eliminare il problema alla radice.


L'estrazione, come spesso rischia di far accadere, ha creato non tanto squadre sbilanciate ma assolutamente inabili alla cooperazione o - nel peggiore dei casi - con membri non in grado di sopperire l'uno alle difficoltà dell'altro. Se da una parte Tatsuya si pregia di essere un chiaro esempio di uomo che sussurra ai cani e dunque, per estensione, Yvan e il suo impiegare secondi preziosi solo a cercare di capire quale parola deve far indovinare e quali non può pronunciare, ricontrollando la lista miliardi di volte sono gestiti dalla velocità e dall'intuizione del giapponese... purtroppo all'altra squadra è andata peggio.


Tatsuya, infatti, riesce a immaginare una sola coppia che sarebbe potuta essere potenzialmente peggiore di Elias e Rikiya ed è da ricercare nelle sue discutibili compagnie giapponesi, quelle a cui cerca di non pensare perché l'esplosione del fegato a poco più di trent'anni non se la merita - potrà non aver fatto una vita esemplare, ma c'è un limite a tutto. E' come vedere un barboncino incazzato (Rikiya) cercare di abbaiare contro un alano (Elias) per farsi valere. Mentre indietreggia, però.


«Dunque... lo puoi mangiare!»

«Tutto tranne la merda, nel mio caso! Ti sembro un cazzo di chef stellato?!»


Non c'è stato un solo giro di gioco che non sia andato più o meno così. Tatsuya vorrebbe restare impassibile ma la verità è che Irina sta per cappottarsi dal divano e questo glielo rende estremamente difficile.


«Non posso dire tutto quello che te lo farebbe capire!» si difende Rikiya, guardando febbrilmente il cartoncino con l'elenco di parole come se dovesse prendergli fuoco tra le mani, lasciandolo ferito a morte. In effetti Tatsuya si rende conto che è davvero cattivo far capitare "escargot" a quei due: da una parte Rikiya il cui inglese è già il minimo sindacabile per interagire con i presenti in casa - per quanto stia innegabilmente migliorando -, dall'altra Elias... che potrebbe aver mangiato le lumache, sì, ma prese in direttissima dall'albero e non certo per aver visitato un ristorante francese.


«Allora strisciano!»

«La biscia!»

«Hai mangiato una biscia?! CHE SCHIFO, MI OPPONGO.»

«Se ho sbagliato non perdere tempo e dimmi altro!»


Perché, è chiaro, stetoscopio due carte prima è stato immediatamente passato per il bene di tutti i presenti e questo implica, ora, non poterlo più fare mentre il tempo nella clessidra scorre inesorabile.


«Sono... urgh... viscide! Con la casa!»

«Le lumache!»

«Sì, ma dillo diverso!»


E questo, osserva Tatsuya mentre gli scappa uno sbuffo divertito dal naso, è il momento in cui vede con estrema chiarezza la pazienza di Elias spezzarsi in modo definitivo. A difesa di Rikiya, non è mai stata molta... per quanto sia migliorato negli anni. La leggenda narra che l'Elias quindicenne lo avrebbe reso tappezzeria per il soggiorno molto prima.


«Che cazzo vuol dire diverso?!» sbotta infatti il biondo, gli occhi verdi fissi su Rikiya come se ormai non vedesse più né il tabellone, né le carte, né altro se non chi lo sta facendo impazzire su una semplice parola.


«In un'altra lingua!»

«Sono un cazzo di illetterato che sa leggere e scrivere solo perché Freyr me l'ha insegnato e io avevo gli ormoni impazziti abbastanza da ascoltarlo, che cazzo di lingua vuoi che conosca oltre quella che parlo?!»

«Eeee stop.» decreta Tatsuya, deciso a salvare Rikiya prima che sia troppo tardi - ossia prima che Elias faccia il giro del tavolo o peggio: lo scavalchi. Da uno che a quindici anni ancora mangiava con le mani, ci si aspetta di tutto. La clessidra rimanda indietro a tutti loro (giocatori e spettatori) la desolante immagine di un tempo scaduto. Mai desolante quanto l'unico punto fatto dai due, in ogni caso.


