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Prompt: Percy Jackson

Missione: M4 (week 7)
Parole: 5947
Rating: teen up
Warnings: AU, linguaggio colorito, shonen-ai



Al campo gli hanno spiegato, poco dopo il suo arrivo, che in genere i primi ad arrivare erano i figli dei cosiddetti “Big Three”, ma che si trattava al tempo stesso dei semidei più rari. Al suo ingresso, infatti, solo tre - uno per divinità - erano stati accolti e riconosciuti. Perciò quando Shouto ha varcato la metaforica soglia del campo a soli dieci anni, il mondo ha pensato che fosse un altro figlio di uno dei pezzi grossi. Qualcuno forse ha persino scommesso su di lui, invece Ares lo ha riconosciuto come sua prole prima che chiunque altro potesse avanzare strambe ipotesi. Essere semidio da parte di padre significava automaticamente che sua madre doveva averlo conosciuto e Shouto non riusciva a immaginare come una donna come lei potesse aver attirato l’attenzione del dio della Guerra. Ricorda di averci pensato quando l’estate è passata ed è potuto tornare a casa; quando è tornato tra mostri fatti di silenzi e prove insuperabili costruite di ostacoli composti da segreti e litigi tra sua madre e il padre che Shouto pensava fosse il suo fino a pochi mesi prima. 


Visto che per tutta l’estate era stato bravo, si era addestrato e non aveva chiesto mai nemmeno una volta che suo padre venisse a parlare con lui dopo la sera in cui lo aveva riconosciuto ufficialmente, Shouto aveva pregato una sola sera. Sperato in cuor suo che Ares potesse sentirlo e pensare che, se un figlio sempre silenzioso gli si era rivolto, doveva essere qualcosa di importante.


Ares non aveva mai risposto. Dall’anno seguente, Shouto ha smesso di tornare a casa. Non ha mai più parlato con Ares da quel giorno.


*


Inevitabilmente Shouto ha finito per essere il semidio con più perle al collo, subito dopo i tre figli di Zeus, Poseidone e Ade. Mirio, Nejire e Tamaki sono stati la cosa più vicina a dei fratelli e una sorella maggiore che Shouto potesse avere al di fuori della Cabina 5, anche se a conti fatti ha forse trovato più analogie con il figlio di Ade che con gli altri due. Per anni Nejire gli ha fatto notare che «Dovessi scommettere le mie dracme, non direi mai che sei figlio di Ares!» e non si è mai sentito di darle torto, perché l’irruenza non è mai stata nelle sue corde e, all’inizio, nemmeno la competetività. Quella è arrivata un poco con gli anni, venerdì dopo venerdì in cui è stato costretto a partecipare a “cattura bandiera” perché così era per chiunque nel campo. 


Poi è arrivato Bakugo Katsuki, pieno di graffi e lividi, dodici anni e già pronto a sbraitare come se ne avesse molti di più e ne avesse viste troppe per avere ancora la forza di mantenere la calma. Se ne fosse stato capace, di certo sarebbe esploso e avrebbe poi dato fuoco all’intero campo e - per questo - nessuno si è davvero stupito quando il simbolo di Ares lo ha indicato come suo figlio, proprio come successo a Shouto anni prima. Bakugo ha dimostrato di essere la perfetta rappresentazione di cosa ci si aspetta nel cercare di immaginarsi la prole del dio della Guerra. 


Shouto ricorda di averlo osservato arrivare al tavolo, accolto da amichevoli pacche sulle spalle che l’altro ha guardato male per tutto il tempo e di aver infine incrociato il suo sguardo. Bakugo ha guardato lui, Shouto ha fatto lo stesso e ha aperto bocca per dire qualcosa - senza sapere bene cosa - interrotto ancora prima di cominciare da un: «Che hai da guardare? Vuoi un pugno in faccia?!»


Lui e suo fratello non potrebbero essere più diversi.


*


Hanno quattordici anni quando cominciano ad arrivare, uno dopo l’altro, alcuni di quelli che di lì a solo qualche mese diventano “il gruppo di Bakugo”. I primi sono Kirishima e Kaminari, recuperati da un paio di satiri in ricognizione: sono abbastanza malconci, ma di sicuro non buttati troppo giù nello spirito a giudicare da come Kirishima continua a parlare di come debba diventare più forte così da lanciare via quell’arpia la prossima volta e come Kaminari continua a fare battute idiote per alleggerire la stessa tensione che Shouto gli riconosce con facilità nel modo in cui ha le spalle irrigidite. In pochi giorni vengono rispettivamente riconosciuti dai loro genitori divini, Nike ed Ermes, e quasi subito si alleano con Bakugo contro la volontà di quest’ultimo.


Uraraka Ochaco e Iida Tenya arrivano dopo quasi un mese durante la stessa estate. Sorprende abbastanza che siano molto meno ammaccati dei due che li hanno preceduti, il che - da quanto Shouto sente dire tra le varie voci durante la cena - sembra essere merito della tendenza di entrambi a essere prudenti e prediligere la fuga con meno danni possibili al combattimento per l’orgoglio. Vengono riconosciuti a due sere di distanza: prima lei, come figlia di Apollo, e dopo lui come figlio di Efesto. Non sono attaccati a Bakugo quanto Kirishima e Kaminari, ma l’essere coetanei aiuta parecchio. Quello stesso anno Yaoyorozu Momo, della Cabina di Atena, lo avvicina per chiedergli di studiare greco antico insieme durante la settimana. Shouto accetta, senza sapere ancora che è il primo passo verso quella che sarà la sua prima amica.


Ci vogliono due anni prima che Midoriya Izuku raggiunga il campo mezzosangue per la prima volta, in estremo ritardo per la maggior parte dei semidei. In questo lasso di tempo Shouto non ha collezionato molti più amici rispetto al passato: c’è sempre Momo, ogni tanto Inasa della Cabina di Nike lo approccia in modo rumoroso e lo convince a fare qualche esercizio con armi insieme. Per assurdo finisce a legare più del previsto con Tamaki - per la prima volta da quando è arrivato i silenzi in presenza di un’altra persona non sono più mostri, ma una parte di lui con cui potrebbe riuscire a fare pace. Ogni tanto parlano, anche. Tamaki un giorno gli dice «Mio padre non è male come tutti credono.» e Shouto vorrebbe poter dire lo stesso o vorrebbe avere un’opinione forte in merito da poter offrire. Invece si limita a dirgli «Okay.» e Tamaki sembra sollevato.


Quando Izuku arriva e viene riconosciuto da Atena, Bakugo sembra voler dare fuoco a tutto il campo mezzosangue al solo scopo di assicurarsi che nell’incendio doloso ci finisca di mezzo Midoriya. Il suo gruppo di amici, ormai consolidato, smorza di continuo la tensione e riesce a far sembrare la sua rabbia meno problematica e al tempo stesso fanno amicizia anche con Midoriya e lo coinvolgono abbastanza da non farlo sentire colpevole di non si sa bene cosa. Shouto viene a sapere che sono compagni di scuola durante l’anno, fuori dal campo mezzosangue, e che sono cresciuti insieme perché la madre di Bakugo e quella adottiva di Izuku si conoscono. A un certo punto Shouto e Midoriya finiscono insieme a occuparsi del pranzo durante uno dei giorni della settimana e Shouto capisce che c’è molto di più di quanto sembri, in lui. Non è sicuro di essere adatto a scoprire di cosa si tratti, ma la considera una possibilità. 


Midoriya un giorno, poco prima di lasciare il campo alla fine dell’estate e mentre il banchetto dell’ultimo giorno vede sorrisi e chiacchiere ovunque si posi lo sguardo, gli dice «Mi dispiace che tu rimanga da solo per tutto il resto dell’anno, Todoroki-kun.» ed è sincero, Shouto lo capisce subito. Non può fare a meno di guardarlo sorpreso e confuso, perché tutto ciò che sa di Midoriya fino a questo punto è quanto poco Bakugo lo sopporti e quanto invece Momo sia contenta di averlo come altro figlio di Atena, o come Iida e Uraraka abbiano subito stretto amicizia con lui. 


Non sa cos’hanno in comune e non ha idea se possano essere amici anche loro.


*


L’anno tra i suoi sedici e i suoi diciassette anni lui e Tamaki legano al punto tale che passano buona parte del tempo libero insieme, forse anche perché Nejire e Mirio sono tornati dalle rispettive famiglie umane per quell’anno, cosa a cui Shouto si sottrae più che volentieri - e apparentemente lo stesso vale per Tamaki. Il figlio di Ade gli chiede persino di restare in cabina con lui, a un certo punto; Shouto non ha voglia di tornare nella propria, per quanto ormai sia abituato ai fratelli e alle sorelle di Ares, quindi rimane. E’ strano, quasi come avere una camera privata, perché la cabina di Ade è grande abbastanza da ospitare diversi figli e occuparla in due non è così diverso dallo stare in un albergo da soli. 


Quando arriva l’estate e il campo mezzosangue si riempie di nuovo con tutti i semidei che tornano dalle loro rispettive case, Midoriya va subito a salutarlo. Shouto nota che lui e Bakugo sembrano avere un rapporto vagamente più decente, se si può considerare tale, e che quando Izuku finisce di parlare con lui raggiunge un altro ragazzo non troppo distante. Shouto lo conosce di vista perché, come la maggior parte degli altri della sua età, li ha visti arrivare nel tempo: Hitoshi Shinsou è giunto poco prima di Midoriya e quasi subito è stato riconosciuto da Afrodite. Shouto ha sentito su di lui voci che discordano di parecchio con ciò che vede tutti i giorni al campo mezzosangue: chi è andato in missione con Shinsou sostiene non sia una persona collaborativa e, in generale, qualcuno che in tanti preferirebbero non avere tra le proprie fila - uno dei poteri più conosciuti dei figli di Afrodite, la capacità di usare bene le parole tanto da influenzare gli altri con il potere per la propria voce, non li rende apprezzati tra chi ha il preconcetto di vedere in loro persone che potrebbero approfittarne. Insieme al loro saper mutare aspetto, avere controllo sull’amore e il desiderio, sono spesso letali tanto quanto sono belli. Dal poco che ha notato Shouto, Shinsou non si è proprio sprecato a circondarsi di amici negli anni, non più di quanto abbia fatto Shouto stesso. 


Scosta lo sguardo da lui e Midoriya quando Momo si avvicina a chiedergli se abbia passato un buon anno. 


*


«Todoroki!» esclama la voce di Kirishima, capace di farsi sentire da una parte all’altra del campo mezzosangue senza difficoltà se necessario. Shouto abbandona la posizione di guardia, abbassando la spada solo dopo essersi assicurato che uno dei suoi fratelli abbia capito che stanno per fare una pausa. Ha già imparato a sue spese quando era più piccolo che è sempre meglio essere molto chiari con un figlio di Ares con cui stai facendo allenamento con un’arma. Una volta sicuro si sposta dall’arena così che intanto possano utilizzarla altri e si avvicina al figlio di Nike. 


«Devo chiederti una cosa molto seria.» esordisce Eijiro e questo è molto diverso da cosa succede di solito. In genere l’altro lo avvicina per chiedergli di allenarsi insieme, uno contro uno, e come lui Inasa; i figli di Nike non amano la sconfitta e non amano tirarsi indietro di fronte alla possibilità di una sfida, pertanto Shouto ha dovuto imparare che se qualcuno deve mettere un freno ogni tanto quello è lui. Qualsiasi altro figlio di Ares - o almeno una buona parte di loro - accetterebbe e infatti non è strano vederli darsele di santa ragione, ma Shouto non può e non vuole passare tutta la giornata in quel modo. 


Eijiro si guarda intorno per un attimo e poi gli fa cenno di seguirlo, in un implicito “non qui” a cui Shouto non può fare altro se non annuire e seguirlo. Si muovono tra le varie aree di allenamento, passando per quella di tiro con l’arco dove i figli di Apollo si stanno destreggiando in una gara tra fratelli, e deviando leggermente verso le cabine. Superano anche quelle senza che Eijiro dica una sola parola e si fermano solo dove è facile intravedere le tavole dove si riuniscono tutti a mangiare. L’orario distante tanto dal pranzo quanto dalla cena fa sì che non ci siano effettivamente troppi semidei in giro. Forse anche per questo è facile riconoscere Kaminari che, nel vederli in avvicinamento, fa un cenno amichevole a entrambi.


Gli è sempre meno chiaro cosa possano volere da lui, almeno finché Eijiro non lo fronteggia e dopo una manciata di secondi un po’ troppo lunga riesce a farsi uscire di bocca: «Tu e Tamaki state insieme?»


Shouto lo guarda. Si aspetta il momento in cui Kaminari farà un battuta, gli darà una pacca sulla spalla e tirerà fuori il vero motivo per cui sono lì ma questo non succede e alla lunga il silenzio comincia a diventare imbarazzante. Shouto inarca un sopracciglio e alla fine si limita a un «No?» come se non capisse da dove venga fuori la domanda, e in effetti è così. Vede gli altri due guardarsi e poi tornare con gli occhi su di lui.


«Non è un problema,» comincia Eijiro per poi fare un verso frustrato «cioè è un problema perché sei un rivale temibile, Todoroki, ma non mi tiro indietro di fronte a una sfida e sono sicuro che giocheresti pulito. Quindi posso accettarlo e alla fine ognuno farà la sua parte e sarà Tamaki a scegliere!» assicura, dando voce a quello che nella sua mente deve essere un insieme di considerazioni fatte da chissà quanti giorni o settimane. Apprezza il discorso, ma il problema di fondo rimane sempre lo stesso.


«Io e Tamaki non stiamo insieme e siamo solo amici.»
«Ma… uno dei figli di Afrodite ha detto che siete rimasti per tutto l’anno, questa volta, e che hai dormito spesso da lui.» ribatte Eijiro incerto. Shouto non fatica molto a capire che l’altro deve essere molto combattuto, perché dare retta alle voci di corridoio non è affatto nel suo stile ma forse in questo caso e di fronte a qualcosa che lo tocca da vicino, ha ceduto abbastanza da voler chiarire la cosa. Lo apprezza, più dell’alimentare il pettegolezzo di sicuro.


«Ho dormito in cabina da lui, sì.» conferma «Ma non è quello che credi, né quello che crede il figlio di Afrodite che te lo ha detto.»


Kaminari dà una pacca sulle spalle a Eijiro, offrendogli frasi di conforto come “visto? Te l’avevo detto che bastava chiedere” e “Todoroki dice sempre la verità quindi stai tranquillo”. Si sente abbastanza lusingato dalla fiducia, ma visto che non c’è altro da fare per lui, decide di muoversi per tornare indietro. Eijiro lo invita ad allenarsi insieme, ma rifiuta per questa volta; il campo di fragole non può certo raccogliersi da solo e lui è di turno per oggi.


*


Tutti amano “cattura bandiera” o, se non lo fanno da subito, finiscono per farlo con il tempo. Le motivazioni sono diverse per tutti: c’è chi è competitivo per natura, chi lo diventa, chi ama il gioco di squadra e la strategia, chi ama la vittoria di per sé, chi sfrutta l’occasione per migliorare le tecniche di combattimento e averne un riscontro, chi lo fa per spirito di coesione con il resto dei compagni. 


Shouto la detesta. Riesce forse ad apprezzarne il senso strategico ma, per il resto, odia essere costretto a parteciparvi ogni venerdì perché è tradizione e non aiuta essere uno dei pochi a non amarla. Specialmente quando si è figli di Ares e tutto il resto del campo mezzosangue dà per scontato che questa sia una ragione sufficiente per avere voglia di combattere ogni settimana per recuperare una bandiera. Ed è il motivo per cui, nel limite del possibile, cerca ogni volta di essere assegnato a una posizione che non comporti agire come uomo-chiave della partita. Evidentemente questa settimana suo padre deve averla presa sportivamente e così si è ritrovato nella posizione peggiore di tutte: a ridosso della bandiera avversaria.


L’ha notata e per un fugace istante ha pensato di ignorarla. Voltarsi dall’altra parte, deviare di pochissimo per finire fuori pista. Un po’ difficile quando alle spalle Kaminari Denki se ne accorge, ti fa un segno dell’ok e si dilegua quasi subito con la velocità propria dei maledetti figli di Ermes. A Shouto non serve Momo di Atena per sapere che l’altro è andato a comunicare tra gli altri membri che la bandiera è stata trovata e - quindi - di avvicinarsi per supportare Shouto. 


Apparentemente a difenderla c’è una sola persona; Shouto riconosce Hitoshi Shinsou quasi subito, seduto su una pietra come se fosse a fare tutt’altro che partecipare alla gara e solo per caso si fosse sistemato da quelle parti. Shouto decide di non muoversi di soppiatto, in buona parte anche perché non è il suo stile di combattimento preferito, così l’altro lo nota senza troppe difficoltà e non fa nulla per mettersi sulla difensiva. Shouto si avvicina fino a quando non ci sono che pochi passi tra di loro, una decina forse, e si ferma. Non distingue tutte le direzioni da cui avverte quella sensazione, ma è sicuro di avere diversi occhi puntati su di sé. 


In pratica se dovesse decidere di girarsi e andarsene via, almeno una dozzina di persone (destinate ad aumentare) lo vedrebbe. Le spiegazioni da dare sarebbero così tante che gli viene mal di testa già solo a pensarci. 


«Io tornerei indietro, se fossi in te.» Shinsou pronuncia, un sorrisetto divertito sulle labbra. Shouto quasi si aspetta di sentire su di sé il potere del figlio di Afrodite, ma questo non avviene; nessuna parte del suo corpo si muove contro la sua volontà, non sente la mente annebbiarsi. E’ invece fin troppo vigile e consapevole di anche troppe cose che lo circondano, così come della presenza dell’altro di fronte a sé. Non replica nulla, cercando di analizzare la situazione: la bandiera è più verso Shinsou che verso di lui - forse in un rapporto di otto passi contro due - ed è sicuro che per quanto veloce, se desse l’idea di volersene appropriare l’altro potrebbe fermarlo con facilità. D’altronde Shinsou non avrebbe motivo di accettare una sfida ad armi pari, con la spada che tanto lui quanto Shouto hanno al fianco, ancora nei rispettivi foderi. 


«Io lascerei la bandiera, ma non è fattibile.» commenta Shouto, in apparenza a consigliargli di arrendersi. In realtà, vorrebbe poter essere lui a lasciar perdere e andarsene altrove. A volte immagina che Ares, lì nell’Olimpo a guardarli come un padre normale vedrebbe la partita registrata del proprio figlio, abbia dei ripensamenti quando Shouto non sente di avere desiderio di combattere o sete di sangue. Quando alla forza bruta preferisce la strategia, anche se non sempre. Quando sembra che nulla gli faccia perdere la pazienza, lo attiri abbastanza da farlo lottare con le unghi e con i denti. Quando il suo onore gli sta a cuore ma non al punto da poter essere provocato dalla minima parola o insinuazione. 


Scuote la testa, sorpreso di ritrovarsi a lasciarsi in balia della distrazione di fronte a un avversario. Quando alza lo sguardo su Shinsou, trova un evidente stupore anche sul suo volto e una sorta di scetticismo, quasi. Forse incredulo di avere di fronte un figlio di Ares che non abbia ancora sguainato la spada gettandosi contro di lui per rubare la bandiera. Shouto allunga la mano a raggiungere l’elsa e non ha mai desiderato così tanto di non doverlo fare.


Ha appena stretto la presa e impresso una leggera forza per sguainarla, quando il suono del corno di Chirone decreta la sconfitta della sua squadra. Senza rendersene conto, rilassa le spalle e lascia andare la spada ancora nel fodero. 


Sente lo sguardo di Shinsou su di sé ma lo ignora con la scusa di doversi voltare per ricongiungersi ai suoi compagni.