Nel frattempo Irina, sulla poltrona più vicina al camino, potrebbe star avendo qualche difficoltà respiratoria a forza di ridere. Lo aveva detto, d’altronde, di preferire taboo da osservatrice. Tatsuya non fatica a comprenderne il perché, mentre Elias lancia una bestemmia che risuona in tutta casa Sievert nel leggere dal cartoncino la parola che avrebbe dovuto indovinare.

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2022-04-02 05:23 pm
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No way in hell (week 6, m3)

 

Prompt: 10. “Perché non andiamo tutti e quattro a cena fuori, stasera?”
Missione: M3
Parole: 500
Rating: teen up
Warnings: original, linguaggio scurrile






 «Perché non andiamo tutti e quattro a cena fuori, stasera?» pronuncia Masaomi e per un fugace istante Akemi è convinto che sia impazzito. Alza lo sguardo su di lui e vista la posizione non deve impegnarsi molto - ha la testa poggiata sulle sue gambe, il resto del corpo sdraiato sul divano e la switch tra le mani. Grazie al cielo questa domanda non arriva mentre sta uccidendo Stormterror perché come minimo si sarebbe distratto, sarebbe precipitato  e a quel punto avrebbe dovuto imprecare abbastanza. Nella stanza adiacente Reiji non avrebbe approvato. Da quando Yuuya si è unito alla famiglia non si può neanche più imprecare in libertà.


Masaomi lo sta guardando come se avesse fatto la proposta più naturale del mondo, gli occhi ambrati su di lui e la mano a giochicchiare con una sua ciocca di capelli; Akemi lo lascia fare, apprezzando quelle piccole attenzioni, ma il fatto di essere in fase coccole non salva Masaomi da un'occhiata eloquente.


«Me e Seiran. A cena insieme. Allo stesso tavolo.» dice, sperando che specificando le parti salienti di cosa la sua proposta implichi si renda conto della follia intrinseca. Purtroppo tende a dimenticare che Masaomi ha una generale buona opinione di Seiran e che, forse, ancora sottovaluta invece la scarsa sopportazione che Akemi ha per il suo collega. Perché altrimenti non si spiega come il suo stupido fidanzato troppo alto possa annuire come se tutto fosse estremamente naturale e non presentasse un'enormità di problemi anche solo a livello di concetto. Sospira, arrendendosi a dover affrontare questa conversazione rimandando l'ennesimo maltrattamento di poveri draghi innocenti la cui unica sfortuna è droppare un materiale che gli serve una volta alla settimana. 


Si siede, mettendo la console dove non può accidentalmente spingere dei tasti. Guarda Masaomi, lo scruta. 


«Lo sai che Seiran mi sta sul cazzo, vero?» non si priva di essere sboccato come è sempre con le persone con cui si sente abbastanza a suo agio - ossia i Sohma e Masaomi. E Seiran ma perché lui non si merita il suo sforzo di essere educato - e Masaomi non si scompone affatto. 


«Lo so,» pronuncia «ma io e Izumi pensavamo potesse essere una buona occasione. Magari trovate qualcosa in comune.»


Ad Akemi piace Masaomi, gli piace da morire, anche se si guarda bene dal dirlo a chiunque che non sia il diretto interessato. Però a volte si chiede se lo faccia di proposito. Sospira e si sposta, sistemandosi in braccio a lui senza troppe cerimonie; abituato, Masaomi lo accoglie con naturalezza e gli circonda i fianchi in un abbraccio morbido. Faccia a faccia, Akemi gli pizzica una guancia come potrebbe fare con un bambino troppo cresciuto.


«L'unica cosa che abbiamo in comune è che siamo due stronzi, e infatti non andiamo d'accordo perché capisco quando sta per fare la merda prima ancora che lui stesso processi l'idea.» fa notare.


Gli dà un bacio sulla punta del naso per farsi perdonare - perché no. Non ci sarà una cena a quattro né oggi né mai.


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2022-03-26 04:51 pm
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Calici on the road (week 5, m3)

Prompt: roadtrip (nel senso del trip che mi sono fatta a scriverla)
Missione: M3
Parole: 2131
Rating: gen
Warnings: originale. Nessuna compagna di squadra è stata maltrattata per la stesura del seguente testo.






C'è stato un tempo in cui il mondo non avrebbe concepito forme diverse, in cui i canoni di bellezza erano stabiliti dalla società. Epoche buie in cui tutto ciò che era più curvy o troppo poco curvy, vestito di nero quando andava il verde acqua Paolo Veronese - come lo citavano i giotto, unico eroe della tavolozza, l'unico che ti ricordavi anche a cinque anni perché ma chi lo dà un nome del genere a un colore - ti attendeva una sola cosa: la pubblica gogna. L'unfollow sui social. Un tag sbagliato. Innumerevoli tragedie di mancati cuoricini su facebook.


Per fortuna si può solo migliorare, con il progredire della società e l'accurato studio della storia. Va bene, c'era stato qualche intoppo per un numero leggermente alto di secoli in cui nessuno ci ha capito niente e poi si sono fatti sempre gli stessi errori, e le guerre, e le pandemie, e gli oscar mai a un'ora decente per gli stronzi italiani che vogliono seguirli senza rinunciare al sonno di bellezza. Ma ormai è acqua passata.


Il mondo ha compreso. E' cambiato. Ha abbracciato un'ideale di tolleranza, uguaglianza, amore super partes. Un tempo essere un Calice sarebbe stato difficile: relegati a ruoli di eleganza su un tavolo ben apparecchiato, parte dell'argenteria buona di nonna Pina con la consapevolezza che saresti stato tirato fuori una sola volta l'anno. La volta. E poi via, al chiuso per altre trecentosessantaquattro giorni. Una vita di stenti.


Adesso essere un Calice è diverso. E' brillantezza. E' tondezza. E' una curva brillante che ti fa l'occhiolino. E' riflettere la luce del sole come solo un vero pezzo (DI CAZ--) di cristalleria potrebbe fare. Oggi essere Calice è libertà.


«Cosa dice la mappa?» chiede hane, gli occhi fissi sulla strada mentre le sue braccine scintillanti sono pronte a curvare nella giusta direzione non appena qualcuno le farà la cortesia di dirle dove. La patente per Calici, approvata dal governo solo da qualche anno dopotutto, è stata una tentazione troppo ghiotta per organizzare un viaggio insieme. Certo, sarebbe stato meglio se questo fosse stato in un periodo di pace e non durante il terribile COWT, ma... ci si doveva un po' accontentare con ciò che si aveva.


«Non guardare me,» replica sakurai di fianco, un cellulare in mano dove continua a scorrere su e giù in cerca di una canzone specifica per adempiere al suo ruolo di DJ «io le mappe non so leggerle. MOGLIE.» richiama, voltandosi in parte verso dietro. Il pulmino, super accessoriato, può tenere ben quindici calici compreso guidatore e passeggero. Tra quelle curvette di vetro la voce di shiroi emerge.


«Eccomi! Sì! Un secondo che sto facendo lo schemino del riassunto dello schemino 1.3 della quarta versione del primo schema settimanale!» esclama con confidenza e un sorriso brillante - pun intended - prima di tornare con gli occhi fissi sul portatile davanti a lei. sakurai annuisce e hane si limita a un «Basta che mi dite perché qui c'è una divisione a cinque strade e io ho perso il conto di chi sta facendo cosa.»


Non è stato un viaggio facile: cinque settimane, o forse sei perché c'è stata una sagra che forse hanno sognato in gruppo o che forse significa soltanto che non dovrebbero assumere discutibili polveri di kulutrek. Qualsiasi cosa sia un kulutrek. Comunque, cinque settimane di scrittura dove hanno imparato solo due lezioni, ossia come adattarsi a ogni situazione e come guardare gli altri ammazzarsi mentre loro fanno propria un'arte antica. Un'arte dimenticata dai più, perché non sempre il progresso porta solo miglioramenti, ma loro sono riusciti a preservarla grazie a Liz che ha narrato loro le gesta, ha mostrato la via.


Ora sono Calici che hanno, tra le loro scheggette di vetro, la piccionanza.


«HO FINITO GLI INCA!» esclama unlikely, un tripudio di emozioni positive mentre schiaffa la loro cartuccia tanto agognata sul contatore, dichiara più di tremila parole e poi la segnala come se non ci fosse un domani. Che poi è vero perché domani col prompt degli inca non ci fanno più niente.


«Questo» pronuncia donut sistemandosi occhiali per Calici «cambia tutto!»


Hane frena bruscamente. sakurai per poco non vola fuori dal finestrino. shiroi quasi entra nello schermo. Dal bagagliaio si sente un rumore di anima vendicativa. Tutti i Calici si guardano, turbati e afflitti e stanchi: una trappola dei Fabiani? I Meridiani hanno installato una cimice da qualche parte? Un sacrificio umano è stato infine promesso, anche se avevano concordato di tenerselo buono come ultima risorsa per l'ultima settimana?