*


Più tardi, dopo cena e mentre siedono attorno al fuoco, Kaminari sospira sconsolato: «Non si può vincere contro Bakugo, sembra sempre sul punto di voler uccidere tutto il campo mezzosangue solo per arrivare alla bandiera!» esclama, stanco come solo chi ha visto Bakugo puntarlo come un toro impazzito potrebbe essere. Uraraka, che è stata nella squadra di Shouto come Kaminari, dà un piccolo buffetto sulle braccia a entrambi.


«Non prendertela, Todoroki-kun,» pronuncia con un sorriso «Kaminari-kun ha detto che eri praticamente arrivato alla bandiera! Sono sicura che è stato solo questione di secondi tra te e Bakugo!»


Shouto annuisce e le lascia credere che sia così.


*


Gli fa molto comodo sapere che le occasioni di incontrare e interagire a lungo con Shinsou siano veramente poche. Per doverlo fare, in un campo pieno di semidei, Shouto capisce che dovrebbero crearsi delle specifiche situazioni: essere affidati allo stesso compito, ma potrebbe essere gestibile con altri semidei presenti; dover andare insieme in missione durante l’estate, ma può sperare nella legge dei grandi numeri; essere approcciato dall’altro, e lo ritiene molto poco probabile. 


I suoi piani vengono mandati all’aria dall’unica variabile possibile, ossia la presenza di Izuku a fare da mediatore inconsapevole in un turno di pulizia in armeria che vede loro due, Shinsou e due figli di Tiche presenti. Shouto è concentrato sulla lama di cui si sta occupando quando Midoriya gli si avvicina per un saluto che, inevitabilmente, si traduce in una chiacchierata. Shinsou all’inizio è una presenza silenziosa che offre solo un cenno di saluto con la testa e un mezzo sorrisetto che sembra essere sulle sue labbra per buona parte del giorno e a prescindere dalla persona con cui interagisce, quindi non è male. Shouto suppone di poter essere un ascoltatore silenzioso quando gli altri due cominciano a parlare per lo più tra di loro, sottovalutando enormemente la gentilezza di Izuku Midoriya che è stata finora più un sentore che una certezza.


«Uraraka-san dice che sei piuttosto bravo nel primo soccorso, Todoroki-kun! E che qualche volta durante cattura bandiera le hai dato una mano con alcuni semidei.» pronuncia lui e Shouto alza lo sguardo dalla lama che ha quasi finito di lucidare, cercando il viso di Midoriya. Gli basta un’occhiata per capire che non si tratti di una provocazione, ma è anche sufficiente a notare un vago interesse nell’espressione di Shinsou. Sospira, sperando che rispondere a quelle parole non comporti aprire una parentesi sulla tradizione del venerdì di cui non è pronto a discutere con il figlio di Afrodite presente.


«Ogni tanto. Ma Uraraka-san è una figlia di Apollo, non siamo paragonabili.» afferma, forse tagliando corto in maniera fin troppo evidente. Midoriya non ne pare disturbato e addirittura non sembra cogliere il suo tentativo di chiudere l’argomento ancora prima di aprirlo davvero. Lo vede soppesare qualcosa per un momento, un mormorio basso in cui non riesce a distinguere le parole prima che si trasformi in un ben più udibile: «Proprio perché è una figlia di Apollo credo che il suo commento positivo sia incredibile! Ho provato qualche volta a bendarmi da solo qualche ferita lieve dovuta agli allenamenti in arena ma… è stata gentile abbastanza da non dirmi che sono una frana, ma credo lo abbia pensato. Sono del tutto negato! Forse è perché sono tanti anni che sei al campo rispetto a me?» ipotizza, una curiosità evidente nello sguardo. Shouto capisce che non c’è speranza di chiuderla con due parole a questo punto, specie quando Shinsou lo occhieggia e, con un incurvarsi di labbra divertito, rincara la dose con un «Già, sono curioso anche io di sapere come mai un figlio di Ares fa qualcosa di così fuori dall’ordinario per la Cabina 5.»


Shouto tace per qualche istante, chiedendosi quanto nelle parole del figlio di Afrodite sia una provocazione e quanto no. Ci sono numerose spiegazioni che potrebbe offrire, ma la più sincera è qualcosa che ora come ora ha condiviso una sola volta con Tamaki, in una notte alla cabina di Ade mentre si autoconvinceva che il buio e il silenzio si sarebbero portati via quel segreto, senza lasciare niente al risveglio. Non è qualcosa che è pronto a dire né a Midoriya, né a Shinsou.


«Sono arrivato al campo a dieci anni. Sono sette che mi alleno. Alla fine impari ad andare dai figli di Apollo solo per le cose gravi che non puoi fare da solo.» si limita a dire con una leggera alzata di spalle, tornando a occuparsi delle lame. Midoriya ha abbastanza di Atena, insieme a quella che Shouto sospetta essere una grande sensibilità, da farsi bastare quella risposta e commentare soltanto con la sua speranza di diventare presto autosufficiente così da non aumentare il lavoro di Uraraka e i suoi fratelli e sorelle. Shouto percepisce lo sguardo di Shinsou su di sé e l’assenza di commenti da parte dell’altro gli fa intuire che non sappia dissimulare quanto Midoriya, non quando si tratta di subodorare una storia non raccontata e una mezza verità offerta tanto per chiudere la questione. Shouto si autoconvince, invece, che se non alza lo sguardo e non concede un contatto visivo tutti e tre se ne dimenticheranno una volta lasciata l’armeria che li costringe a condividere gli spazi.


*


E’ l’inizio di Agosto quando il signor D. li chiama perché c’è una missione - nessuna profezia di lunga durata o con cui potrebbero decidersi le sorti del mondo, ma una come altre a cui Shouto ha partecipato. Quando raggiunge la casa principale per sentirsi dare le indicazioni necessarie, ci trova davanti altri semidei. Riconosce ovviamente Momo, così come di vista sa chi sia Jiro, grazie anche a qualche confidenza di Yaoyorozu che non ha chiesto ma che non ha avuto cuore di ignorare. Tetsutetsu di Nike è solo un nome associato a un volto e a una voce troppo alta e infine Shinsou. Chiude il gruppo Hatsume Mei di Efesto, con cui Shouto ha smesso di avere a che fare quando a dodici anni ha accettato ingenuamente di aiutarla a collaudare qualcosa ed è finito quasi schiacciato dai pegasi nella loro stalla. 


Tutto considerato, la missione dovrebbe richiedere al massimo una notte fuori, due se proprio dovessero impiegare più tempo del previsto. Partono di mattina all’alba e percorrono più strada di quanta avrebbero dovuto, riuscendo a concedersi una discreta pausa per mangiare e riposare, rimettendosi in cammino di buona lena nel primo pomeriggio. Diventa quasi subito molto chiaro che ci sono dei piccoli gruppi che si formano istintivamente quando si tratta di mangiare, anche se Momo è saggia e amichevole abbastanza da fare da collante tra tutti loro. Quando camminano, però, lei è avanti con Jiro e Tetsutetsu parla di migliorie per il combattimento contro le arpie con Hatsume. Questo lascia a Shouto la compagnia di Shinsou, piuttosto silenziosa per buona parte del tragitto, per sua fortuna. E’ chiaro però che non possa essere un’intera missione di nulla. 


Shouto è quasi consolato dal fatto che a un certo punto trovino il campo che gli è stato segnalato, sempre che di campo si possa parlare, e che i mostri lì lo obblighino a concentrarsi sulla battaglia anziché sul resto. E a maledire il fatto che siano molto più numerosi di quanto gli risultava sarebbero stati - Tetsutetsu è una forza della natura che perde però di lucidità fin troppo facilmente, mentre Momo non ha ancora davvero appreso quanto puntuali possano essere le sue strategie e i suoi approcci alla battaglia. Shouto capisce che sono un gruppo male assortito quando si accorge che la maggior parte di loro non è ancora sceso a patti con l’idea di poter essere un leader o più che competente nel suo campo. Riescono a liberarsi dei mostri ma non senza pagarne il prezzo con qualche ferita e se Shinsou non utilizzasse il potere meno apprezzato dei figli di Afrodite non andrebbe così di lusso. Shouto lo realizza quando persino lui viene stordito per qualche secondo da quel potere. 


Non può fare a meno di chiedersi, se questo è il risultato senza essere l’obiettivo di Shinsou, come sarebbe se invece il suo potere fosse diretto contro di lui?


Si chiudono tutti nel silenzio quando possono finalmente abbassare le armi; decidono di allontanarsi abbastanza nel caso arrivasse qualcuno, così da potersi occupare delle ferite lievi e di rifocillarsi in pace. Trovano uno spiazzo isolato abbastanza e si accampano lì. Mentre Momo discute con Mei dei turni di guardia, Jiro si occupa di sistemare le ferite di Tetsutetsu - non sorprende nessuno che la sua irruenza nel lanciarsi in combattimento gli sia valso più ferite di tutti gli altri messi insieme. 


Shinsou se ne sta per i fatti suoi, poco incline alla conversazione. Le uniche parole che Shouto gli sente pronunciare sono quelle per assicurare a Jiro di non aver bisogno di alcun tipo di cura. Cenano in silenzio, per così dire, e nemmeno i tentativi di Momo riescono a farli chiacchierare in maniera piacevole perciò alla fine lei stessa si arrende. Jiro si offre di fare il primo turno, ma prima dell’alba - quando sa essere il turno di Shinsou - i movimenti del cambio sono minimi, ma Shouto è già troppo vicino al risveglio per ignorarlo e riuscire a tornare a dormire come se nulla fosse. 


Quando si alza lo fa con movimenti lenti. L’odore del fuoco ancora acceso si mescola a quello dell’erba umida che li circonda. Si tira su a sedere, passandosi una mano sul viso, cercando di scacciare con un gesto la stanchezza che si sente nelle ossa. Non è mai stato tipo da riuscire a riposare bene mentre accampato in missione e questa non fa eccezione; quando finalmente lascia vagare lo sguardo nei dintorni, trova subito gli occhi di Shinsou su di lui, intenti a studiarlo. Non gli dice nulla e Shouto non ricerca per forza una conversazione, preferendo carburare lentamente fino a riuscire a svegliarsi del tutto. A essere onesto non si aspetta di sentire la voce di Shinsou chiedergli: «Preoccupato che possa ordinarti di fare due giri su te stesso e ballare con un gonnellino appena varcheremo di nuovo la soglia del campo mezzosangue?»


Shouto lo guarda, senza capire subito, riuscendo poi a cogliere l’ironia e il riferimento. Mentirebbe se dicesse di non essere stato stupito - non proprio positivamente - nel sentire la propria mente annebbiarsi e una sorta di spinta ad assecondare le parole di Shinsou, non importa quali o le loro implicazioni. Perciò decide di non mentire affatto. Dopotutto, immagina che questa non sia la prima volta che all’altro succede di ritrovarsi in questo tipo di situazione. 


«Non troppo.» ammette quindi, smuovendo leggermente il legno per lo più bruciato dal fuoco, ravvivandolo un po’ «In ogni caso non so ballare bene.» aggiunge. Kaminari, se fosse presente, potrebbe commuoversi all’idea che lui stia cercando di fare una battuta divertente ma la verità è che Shouto davvero si reputa abile nella danza quanto lo è nelle lunghe conversazioni e nell’essere l’anima della festa. Non potrebbe esserci uno più impedito di lui, in pratica.


Shinsou lo guarda e poi sbuffa, divertito: «Non credo a molti interesserebbero i tuoi passi di danza se indossassi un gonnellino, Todoroki.»


Shouto non è sicuro sia un complimento, ma in generale se potesse evitare di essere ridicolizzato di fronte a tutti i suoi fratelli - e il resto del campo - lo apprezzerebbe molto. Perciò scrolla le spalle, non sapendo bene cosa rispondere, se non un «Vuoi farmi ballare con il gonnellino quindi?» giusto per capire se debba davvero preoccuparsene o aspettarselo. Shinsou sembra prendere in considerazione la cosa per abbastanza tempo da inquietare il proprio interlocutore ma, alla fine, scuote la testa.


«Ci sono cose peggiori di quella da far fare a qualcuno. Un po’ tutti se lo aspettano, dai figli di Afrodite. Non che tutta la Cabina 10 abbia questo tipo di capacità.» aggiunge, ma sembra più un commento lasciato cadere, fatto senza la pretesa che gli altri vi prestino attenzione. Shouto non è granché in queste cose, non è il tipo a cui riesce bene distinguere cosa gli altri vorrebbero che importasse delle loro parole e cosa no, tranne quando è molto evidente. Shinsou non lo aiuta a capire se dovrebbe concentrarsi a chiedere quanti abbiano l’abilità di cui parla o se invece il focus sia se lui vorrebbe o potrebbe fargli fare qualcosa di peggiore. 


«Avresti potuto farmi tornare indietro,» decide invece di dire «quando ti ho trovato con la bandiera.»
«Tu avresti potuto provare a prenderla.» ribatte il figlio di Afrodite, non senza ragione. Shouto suppone che forse avrebbe dovuto evitare di riportare a galla l’avvenimento e d’istinto osserva gli altri, apparentemente ancora addormentati. Il cielo è ancora buio sopra le loro teste, quindi l’alba deve essere meno prossima di quanto pensasse. Questo lascia troppo tempo per una conversazione che forse non aveva voglia di portare avanti ma, d’altronde, è un pessimo attore e se anche fingesse improvvisamente di avere sonno Shinsou è probabile intuirebbe subito che si tratta di una bugia.


«Odio cattura bandiera.» ammette così, offrendo l’ennesima sincerità che rivolge a molti ma che nella sua forma assoluta è stata concessa solo a Tamaki, finora, e pochissime volte. Shinsou non sembra sopreso da questa sua confessione, ma nemmeno ha l’aria di chi ne fosse sicuro al cento per cento. Lo scruta, quasi cercasse la menzogna nei lineamenti del suo viso, nel suo respiro regolare, nel linguaggio del suo corpo. Quando non la trova, non lascia trapelare né soddisfazione né delusione.


«Sembra non ti piacciano un sacco di cose che invece piacciono ai figli di Ares.»
«Faccio quello che fanno tutti, tranne prendere la cattura di una bandiera come una questione personale.» spiega, ancora alla ricerca di un personale motivo per farsela piacere, per trovare uno scopo che vada oltre la semplice competizione e il singolo obiettivo. Sono anni che ci prova. Comincia seriamente a pensare di doversi arrendere, a dirla tutta.


«Forse.» concede Shinsou «Fai lo stretto indispensabile. Ma curi gli altri nelle retrovie quando necessario, non tratti da schifo Izuku al contrario del tuo discutibile fratello, non sei in competizione con nessuno su niente. Non sembra nemmeno importanti granché del riconoscimento di Ares.» aggiunge e forse, pensa distrattamente Shouto, Shinsou lo ha detto di proposito per stuzzicarlo. Potrebbe aver notato in lui cose che Shouto è sempre stato convinto di nascondere bene. E’ la prima volta che prova l’istinto di non tacere e tenere per sé un commento, tagliente o meno che possa rivelarsi.


«Ares ha abbastanza figli da poter evitare di aspettarsi qualcosa anche da me.» pronuncia, più gelido di quanto avesse preventivato di essere «E non deve per forza esserci merito nel combattere a occhi chiusi finché non si viene sconfitti.»


Il silenzio tra loro dura abbastanza, ma non così tanto da far pensare a Shouto che la conversazione possa dirsi conclusa. Shinsou guarda il fuoco ravvivato poco prima, poi alza gli occhi su Shouto neanche dovesse scrutargli dentro per tirare fuori più risposte e informazioni di quante lui sarebbe mai disposto a dare. Sembra trovare qualcosa di interessante, a un certo punto, e Shouto capisce di cosa si tratta quando l’altro dice: «Beh, per voi le cicatrici sono medaglie al valore.»


Si alza con un movimento così repentino che è solo quello di risposta di Shinsou - un mettersi in guardia non completo, ma dato dall’urgenza e dall’istinto - a fargli capire di sembrare probabilmente sul punto di attaccarlo. Questo lo ferma sul posto, gli inchioda i piedi sul terreno come se fossero l’unica cosa a impedirgli di cadere giù da un burrone. Il calore del fuoco sfiora le punte delle due dita e Shouto serra la mascella.


Dentro di lui una voce grida mille risposte per Shinsou. Vorrebbe dirgli che nessuno sano di mente si farebbe sfigurare solo per potersi vantare di essere uscito vincitore da una battaglia; che i mostri affrontati fuori dal campo sono stati peggiori di qualsiasi cosa affrontata dopo esserci entrato; che Ares può essere fulminato con tutto il resto dell’Olimpo, per quanto lo riguarda, perché non è e non sarà mai più padre di quanto lo sia stato quello che ha portato Shouto a scegliere di non tornare più a casa. 


Invece si gira, si allontana, e quando Momo apre gli occhi e nella lentezza del risveglio gli chiede dove stia andando, Shouto le lancia un’occhiata gelida e l’unica parola che le offre è: «Ricognizione.»


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Prompt: 10. “Perché non andiamo tutti e quattro a cena fuori, stasera?”
Missione: M3
Parole: 500
Rating: teen up
Warnings: original, linguaggio scurrile






 «Perché non andiamo tutti e quattro a cena fuori, stasera?» pronuncia Masaomi e per un fugace istante Akemi è convinto che sia impazzito. Alza lo sguardo su di lui e vista la posizione non deve impegnarsi molto - ha la testa poggiata sulle sue gambe, il resto del corpo sdraiato sul divano e la switch tra le mani. Grazie al cielo questa domanda non arriva mentre sta uccidendo Stormterror perché come minimo si sarebbe distratto, sarebbe precipitato  e a quel punto avrebbe dovuto imprecare abbastanza. Nella stanza adiacente Reiji non avrebbe approvato. Da quando Yuuya si è unito alla famiglia non si può neanche più imprecare in libertà.


Masaomi lo sta guardando come se avesse fatto la proposta più naturale del mondo, gli occhi ambrati su di lui e la mano a giochicchiare con una sua ciocca di capelli; Akemi lo lascia fare, apprezzando quelle piccole attenzioni, ma il fatto di essere in fase coccole non salva Masaomi da un'occhiata eloquente.


«Me e Seiran. A cena insieme. Allo stesso tavolo.» dice, sperando che specificando le parti salienti di cosa la sua proposta implichi si renda conto della follia intrinseca. Purtroppo tende a dimenticare che Masaomi ha una generale buona opinione di Seiran e che, forse, ancora sottovaluta invece la scarsa sopportazione che Akemi ha per il suo collega. Perché altrimenti non si spiega come il suo stupido fidanzato troppo alto possa annuire come se tutto fosse estremamente naturale e non presentasse un'enormità di problemi anche solo a livello di concetto. Sospira, arrendendosi a dover affrontare questa conversazione rimandando l'ennesimo maltrattamento di poveri draghi innocenti la cui unica sfortuna è droppare un materiale che gli serve una volta alla settimana. 


Si siede, mettendo la console dove non può accidentalmente spingere dei tasti. Guarda Masaomi, lo scruta. 


«Lo sai che Seiran mi sta sul cazzo, vero?» non si priva di essere sboccato come è sempre con le persone con cui si sente abbastanza a suo agio - ossia i Sohma e Masaomi. E Seiran ma perché lui non si merita il suo sforzo di essere educato - e Masaomi non si scompone affatto. 


«Lo so,» pronuncia «ma io e Izumi pensavamo potesse essere una buona occasione. Magari trovate qualcosa in comune.»