Marcie si piega sulle levigate ginocchia di vetro e poggia il suo presunto orecchio contro la parete del bagagliaio. Tutti trattengono il fiato. Futa tintinna dal nervoso. Marcie si alza, scuote la testa: «Falso allarme,» assicura «è ThreeTenors


Un lungo minuto di silenzio li accompagna. La perdita di un compagno è sempre tremenda, anche quando raccogli tutti i cocci e sai che alla fine della competizione potrai rimetterli insieme e sperare per il meglio. Almeno non è una mini Celestia lanciata per portare scompiglio.


«Va bene.» donut cerca di riportare l'attenzione dove serve «Secondo i miei calcoli possiamo ancora evitare sia il piano Z che il piano Omega. Ossia optare per la scelta di trama che farà buttare Calico dal Palazzo d'Estate in cerca di una gioia nell'aldilà, visto che l'aldiqua non gliene offre mezza.» comincia a spiegare, interrotta da suoni ameni che somigliano a "ridatemi la distruzione di quando c'era Celestia" e "mortacci vostri non toccate mio figlio" su cui nessuno indaga perché essere Calice significa anche sapere chi dice cosa senza bisogno di guardare.


«Oppure» riprende donut schiarendosi leggermente la voce «il piano a cui tutti vorremmo evitare di—»

«RIVOLUZIONE. FORCONI. TUTTI A MORTE.»

«hap» pronuncia akemi dando qualche carezza sulla schiena di hapworth troppo infervorata e animata dal desiderio di dare finalmente sfogo ai suoi più oscuri desideri «ne abbiamo già parlato. Siamo migliori di così, non abbiamo bisogno dei forconi. Faremo del nostro meglio fino a—»

«Veramente» la interrompe futa «io sono mossa solo dalla vendetta. O dal desiderio di appiccare fuoco a tutto.»


Un lungo silenzio accoglie di nuovo questa rivelazione. Tutti sanno in fondo che desiderano la stessa cosa, solo che alcuni stanno ancora cercando di mantenere lo zen necessario, altri hanno ormai abbandonato ogni freno inibitorio. C'era stato un tempo in cui futa era stata un piccolo bocciolo di rosa che la società non aveva ancora insozzato con le brutture del mondo - a sentire sakurai era ancora un cucciolo di corgi da coccolare e tenere al sicuro - ma la verità, in fondo, era che nessun Calice poteva essere davvero pacifico.


Non quando la unica, sola, universalmente riconosciuta piromane del COWT, colei che faceva tremare il Def con le sue minacce di incendiargli casa, Tabata le aveva tutte indottrinate all'incendio doloso. Solo perché adesso lei e Liz non erano presenti, trattenute da un matrimonio (sicura strategia avversaria, mica un’occasione felice dove sfondarsi di cibo com’era giusto fare), non significava che i loro insegnamenti non venissero comunque messi in pratica con diligenza e attenzione.


«Oh no!» la voce di nemi le riporta tutte all'attenzione. Si voltano a guardarla come se si fosse appena messa nuda in mezzo alla strada per decidere quale svincolo prendere «Hanno segnalato qualcosa! Il contatore dell'andamento settimanale sta vibrando fortissimo!»

«IT'S OVER NINE THOUSANDS!»

«Vabbè ma quello era superato già ieri sera.» dice shiroi, solo per sentirsi poi dire dalla ragione del caos, ossia hapworth «Però dirlo faceva effetto. E' una importante citazione anni novanta.»


Siccome il vecchiume abbonda nelle fila dei Calici, ci sono solo annuire vari per una manciata di secondi. Poi, nemi può finalmente riprendere: «Hanno sganciato su M5! Su M3! Su M4! Sono ovunque!»

«Oh no, e se arrivano anche su M1?»

«C'era qualcuno che stava scrivendo...»


Si affaccendano tutti a cercare dai loro documenti di squadra, mentre c'è chi scorre le chat per ritrovare messaggi, schemi, riassunti dei riassunti dei— salve a te, palpitante colomba, che madonna slackbot stai zitto ci servono i dati.