Ad Akemi piace Masaomi, gli piace da morire, anche se si guarda bene dal dirlo a chiunque che non sia il diretto interessato. Però a volte si chiede se lo faccia di proposito. Sospira e si sposta, sistemandosi in braccio a lui senza troppe cerimonie; abituato, Masaomi lo accoglie con naturalezza e gli circonda i fianchi in un abbraccio morbido. Faccia a faccia, Akemi gli pizzica una guancia come potrebbe fare con un bambino troppo cresciuto.


«L'unica cosa che abbiamo in comune è che siamo due stronzi, e infatti non andiamo d'accordo perché capisco quando sta per fare la merda prima ancora che lui stesso processi l'idea.» fa notare.


Gli dà un bacio sulla punta del naso per farsi perdonare - perché no. Non ci sarà una cena a quattro né oggi né mai.


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Prompt: roadtrip (nel senso del trip che mi sono fatta a scriverla)
Missione: M3
Parole: 2131
Rating: gen
Warnings: originale. Nessuna compagna di squadra è stata maltrattata per la stesura del seguente testo.






C'è stato un tempo in cui il mondo non avrebbe concepito forme diverse, in cui i canoni di bellezza erano stabiliti dalla società. Epoche buie in cui tutto ciò che era più curvy o troppo poco curvy, vestito di nero quando andava il verde acqua Paolo Veronese - come lo citavano i giotto, unico eroe della tavolozza, l'unico che ti ricordavi anche a cinque anni perché ma chi lo dà un nome del genere a un colore - ti attendeva una sola cosa: la pubblica gogna. L'unfollow sui social. Un tag sbagliato. Innumerevoli tragedie di mancati cuoricini su facebook.


Per fortuna si può solo migliorare, con il progredire della società e l'accurato studio della storia. Va bene, c'era stato qualche intoppo per un numero leggermente alto di secoli in cui nessuno ci ha capito niente e poi si sono fatti sempre gli stessi errori, e le guerre, e le pandemie, e gli oscar mai a un'ora decente per gli stronzi italiani che vogliono seguirli senza rinunciare al sonno di bellezza. Ma ormai è acqua passata.


Il mondo ha compreso. E' cambiato. Ha abbracciato un'ideale di tolleranza, uguaglianza, amore super partes. Un tempo essere un Calice sarebbe stato difficile: relegati a ruoli di eleganza su un tavolo ben apparecchiato, parte dell'argenteria buona di nonna Pina con la consapevolezza che saresti stato tirato fuori una sola volta l'anno. La volta. E poi via, al chiuso per altre trecentosessantaquattro giorni. Una vita di stenti.


Adesso essere un Calice è diverso. E' brillantezza. E' tondezza. E' una curva brillante che ti fa l'occhiolino. E' riflettere la luce del sole come solo un vero pezzo (DI CAZ--) di cristalleria potrebbe fare. Oggi essere Calice è libertà.


«Cosa dice la mappa?» chiede hane, gli occhi fissi sulla strada mentre le sue braccine scintillanti sono pronte a curvare nella giusta direzione non appena qualcuno le farà la cortesia di dirle dove. La patente per Calici, approvata dal governo solo da qualche anno dopotutto, è stata una tentazione troppo ghiotta per organizzare un viaggio insieme. Certo, sarebbe stato meglio se questo fosse stato in un periodo di pace e non durante il terribile COWT, ma... ci si doveva un po' accontentare con ciò che si aveva.


«Non guardare me,» replica sakurai di fianco, un cellulare in mano dove continua a scorrere su e giù in cerca di una canzone specifica per adempiere al suo ruolo di DJ «io le mappe non so leggerle. MOGLIE.» richiama, voltandosi in parte verso dietro. Il pulmino, super accessoriato, può tenere ben quindici calici compreso guidatore e passeggero. Tra quelle curvette di vetro la voce di shiroi emerge.


«Eccomi! Sì! Un secondo che sto facendo lo schemino del riassunto dello schemino 1.3 della quarta versione del primo schema settimanale!» esclama con confidenza e un sorriso brillante - pun intended - prima di tornare con gli occhi fissi sul portatile davanti a lei. sakurai annuisce e hane si limita a un «Basta che mi dite perché qui c'è una divisione a cinque strade e io ho perso il conto di chi sta facendo cosa.»


Non è stato un viaggio facile: cinque settimane, o forse sei perché c'è stata una sagra che forse hanno sognato in gruppo o che forse significa soltanto che non dovrebbero assumere discutibili polveri di kulutrek. Qualsiasi cosa sia un kulutrek. Comunque, cinque settimane di scrittura dove hanno imparato solo due lezioni, ossia come adattarsi a ogni situazione e come guardare gli altri ammazzarsi mentre loro fanno propria un'arte antica. Un'arte dimenticata dai più, perché non sempre il progresso porta solo miglioramenti, ma loro sono riusciti a preservarla grazie a Liz che ha narrato loro le gesta, ha mostrato la via.


Ora sono Calici che hanno, tra le loro scheggette di vetro, la piccionanza.


«HO FINITO GLI INCA!» esclama unlikely, un tripudio di emozioni positive mentre schiaffa la loro cartuccia tanto agognata sul contatore, dichiara più di tremila parole e poi la segnala come se non ci fosse un domani. Che poi è vero perché domani col prompt degli inca non ci fanno più niente.


«Questo» pronuncia donut sistemandosi occhiali per Calici «cambia tutto!»


Hane frena bruscamente. sakurai per poco non vola fuori dal finestrino. shiroi quasi entra nello schermo. Dal bagagliaio si sente un rumore di anima vendicativa. Tutti i Calici si guardano, turbati e afflitti e stanchi: una trappola dei Fabiani? I Meridiani hanno installato una cimice da qualche parte? Un sacrificio umano è stato infine promesso, anche se avevano concordato di tenerselo buono come ultima risorsa per l'ultima settimana?


Marcie si piega sulle levigate ginocchia di vetro e poggia il suo presunto orecchio contro la parete del bagagliaio. Tutti trattengono il fiato. Futa tintinna dal nervoso. Marcie si alza, scuote la testa: «Falso allarme,» assicura «è ThreeTenors


Un lungo minuto di silenzio li accompagna. La perdita di un compagno è sempre tremenda, anche quando raccogli tutti i cocci e sai che alla fine della competizione potrai rimetterli insieme e sperare per il meglio. Almeno non è una mini Celestia lanciata per portare scompiglio.


«Va bene.» donut cerca di riportare l'attenzione dove serve «Secondo i miei calcoli possiamo ancora evitare sia il piano Z che il piano Omega. Ossia optare per la scelta di trama che farà buttare Calico dal Palazzo d'Estate in cerca di una gioia nell'aldilà, visto che l'aldiqua non gliene offre mezza.» comincia a spiegare, interrotta da suoni ameni che somigliano a "ridatemi la distruzione di quando c'era Celestia" e "mortacci vostri non toccate mio figlio" su cui nessuno indaga perché essere Calice significa anche sapere chi dice cosa senza bisogno di guardare.


«Oppure» riprende donut schiarendosi leggermente la voce «il piano a cui tutti vorremmo evitare di—»

«RIVOLUZIONE. FORCONI. TUTTI A MORTE.»

«hap» pronuncia akemi dando qualche carezza sulla schiena di hapworth troppo infervorata e animata dal desiderio di dare finalmente sfogo ai suoi più oscuri desideri «ne abbiamo già parlato. Siamo migliori di così, non abbiamo bisogno dei forconi. Faremo del nostro meglio fino a—»

«Veramente» la interrompe futa «io sono mossa solo dalla vendetta. O dal desiderio di appiccare fuoco a tutto.»


Un lungo silenzio accoglie di nuovo questa rivelazione. Tutti sanno in fondo che desiderano la stessa cosa, solo che alcuni stanno ancora cercando di mantenere lo zen necessario, altri hanno ormai abbandonato ogni freno inibitorio. C'era stato un tempo in cui futa era stata un piccolo bocciolo di rosa che la società non aveva ancora insozzato con le brutture del mondo - a sentire sakurai era ancora un cucciolo di corgi da coccolare e tenere al sicuro - ma la verità, in fondo, era che nessun Calice poteva essere davvero pacifico.


Non quando la unica, sola, universalmente riconosciuta piromane del COWT, colei che faceva tremare il Def con le sue minacce di incendiargli casa, Tabata le aveva tutte indottrinate all'incendio doloso. Solo perché adesso lei e Liz non erano presenti, trattenute da un matrimonio (sicura strategia avversaria, mica un’occasione felice dove sfondarsi di cibo com’era giusto fare), non significava che i loro insegnamenti non venissero comunque messi in pratica con diligenza e attenzione.


«Oh no!» la voce di nemi le riporta tutte all'attenzione. Si voltano a guardarla come se si fosse appena messa nuda in mezzo alla strada per decidere quale svincolo prendere «Hanno segnalato qualcosa! Il contatore dell'andamento settimanale sta vibrando fortissimo!»

«IT'S OVER NINE THOUSANDS!»

«Vabbè ma quello era superato già ieri sera.» dice shiroi, solo per sentirsi poi dire dalla ragione del caos, ossia hapworth «Però dirlo faceva effetto. E' una importante citazione anni novanta.»


Siccome il vecchiume abbonda nelle fila dei Calici, ci sono solo annuire vari per una manciata di secondi. Poi, nemi può finalmente riprendere: «Hanno sganciato su M5! Su M3! Su M4! Sono ovunque!»

«Oh no, e se arrivano anche su M1?»

«C'era qualcuno che stava scrivendo...»


Si affaccendano tutti a cercare dai loro documenti di squadra, mentre c'è chi scorre le chat per ritrovare messaggi, schemi, riassunti dei riassunti dei— salve a te, palpitante colomba, che madonna slackbot stai zitto ci servono i dati.


Tutto sembra perduto quando dal nulla si ode il rumore che la bara di Dracula deve aver fatto più o meno in ogni adattamento cinematografico conosciuto. Ne esce qualcosa di potentissimo.


«HO FINITO I BARBARI» esclama janie «POI HO VISTO IN ARCHIVIO CHE HO M1, M3, M6»

«Janie» Marcie la interrompe «non abbiamo una M6 questa settimana.»

«E VABBE' NON IMPORTA LA FACCIO DIVENTARE M3 PURE QUESTA!» replica come se non ci fosse alcun problema a passare dall'una all'altra e donando nuova speranza ai Calici. Un tonfo sordo fa alzare a tutti lo sguardo, cercando la natura del rumore. Poco più in là, nell'angolo buio del pulmino, quello che tutti avevano cominciato a pensare fosse soltanto un insieme di strumenti che in effetti non usava nessuno di loro si trasforma in flan. Ha l'aspetto deperito di chi non dorme da settantadue ore e la mano brillante trema appena nel tirare su un tablet.


akemi, la più vicina, le è velocemente accanto. Flan le mette il tablet tra le mani: «Questo è tutto ciò che ho potuto fare. Potrà non essere molto in termini di PR, ma...» akemi si assicura di prendere il prezioso oggetto tra le mani. Marcie scuote la testa, abbracciando la piccola futa che non riesce a tenere gli occhi su questa tragedia che si compie.


«Hai fatto ciò che potevi,» pronuncia Donut, che al momento è un po' il bonzo Sanzo ma in fondo va bene così «saranno PR preziosi.»


Flan le rivolge un ultimo sorriso prima di sparire di nuovo nel suo antro oscuro.


Si danno qualche momento per assimilare la cosa. La loro partecipazione a questo gioco è stata come l'hully gully. Qualcuno può giurare di aver sentito, dopo i primi giorni di battaglia, riecheggiare un se prima eravamo in quindici... ma nessuno ha mai avuto tempo di sincerarsene davvero. In compenso, dal nulla un orrendo suono gutturale sembra risalire allo stesso modo in cui Satana risalirebbe dagli Inferi se non ci schifasse tutti così tanto dal guardarsene bene. Poco dopo si rendono conto che il rumore viene dal posto di guida.


sakurai le fissa. Loro fissano lei. Poi, hane comincia a ridere come un vero villain della disney «Muahahah... Muahahahah... MUAHAHAHAH.»


«Credi sia impazzita?» sussurra Donut a shiroi. Si guardando per qualche momento e poi scuotono la testa: hane che impazzisce è ordinaria amministrazione.


«Che qualcuno le prepari un caffè.»

«Fate tre nella stessa tazza, ormai uno non le fa più niente.» corregge sakurai prima di guardare orripilata il Calice alla guida e lasciar trapelare un vago, lievissimo panico nel dirle «hane guarda la strada per l'amor di dio.»


L'odore di caffè presto riempie l'aria, insieme al rumore del frenetico picchiettare di tasti dei portatili. Ogni singolo Calice brilla del sudore, del sangue - color oro prosecco, naturalmente - e lacrime con cui sta cercando di andare avanti. Di non arrendersi. Perché potranno aver piccionato con orgoglio e forse piccioneranno ancora, ma sarà sempre con onore. Non si dovrà mai poter dire che la settimana sia passata senza il massimo impegno, senza chi scrive di notte, senza spaccio di gatti e cani per risollevare gli spiriti (qualcuno potrebbe essere stato rapito lungo la via), video on the road, eco di ma il limone di Calico?!, e voglia di rivoluzionare il mondo.


«Un ultimo sforzo!» incitano hapworth, Marcie e unlikely - che ignora la sua prole di piccoli bricchetti di vetro perché gli Inca saranno pure finiti ma la guerra no - mentre shiroi, nemi e donut si assicurano che i contatori stiano funzionando e i fogli di calcolo facciano il loro lavoro. Akemi, Janie e futa scrivono come se ne andasse delle loro vite, come se non potessero fare altro, le dita infuocate (stavolta nessun piromane è colpevole) a sfrecciare sulla tastiera.


«3.5k e sto su m4!» esclama Akemi, seguita a ruota da futa che: «Ho postato qualcosa da qualche parte e ora cerco di fare qualcosa da qualche altra parte!» mentre Janie, Calice istancabile, ulula alla luna: «4.5k su M3 E MO CONTINUO.»


Hane suda, al volante, e si scambia un'occhiata con sakurai. Riconosce nello sguardo dell'altro Calice quello specifico momento in cui lo spite è più forte della logica. La vede occhieggiare l'orologio sul cellulare. La vede aprire il blocco note. Con urgenza cerca l'appoggio di shiroi, moglie che potrebbe farla rinsavire, ma lei è lì con i suoi schemi e la sua m2 che fra un po' diventerà una m12 perché un certo Chuuya sta rendendo difficile chiuderla.


sakurai sistema gli occhiali sul viso: «Adesso scrivo una m3 sul nostro road trip.»


In lontananza, un suono fa sì che tutte si fermino anche solo per un istante. Il verso di un piccione in avvicinamento.


Liz e Tab stanno tornando.

 
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Prompt: Ghiaccio
Missione: M5 (week 5)
Parole: 666
Rating: teen up
Warnings: original




Quando era piccola sua madre le raccontava di come un regno fosse fatto più dai sudditi che dai reali. Per quanto la storia del mondo conosciuto asserisse spesso il contrario e per quanto ci fossero i regni oltre l'oceano a impegnarsi per dimostrare il contrario con sovrani a volte egoisti e altre troppo arroganti, se non ci fossero stati sudditi non avrebbe avuto senso per loro essere re e regine. Iris ascoltava in silenzio, mentre sua madre la portava in braccio attraverso i territori meno esplorati del regno - la foresta, in cui pochissimi si muovevano perché la maggior parte delle persone avrebbero smarrito la strada in un attimo, oppure il piccolo lago a nord del palazzo reale dove si recava solo qualcuno abbastanza vicino mentre quasi tutti preferivano il lago principale del regno, più grande e semplice da raggiungere. La teneva stretta a sé e le mostrava le bellezze di Echait: lo chiamavano il regno di ghiaccio da secoli ormai, molti più di quelli passati come Stato neutrale, e non perché le persone che lo abitavano fossero scontrose o altro. Semplicemente per tutto l'anno la terra era ricoperta di quello stesso ghiaccio e dalla neve, senza conoscere mai l'estate calda o la brezza primaverile profumata dai fiori.


«Il nostro regno è un luogo che in tanti non riescono a comprendere, perché è molto freddo.» le aveva spiegato una volta «Ma vedrai. Il ghiaccio nasconde molto più di quello che gli altri vedono.»



Non ha avuto molto tempo in più, non abbastanza perché sua madre potesse spiegarle cosa c'era da sapere. Ha dovuto imparare da sola il resto, scappando dalle guardie che suo zio metteva a sua protezione (o suo controllo) e percorrendo i sentieri meno battuti, fino ad abbandonarli del tutto. E' andata spostandosi per mesi in zone impervie, il ghiaccio come unica compagnia, e ha continuato nonostante tutti le dicessero di smettere. Ha cercato di rincorrere l'ombra di sua madre e delle sue parole, di vedere oltre, di scovare un tesoro nascosto per il quale non gli erano mai stati dati né indizi né mappe, ma solo una vaga rassicurazione che ci fosse qualcosa da trovare. A chiunque sarebbe bastato per lasciar stare dopo qualche tentativo, ma Iris anche volendo non avrebbe potuto - perché suo zio ha preso ciò che sarebbe dovuto essere dei suoi genitori e ha cominciato a distruggere quello che hanno costruito.


Iris ha solo tredici anni, non può combatterlo senza una corona sulla testa e il popolo lo rifiuta ma non può spodestarlo.


Sogna il ghiaccio più vivido di quando lo vede con i suoi occhi durante il giorno. Sogna di valanghe che la travolgono ma non la feriscono, di stalattiti che all'improvviso si spezzano e crollano sul terreno, senza ferirla, come se la stessero evitando di proposito. A volte intere caverne di ghiaccio le rimandano il vago e distorto riflesso di cui non riesce a distinguere i contorni, perché il ghiaccio non è vetro; verso la fine del sogno crollano sempre, ma  alla fine Iris è fuori e guarda le macerie. Il ghiaccio stride, stride, come se qualcuno graffiasse su una superficie di metallo. E' insopportabile. 


Nonostante questo va ogni giorno, i piedi una volta sollevati mentre stava al sicuro tra le braccia di sua madre ora sono nudi, sul ghiaccio. Dovrebbe essere impraticabile ma non lo è, dovrebbe essere troppo freddo perché la pelle possa starci a contatto, ma non è così. Il lago, su cui non è consigliabile muoversi, lo attraversa con l'assurda incoscienza di chi è sicuro di non rischiare nulla. La lastra di ghiaccio non si spacca mai sotto di lei, come se il territorio volesse proteggerla a ogni costo e si modificasse contro ogni legge fisica solo per lei.


Il popolo la vede mescolarsi fra loro, quando fugge dal castello, e la tratta con l'amore che si potrebbe avere per una divinità e al tempo stesso per la propria figlia. Il ghiaccio, rispondendo a uno dei più antichi rituali del mondo, la protegge di riflesso.

 
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Prompt: Drago
Missione: M5 (week 5)
Parole: 536
Rating: teen up
Warnings: original



Sa bene che la sua è un'opinione assolutamente di parte, ma Ivirenth ai suoi occhi è il posto più bello della terra. Non importa cosa il resto del continente possa offrire o che la sua isola sia all'estremo nord-ovest della piantina o, ancora, che siano davvero in pochi quelli che ci si avventurano - per non dire quasi nessuno. Non si sente di poterli davvero biasimare, però: tra le leggende sulla maledizione che colpisce chiunque con cattive intenzioni si avvicini all'isola, le voci per cui sarebbe disabitata e dunque meta sconsigliata per qualsiasi mercante che si ritroverebbe a non avere nessuno con cui fare affari, e la paura generale dell'ignoto non si può dire siano la migliore meta turistica che il mondo possa offrire. Nonostante questo, Dalyar è cresciuto qui, è la sua terra e a volte gli è pesato non poterla condividere. 


Anche ora che frequenta l'Accademia vorrebbe condividerla di più, vorrebbe poter dire che il mondo oltre l'oceano esiste, è formato da scogliere meravigliose. Vorrebbe poter parlare della sua famiglia. Del motto della sua isola - mai più schiavi - che lo rende così fiero. Però ogni giorno il mondo gli ricorda che non può perché lui è Dalyar, erede dei Gazewintergilde, l'ultimo clan di draghi rimasto vivo. Coloro che maledicono chiunque metta piede su Ivirenth.


Il mondo, ha imparato molto presto, non è gentile con quelli come lui e non ha spazio da offrire.


*


La realtà di essere diverso non l'aveva mai nemmeno sfiorato, da piccolo. Difficile quando tua nonna può mantenere una forma del tutto umana così come essere completamente drago, maestosa nelle sue squame scure. Complesso se poi tuo padre, drago per metà, ha passato tutta la tua infanzia a tenere la coda squamata ben visibile da sotto la veste, un po' per farti giocare e un po' per lasciarti credere, mentre ancora cerchi di controllare il corpo abbastanza da nascondere i tratti non umani, che anche non riuscirci va bene. Seppure tutto il mondo dovesse vedere gli occhi di drago, andrebbe bene. Così Dakene ha lasciato che suo figlio giocasse con la sua coda tanto quanto amava fare con i suoi capelli lunghi. Poi è nata sua sorella minore, per cui le caratteristiche da drago erano leggermente meno evidenti; ma dopo ancora sono giunti i gemelli, uno a fare bella mostra della coda e l'altra delle piccole corna sulla fronte.


Dalyar aveva appena dodici anni quando alcuni umani si avvicinarono abbastanza da poterli osservare da vicino. Lo stesso giorno gli è stata data la caccia come un animale, ha visto suo padre trasformarsi in drago e quasi ucciderli, ha sentito la voce di sua nonna risuonare minacciosa nelle loro teste e intimargli di andare via se non volevano che la maledizione si scagliasse non solo su di loro ma sui loro figli. Ha scoperto che un attimo prima di morire sotto le percosse piene di odio e paura degli esseri umani, il suo corpo diventa resistente come un diamante, le squame gli ricoprono la pelle.


E' la prima volta che vede suo padre tornare alle sue sembianze umane e piangere come un bambino, chiedendogli scusa.


Ancora oggi Dalyar, quando allo specchio vede un paio di occhi di drago guardarlo di rimando, non capisce perché.


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Prompt: Oscurità
Missione: M5 (week 5)
Parole: 657
Rating: teen up
Warnings: original





Ugetsu ha avuto un'infanzia felice. Ci sono tanti tra gli ability user che non possono dire lo stesso e ormai è quasi strano sentire uno di loro - specie della sua generazione - dire di essersela passata bene, di non aver subito la discriminazione o di aver potuto dire di essere diverso e non doversene pentire poco dopo. Ugetsu non si considera benedetto, ma neanche maledetto. Sarebbe potuta andare molto peggio ma non è stato nemmeno un privilegiato. Ha ricordi vaghi della prima volta che ha manifestato il suo potere, ma non ricorda grossi incidenti. I suoi genitori erano già piuttosto familiari con le abilità, dal momento che suo padre ne aveva una e si aspettava di poter passare il gene alla sua prole, e anche quando Ugetsu ha cominciato a sentirsi più a suo agio in un'oscurità che poteva controllare piuttosto che in una luce in cui non trovava niente di speciale, hanno lasciato che potesse apprendere i propri limiti e studiare quanto lo incuriosiva.


Non ci sarebbe stato alcun problema se negli anni della sua adolescenza un altro ability user non avesse perso completamente il controllo, causando danni incredibili e anche dei morti. Lo avrebbe riguardato relativamente poco se non avessero avuto lo stesso tipo di potere: manipolazione dell'oscurità.


*


Alcune abilità sono molto esclusive, al punto che trovare due coetanei o due persone comunque molto vicine di età con la stessa è piuttosto difficile. In alcuni casi impossibile. Ma ce ne sono anche altre, come quelle elementali, che invece si prestano molto meglio. Crescere come manipolatore dell'oscurità quando il Governo del tuo Paese non si è ancora ripreso da quando l'ultimo come te ha dato di matto non è divertente e non è facile. La serenità con cui la sua famiglia approcciava la sua abilità è diventata tacita paura, tentativo di non causargli mai sbalzi d'umore per paura che potesse perdere il controllo anche lui. Le amicizie, i compagni di scuola prima e i colleghi di lavoro poi si sono trasformati in distanze impossibili da colmare.


Ugetsu ha passato tutta la sua infanzia a trattare l'oscurità come la compagna più fedele, il gioco più divertente e una parte di sé quasi più simpatica di come sarebbe stato senza; non le ha mai dato un'accezione negativa, nessun mostro pronto a uscirne per divorarlo, nessuna persona crudele a rappresentarla.


Anche il giorno in cui sente dire a un uomo «Ho votato per ucciderlo quando era fuori controllo, nonostante tutto, e lo farei di nuovo se fosse necessario.» e capisce che si parla di quel ragazzo la cui unica colpa è stata avere un'abilità e perdere di vista cos'era giusto per una manciata di giorni. Non è che Ugetsu non capisca la gravità di quanto successo. Solo che sarebbe potuto essere lui.


*


«Smettila! Smettila di seguirmi con quel robo di oscurità! Vattene! VATTENE!»


Yuuya salta dal tavolo al divano, quasi buttando per terra Akemi. Un'imprecazione risuona nella stanza, qualcosa di inadatto alle delicate orecchie di un quattordicenne che a causa sua ha appena perso parte del controllo sulla sua abilità e ora si ritrova in forma ancora umana ma con orecchie e coda da gatto. Ugetsu ride e aumenta il passo, gli va dietro per continuare a stuzzicarlo - dalla sua mano, come un prolungamento del suo braccio, l'oscurità che può controllare prende la forma quasi di una corda che sinuosa si piega a mezz'aria per inseguire il povere Yuuya. Tutti pensano che Ugetsu lo faccia solo per il gusto di maltrattarlo e molestarlo; benché questo lo offenda terribilmente, continua perché vorrebbe che il più giovane smettesse di aver paura di un controllo che è normale non abbia ancora, visto come nessuno si sia mai preso la briga di aiutarlo.


Per far questo manipola la sua oscurità, le fa prendere la forma di una di quelle simpatiche mascotte che si potrebbero trovare in un anime: «Yuuya-kun! Vieni, avvicinati! Amanda vuole riempirti di amore, non vedi?! Amala! Amami! AMACI!»

 
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Prompt: Neve
Missione: M5 (week 5)
Parole: 706
Rating: teen up
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Molti dei ragazzi a cui danno rifugio, sia temporaneamente nel caso non vogliano rimanere sia fin quando se la sentono di restare, non hanno visto la neve. O meglio, alcuni di loro potrebbero averla vista ma essere stati così impegnati da dover scappare da qualcosa o da qualcuno per potersela godere come chiunque dovrebbe poter fare. Per essere completamente sinceri, dire "danno rifugio" non è nemmeno corretto visto che Dimitrij sente di essere più un rifugiato che qualcuno realmente di aiuto - in linea teorica Tatsuya ha detto a lui, Nikolai e Yuriy che potevano rimanere per tutto il tempo che volevano o di cui avevano bisogno, e quel permesso si è trasformato in una rassicurazione, i giorni in settimane e mesi e ormai quasi un anno. Nessuno di loro tre ha parlato di andarsene, ma hanno discusso la possibilità di rendersi utili e ripagare il loro debito qualora qualcuno venisse per minacciare anche solo uno dei ragazzi sotto la protezione dei Miyuki. Dimitrij spera non succeda mai. 


«Dimitrij, ci stiamo mettendo in salone a fare merenda, vieni?» pronuncia Yukinaga, facendo capolino dal corridoio. Porta con sé un vassoio piuttosto grande che di certo sarà pieno di fette di crostata o di biscotti e, quasi sicuramente, sarà stato già preceduto da uno con abbastanza tazze di tè per tutti. Dimitrij annuisce e mette da parte il libro che stava leggendo, senza segnare alcuna pagina. E' una lettura vecchia che non avrebbe bisogno di fare di nuovo, ma lo fa sentire meno solo.


*


«Dimi, com'è la neve?» gli domanda Hans. E' uno degli ultimi a essersi unito, ha appena dodici anni e Dimitrij non sa perché ma da quando si sono visti la prima volta Hans non ha fatto altro che stargli appiccicato ogni volta che si trovano sotto lo stesso tetto. Anche adesso non ha perso l'occasione e appena Dimitrij ha preso posto per terra, sul tappeto e lasciando i divanetti liberi per gli altri, di tanto posto Hans è andato a sedersi in mezzo alle sue gambe reclamandolo come un re fa con il suo trono. Nikolai lo prende in giro dicendogli che il ragazzino deve avere una cotta per lui. Dimitrij si sente morire ogni volta che lo dice anche solo per scherzo. 


«Mmmh» pronuncia a labbra strette, abbassando lo sguardo e ritrovandosi a osservare il visto di Hans e la sua espressione piena di aspettativa, per nulla diversa da quelle dei suoi compagni quando Dimitrij alza gli occhi su di loro: «fredda. E bianca.» comincia, interrotto quasi subito dalle risate dei più piccoli. Ovvio che lo sappiano già, ma Dimitrij non sa come altro descriverla: nei suoi ricordi la neve non è qualcosa di romantico o di strettamente collegato al Natale. E' gelo sulla pelle troppo scoperta mentre si scappa da un laboratorio. E' scivolare senza forze e chiedersi se non sarebbe meglio rimanere lì e farsi ricoprire, farsi seppellire, diventare tutt'uno con la neve mentre si spera di morire. E' tante persone salvate e tante altre abbandonate. E' un pavimento bianco macchiato di sangue. E' un silenzio assordante rotto solo da urla di dolore. E' guardare fuori dalla finestra, vedere i fiocchi cadere senza far rumore e sentirsi un nodo in gola mentre la speranza di uscire da una cella buia si fa sempre più piccola, destinata a sparire.


«Dimi?»

«Mh. Non la ricordo bene.» mente, anche se non è bravo a farlo, ma sempre meglio che offrire l'orrore dei suoi ricordi «Però una volta ho chiesto a Babbo Natale di cambiare la mia abilità e farmi creare la neve, così l'avrei avuta tutto l'anno.» aggiunge, cercando di sviare l'attenzione su un discorso più o meno diverso o che almeno non lo obblighi a essere la voce narrante che non sente di poter diventare. Hans lo guarda come se il solo aver pensato di chiedere una cosa simile a Babbo Natale fosse geniale e si getta a capofitto in un "cosa vorrei fosse la mia abilità".


Dimitrij sente la mano di Yukinaga posarsi con gentilezza sulla sua spalla e quando alza lo sguardo, Yuki gli fa segno di non dire nulla e con un brevissimo cenno del capo gli indica fuori dalla finestra. Un cielo di un bianco sporco sembra promettere neve.

 
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Prompt: Pioggia
Missione: M5 (week 5)
Parole: 647
Rating: teen up
Warnings: original





Quando sente suonare il campanello rimane stupito e gli viene istintivo spostare lo sguardo in direzione di Hiyori. Sono entrambi rimasti a occuparsi dei ragazzi che stanno ancora imparando a gestire le loro abilità, Hiyori perché uno degli adulti con un controllo migliore e una più profonda conoscenza di come allenare corpo e mente per gestire dei poteri speciali e lui - Yukinaga - perché, pur non avendo alcuna abilità particolare, ha passato quasi tutta la sua (breve) vita ad allenarsi in un'arte marziale. Conosce la disciplina così come sa riconoscere quando si raggiunge un limite, dunque Tatsuya non ha esitato ad affidare loro il compito. 


Lo stupore generale si deve al fatto che quasi tutti loro siano presenti in casa, che chi non c'è è perché sarà impegnato ancora per almeno un paio d'ore al di fuori dell'abitazione tra studio e lavoro, e infine perché sta diluviando da almeno un'ora. Nessuno farebbe la strada sotto una pioggia torrenziale di questo tipo, non quando chiunque voglia entrare in contatto con loro potrebbe o chiedere un passaggio a Takuma tramite il teletrasporto o almeno chiamare per le questioni non troppo urgenti. Senza contare che tutti gli abitanti hanno la chiave e ben due copie sono state lasciate ai Sievert per ogni evenienza. 


Hiyori guarda verso l'orologio a muro nella stanza prima e verso la finestra poi, notando che la pioggia non è certo diminuita né sparita dall'ultima volta che ha controllato. Così fa un cenno a Yukinaga di andare a vedere di chi si tratti e lui esegue, lasciando da parte il piccolo gruppo di tre ragazzi con cui stava lavorando. Deve percorrere solo un corridoio per raggiungere l'ingresso dal salotto dove si trovava e quando si trova davanti alla porta si avvicina innanzitutto per sbirciare dallo spioncino. Il campanello, nel mentre, suona altre tre volte e con una certa insistenza. 


Dall'altra parte dello spioncino un Elias a dir poco fradicio lo guarda - o meglio, guarda la porta in effetti - come se volesse dare fuoco a qualsiasi cosa e Yukinaga ha appena iniziato ad abbassare la maniglia che fuori sente un inconfondibile, delicatissimo «Ci devo morire qui fuori sotto il cazzo di diluvio o ce la facciamo ad aprire questa porta di merda prima che io la butti giù a calci?!»


La leggenda narra che, a quindici anni, Elias fosse molto più iracondo e sboccato rispetto a ora che ne ha venti di più. A volte, come adesso, Yukinaga fatica a crederci.


Apre e lo lascia entrare prima che sia troppo tardi. L'uomo non se lo fa ripetere due volte, gli stivali che quasi fanno squash squash per quanta acqua si portano dietro e lui stesso si sgrulla come un cane. Solo allora Yukinaga nota che si sta tenendo lo stomaco e per un momento si chiede se non abbia appena indugiato a far entrare una persona ferita. 


«Hiyori-san! Hiyori-san!» chiama il medico per ovvi motivi, ma Elias lo guarda e gli intima uno sssssh - assolutamente poco coerente visto come l'altro ha appena sbraitato fuori dalla porta - e poi un ancor più incomprensibile «Lo spaventi!»


Yukinaga inarca un sopracciglio, convincendosi che il rumore della pioggia battente fuori dalla porta ancora semi aperta gli stia giocando un brutto tiro. Inarca un sopracciglio, sperando in cuor suo che Elias non sia diventato visionario.


«Non guardarmi così, Yuki,» gli intima Elias, tirandosi giù parte della zip della giacca di pelle e rivelando non uno ma due gattini «stavano gelando sotto la pioggia. Non una parola con quella stronza di Irina, non la voglio sentire ridere perché ho preso dei gattini che erano sotto il diluvio okay? Okay. Questa cosa rimane in questa casa o giuro che ti trascino fuori finché un fulmine non ti prende in pieno.» borbotta.


Sarebbe credibile se non si fosse appena preso tutta l'acqua del mondo per dei gattini, davvero.


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Prompt: road trip
Missione: M3 (week 5)
Parole: 2077
Rating: teen up
Warnings: post serie (possibili spoiler)







Fuori dal finestrino il paesaggio passa in parte come lo ricorda e, in parte, come pensa di non ricordarlo davvero. E' passato un anno da quando ha chiuso quell'incubo in cui ha vissuto per almeno metà della sua vita e ancora gli riesce difficile, a volte, realizzare che può muoversi per gli Stati senza doversi preoccupare di essere seguito o che l'ombra di suo padre sia lì pronta e in agguato dove Neil non può anticiparne la presenza.


Certo, il processo non è ancora concluso considerato anche il numero di nomi che ha fornito, perciò non riesce davvero ad abbandonare l'attenzione quasi maniacale che ha dovuto adottare per così tanto tempo da farla diventare quasi un tratto caratteriale. Tuttavia la sensazione di mostrare un documento non falso è qualcosa che, a ogni occasione in cui si ritrova a farlo, gli lascia addosso una calma che non pensava avrebbe avuto mai più.


La stranezza, a dire il vero, è anche essere su una macchina che sfreccia lungo la superstrada con nessun altro occupante oltre Andrew Minyard. Neil ha passato così tanto tempo a essere in macchina con lui, Kevin, Nicky e Aaron che è strano essere in viaggio senza il resto del gruppo. Specialmente se il viaggio è iniziato alle cinque e mezza di mattina con Andrew a buttarlo giù dal letto senza troppi convenevoli, dicendogli di prendere il necessario per un paio di notti fuori e metterlo in un borsone per poi portarlo fino al parcheggio, farlo salire in macchina e partire senza aggiungere una parola.


Per quasi due ore di viaggio.


Neil è abituato ai silenzi con Andrew, ce ne sono stati di infiniti durante il suo primo anno a Palmetto; sono passati da quelli in cui si domandava quanto avrebbe dovuto mentire per passare indenne quel tempo che gli era stato concesso senza che nessuno oltre Kevin sapesse più del necessario, a silenzi di chi stava prendendo le misure e vagliando le possibilità. Alla fine sono diventati, contro ogni aspettativa, silenzi che non pesavano mai - diversi da tutti quelli macchiati di omissione che per mesi, se non anni, sono stati il massimo che potesse concedere, la migliore opzione tra quello e una bugia.


Non sa quando, ma hanno raggiunto quell'equilibrio a cui è ancora difficile credere, per cui il silenzio è stato il loro miglior modo di coesistere e di proteggersi a vicenda forse. Anche se tuttora per Neil ci sono momenti in cui capisce che non fa bene né a lui né a Andrew tacere e chiudersi fino a quando uno dei due non decide di sfondare la porta bruscamente. Ci hanno impiegato un po', e sono tutt'altro che vicini alla soluzione perfetta, ma va meglio.


Occhieggia fuori dal finestrino ancora qualche minuto ma, alla fine, sposta lo sguardo su Andrew prima e sulla radio poi. Fa per allungare una mano ma, prima ancora che arrivi ad accenderla, quella di Andrew finora rimasta sul cambio scansa la sua.


«Non metteremo una tua playlist, Josten.» lo riprende Andrew, quasi avesse già non solo indovinato i suoi intenti - non proprio nascosti con grande impegno, va detto - ma avesse anche supposto si tratti di una playlist discutibile. Neil potrebbe quasi sentirsi offeso, se quello scambio nella sua totale normalità non lo rendesse più che altro stranamente sereno, quasi divertito.


«Nemmeno se assicuro che Nicky non ci ha messo mano?» ironizza, guardandolo e approfittando del fatto che Andrew debba tenere gli occhi sulla strada per osservarne il profilo. Certo, sa bene che una delle cose che al Portiere delle Foxes non manca è la vista periferica, dunque non si sorprende di sentirlo intimargli uno «Smettila.» riferito al fissarlo, seguito poi da un «Non serve Nicky ci abbia messo mano. Ascolti la musica che ti passa. E' sufficiente a inquinare i tuoi gusti.»


*


Fanno una sosta poco dopo lo scambio sulla playlist. A detta di Andrew ha bisogno di dieci minuti lontano da Niel e dai suoi testardi tentativi suicidi di mettere le mani sulla radio, ma a conti fatti quando lui si muove per entrare nell'area di servizio e comprare qualche schifezza per ingannare il tempo durante il resto del viaggio non sente gli occhi di Andrew mollarlo un secondo. La cosa lo fa sorridere, ma si guarda bene dal farglielo notare. Compra una quantità industriale di snack: pacchetti di patatine, stuzzichini salati ma anche barrette proteiche con più cioccolato che altro e confezioni di schifezze discutibili. La cosa più sana che acquista probabilmente è una bottiglietta di acqua e insiste a pagare tutto anche se a un certo punto Andrew sembra intenzionato a pagare da sé l'unica cosa che ha preso. Per una volta è Neil a ignorarlo e impuntarsi.