Tutto sembra perduto quando dal nulla si ode il rumore che la bara di Dracula deve aver fatto più o meno in ogni adattamento cinematografico conosciuto. Ne esce qualcosa di potentissimo.


«HO FINITO I BARBARI» esclama janie «POI HO VISTO IN ARCHIVIO CHE HO M1, M3, M6»

«Janie» Marcie la interrompe «non abbiamo una M6 questa settimana.»

«E VABBE' NON IMPORTA LA FACCIO DIVENTARE M3 PURE QUESTA!» replica come se non ci fosse alcun problema a passare dall'una all'altra e donando nuova speranza ai Calici. Un tonfo sordo fa alzare a tutti lo sguardo, cercando la natura del rumore. Poco più in là, nell'angolo buio del pulmino, quello che tutti avevano cominciato a pensare fosse soltanto un insieme di strumenti che in effetti non usava nessuno di loro si trasforma in flan. Ha l'aspetto deperito di chi non dorme da settantadue ore e la mano brillante trema appena nel tirare su un tablet.


akemi, la più vicina, le è velocemente accanto. Flan le mette il tablet tra le mani: «Questo è tutto ciò che ho potuto fare. Potrà non essere molto in termini di PR, ma...» akemi si assicura di prendere il prezioso oggetto tra le mani. Marcie scuote la testa, abbracciando la piccola futa che non riesce a tenere gli occhi su questa tragedia che si compie.


«Hai fatto ciò che potevi,» pronuncia Donut, che al momento è un po' il bonzo Sanzo ma in fondo va bene così «saranno PR preziosi.»


Flan le rivolge un ultimo sorriso prima di sparire di nuovo nel suo antro oscuro.


Si danno qualche momento per assimilare la cosa. La loro partecipazione a questo gioco è stata come l'hully gully. Qualcuno può giurare di aver sentito, dopo i primi giorni di battaglia, riecheggiare un se prima eravamo in quindici... ma nessuno ha mai avuto tempo di sincerarsene davvero. In compenso, dal nulla un orrendo suono gutturale sembra risalire allo stesso modo in cui Satana risalirebbe dagli Inferi se non ci schifasse tutti così tanto dal guardarsene bene. Poco dopo si rendono conto che il rumore viene dal posto di guida.


sakurai le fissa. Loro fissano lei. Poi, hane comincia a ridere come un vero villain della disney «Muahahah... Muahahahah... MUAHAHAHAH.»


«Credi sia impazzita?» sussurra Donut a shiroi. Si guardando per qualche momento e poi scuotono la testa: hane che impazzisce è ordinaria amministrazione.


«Che qualcuno le prepari un caffè.»

«Fate tre nella stessa tazza, ormai uno non le fa più niente.» corregge sakurai prima di guardare orripilata il Calice alla guida e lasciar trapelare un vago, lievissimo panico nel dirle «hane guarda la strada per l'amor di dio.»


L'odore di caffè presto riempie l'aria, insieme al rumore del frenetico picchiettare di tasti dei portatili. Ogni singolo Calice brilla del sudore, del sangue - color oro prosecco, naturalmente - e lacrime con cui sta cercando di andare avanti. Di non arrendersi. Perché potranno aver piccionato con orgoglio e forse piccioneranno ancora, ma sarà sempre con onore. Non si dovrà mai poter dire che la settimana sia passata senza il massimo impegno, senza chi scrive di notte, senza spaccio di gatti e cani per risollevare gli spiriti (qualcuno potrebbe essere stato rapito lungo la via), video on the road, eco di ma il limone di Calico?!, e voglia di rivoluzionare il mondo.


«Un ultimo sforzo!» incitano hapworth, Marcie e unlikely - che ignora la sua prole di piccoli bricchetti di vetro perché gli Inca saranno pure finiti ma la guerra no - mentre shiroi, nemi e donut si assicurano che i contatori stiano funzionando e i fogli di calcolo facciano il loro lavoro. Akemi, Janie e futa scrivono come se ne andasse delle loro vite, come se non potessero fare altro, le dita infuocate (stavolta nessun piromane è colpevole) a sfrecciare sulla tastiera.


«3.5k e sto su m4!» esclama Akemi, seguita a ruota da futa che: «Ho postato qualcosa da qualche parte e ora cerco di fare qualcosa da qualche altra parte!» mentre Janie, Calice istancabile, ulula alla luna: «4.5k su M3 E MO CONTINUO.»