Escono da lì con una busta dove sembra abbiano comprato l'occorrente per sfamare quattro persone anziché una e Andrew Minyard, che fa un po' come conteggio a sé. Mangiano qualcosa, si sgranchiscono le gambe e vanno in bagno prima di doversi rimettere in macchina per raggiungere l'altro stop del viaggio. Neil suppone sia dove dormiranno ma Andrew non l'ha esattamente reso partecipe né della meta finale del viaggio né se ci siano delle fermate che non siano autogrill mentre cercano di raggiungerla. Ha provato a indovinare da indicazioni su cosa portarsi dietro, ma Andrew non è stato troppo d'aiuto nemmeno lì - quello che ti porteresti dietro ogni giorno, si è limitato a dirgli, motivo per cui Neil non ha buttato in zaino più di qualche cambio di boxer, magliette, una felpa in più e un paio di pantaloni. Ci ha aggiunto spazzolino e qualche altra utilità ma si è tenuto leggero, abituato a viaggiare senza zavorra e non riuscendo a lasciarsi indietro l'idea di dover essere sempre pronto alla fuga.


Un paio di volte si appisola, a causa di quanto ha mangiato con ogni probabilità. Si risveglia la prima volta con la sensazione di torpore e il rumore vago delle gocce di pioggia sul vetro. Apre gli occhi e fa giusto in tempo a notare i tergicristallo muoversi a velocità moderata, segno che la pioggia non dovrebbe essere troppa, e l'espressione rilassata di Andrew al volante. Si abbandona al torpore e torna a dormire, senza quasi accorgersi di quando di preciso scivola nel sonno.


La seconda volta ha smesso di piovere, anche se il cielo grigio non promette un tempo di molto migliore. Sente un vago dolore al collo, segno che di sicuro deve essersi storto parecchio nel sonno lì sul sedile. Andrew si accorge quasi subito del suo essere sveglio e non dice nulla, in un primo momento, se non «Tra una mezz'ora ci siamo.»


Neil si sistema contro il sedile, cercando di stiracchiarsi come riesce, per poi cercare di vedere in lontananza. Non gli sembra di notare niente che suggerisca una città anche piccola, perciò rimane il mistero di dove siano diretti.


«Non mi stai dicendo dove stiamo andando perché...?» domanda, gli occhi azzurri su Andrew. Lo vede fare almeno lo sforzo di guardarlo di sottecchi, prima di alzare leggermente le spalle: «Perché non ti cambia niente saperlo.»

«Certo, a parte una vaga angoscia dell'ignoto.» ironizza, vedendolo inarcare un sopracciglio.


«Poco credibile.»

«Ma non impossibile.»

«Dovresti tornare a dormire.»

«E lasciarti da solo in questo viaggio verso il nulla? Non potrei mai. So che ti manco.»

«Ti odio.»


*


Si aspetta un motel discutibile e anche un po' sporco perché è a quello che si è abituato durante la fuga, per dare meno nell'occhio - un adolescente da solo in alberghi dignitosi avrebbe destato una miriade di domande a cui non avrebbe potuto rispondere nemmeno volendo - e per risparmiare più soldi possibili in caso gli fossero serviti. Non si era mai adagiato su quanti ne avesse, puntando a spenderne solo lo stretto necessario per fin troppi motivi.


Si ritrova in un posto che di certo non sarà in cima alla classifica ma è più che discreto. A sentire Andrew il giorno dopo dovranno stare in macchina giusto per un paio di ore prima di raggiungere la loro meta, di cui Neil non è stato ancora messo al corrente peraltro. Fanno il check-in, mostrano il documento d'identità e pagano in anticipo così da potersene stare tranquilli se anche il giorno dopo dovessero decidere di ripartire all'alba. La coppia alla reception non fa troppe domande e gli indica dove recuperare qualcosa da mangiare all'area di servizio cento metri più avanti.


Quando salgono le scale e arrivano alla stanza, Neil fa appena in tempo a chiudere la porta da vedere la mano di Andrew posarsi su di essa. Si gira, ritrovandosi tra il legno e Andrew stesso e lascia andare lo zaino. L'altro lo sta guardando, valutando forse. Neil ha imparato a saper aspettare e quando si tratta di Andrew non è mai tempo sprecato - anche se non sempre glielo dice, per non far aumentare esponenzialmente la percentuale di odio altrui nei propri confronti, quella che l'altro sostiene essere ormai ben oltre l'accettabile.


«Sì o no?» arriva, puntuale, la domanda che ormai non avrebbero quasi più bisogno di farsi. Neil sa che a occhi esterni potrebbe sembrare assurdo, ma lui sarebbe pronto a fargliela per altri dieci anni e a rispondere per lo stesso lasso di tempo se questo bastasse a far sentire Andrew più sicuro. Per questo lo guarda dritto negli occhi e pronuncia solo «Sì.»


L'attimo dopo le labbra di Andrew sono sulle sue, non con urgenza ma nemmeno con la calma che forse avranno condiviso in uno o due baci da quando questo - che, per dirlo con le parole di Andrew, non c'è nessun 'questo' - è cominciato. Neil porta le mani sull'unico punto del corpo dell'altro che hanno ormai definito essere safe, ossia i fianchi. E' successo un giorno come tanti, in cui Andrew con ogni probabilità si è stancato di continuare a prendergli la mano e posargliela sul fianco, per poi partire da lì e a volte muoversi, a volte restare semplicemente dov'era stata posata. Per Neil è stata un'immensa prova di fiducia.


Ricambia il bacio per un tempo lungo, senza che cambi di molto. Andrew gli concede di far salire le mani lungo i fianchi e poi tra i capelli, di sfiorare con le dita la linea della sua mascella. Neil invece gli lascia campo libero come ogni singola volta, senza superare il proprio limite autoimposto anche quando Andrew gli succhia il labbro inferiore o glielo morde, qualcosa che ha smesso di essere d'aiuto dopo la prima volta che Neil ha sentito davvero le mani di Andrew sul proprio corpo. Quando c'erano ancora tante cose che non andavano e pensava non sarebbe arrivato a festeggiare il Natale o a vedere la sua squadra - la sua famiglia - raggiungere la vetta per un secondo anno di fila.


Forse era stato così disperato da non preoccuparsi troppo delle implicazioni e, senza alcun dubbio, non avrebbe mai scommesso nemmeno una moneta bucata che si sarebbero ritrovati così dopo due anni: salvi dai loro fantasmi, senza averli potuti eliminare del tutto ma di certo senza doversi più piegare al loro peso sulla schiena, insieme e con qualcosa a cui Andrew ancora si rifiuta testardamente di dare un nome ma che Neil ormai sa come chiamare nella propria testa.


Andrew si allontana dalla sua bocca e scende sul suo collo, morde e succhia la pelle dove Neil sa che ci sarà un evidente succhiotto nei giorni seguenti e che non passerà inosservato a nessuno dei suoi compagni - sente già esultare Matt, può vedere il sorrisetto divertito di Dan e  Allison, l'espressione pacata di chi sa come Renée. Nicky farà qualche battuta che gli farà guadagnare una presa mortale da parte di Andrew e forse Aaron fingerà di vomitare. Varrebbe la pena già solo per l'ultima opzione.


Neil si sente mordere più forte e sobbalza appena, abbassando il viso quando sente che Andrew si è leggermente scostato per guardarlo. Incrociano i loro sguardi e l'unica spiegazione che Andrew offre è «A cos'altro pensi Josten? Occhio a come rispondi.»


Si fa scappare un sorrisetto sghembo ed entrambi sanno che i suoi problemi di controllo della rabbia - o meglio, di quello che gli esce di bocca quando non si impegna a fingere una diplomazia che non ha - stanno per emergere qui e ora.


«Non so, mi sono distratto.»


Andrew lo tira, abbandonando la porta e muovendosi verso il letto. Dovesse scommettere come ha sempre fatto riguardo la sua vita, Neil potrebbe azzardare riguardo un orario più tardo del previsto per la partenza di domani.


 
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Prompt: road trip
Missione: M3 (week 5)
Parole: 4167
Rating: explicit
Warnings: roadtrip!au, blowjob, sex







Ci sono due cose che Diluc non fa mai. Per rettificare: ci sono molte cose su cui Diluc non transige ma, ipotizzando di doverne scegliere solo due su cui proprio gli risulta impossibile scendere a compromessi, ecco allora quelle sarebbe due. La prima è accettare qualsiasi tipo di proposta di lavoro che possa in qualche modo gettare ombra sul nome di suo padre, a cui è stato già tolto quasi tutto e per cui ha dovuto impegnarsi anni per far sì che il mondo - almeno il piccolo universo in cui l'attività di suo padre aveva senso di esistere - riconoscesse il torto subito da un uomo e accettasse di riconoscerne un valore sempre avuto. Perché Diluc crede ancora che per quanto suo padre sia stato tratto in inganno e abbia avuto la sua buona dose di errori, nessuno di questi è imperdonabile al punto da dover insozzare la sua memoria o da cancellare nella totalità le cose buone fatte.


La seconda cosa è lasciare che degli sconosciuti influenzino la sua vita. Per lui è sempre stato mille volte più accettabile l'idea di sbagliare per seguire una propria convinzione che affidarsi a quelle degli altri e ottenere comunque un risultato mediocre. Ancora peggio se le azioni degli altri potevano finire con il danneggiare lui. Per questo motivo mai prenderebbe in macchina qualcuno solo perché sta facendo l'autostop su una superstrada. Sfortunatamente per lui (ma fortunatamente per lo sconosciuto in questione), ha una coscienza ed è consapevole che su quella strada il traffico è più o meno quello di una macchina ogni quaranta minuti nei giorni buoni. In tutte le occasioni in cui ha fatto quella tratta - ed è successo spesso - non ricorda mai di aver avuto una macchina davanti o dietro; forse un paio di volte ne ha incrociate al senso di marcia opposto.


E' un pomeriggio torrido di Luglio e per quanto sia pronto a usare l'arma che tiene nel cruscotto per sicurezza, non è sicuro di potersi tenere sulla coscienza l'idea di non aver aiutato qualcuno la cui unica colpa è stata essere così stupido da arrivare nel mezzo del nulla senza un piano B. Sempre ammesso che ci sia stato un piano A. Così rallenta, occhieggia il tipo sbracciarsi abbastanza da farsi notare - inconsapevole, forse, di essere già stato avvistato - e ferma del tutto la macchina accostandosi più che può al ciglio della strada. Abbassa il finestrino e lo occhieggia: a un primo sguardo sembra un turista stupido. Capelli lunghi tenuti legati in una coda affatto pratica che anziché dargli sollievo con la calura si poggia morbida sulla spalla, tenuta di chi tiene più allo stile che alla praticità, borsone a tracolla che deve essere un inferno da portare e che nessun sano di mente avrebbe mai preso al posto di un più comodo zaino da viaggio. Quello gli sorride e per quanto la mente di Diluc sia sfiorata alla velocità della luce dal pensiero che quella sia una bella faccia, non ricambia la cordialità.


«Dove stai andando?»

«Ovunque tu voglia.» ribatte quello e Diluc ricomincia istantaneamente ad alzare il finestrino. L'altro sembra capire che se vuole un passaggio è meglio non fare battute idiote e mette le mani sul bordo del vetro che sta lentamente risalendo: «Aspetta, aspetta!» esclama «Battuta pessima, ho capito. Vado nella tua stessa direzione, più o meno. La meta è parecchio lontana, ma qualsiasi chilometro guadagnato è qualcosa.» assicura, speranzoso.


Diluc ci pensa per un secondo, convinto di star facendo un grave errore. Sblocca le portiere, compresa quella del passeggero, e gli fa cenno verso i sedili posteriori: «Borsone dietro,» indica brevemente «arrivo fino alla prossima città.»


Quello non se lo fa ripetere due volte e sistema il bagaglio, richiudendo la portiera e aprendo quella del passeggero; si siede e si allaccia la cintura senza farselo dire, mentre Diluc sta già inserendo di nuovo la prima marcia.


*


Si chiama Kaeya, come si tiene a dirgli subito pretendendo una presentazione che Diluc non ha intenzione di portare oltre il nome ma che invece, nel vocabolario altrui, deve evidentemente significare "raccontiamoci ogni storia della nostra vita" dal momento che non tace un secondo. Diluc è quasi tentato di farlo scendere e gettargli addosso il borsone prima di ripartire a tutta velocità, ma la radio non offre una decente distrazione e capisce che meno risponderà alle domande altrui, più gliene verranno rivolte. Meglio poter decidere quali verità offrire a uno che spera già di non vedere mai più una volta che lo avrà lasciato al suo destino nella prossima città.


Gli dice di chiamarsi Diluc e di aver ereditato il business di famiglia, senza entrare nel dettaglio di cosa sia. Preferisce mantenere i fatti privati per sé e sa già - perché è successo in passato - che andare troppo nello specifico del lavoro porterebbe inevitabilmente a domande su quanto suo padre abbia influenzato la sua scelta di continuare l'attività e Diluc non parlerebbe di una cosa simile nemmeno con qualcuno che conosce bene, figurarsi con qualcuno appena raccattato per strada. Kaeya, al contrario, sembra fin troppo a favore della condivisione degli aspetti della propria vita di cui Diluc non avrebbe chiesto, se l'altro gli avesse fatto dono del silenzio per l'ora e mezza di macchina che manca a raggiungere l'unico motel prima di un fin troppo lungo tratto di strada prima della città.


Kaeya è uno spirito libero di quelli che fanno pensare al classico figlio di buona famiglia a cui è stato permesso fare qualunque cosa volesse in cambio di pochi sacrifici e che ora si gode la libertà a cui non ha potuto avere accesso in passato. Gli racconta di scuole piuttosto rigide, di educazione in casa per i primi anni di vita, di attività sportive lasciate da parte quasi subito - tranne la scherma, che sembra meritare una menzione speciale anche se Diluc non ha idea del perché. Kaeya parla di caldo insopportabile in quella regione e questo fa supporre venga da tutt'altra parte, ma lui non nomina città e Diluc non fa domande in merito. Lo vede smanettare con il cellulare per qualche minuto, prezioso tempo di silenzi in cui ormai stava smettendo di sperare, salvo poi sentirsi chiedere di poter fare un po' di giri di canali musicali per vedere se offrono qualcosa con cui intrattenersi.


Diluc fa l'errore di dirgli di sì. Si ritrova con improbabili ballate strappalacrime che gli fanno quasi rimpiangere di non aver tenuto viva la conversazione. Per i primi minuti non è comunque così terribile, visto che l'altro ne approfitta per bere e rispondere a qualche messaggio probabilmente; peccato che poi senta questo bisogno psico-fisico di cantare e Diluc prende in seria considerazione di aprire la portiera e farlo rotolare giù, così da riavere la pace che merita.


Si limita a cambiare stazione, non senza un discreto disappunto che Kaeya non si risparmia di esprimere vocalmente: «Lasciati dire, Diluc, che se non ti piace quella canzone la tua vita è davvero triste.» commenta fissandolo, anche se Diluc non gli riserva più di un'occhiata sbieca. Cambia marcia per affrontare una curva leggermente stretta ma poco dopo la cambia di nuovo, visto che il rettilineo si estende a perdita d'occhio per il momento.


«Mia la macchina, mia la musica.»

«Ascolti la stessa musica che potrebbe ascoltare mio padre.» gli fa notare Kaeya «Nemmeno mio fratello Dain l'ascolterebbe e fidati, Dain ha l'animo stanco come un ottantenne.»

«Con un fratello come te mi sorprende che non abbia già cambiato identità e che abbia accumulato solo stanchezza.» ribatte Diluc con la speranza di zittirlo. In genere non azzarda opinioni o commenti su persone che non conosce - ha imparato nel modo più duro quanto sia facile cadere nell'errore di una frase sbagliata e soprattutto di una figura pessima di fronte a traumi ed esperienze di vita particolari, ossia quando altri hanno sbagliato con lui. In questo caso, però, dà per scontato che se qualcosa turba Kaeya l'altro sarà in grado di tenerla per sé anziché offrirla come argomento di conversazione.


Sente lo sguardo di Kaeya su di sé ma, soprattutto, un silenzio che potrebbe definire innaturale se considera come l'altro non si sia zittito un secondo da quando lo ha fatto salire in macchina. Vista l'assenza di altre persone in viaggio su veicoli davanti o dietro il loro, Diluc può azzardare un'occhiata appena più prolungata verso l'altro. Lo nota girato verso di lui e riesce a intravedere l'espressione che gli ricorda la soddisfazione di un gatto che ha appena ottenuto esattamente quello che voleva e se ne sta sornione nella sua solita posizione sotto il sole.


«Ma allora hai anche un senso dell'umorismo, Diluc.» commenta Kaeya.


Forse se lo getta in strada ora che nessuna volante della polizia è in vista, potrebbe anche passarla franca.


*

Alla fine decide che la sua fedina penale è più importante della soddisfazione di liberarsi di un passeggero molesto che comunque, al più tardo, lascerà in città il giorno dopo. Così si dice di ignorarlo per quel che resta della strada prima del motel - una manciata di chilometri che Diluc non si dà più la pena di misurare con precisione da dopo la quinta volta che ha fatto quel tratto per raggiungere l'unica città al mondo che abbia visitato in più di due occasioni. Potrebbe comodamente volarci in aereo, a dirla tutta, ma alla fine quella strada è l'ultima che ha fatto in macchina con suo padre al volante. Preferisce assicurarsi di non dimenticarla.


A un certo punto si fermano perché Kaeya insiste che non è vivibile restare in una macchina dove potrebbe comodamente accendere l'aria condizionata ed evitare di morire di caldo, dunque se Diluc non ha intenzione di usarla come qualunque persona normale, ha bisogno di fermarsi per darsi una rinfrescata. Diluc non ha intenzione di usare l'aria condizionata in una giornata sì calda ma nemmeno lontanamente paragonabile a come sarà quella di domani, per lui che conosce il meteo della zona e ha visto le previsioni. Così accosta, gli dà tempo di rovesciarsi mezza bottiglietta d'acqua in testa e gli lancia un asciugamano in faccia intimandogli un «Gocciolami sul sedile e ti lascio qui.»


Kaeya non sembra intenzionato a perdere il suo unico passaggio ed esegue, fin troppo docile, per poi risalire in macchina. Come fanno cento metri, Kaeya gli dice: «Facciamo conversazione.» e, davvero, Diluc comincia a sentirsi messo a dura prova. Ignora le prime tre domande - vieni spesso da queste parti?, raccatti spesso sconosciuti?, come mai ti sei fermato quando mi hai visto? - e vorrebbe ignorare anche tutte quelle dopo, ma quando alla domanda «Ti piacciono gli uomini?» sente la mano di Kaeya poggiarsi sulla sua coscia, la scosta di malo modo e replica a denti stretti uno «Sta' fermo.»


Non è una vera risposta e il suo occasionale compagno di viaggio non se lo fa certo sfuggire. Diluc odia i tipi che sembrano idioti viziati e poi si rivelano persone con uno scomodo spirito di osservazione e fin troppo furbi per perdersi i dettagli che potrebbero tornargli utili.


Se non altro Kaeya non aggiunge niente e tanto gli basta: un po' di pace.


*


Vedere il motel è come vedere un'oasi nel deserto. Non solo perché è in macchina da tre ore e mezza ma perché i suoi nervi sono probabilmente molto vicini a quel punto oltre il quale potrebbe fare innumerevoli cose di cui si pentirebbe dopo una doccia e una dormita decente. Non è grandissimo e nemmeno troppo invitante, di quelli classici che si possono trovare su una strada che forse un tempo è stata trafficata ma che ormai è raro venga riempita di automobili nello stesso giorno. I loro clienti "abituali" sono quelli come Diluc, gente che capita forse una volta ogni due o tre mesi per ragioni di lavoro o personali importanti abbastanza da doversi spingere a ore di macchina in solitudine. E' il motivo per il quale Diluc non ha mai bisogno di prenotare una stanza, certo di trovarne sempre una libera, ed è anche quello per cui lo salutano e poi lo guardano sorpresi di non vederlo arrivare da solo.


La coppia che gestisce il motel lo ha visto adolescente prima e uomo adesso, una volta con suo padre e ora lo ritrova con un uomo più o meno giovane come lui di cui non sanno niente. Non fanno domande perché in posti come quello si tende a non farne, ma a lui non sfugge il guizzo di curiosità nei loro sguardi. Chiede due singole, visto che è ciò che avrebbe comunque pagato e non ha voglia di condividere con Kaeya anche la stanza; l'altro, perso a guardarsi intorno per osservare dettagli come le poche e sporadiche foto appese al muro d'ingresso o i vari avvisi per i clienti in carta plastificata, si volta poco dopo per aggiungere un semplice «Una singola anche per me.»


Prendono le rispettive chiavi poco dopo e prima che possa chiudersi in camera propria, Kaeya gli dice «Fammi compagnia a cena, offro io per sdebitarmi.» e anche se Diluc vorrebbe fargli presente che se i soldi non gli mancano si sarebbe potuto garantire un qualsiasi mezzo di trasporto che non lo costringesse a fare l'autostop, si limita a chiudere la porta sbattendola appena. Spera sia eloquente abbastanza, come risposta.


*


Non lo è. Di base perché Diluc è veramente troppo stanco e la doccia non ha fatto altro se non rilassarlo più di quanto si concederebbe mai di fronte a qualcuno che non conosce, perciò è preso in un momento di debolezza quando Kaeya bussa alla sua porta e promette del cibo più che decente se Diluc lo lascerà entrare. In verità conosce sicuramente meglio dell'altro quello che il piccolo esercizio gemellato al motel offre, avendoci mangiato diverse volte, ma vede bene di non offrire all'altro ulteriori motivi per attaccare bottone su un argomento che potrebbe durare ore, in potenziale. Così si arrende e si fa da parte, dopo averlo osservato per qualche momento e non impegnandosi a celare il sospiro stanco quando gli dà un tacito via libera a entrare.


Kaeya scivola dentro con la naturalezza di chi non ha fatto altro che condividere gli spazi con Diluc per tutta la vita, cosa che lo rende ai suoi occhi assolutamente inaffidabile. Però è vero che porta con sé la scelta migliore che il motel possa offrire, perciò deve almeno dargli atto di una capacità di giudizio del cibo sopra la media.


Mangiano in un inaspettato e confortevole silenzio. Kaeya passa la maggior parte del tempo in cui mastica a guardare fuori dalla finestra, sebbene il panorama non abbia molto oltre la strada, l'orizzonte e stelle più visibili di quanto sarebbero in città. Devono essere quelle ad attirare in qualche modo la sua attenzione, perché Diluc gli sente dire «Anche dove io e Dain abbiamo passato l'estate da piccoli le stelle si vedevano così.»


Sembra l'inizio di un racconto lungo e invece nasce e muore così, con un tono di voce più morbido, quasi una carezza per un segreto prezioso mantenuto da anni. Diluc decide di non fare domande e, almeno per questa volta, di non rifilare all'altro uno sbuffo irritato come quelli riservati agli aneddoti in macchina. Offre una tregua aprendo le due birre recuperate prima di salire in camera e porgendogliene una.


Per un istante Kaeya sembra sorpreso in maniera genuina, ma si perde quasi subito in un sorrisetto divertito.


*

Potrebbe dire che è l'alcol se solo lui si fosse mai ubriacato in vita sua, così come potrebbe imputare la situazione al gioco d'azzardo improvvisato con un vecchio mazzo di carte in uno dei cassetti della stanza e finte monete di scambio al cui posto sono state messe scommesse degne di due adolescenti. Ma la verità è che non ne ha idea. Sa solo che la maglia di Kaeya è per terra poco lontano da loro, che le birre giacciono ancora semi piene sul tavolino che hanno usato come appoggio per mangiare, che anche la sua maglietta è andata a finire da qualche parte non meglio identificata tra un lato del letto e altra opzione non pervenuta.


E che Kaeya gli sta facendo un cazzo di pompino.


La bocca di Kaeya continua a succhiare e Diluc onestamente non ha proprio la lucidità di mettersi a disquisire sul perché e sul fatto che la cosa sia piacevole - se non fosse lui, farebbe anche una battuta di terza categoria su quanto avrebbe voluto saperlo prima, che sarebbe bastato così poco a farlo stare zitto. Invece ha ancora la decenza di non cadere così in basso, mentre una mano affonda tra i capelli scuri e ormai quasi del tutto sciolti dell'altro e lo guida a un contatto più profondo. Sente la sua lingua muoversi contro la sua pelle e, davvero, se questo è l'atto di ribellione di un figlio di buona famiglia comincia a capire perché gli unici accenni fatti dall'altro siano stati al presunto fratello maggiore. Non crede vada d'accordo con suo padre, fare sesso orale con uno incontrato per strada e fermato con l'autostop.


Kaeya si tira indietro abbastanza da evitare che Diluc gli venga in bocca ma non tanto da risparmiarsi del tutto. L'altro non commenta e si limita a leccarsi le labbra in quello che Diluc suppone sia un gesto istintivo più che provocatorio, anche se poi alla fine il risultato ottenuto non è così diverso. Lo vede alzare gli occhi blu su di lui e si guardano per qualche istante, in silenzio, entrambi intenti a riprendere fiato per motivi diversi.


Sarebbe così facile cacciarlo dalla stanza, a questo punto. Non avrebbe nemmeno bisogno di dargli una spiegazione o di scusarsi, visto che non sono amanti né si sono promessi niente se non un passaggio fino alla prossima città. Ma che gli piaccia ammetterlo o no, ha notato in Kaeya il modo in cui i capelli gli scivolano morbidamente sulla spalla in condizioni normali, gli occhi blu, l'acqua scivolargli lungo il mento e se hanno condiviso un orgasmo diventa un po' tardi farsi venire i dubbi su quanto questo potrebbe complicare lasciarlo alle porte della città domani.


Se aveva deciso di pensarci su, comunque, Kaeya per una volta sembra poco intenzionato a lasciare spazio alle parole che siano queste espresse a voce o ammassate solo nella mente di Diluc. Si alza in piedi e abbassa i pantaloni, calciandoli senza tante cerimonie; i boxer fanno una fine molto simile poco dopo. Se ne sta nudo di fronte a lui, quasi a farsi ammirare e lo fa consapevole di offrire qualcosa di più che discreto con il fisico allenato, i muscoli definiti, la pelle ambrata. Diluc nota di sfuggita una piccola cicatrice vicina all'inguine ma poco dopo l'altro è a cavalcioni su di lui e ci sono tutta una serie di impedimenti in più.


Ti piacciono gli uomini?, gli ha chiesto Kaeya e Diluc non ha più bisogno di rispondere, anche se si aspetta che potrebbero esserci altre domande molto più fastidiose di quella se adesso poggia una mano sul suo fianco e con l'altra infila le dita tra i suoi capelli, spingendolo per baciarlo. Gli interessa così poco da non dover nemmeno riflettere se fare tutto questo o no.


Le labbra di Kaeya si schiudono quasi subito e lui lascia scivolare la lingua nella sua bocca, cercando quella dell'altro. Non è un bacio romantico, ma più come quello di non ha tanto tempo da perdere e vuole sentire comunque ogni centimetro di pelle altrui contro la propria e ogni fibra del suo corpo nelle proprie mani. Stringe il suo fianco quasi ci volesse lasciare le impronte, mentre sente un braccio di Kaeya cingergli il collo e l'altra mano scendere lungo la sua schiena, strisciare come un serpente fino a quando due dita non si intrufolano tra le sue natiche. Non vanno in cerca di un intrusione, lo stanno solo stuzzicando; lo capisce quasi nell'immediato ma questo non gli impedisce di irrigidirsi per un istante.


Kaeya gli succhia il labbro inferiore e poi glielo morde, muovendo lento il bacino contro di lui, cercando di strusciarsi su più punti possibili del corpo di Diluc. Ci vuole meno di quanto si pensi a risvegliare l'eccitazione di Diluc nonostante ci sia già stato un primo orgasmo, mentre quello di Kaeya sembra pericolosamente vicino. Diluc abbandona la sua bocca per deviare sul suo collo: lecca la pelle, la morde, la succhia. Lo sente lamentarsi a un certo punto ma lo ignora, preferendo concentrarsi sul lasciargli un succhiotto che resterà parecchio visibile. Quando finisce però Kaeya richiede di nuovo attenzioni con un bacio, due, tre, veloci e umidi e senza una briciola di romanticismo ma solo urgenza.


E' una sorpresa quando si ritrova le dita di Kaeya tra le labbra, quando le sente giocare con la sua lingua in una muta richiesta a succhiargliele. Non gliela darebbe vinta se solo non fosse già piuttosto impegnato a stringergli una natica con la mano che è scivolata giù dal suo fianco. Kaeya chiacchiera anche durante il sesso, sebbene mai quanto in macchina. E' quel tipo di partner che crede nella comunicazione e continua a dire cosa gli piace, cosa lo sta facendo uscire di testa, si aggiusta e permette a Diluc stesso di aggiustarsi per avere più piacere possibile. Fugacemente, il pensiero che possa avere un immenso kink per il dirty talking gli attraversa la mente ma non ha tempo di sincerarsene.


Kaeya sfila le dita dalla sua bocca e Diluc lo vede portarsele dietro la schiena; il modo in cui si inarca è sufficiente a capire che se le deve essere appena infilate dentro per prepararsi e nemmeno Diluc si aspetta la scarica di eccitazione che questo gli causa - si piega a mordergli di nuovo il collo, la spalla, il capezzolo. La posizione non gli rende semplice scendere più di così ma se lo fa bastare, mentre si concede un verso frustrato contro la sua bocca prima di baciarlo di nuovo. E' un casino considerato che nel mentre Kaeya continua a infilare le dita più a fondo che gli riesce e si muove contro di lui per far sfregare più possibile il suo membro contro lo stomaco di Diluc, alla ricerca anche della più piccola frizione. Lo masturberebbe se non fosse quasi sicuro che Kaeya raggiungerebbe l'orgasmo in pochissimo, iper stimolato a quel modo.


Non sa se passi qualche manciata di secondi o minuti, ma a un certo punto il movimento che lui fa per allontanare le dita di Kaeya da quest'ultimo e il gesto autonomo dell'altro sono quasi in contemporanea. Keaya puntella le ginocchia sul materasso e si tira appena su, mentre Diluc si aggiusta per permettergli di scendere sulla sua eccitazione. Sente di forzare leggermente, ma Kaeya non si lamenta se non stringendosi il labbro inferiore tra i denti e Diluc ovvia alla cosa appropriandosi della sua bocca ancora una volta mentre finisce di penetrarlo del tutto. Due spinte lente e Kaeya quasi grida nella sua bocca e comincia a muoversi per agevolarlo, cercando lui stesso di sentirlo uscire ed entrare da lui.


Diluc perde quel briciolo di lucidità rimasta quando Kaeya abbandona la sua bocca e porta la propria all'orecchio di Diluc, prendendo il lobo tra i denti e mordendo piano, cominciando a succhiare; poco dopo inizia a muovere il bacino in modo ritmico, in avanti, come se dovesse fottergli lo stomaco e a quel punto Diluc pianta entrambe le mani a metà tra i fianchi e le natiche altrui e spinge. I gemiti di Kaeya riempiono la stanza in poco tempo, mentre lui si spinge cercando ogni volta un punto più profondo, anche se fisicamente non è possibile e ha già trovato la zona erogena.


Kaeya viene contro di lui, dando finalmente sfogo all'orgasmo di cui aveva bisogno. Accecato dal climax si muove ancora per più di qualche spinta, quasi cercasse di prolungare più possibile la sensazione che lo porta a stringersi intorno a Diluc e ad ansimare contro il suo orecchio in un modo indecente che non fa altro che portare Diluc ad aumentare il ritmo delle sue spinte. Lo sente più sensibile che mai mentre di proposito porta una mano a pizzicargli un capezzolo prima e a toccargli l'eccitazione come se non fosse appena venuto contro il suo stomaco. Non sa se Kaeya sia tipo da implorare ma in quel momento lo fa: come in uno stato febbrile gli chiede di più, poi gli chiede di lasciarlo andare, poi di nuovo di più, di più Diluc.


Gli viene dentro in un modo che sembra quasi violento, improvviso; sente le unghie di Kaeya affondare nella sua schiena e glielo lascia fare.


*


Si sveglia e se lo ritrova di fianco. Kaeya dorme accanto a lui, mentre le prime luci dell'alba suggeriscono a Diluc che ha ancora un paio di ore buone per dormire prima di doversi alzare per prepararsi a partire di nuovo.


Non sa ancora se tra qualche ora lo lascerà davvero alle porte della città o se deciderà di fingere di perderlo di vista per poi ritrovarlo e offrirgli un passaggio al ritorno.

 
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Prompt: road trip
Missione: M3 (week 5)
Parole: 1071
Rating: gen
Warnings: original






Se avessero mai detto a Tatsuya che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe sopportato qualcuno così tanto da avere un migliore amico (oltre Jin, che era un caso speciale in molti sensi) a cui proporre un viaggio in macchina di più di dieci minuti, avrebbe detto che non era impossibile, ma altamente improbabile. Solo perché un giapponese è mediamente troppo educato per riderti in faccia anche quando vorrebbe.


E' altrettanto vero, però, che ci sono beni superiori per i quali persino lui sarebbe pronto a piegare la testa e incassare il colpo e la prospettiva di una fiera del libro con la concreta possibilità di trovare testi generalmente difficili da reperire con un ordine online o nelle librerie di nicchia è stato, per lui, un motivo sufficiente per proporre l'affare a Leon. D'altronde, senza voler sminuire il fratello acquisito, pensando a possibili compagni di viaggio disposti a girare per ore tra scaffali di libri senza desiderare dargli fuoco o annoiarsi a morte le opzioni non erano molte: Krow, che non gli avrebbe dato modo di soffermarsi con calma su tutto. Siegfried, con cui forse non sarebbero mai arrivati a destinazione.


Leon è stato la scelta più ovvia e tranquilla. Tirando a sorte, hanno optato per far guidare prima lui - poco male, visto che Tatsuya non ama guidare quanto ama fare il DJ in una macchina. Fare il sudoku. Guardare fuori dal finestrino. Pretendere di fermarsi a un autogrill per mangiare qualche schifezza degna di qualsiasi viaggio in macchina dei film di dubbio gusto a cui Hiyori lo ha sottoposto più di una volta.


In un primo momento, mentre sono a un'ora di viaggio su sei totali, pondera di proporre a Leon di guidare anche le sue tre e di ricambiare al ritorno, se preferisce, o guidare meno; poi rischiano di mandare fuori strada un imbecille, salvati solo dal suo sapiente utilizzo dell'arte del ricatto, e decide che è meglio dargli il cambio appena possibile.


«Non farci uccidere.» lo punzecchia Leon mentre si scambiano di posto alla prima area di servizio disponibile - che per sua sfortuna non è munita di bar per rifocillarsi, ma è una semplice stazione della benzina con un mezzo chioschetto annesso dove prendere giusto i beni di primissima necessità per un qualsiasi passante che abbia ancora diverse ore di macchina di fronte a sé. Questo lo indispone abbastanza da sistemarsi la cintura e rispondergli con un «Per quello c'è sempre tempo.» con il preciso intento di fare una battuta orribile. Non ha bisogno di guardare Leon per sapere che, fisicamente o mentalmente che sia, deve starsi esibendo in un facepalm.


Privilegi da time manipulator.


*


La strada si srotola dritta di fronte a loro, offre poche curve e questo rende più facile evitare di stringere il volante come se ne andasse della sua vita e di quella del passeggero al suo fianco a cui purtroppo ha dovuto cedere lo scettro del comando per quanto riguarda la musica. In genere lui e Leon non hanno il minimo problema di coesistenza in quel senso, con gusti abbastanza simili che se anche fossero diametralmente opposti verrebbero comunque unificati sotto lo stendardo del devastiamoci quel che resta della nostra anima con Aimer.


Se, però, la playlist di Tatsuya può saltare da quello, alla musica classica, al pop internazionale anche Leon si difende con delle atrocità uditive.


«Gli idol coreani? Veramente?» lo apostrofa quando un ritornello già sentito gli arriva all'orecchio. Leon lo guarda, o almeno a Tatsuya sembra così dalla vista periferica che cerca di fare il suo dovere, e sente il giudizio su di sé. O forse lo sente nella sua testa, a volte nel caso di Leon le due opzioni collimano.


«Se li riconosci sei un fan.»

«Se non li riconoscessi quando suonano in ogni supermercato di Treviri sarei sordo.»


Supermercati. Bar. Negozi muniti di radio. Angoli dove Dio deve palesemente dargli prova di non aver ancora scontato i suoi peccati - a discolpa dell'Altissimo, i suoi peccati passati sono molti.


«Tu pensa a guidare, magari ti rilassano.»

«Vivo l'ansia del mio senso di responsabilità quando guido.»

«Quale senso di responsabilità, Tatsu?»

«Touché. Il fatto che tu abbia ragione non ti salva dal mio desiderio di abbandonarti sul ciglio della strada.»

«Non confondermi con Yvan.» ribatte Leon, in una chiara battuta di spirito riferita all'animo canide di suo fratello gemello. Tatsuya non lo guarda, preferendo tenere gli occhi incollati sulla strada ora come ora, ma incurva le labbra in un sorrisetto divertito.


«Siete gemelli, dovrete pur somigliarvi in qualcosa.»


*


Il dibattito sulla musica coreana viene vinto da Leon, ma per il semplice fatto che se Tatsuya si impuntasse - leggasi: cercasse di prendergli di mano il cellulare per lanciarlo dove l'altro non possa recuperarlo in tempi brevi - rischierebbero un incidente con le macchine che incrociano di tanto in tanto, nonostante un traffico veramente rado, o di andare direttamente fuoristrada.


Dal momento che è un padre di famiglia, ormai, non gli sembra il caso e dunque lascia che quell'abominio gli distrugga i timpani per ben quattro minuti e trenta secondi. Se non altro non si presentano altri brani simili per il resto del viaggio e quando sono a una quarantina di minuti dalla loro meta Tatsuya gli chiede di buttare un occhio sul navigatore e vedere se c'è un'altra area di servizio prima della cittadina dove si tiene la fiera. Ci vuole poco a individuarla e, nonostante Leon gli faccia notare che potrebbero fermarsi direttamente una volta arrivati, basta la menzione di un caffè per convincerlo.


Parcheggiano in un attimo, essendo l'area tutt'altro che affollata; si danno il tempo di sgranchirsi un poco le gambe prima di muoversi verso l'entrata. Il locale è piccolino ma offre quanto serve: un bagno, un piccolo bar e qualche scaffale con libri per chi non ha con cosa ingannare il tempo durante il viaggio e cibi spazzatura di facile consumo. Appena varcano la soglia, il motivetto coreano gli accarezza di nuovo le orecchie e Tatsuya non può fare altro che sospirare pesantemente.


Leon, un paio di passi più avanti, ridacchia senza nemmeno cercare di nascondere il suo divertimento.


«Ridi,» gli dice, mentre recupera una bottiglietta d'acqua: «ti aspetta un viaggio di ritorno alla guida con musica latino americana


Leon lo fissa per qualche istante, mentre nella mente di Tatsuya risuona un non oseresti. Si ripromette di scaricare abbastanza brani da ucciderlo lentamente durante la pausa pranzo che faranno alla fiera.