Hane suda, al volante, e si scambia un'occhiata con sakurai. Riconosce nello sguardo dell'altro Calice quello specifico momento in cui lo spite è più forte della logica. La vede occhieggiare l'orologio sul cellulare. La vede aprire il blocco note. Con urgenza cerca l'appoggio di shiroi, moglie che potrebbe farla rinsavire, ma lei è lì con i suoi schemi e la sua m2 che fra un po' diventerà una m12 perché un certo Chuuya sta rendendo difficile chiuderla.


sakurai sistema gli occhiali sul viso: «Adesso scrivo una m3 sul nostro road trip.»


In lontananza, un suono fa sì che tutte si fermino anche solo per un istante. Il verso di un piccione in avvicinamento.


Liz e Tab stanno tornando.

 
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2022-03-26 03:02 pm
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Through (week 5, m5)

Prompt: Ghiaccio
Missione: M5 (week 5)
Parole: 666
Rating: teen up
Warnings: original




Quando era piccola sua madre le raccontava di come un regno fosse fatto più dai sudditi che dai reali. Per quanto la storia del mondo conosciuto asserisse spesso il contrario e per quanto ci fossero i regni oltre l'oceano a impegnarsi per dimostrare il contrario con sovrani a volte egoisti e altre troppo arroganti, se non ci fossero stati sudditi non avrebbe avuto senso per loro essere re e regine. Iris ascoltava in silenzio, mentre sua madre la portava in braccio attraverso i territori meno esplorati del regno - la foresta, in cui pochissimi si muovevano perché la maggior parte delle persone avrebbero smarrito la strada in un attimo, oppure il piccolo lago a nord del palazzo reale dove si recava solo qualcuno abbastanza vicino mentre quasi tutti preferivano il lago principale del regno, più grande e semplice da raggiungere. La teneva stretta a sé e le mostrava le bellezze di Echait: lo chiamavano il regno di ghiaccio da secoli ormai, molti più di quelli passati come Stato neutrale, e non perché le persone che lo abitavano fossero scontrose o altro. Semplicemente per tutto l'anno la terra era ricoperta di quello stesso ghiaccio e dalla neve, senza conoscere mai l'estate calda o la brezza primaverile profumata dai fiori.


«Il nostro regno è un luogo che in tanti non riescono a comprendere, perché è molto freddo.» le aveva spiegato una volta «Ma vedrai. Il ghiaccio nasconde molto più di quello che gli altri vedono.»



Non ha avuto molto tempo in più, non abbastanza perché sua madre potesse spiegarle cosa c'era da sapere. Ha dovuto imparare da sola il resto, scappando dalle guardie che suo zio metteva a sua protezione (o suo controllo) e percorrendo i sentieri meno battuti, fino ad abbandonarli del tutto. E' andata spostandosi per mesi in zone impervie, il ghiaccio come unica compagnia, e ha continuato nonostante tutti le dicessero di smettere. Ha cercato di rincorrere l'ombra di sua madre e delle sue parole, di vedere oltre, di scovare un tesoro nascosto per il quale non gli erano mai stati dati né indizi né mappe, ma solo una vaga rassicurazione che ci fosse qualcosa da trovare. A chiunque sarebbe bastato per lasciar stare dopo qualche tentativo, ma Iris anche volendo non avrebbe potuto - perché suo zio ha preso ciò che sarebbe dovuto essere dei suoi genitori e ha cominciato a distruggere quello che hanno costruito.


Iris ha solo tredici anni, non può combatterlo senza una corona sulla testa e il popolo lo rifiuta ma non può spodestarlo.


Sogna il ghiaccio più vivido di quando lo vede con i suoi occhi durante il giorno. Sogna di valanghe che la travolgono ma non la feriscono, di stalattiti che all'improvviso si spezzano e crollano sul terreno, senza ferirla, come se la stessero evitando di proposito. A volte intere caverne di ghiaccio le rimandano il vago e distorto riflesso di cui non riesce a distinguere i contorni, perché il ghiaccio non è vetro; verso la fine del sogno crollano sempre, ma  alla fine Iris è fuori e guarda le macerie. Il ghiaccio stride, stride, come se qualcuno graffiasse su una superficie di metallo. E' insopportabile. 