 
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Prompt: Giappone dei daimyo
Missione: M4 (week 5)
Parole: 9409
Rating: mature
Warnings: courtesan!au, lime






Yoshiwara si presenta per il quartiere che è: il più famoso luogo dove si decide di andare per cercare la compagnia di uomini e donne bellissimi e così capaci nelle loro arti da irretire e affascinare anche senza bisogno di essere visti, quasi. Vestono le parole come i kimono brillanti dei cortigiani più famosi o quelli blu come la notte degli altri, arricchiscono la serata come un gioiello o un accessorio valorizzano i capelli o il collo nudo di una donna bellissima e inarrivabile. Yoshiwara profuma di fiori, specialmente in primavera; si tinge di rosso con le foglie di momiji in autunno e si impregna dell’odore dei frutti o della pioggia in estate. In inverno, i passi degli amanti hanno il rumore attutito della neve che cade.


Shouto ha di rado avuto accesso a quest’area, di certo mai prima della maggiore età. Con una famiglia come i Todoroki, di levatura e reputazione alte tanto quanto bassa è la disgrazia in cui sono caduti tra le mura di una casa che dall’esterno sembra perfetta, sarebbe stato impensabile per lui che è un samurai da generazioni farsi vedere tra le strade di quel quartiere. Todoroki Enji non lo avrebbe perdonato a lui esattamente come non lo ha perdonato a un altro dei suoi figli, un tempo giovane promettente che avrebbe potuto seguire le orme del padre e ora un ricordo sbiadito in documenti di famiglia tenuti da anni in una scatola impolverata, nel buio di un ripostiglio quasi mai aperto. 


Ha imparato presto che nella mansione dei Todoroki i segreti possono solo finire schiacciati e nascosti. E le persone possono diventare facilmente dei segreti - sua madre e le sue grida, suo fratello e la vergogna della famiglia che tutti sembrano aver dimenticato, la rabbia di Natsuo sfumata nella frustrazione per la sua impotenza, la tristezza di Fuyumi rimasta attaccata a una speranza di cui nessuno si interessa. E Shouto, che si porta un segreto sul viso, alla mercé di chiunque.


La prima volta che il quartiere di Yoshiwara lo accoglie, è perché Shouto ha pochi amici e quei pochi, per motivi che inizialmente gli restano oscuri, decidono di recarsi lì. Ben consapevole di dover abbandonare la propria katana, perché le armi non sono consentite, attende dietro Bakugo e Midoriya; quest'ultimo, soprattutto, sembra molto più a suo agio di quanto Shouto avrebbe mai pensato potesse essere, come se quella non fosse la sua prima volta a Yoshiwara. Una volta che i controlli gli danno il via libera per addentrarsi nel luogo, Midoriya lo affianca lasciando che Bakugo e Kirishima camminino qualche passo avanti a loro. Shouto lo guarda per un attimo di sottecchi, ma senza pressare per avere spiegazioni sul perché uno come Izuku si senta a suo agio in un posto in cui, con il carattere che ha, Shouto difficilmente riesce a immaginarlo. Per quello, e perché non gli sono sfuggite le occhiate che lancia a Bakugo di tanto in tanto, quando è convinto di non essere visto. E' probabile, comunque, che la maggior parte delle persone che gravitano intorno a loro non si sia davvero resa conto di nulla e per questo Shouto non ha mai preso il discorso. Rispetta la riservatezza di Midoriya proprio come Izuku ha sempre rispettato la sua, non facendo domande riguardo la cicatrice che gli sfregia il volto nemmeno quando sono stati compagni della stessa scuola per affinare l'arte della spada e hanno condiviso gli spazi come due fratelli.


«Scusaci se abbiamo insistito, Todoroki-kun. So che non è il tipo di posto in cui saresti venuto normalmente.» pronuncia Izuku, con l'espressione di chi offre delle scuse sincere e non di rito. In generale la situazione di Yoshiwara è peculiare, specialmente da qualche anno: in linea di principio i samurai dovrebbero tenersene fuori, ma è sempre stata una regola tacita tra tutti che molti di loro si addentrassero comunque nel quartiere e chi li incrociava, non li vedeva mai davvero. O, se lo faceva, non aveva motivo di farlo presente a qualcuno. Poi con l'avvento dello Shogunato Tokugawa, i samurai erano diventati una figura meno presente, ma non così rara come si poteva pensare. Bakugo e Kirishima ne sono sempre stati un esempio, anche se solo Eijiro dei due sembra attaccato all'idea di un tempo, di una morale e di un voler essere al servizio dei deboli e dei più sfortunati. Bakugo, specie agli inizi, ha fatto dubitare Shouto di quanti pochi ideali potesse avere un uomo. Poi ha conosciuto Midoriya, un amico d'infanzia di cui aveva a stento sentito parlare, e ha capito che c'era probabilmente più di quanto l'occhio vedesse.


Da quel momento non è stato raro finire a fare gruppo, sebbene i loro ceti sociali molto diversi avrebbero fatto pensare all'impossibilità del tutto - ma d'altra parte tutti hanno sempre saputo che la famiglia Todoroki ha i suoi scheletri nell'armadio. Per fortuna Izuku si è dimostrato più che degno della compagnia di chiunque durante i loro giorni con lo stesso maestro di spada, e Shouto non ne sarebbe potuto essere più felice e fiero. Aver avuto modo di allargare i propri orizzonti e uscire dalla mentalità a compartimenti stagni inculcata dalla tirannia domestica di un padre che avrebbe preferito assente, è stata una benedizione. A volte pensa che vorrebbe tanto far conoscere Izuku a sua madre.


«Non siamo propriamente clienti abituali ma... Kirishima-kun sembra essersi invaghito di uno dei cortigiani in una delle case di piacere di Yoshiwara. Ci ha chiesto di accompagnarlo e visto che è lo stesso posto dove si trova un caro amico... Kacchan ha insistito per accompagnarci. Beh, lui in verità ha detto di doverlo fare perché da soli non saremmo stati in grado di tornare senza cadere in qualche trappola che ci avrebbe privato di tutti i risparmi, ma...» abbozza un sorrisetto divertito, nel pronunciarlo, e Shouto può immaginare senza difficoltà l'espressione di Bakugo nel dirlo, consapevole forse che non ci avrebbe creduto nessuno. Il suo modo di mostrare la preoccupazione o il tenerci ha sempre lasciato Todoroki perplesso e divertito insieme. Deve essere davvero complicato avere così tante emozioni pronte a esplodere ma sentire il bisogno di tenerne solo alcune sotto controllo.


Shouto non sa come possa succedere. Lui le tiene a bada tutte insieme.


«Hai detto un amico?» domanda, mentre l'informazione arriva finalmente dove deve e gli fa inarcare un sopracciglio. Non lo stupisce affatto che Izuku possa diventare amico di qualcuno che lavora in una casa di piacere, perché lui è quel tipo di persona: umili origini per cui ha dovuto faticare cento volte più degli altri per dimostrare di valere e, dunque, non farebbe mai il torto a qualcuno di giudicarlo in base a qualcosa di tanto superficiale. A stupirlo un po' è la dinamica che potrebbe aver portato Izuku lì per la prima volta, ma l'altro sembra leggere nella sua semplice domanda più di quanto Shouto avrebbe potuto articolare nella sua mente, figurarsi a parole.


«Sì, ci siamo incontrati fuori da Yoshiwara, durante il giorno, ma con il tempo mi ha detto di lavorare qui. Penso che alla lunga, se anche non me lo avesse detto lui, lo avrei saputo da Kirishima-kun.» afferma, perché di certo l'altro lo avrebbe riconosciuto dalle sue visite alla casa di piacere in questione. Shouto annuisce, perché non è certo ci sia un commento specifico a cui dovrebbe dare precedenza. Per sua fortuna Midoriya è abituato ai suoi silenzi e non ci bada, né lo legge come un tacito giudizio negativo sulla questione.


«Oi, voi due! Muovete il culo!» li richiama Bakugo, una mezza dozzina di passi avanti a loro ormai. Shouto e Izuku si guardano e affrettano entrambi il passo. Di fronte, a una manciata di metri, si staglia la facciata di un edificio e un uomo esce dalle porte; all'interno, sebbene forse sovrastato dai rumori della strada trafficata in quella che si potrebbe definire ora di punta, a Shouto sembra di sentire il suono dello shamisen.


*


La casa di piacere in cui sono entrati ormai un'ora fa ha impiegato solo pochi minuti a convincere Shouto sul perché sia considerata una delle più in voga in tutta Yoshiwara: al di là della costruzione in sé, tenuta nel migliore dei modi, ciò che offre è veramente più di quanto lui nella sua totale ignoranza si sarebbe aspettato. Certo, sa che luoghi come questo devono invogliare a tornare e che a farlo sono principalmente le cortigiane e i cortigiani che vi risiedono e lavorano, ma nel suo aver visto sempre Yoshiwara più dall'esterno che dall'interno Shouto era convinto che si offrissero delle arti - più o meno accostate alla fisicità - e poco più. Benché sia giapponese fin nel midollo e con alle spalle un'educazione tradizionale e abbia visto, con i propri occhi, cosa l'istruzione di Fuyumi abbia incluso e dunque quanto importanti siano considerate l'arte della danza, della musica e della conversazione... non si aspettava colori sgargianti, accessori che catturano lo sguardo in un istante o movimenti capaci di far pensare al fiore più delicato.


Deve ammettere quindi che in un primo momento c'è della grossa difficoltà da parte sua: prende posto, certo, segue Midoriya e gli altri oltre la soglia di una stanza per loro sistemata, ma a parte un cenno del capo quando viene loro annunciato che le persone designate stanno arrivando a intrattenerli e con loro anche il cibo ordinato, la sua presenza quasi non si vede e non si sente. Quando i cortigiani arrivano, però, la prima cosa che gli riesce semplice è capire quale sia l'oggetto del desiderio di Kirishima e non solo perché Eijiro lo rende vergognosamente semplice da capire ma anche perché i due si guardano in un modo a cui solo una persona incapace di vedere potrebbe passare sopra. Tamaki, questo il nome del ragazzo in questione, è anche più grande di loro e sembra essersi arreso all'idea che Kirishima con il suo entusiasmo fin troppo contagioso e il tono di voce alto voglia averlo come compagnia spesso e volentieri. Distrattamente, Shouto si chiede da quando Kirishima stia portando avanti quello che a tutti gli effetti è un corteggiamento.


Insieme a Tamaki entra anche un altro ragazzo: non ha un kimono particolarmente impreziosito, ma si capisce come la stoffa sia di una buona fattura. I capelli violacei non sembrano proprio trattati con la massima cura, ma nel complesso ciò che di norma forse darebbe una sfumatura sciatta alla sua figura lo rende diverso da tutte le bambole perfette che sembrano tenute su una mensola di una casa di giocattoli. Shouto lo nota quando entra e, nel vederlo offrire un sorriso sbieco a Midoriya capisce che si tratta dell'amico in questione. Non dice nulla però, offre un cenno con il capo per dare un educato saluto e torna a focalizzarsi sulla cena che nel frattempo gli hanno messo davanti.


Scambiano qualche parola nell'arco della serata, soprattutto quando Izuku decide di presentarli e fa da intermediario per un primo approccio che altrimenti non ci sarebbe mai. Shouto gli è mentalmente grato, perché per cercare di non sembrare lì per avere un certo tipo di servizi dall'altro è abbastanza sicuro di dare l'idea di non volerci essere affatto. Potrà non essere molto garbato, ma Shouto preferisce sembrare indifferente che dare adito a spiacevoli malintesi.


Alla fine della serata nessuno di loro si trattiene oltre e vengono accompagnati all'uscita sia da Hitoshi che da Tamaki. Shouto offre di nuovo un cenno del capo e, al contrario di Kirishima, una volta fuori non si guarda mai indietro.


*


Passa quasi un mese prima che le loro strade si incrocino di nuovo, ma la cosa più sorprendente è che quando succede sono da tutt'altra parte rispetto alle quattro mura di una casa di piacere. Si tratta della via principale della città, durante il giorno, entrambi intenti a gestire degli acquisti non loro - per quanto riguarda Shouto, si tratta di fare un favore personale a Fuyumi e, solo in seconda battuta, ha pensato di prenderle un piccolo pensiero. Hitoshi invece sta acquistando diverse beni necessari alla padrona del posto in cui lavora.


Si ritrovano davanti alla medesima bancarella, sebbene intenti a osservare merce diversa. Shouto sta allungando una mano verso un pettine con un fiore e una piccola pietra incastonata al centro, elegante nella sua semplicità, perfetto per il tipo di discrezione che è propria di sua sorella quando una voce al suo fianco pronuncia un «E' questo tipo di cose che si regalano a una fidanzata? Va detto che sei silenzioso abbastanza da essere adatto a un dono discreto, anziché uno troppo pacchiano.» con una punta di divertimento nella voce.


Shouto sposta lo sguardo dall'oggetto al ragazzo alla sua destra, riconoscendo Hitoshi nei lineamenti del profilo che gli offre. Sta guardando la bancarella come se nulla fosse, come se non avesse appena parlato e una minuscola parte di Shouto non è nemmeno molto entusiasta della cosa - tende a non avere interesse per l'opinione del resto del mondo nei suoi confronti, ma è anche strano sentire qualcuno che ha passato con lui non più di qualche ora e parte di quello stesso tempo in conversazione con altri esprimere un giudizio. Su cosa mai potrebbe averlo basato, gli sfugge.


«E' un regalo per mia sorella.» si limita a dire, dal momento che ha poco da offrire oltre la verità. Quello sembra attirare l'attenzione di Hitoshi, almeno a giudicare da come il suo sguardo abbandona oggetti di cui forse non gli è mai interessato davvero per spostarsi sul viso di Shouto. Tace per qualche momento prima di dire: «Non so se pensare sia una scusa. So che nella famiglia Todoroki c'è una figlia femmina e tu non sembri la persona più adatta a mentire.» osserva infine. Shouto non sa nemmeno cosa dovrebbe mai guadagnare dalla menzogna, in questo caso. Parte di lui, però, non ama l'idea di qualcuno con abbastanza interesse per la sua famiglia da informarsi su quanti e quali eredi abbia. Ignora il fatto che, essendo Fuyumi la più grande, sia comprensibile la sua conoscenza anche da esterni.


«E' un bel regalo,» aggiunge Hitoshi, una vaga morbidezza in più nel tono di voce, capace di far abbandonare a Shouto l'idea di restare sulla difensiva. Alla fine, si tratta solo di un incontro casuale che non può durare molto più di quanto sia già durato: «anche se l'accostamento dei fiori a giovani e fragili fanciulle è un po' datato. Anche se tipico.» commenta in aggiunta l'altro.


Shouto lo guarda, poi osserva l'accessorio in questione. Lo prende tra le mani, lo controlla brevemente e poi richiede che venga sistemato in quanto si tratta di un regalo, avvolto come si conviene per poterlo presentare. Paga subito così da potersene andare quando gli verrà consegnato e attende in silenzio, senza dare una risposta a quel ragazzo che gli sta accanto. Ripensa a Fuyumi che ha visto andare via la madre, ha visto la famiglia distruggersi, un fratello cessare di essere suo fratello, l'altro soffrire per non aver potuto fare niente e il più piccolo di casa sfigurato per sempre. Riflette su quanto avrebbe potuto lasciarsi distruggere e come, invece, abbia cercato nel suo piccolo di salvare tutti ancora prima di se stessa senza perdere per un istante la propria dignità.


Prende il regalo in mano quando il mercante da cui lo ha acquistato glielo porge e lo mette al sicuro. Guarda Hitoshi, forse ormai convinto che la conversazione sia caduta.


«Non tutti quando guardando un fiore pensano di poterlo schiacciare facilmente.» gli dice. Ha la sensazione di lasciar trapelare più sentimento di quanto avrebbe voluto, nel farlo, ma dandogli le spalle quasi subito per incamminarsi e andare via non sa se sia qualcosa che Hitoshi possa aver notato.


*


A essere completamente sincero, Shouto non ha molta intenzione di tornare a incontrare Hitoshi, perciò quando Izuku glielo propone declina l'invito e il fatto che per un'intera settimana suo padre lo porti a incontrare alcuni dei mercanti più ricchi della zona e con cui hanno diversi accordi vantagiosi gli rende semplice, per una volta, fingere che sia un problema di impegni senza dover mentire. Specie considerando quanto pessimo sia nel farlo quando ci prova. Dopo quasi mezzo mese, però, diventa difficile continuare a rifiutare e ogni sua resistenza diventa vana quando Izuku gli dice che è stato Hitoshi stesso a chiedere di lui, senza privarsi di far presente come questo non sia mai successo da quando lo conosce e si parla di qualche anno. Shouto non ha idea di cosa quel ragazzo possa volere da lui, ma non si sente nemmeno di potersi negare per sempre, dunque accetta di accompagnare di nuovo Izuku.


E' una serata più tranquilla già di partenza, dal momento che sono solo loro due, Bakugo e Kirishima impegnati in altro che li tiene momentaneamente lontani da Yoshiwara. Raggiungono la casa di piacere che buona parte dei clienti non sono ancora arrivati, forse per l'ora non troppo tarda più propria di chi intende trattenersi durante la notte. Vengono accolti e guidati quasi subito, portati in una stanza leggermente più piccola di quella dell'ultima volta, e hanno poco da attendere prima che cibo e compagnia vengano fatti entrare. Shouto si aspetta di vedere una sola persona e che quella persona sia Hitoshi, ma con lui c'è anche qualcuno che Shouto non riconosce, una ragazza dai lunghi capelli acconciati per valorizzarle il viso dai lineamenti delicati. Indossa un kimono con le più disparate sfumature di verde e ornamenti di petali rosa, in perfetto contrasto con le altre colorazioni. Lei si siede quasi immediatamente vicino a Izuku, e questo lascia a Hitoshi lui come unica opzione.


Non è una sorpresa quando gli si siede accanto e aspetta giusto il tempo necessario agli altri due per iniziare una conversazione fitta abbastanza da distrarli, prima di prendere parola. Gli versa del sake, con movimenti precisi ed eleganti, posando la piccola boccetta in ceramica sul vassoio al proprio fianco prima di dare voce a un: «Izuku mi ha sgridato.»


Così, decontestualizzata, quella frase ottiene solo di generare confusione in Shouto e lui non si priva di mostrarlo con un lieve aggrottarsi delle sopracciglia. Questo rende apparentemente tutto molto più ilare per Hitoshi, visto come si lascia scappare uno sbuffo divertito tra le labbra; sarebbe quasi impercettibile se non fossero così vicini.


«Per aver insinuato che tu fossi il tipo di persona che pensa chiunque sia al di sotto di lui, tanto da non doversi nemmeno sforzare per scegliere un regalo alla propria sorella o fidanzata.»

«Ho già detto che era per mia sorella.» fa notare, correggendolo. Non perché abbia particolare necessità di chiarire la sua situazione sentimentale con Hitoshi, ma per una questione di principio a questo punto.


«Ecco, Izuku ci ha tenuto a specificare anche questo.»

«Questo cosa?»

«Che non menti. E quindi, quando mi hai detto che si trattava di tua sorella, doveva essere così. A essere onesto, mi lascia perplesso come si possa credere tanto ciecamente a qualcuno. Potrà sembrare un sempliciotto pronto a fidarsi di chiunque, ma ho molto rispetto per l'intelligenza di Izuku. Quindi mi è sembrato strano che fosse così convinto nel parlare di te.» aggiunge, senza peli sulla lingua e ben lontano da come Shouto immagina vengano istruiti cortigiani e cortigiane nel conversare con i clienti. Benché lui detesti prendere per buona gran parte delle cose a cui dà voce suo padre, una volta lo ha sentito parlare del quartiere a luci rosse - non senza un evidente sdegno al solo pensarci, ma di quello Shouto non si è stupito.