Nonostante questo va ogni giorno, i piedi una volta sollevati mentre stava al sicuro tra le braccia di sua madre ora sono nudi, sul ghiaccio. Dovrebbe essere impraticabile ma non lo è, dovrebbe essere troppo freddo perché la pelle possa starci a contatto, ma non è così. Il lago, su cui non è consigliabile muoversi, lo attraversa con l'assurda incoscienza di chi è sicuro di non rischiare nulla. La lastra di ghiaccio non si spacca mai sotto di lei, come se il territorio volesse proteggerla a ogni costo e si modificasse contro ogni legge fisica solo per lei.


Il popolo la vede mescolarsi fra loro, quando fugge dal castello, e la tratta con l'amore che si potrebbe avere per una divinità e al tempo stesso per la propria figlia. Il ghiaccio, rispondendo a uno dei più antichi rituali del mondo, la protegge di riflesso.

 
hakurenshi: (Default)
2022-03-26 03:01 pm
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Dakene (week 5, m5)

 

Prompt: Drago
Missione: M5 (week 5)
Parole: 536
Rating: teen up
Warnings: original



Sa bene che la sua è un'opinione assolutamente di parte, ma Ivirenth ai suoi occhi è il posto più bello della terra. Non importa cosa il resto del continente possa offrire o che la sua isola sia all'estremo nord-ovest della piantina o, ancora, che siano davvero in pochi quelli che ci si avventurano - per non dire quasi nessuno. Non si sente di poterli davvero biasimare, però: tra le leggende sulla maledizione che colpisce chiunque con cattive intenzioni si avvicini all'isola, le voci per cui sarebbe disabitata e dunque meta sconsigliata per qualsiasi mercante che si ritroverebbe a non avere nessuno con cui fare affari, e la paura generale dell'ignoto non si può dire siano la migliore meta turistica che il mondo possa offrire. Nonostante questo, Dalyar è cresciuto qui, è la sua terra e a volte gli è pesato non poterla condividere. 


Anche ora che frequenta l'Accademia vorrebbe condividerla di più, vorrebbe poter dire che il mondo oltre l'oceano esiste, è formato da scogliere meravigliose. Vorrebbe poter parlare della sua famiglia. Del motto della sua isola - mai più schiavi - che lo rende così fiero. Però ogni giorno il mondo gli ricorda che non può perché lui è Dalyar, erede dei Gazewintergilde, l'ultimo clan di draghi rimasto vivo. Coloro che maledicono chiunque metta piede su Ivirenth.


Il mondo, ha imparato molto presto, non è gentile con quelli come lui e non ha spazio da offrire.


*


La realtà di essere diverso non l'aveva mai nemmeno sfiorato, da piccolo. Difficile quando tua nonna può mantenere una forma del tutto umana così come essere completamente drago, maestosa nelle sue squame scure. Complesso se poi tuo padre, drago per metà, ha passato tutta la tua infanzia a tenere la coda squamata ben visibile da sotto la veste, un po' per farti giocare e un po' per lasciarti credere, mentre ancora cerchi di controllare il corpo abbastanza da nascondere i tratti non umani, che anche non riuscirci va bene. Seppure tutto il mondo dovesse vedere gli occhi di drago, andrebbe bene. Così Dakene ha lasciato che suo figlio giocasse con la sua coda tanto quanto amava fare con i suoi capelli lunghi. Poi è nata sua sorella minore, per cui le caratteristiche da drago erano leggermente meno evidenti; ma dopo ancora sono giunti i gemelli, uno a fare bella mostra della coda e l'altra delle piccole corna sulla fronte.


Dalyar aveva appena dodici anni quando alcuni umani si avvicinarono abbastanza da poterli osservare da vicino. Lo stesso giorno gli è stata data la caccia come un animale, ha visto suo padre trasformarsi in drago e quasi ucciderli, ha sentito la voce di sua nonna risuonare minacciosa nelle loro teste e intimargli di andare via se non volevano che la maledizione si scagliasse non solo su di loro ma sui loro figli. Ha scoperto che un attimo prima di morire sotto le percosse piene di odio e paura degli esseri umani, il suo corpo diventa resistente come un diamante, le squame gli ricoprono la pelle.


E' la prima volta che vede suo padre tornare alle sue sembianze umane e piangere come un bambino, chiedendogli scusa.


Ancora oggi Dalyar, quando allo specchio vede un paio di occhi di drago guardarlo di rimando, non capisce perché.


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2022-03-26 02:57 pm
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Close enough (week 5, m5)

Prompt: Oscurità
Missione: M5 (week 5)
Parole: 657
Rating: teen up
Warnings: original





Ugetsu ha avuto un'infanzia felice. Ci sono tanti tra gli ability user che non possono dire lo stesso e ormai è quasi strano sentire uno di loro - specie della sua generazione - dire di essersela passata bene, di non aver subito la discriminazione o di aver potuto dire di essere diverso e non doversene pentire poco dopo. Ugetsu non si considera benedetto, ma neanche maledetto. Sarebbe potuta andare molto peggio ma non è stato nemmeno un privilegiato. Ha ricordi vaghi della prima volta che ha manifestato il suo potere, ma non ricorda grossi incidenti. I suoi genitori erano già piuttosto familiari con le abilità, dal momento che suo padre ne aveva una e si aspettava di poter passare il gene alla sua prole, e anche quando Ugetsu ha cominciato a sentirsi più a suo agio in un'oscurità che poteva controllare piuttosto che in una luce in cui non trovava niente di speciale, hanno lasciato che potesse apprendere i propri limiti e studiare quanto lo incuriosiva.


Non ci sarebbe stato alcun problema se negli anni della sua adolescenza un altro ability user non avesse perso completamente il controllo, causando danni incredibili e anche dei morti. Lo avrebbe riguardato relativamente poco se non avessero avuto lo stesso tipo di potere: manipolazione dell'oscurità.


*


Alcune abilità sono molto esclusive, al punto che trovare due coetanei o due persone comunque molto vicine di età con la stessa è piuttosto difficile. In alcuni casi impossibile. Ma ce ne sono anche altre, come quelle elementali, che invece si prestano molto meglio. Crescere come manipolatore dell'oscurità quando il Governo del tuo Paese non si è ancora ripreso da quando l'ultimo come te ha dato di matto non è divertente e non è facile. La serenità con cui la sua famiglia approcciava la sua abilità è diventata tacita paura, tentativo di non causargli mai sbalzi d'umore per paura che potesse perdere il controllo anche lui. Le amicizie, i compagni di scuola prima e i colleghi di lavoro poi si sono trasformati in distanze impossibili da colmare.


Ugetsu ha passato tutta la sua infanzia a trattare l'oscurità come la compagna più fedele, il gioco più divertente e una parte di sé quasi più simpatica di come sarebbe stato senza; non le ha mai dato un'accezione negativa, nessun mostro pronto a uscirne per divorarlo, nessuna persona crudele a rappresentarla.


Anche il giorno in cui sente dire a un uomo «Ho votato per ucciderlo quando era fuori controllo, nonostante tutto, e lo farei di nuovo se fosse necessario.» e capisce che si parla di quel ragazzo la cui unica colpa è stata avere un'abilità e perdere di vista cos'era giusto per una manciata di giorni. Non è che Ugetsu non capisca la gravità di quanto successo. Solo che sarebbe potuto essere lui.


*


«Smettila! Smettila di seguirmi con quel robo di oscurità! Vattene! VATTENE!»


Yuuya salta dal tavolo al divano, quasi buttando per terra Akemi. Un'imprecazione risuona nella stanza, qualcosa di inadatto alle delicate orecchie di un quattordicenne che a causa sua ha appena perso parte del controllo sulla sua abilità e ora si ritrova in forma ancora umana ma con orecchie e coda da gatto. Ugetsu ride e aumenta il passo, gli va dietro per continuare a stuzzicarlo - dalla sua mano, come un prolungamento del suo braccio, l'oscurità che può controllare prende la forma quasi di una corda che sinuosa si piega a mezz'aria per inseguire il povere Yuuya. Tutti pensano che Ugetsu lo faccia solo per il gusto di maltrattarlo e molestarlo; benché questo lo offenda terribilmente, continua perché vorrebbe che il più giovane smettesse di aver paura di un controllo che è normale non abbia ancora, visto come nessuno si sia mai preso la briga di aiutarlo.


Per far questo manipola la sua oscurità, le fa prendere la forma di una di quelle simpatiche mascotte che si potrebbero trovare in un anime: «Yuuya-kun! Vieni, avvicinati! Amanda vuole riempirti di amore, non vedi?! Amala! Amami! AMACI!»