Yoshiwara, ha detto Enji in quell'occasione, vende l'illusione di qualsiasi cosa tu abbia bisogno: della cordialità, dell'amore, della pace e del piacere.


A detta di chiunque abbia provato a entrare in quel colorito mondo di sogni e ne sia uscito forzandosi ad abbandonarlo, a dispetto di tutte le sue promesse ciò che Yoshiwara ti lascia tra le mani non è altro che la disperazione a sfuggirti tra le dita come sabbia.


Non sa cosa Hitoshi si aspetti che lui dica, di fronte a queste parole - dovrebbe ringraziare per la fiducia? Dovrebbe accettare quelle che, sebbene un po' indirette, sembrano scuse? In entrambi i casi ha il sospetto che non sia esattamente ciò che Hitoshi voleva dire, perciò Shouto tace per qualche attimo ancora. Sorseggia un poco del sake, anche se sarebbe più corretto dire che si bagna le labbra con il liquido alcolico, e solo dopo decide di dare una risposta anche se forse diversa da quella che l'altro si aspetta.


«Quello che intende di preciso Midoriya non posso dirlo io per lui.» pronuncia, mentre la mano recupera le bacchette. Indugia un attimo prima di prendere un boccone, incerto se aggiungere un pensiero che gli passa per la testa in quel momento o meno, ma alla fine decide che potrebbe valerne la pena. Non sa cosa Hitoshi pensi di lui e, dopotutto, non è nemmeno importante che abbia un pensiero preciso sulla sua persona, ma sente di voler comunque chiarire un concetto.


«Non ho bisogno di mentire,» afferma, lo sguardo - sulla ciotola di riso tenuta nell'altra mano - che non cerca quello di Hitoshi fin quando, non decide di alzarlo e incontrare quello altrui per aggiungere un «quindi non mento mai.»


Hitoshi lo fissa in un modo che fa sentire Shouto come se si fosse appena spogliato di ogni abito ma, soprattutto, di ognuna delle armature che gli ha permesso negli anni di non lasciar vedere al mondo i segreti che si portava dentro - quelli per cui non ha il coraggio di mostrarsi e quelli che altri hanno impresso a fuoco su di lui.


Il resto della serata quasi non parlano, ma quando è tempo di congedarsi Hitoshi lo avvicina più di quanto chiunque abbia mai fatto fisicamente e gli sussurra poche parole che portano con loro un invito a tornare e delle scuse. Gli sembrano sincere, ma non sa perché dovrebbe tornare da lui.


*


Contrariamente a ogni sua aspettativa, però, si vedono più spesso di quanto avrebbe mai potuto credere possibile. Qualche volta accade tra le bancarelle e c'è solo un breve saluto, quasi sempre discreto; Shouto impiega un po' a capire che quella discrezione è una premura nei suoi confronti, un assicurarsi che il cenno vago non venga visto dagli altri, in modo che nessuno possa ricollegare il loro scambio a una conoscenza che può avvenire solo in un luogo. Per quanto Hitoshi sia tutto fuorché qualcuno che dà nell'occhio, è probabile che il modo in cui Shouto lo ha conosciuto sia comune a molti uomini e che questo sia il motivo per il quale non c'è mai un approccio vero e proprio tra loro, non come potrebbero averlo Shouto e Izuku.


Altre volte Shouto accompagna quella che può ormai considerarsi la loro amicizia comune o, come nel caso della prima sera, Kirishima e Bakugo lo convincono a unirsi - più il primo che il secondo - e si muovono in gruppo. In quelle occasioni Hitoshi è con Tamaki e lui e Shouto scambiano qualche parola, che poi diventa qualche frase e infine interi discorsi. Succede molto prima che lui riesca a realizzare la cosa e quando è ormai pericolosamente vicina all'essere un'abitudine, è troppo tardi. Ci sono gesti minimi tra di loro perché Shouto non vuole che ci sia il malinteso di qualcosa di fisico, così facile da male interpretare, e perché sente che non potrebbe mai toccare nessuno in quel modo. Dentro o fuori Yoshiwara.


Hitoshi non chiede mai spiegazioni né sembra tenerci in modo particolare; d'altronde forse aiuta molto che Kirishima stesso, pur non facendo mistero del suo corteggiamento verso Tamaki né di quanto lo adori con profonda sincerità, non allunghi un dito verso di lui. Ne rispetta la riservatezza e la timidezza che potrebbero essere proprio ciò che gli hanno fatto perdere la testa e Shouto, per come ha imparato nel tempo a conoscere Kirishima, potrebbe scommettere che sarebbe capace di non toccare mai Tamaki se il ragazzo esprimesse anche solo una rimostranza in questo senso. Persino in un futuro in cui Kirishima sia riuscito a estinguere il debito di Tamaki e a prenderlo con sé. In ogni caso l'assenza di intimità fisica tra loro fa sì che non ci si aspetti niente di più da lui e questo lo fa sentire più a suo agio del previsto.


Perciò si limitano a parlare. All'inizio di argomenti senza importanza, di piccole notizie che di certo qualche altro cliente ha portato all'interno della casa di piacere. Lentamente si tratta di piccoli aneddoti, cose di poco conto come l'occasione in cui si sono conosciuti Shouto e Izuku che erano poco più che adolescenti e lontani dall'essere già considerati uomini. Ci sono serate in cui Shouto quasi non apre bocca, limitandosi a osservare Hitoshi interagire con Bakugo, un commento ironico dietro l'altro che non fa altro che far innervosire Bakugo sempre di più fino a quando la sua voce non rischia di sentirsi in ogni corridoio della casa. All'inizio alcuni degli uomini che lavorano per la sicurezza del posto e per gestire i clienti particolarmente fastidiosi - anche se, a quanto sembra, non ne sono passati spesso da quelle parti - varcano la soglia della stanza in cui si trovano, aspettandosi di dover prendere di peso qualcuno e portarlo via. Alla fine persino loro imparano a riconoscere la voce di Bakugo e che non cela vere minacce.


Una sera però Tamaki non c'è, richiesto da un altro cliente e a poco serve il loro tentativo di tranquillizzare Kirishima assicurandogli che si tratta di un'occasione speciale e di una richiesta semplice, di servizi tutt'altro che fisici. Kirishima si rivela essere inconsolabile - Shouto capisce solo in parte quanta frustrazione deve avvertire, nel suo tentativo di mettere da parte più possibile per poter tirare fuori Tamaki da quella realtà e avere la certezza di poterlo avere al proprio fianco. Se dipendesse solo dal suo desiderio e dai suoi sentimenti, Shouto è sicuro che Kirishima lo avrebbe portato via con sé dopo la prima sera. Invece è costretto ad attendere fino a quando non potrà economicamente farlo e dunque quella sera Kirishima si ubriaca abbastanza da impuntarsi sul voler restare a tutti i costi. Bakugo si rifiuta di fargli da balia, come ci tiene a sottolineare, così Izuku lo guarda con una muta richiesta negli occhi e Shouto accetta di rimanere con Kirishima.


Quella notte, a un certo punto, lui e Hitoshi rimangono svegli mentre Eijiro è crollato. Hitoshi lo osserva in silenzio abbastanza a lungo da far supporre a Shouto che presto si congederà. Per questo quando lo sente parlare in un mormorio basso se ne sorprende.


«Non hai mai toccato un uomo?» gli domanda e lo coglie alla sprovvista, anche e soprattutto per cosa gli sta chiedendo. Shouto vorrebbe fargli notare che non hanno quel tipo di complicità da poter parlare di qualcosa di tanto privato oppure, più semplicemente ancora, potrebbe dire di essere stanco e di voler riposare e imporgli di uscire perché sono comunque un cliente e qualcuno che ne deve accontentare le richieste. Questo forse è ciò che farebbe suo padre e tanto basta, a Shouto, da fargli desiderare di essere diverso. Di non cedere alla tentazione di sfruttare un potere che Hitoshi stesso si aspetta che sfrutti, forse, solo perché non sa come tirarsi fuori da qualcosa di così scomodo.


Rimane comunque in silenzio per una manciata di secondi che paiono lunghissimi, più a lui che a Hitoshi, e infine scuote appena la testa in un movimento che vorrebbe risultasse quasi impercettibile.


«Non ho mai dovuto.»

«Non devi mentire dunque non lo fai,» pronuncia Hitoshi citando le sue parole «non devi toccare un uomo dunque non lo tocchi. Mi domando cosa tu faccia perché lo vuoi, se tutto si basa invece sui tuoi doveri.» lo punzecchia, questo è qualcosa che anche Shouto sa riconoscere - la provocazione è ciò che più di ogni altra cosa, insieme alla severità, ha sentito uscire dalla bocca di suo padre per tutta la sua infanzia. Un insieme di "è tutto qui ciò che sai fare?", "Sei così debole?", "E' così che speri di succedermi alla guida del casato, in futuro?" per esortarlo a essere migliore. Ha ottenuto solo di convincerlo che non sarebbe mai potuto essere niente di ciò che voleva, figurarsi se sarebbe mai potuto diventare migliore in qualcosa.


«Non ho mai dovuto e non ho mai voluto.» replica con quella piccola aggiunta, puntando gli occhi in quelli di Hitoshi, sfidandolo a recriminargli qualcosa se solo ne ha il coraggio. L'altro non se lo aspetta e si vede, ma non si tira nemmeno indietro. Incurva le labbra in un sorriso sghembo e Shouto ha il sospetto che non avrebbe dovuto rispondere.


«Forse perché nessuno ti è mai interessato. O nessuno è stato bravo abbastanza.» dice e c'è un'implicazione evidente nelle parole che usa perché - Shouto lo ha capito ormai - Hitoshi non dice mai le cose per caso e ogni parola è scelta con cura, al pari della sfumatura di colore giusta in cui un artista sceglie di intingere il pennello prima di dare vita a qualcosa di magnifico sulla tela bianca. Ma Shouto non è un artista, lui di fronte alla bellezza può ammirare ma non potrà mai capirne la sottile complessità.


«Forse. Ma non posso.» chiarisce, prima che il suo "forse" possa essere interpretato in modo fin troppo conveniente.


«Naturalmente.» osserva Hitoshi con un incurvarsi di labbra diverso a cui Shouto non riesce a dare una collocazione precisa nella gamma delle emozioni che ha mai visto sul viso di qualcuno «La tua posizione non lo rende facile, immagino.» aggiunge e per un momento quasi lo confonde, perché ci sono momenti in cui Shouto dimentica di essere l'erede dei Todoroki. Ogni tanto succede per caso, ma molto spesso succede perché vorrebbe potersi svegliare e scoprire di essere qualcuno di cui nessuno si cura.


Stringe i pugni sulle proprie gambe, fermo in ginocchio sul cuscino dove è sempre stato da quando sono arrivati ormai molte ore prima. Nella stanza l'unica fonte di illuminazione sono due candele, tenute accese per permettere a loro due di vedersi ma lontane da Kirishima, per non disturbarne il sonno. Proprio come la prima volta di fronte a quella bancarella, Shouto sente un sentimento complesso nei confronti di Hitoshi. Più il cortigiano gli dona verità scomode che non potrebbero essere più lontane dalle realtà, più lui si sente braccato dall'idea di doverlo correggere e per questo essere sincero, costringendosi così a svelare parti di sé che non vorrebbe mai. La cicatrice sul suo volto deve essere ancora più evidente, con il riverbero della fiammella, ed è come se all'improvviso Hitoshi potesse scorgere ogni suo più intimo segreto.


Eppure non c'è parte di sé che vorrebbe mostrare di meno di quell'oscura melma che sente di portarsi dentro.


«La mia posizione,» ripete con un sarcasmo che sfugge al suo controllo prima che possa evitarlo e che fa alzare lo sguardo di Hitoshi con la stessa sorpresa di altre occasioni. Shouto odia che siano le sue verità a scatenare quelle reazioni, ma nonostante questo non impedisce a se stesso di aggiungere «la mia posizione una volta mi ha dato un'ustione che tutti guardano e per cui tutti sono curiosi senza mai avere il coraggio di chiedere niente. Non so cosa mi darà la prossima volta, ma chissà se tu intanto avrai trovato il coraggio di farmi la vera domanda per cui continui a punzecchiarmi.» ribatte «Non so quale sia, ma hai davvero molte opinioni su di me per uno che non ha mai chiesto nulla di importante.»


Non parlano per il resto della serata, anche perché Shouto non gliene dà l'occasione. Lamenta della stanchezza, si sveste di alcuni strati dei suoi abiti e si corica sul futon steso in precedenza per lui non troppo distante da quello offerto per Kirishima. Hitoshi non dice una parola, anche se un paio di volte sembra sul punto di provarci - ma Shouto lo ignora, non incontra il suo sguardo e così non gli dà modo di esprimere a parole qualunque sia il suo dubbio.


Poco prima di scivolare nel sonno, a Shouto sembra quasi di sentire delle dita tra i capelli in una lunga carezza.


*


Ciò che Shouto vorrebbe, a questo punto, è dimenticarsi di Hitoshi e sperare per Kirishima senza doverlo mai più accompagnare a Yoshiwara. Si illude così di non doversi più preoccupare di incontrare un cortigiano che riesce a farlo sentire giudicato come quando era un bambino a cui riusciva difficile persino alzare lo sguardo sugli adulti che gli parlavano. Del tutto dimentico di incontri avvenuti al di fuori del quartiere incriminato, Shouto è convinto di potersi lasciare tutto alle spalle con la stessa naturalezza e facilità con cui si lascia che passino le stagioni. Invece Izuku è di nuovo portavoce di un invito al quale vuole davvero dire di no, se non fosse che Midoriya ha un terribile ascendente su di lui e Shouto comincia a pensare l’altro ne sia pericolosamente cosciente quando si vede rivolgere uno sguardo quasi di supplica che nasconde però una determinazione a non lasciar stare la questione fin quando non avrà ottenuto una risposta positiva.


Shouto è una persona testarda, ma non riesce a ignorarlo troppo a lungo, specie quando Izuku gli dice «Hitoshi non mi ha ripetuto cosa ti ha detto, ma vuole scusarsi. Lo conosco quasi dallo stesso numero di anni da quando conosco te, Todoroki-kun, e credimi se ti dico che Hitoshi... di rado ha bisogno di scusarsi per qualcosa. Non è il tipo di uomo a cui piace piegare la testa, se non è strettamente richiesto dalle dinamiche di Yoshiwara, ma soprattutto lo considero troppo intelligente per mettersi volutamente in condizioni di doversi scusare.» fa presente e c'è un'immensa differenza tra il non voler fare qualcosa e il far sì di non doverla fare. Izuku lo sa, così come lo sa Shouto. Ci vuole un acume particolare per riuscire nella seconda e un istante per cadere in errore.


«E per questo,» riprende Midoriya «mi ha confidato di volerti incontrare di giorno. Fuori da Yoshiwara. Dice che è già successo una volta e avresti saputo a cosa si riferiva.» aggiunge, una punta di curiosità che non riesce a nascondere ma che non passa inosservata. Shouto riesce comunque ad apprezzare il suo non chiedere ulteriori dettagli sull'occasione in questione e sospira, perché mentre ancora si convince di doverci pensare e di non volersi prestare, sa già che una parte di lui ha ceduto ed è sufficiente a far sì che si faccia trovare lì dove Hitoshi lo vuole.


Così lo incontra, si sente rivolgere delle scuse che gli sembrano sincere. Hitoshi non si perde in chiacchiere superflue, non gli offre niente di pomposo o di vicino all'etichetta - si scusa come farebbe qualcuno che è più di un conoscente ma meno di un amico, qualcuno che vorrebbe conoscere meglio la persona davanti a lui ma che non riesce a capire appieno secondo quale dinamica questo potrebbe succedere. Shouto non si ritiene uno dei migliori nel leggere le persone, per lui è più facile avere subito una prova tangibile di cosa siano in grado di dire e fare e da lì modellarsi in base a come lo fanno sentire. Hitoshi in questo è come uno specchio d'acqua di cui non si riesce a vedere bene il fondo, non importa quando cristallina possa essere la superficie e per Shouto l'ignoto non ha mai riservato un particolare fascino. Al contrario, non lo apprezza. Ma gli sembra, e potrebbe sbagliare, che Hitoshi nella sua intricata matassa di pensieri ed emozioni lasciate sotto la superficie voglia permettergli di vedere appena oltre.


Forse alla fine si rivelerà solo un'occhiata fugace o una delle menzogne di Yoshiwara, ma Shouto decide di dargli un'occasione. O di darla a se stesso.


*


Passano quattro stagioni. Shouto osserva le foglie rosse creare tappeti pregiati per le vie che lui e Hitoshi calcano quasi ogni mattina, in incontri brevi quanto la strada in comune, prima che questa si dirami e li porti uno verso la scuola dove ha appreso l'arte della spada e l'altro in direzione di un quartiere che chiama casa.


La neve dell'inverno porta con sé il primo regalo in assoluto che fa a Hitoshi, insistendo perché venga considerato una premura generica più che un dono con delle intenzioni. Avviene quando sono insieme un pomeriggio, un paio di ore a dividerli dal momento in cui Hitoshi dovrà chiudersi di nuovo nella casa di piacere ed essere il compagno perfetto in qualunque cosa gli verrà chiesta. Shouto chiede di fermarsi di fronte a un negozio che conosce bene, dove prende un haori adatto alla stagione; non lo fa incartare, preferendo poggiarglielo direttamente sulle spalle una volta che sono fuori. Hitoshi vorrebbe dirgli qualcosa forse, lo vede corrugare la fronte mentre cerca le parole giuste, ma Shouto si limita a dirgli «Vesti troppo leggero.» come se fosse l'unica questione tra loro.


Pian piano il freddo si scioglie e i primi fiori fanno capolino, timidamente. Yoshiwara è al suo massimo in primavera, con il profumo inebriante dei boccioli degli alberi e i colori di cui si dipinge. Shouto per la prima volta si reca alla casa di piacere da solo, senza alcuna ragione se non il voler dimenticare per una sera chi è - quando il peso della presenza di suo padre in casa diventa così forte e totalizzante da ricordargli che i segreti, quando vogliono essere mantenuti, comportano anche mettere a tacere chi li conosce. E questo per suo padre non è diverso dall'imprigionare anche i suoi figli in una gabbia dorata, se necessario. Così si presenta di sera, con ancora addosso il vago senso di disagio di chi non riesce ad abituarsi a certi approcci. Quella sgradevole sensazione lo abbandona quando Hitoshi entra nella stanza per fargli compagnia come da lui richiesto. Vede nei suoi occhi che cerca di capire cosa lo abbia spinto a venire da solo, lui che è sempre e solo l'amico di Kirishima che continua a venire ogni giorno o quasi, sebbene sia ormai vicino il momento in cui potrà finalmente chiedere a Tamaki di seguirlo. Quella sera Shouto si trattiene fino a tardi e, poco prima di andare via, si lascia sfuggire una domanda di cui si pente subito: al di fuori di questa stanza in cui continuo a venire in un modo o nell'altro, esisto davvero?


L'estate passa senza che riescano a vedersi per più di qualche minuto, tra le vie principali dei negozi e poco altro. Hitoshi non gli chiede mai di quella sera. Shouto fa in modo che non possa farlo.


*


Quando Izuku gli chiede se sia tutto a posto, Shouto sospetta per un momento che Hitoshi gli abbia detto del loro ultimo incontro, di quando si è recato alla casa di piacere da solo. Cerca nell'espressione di Midoriya, mentre lui gli parla, la prova del suo sapere qualcosa di profondamente intimo per Shouto. Quando non trova nulla di tutto questo, nessun segno evidente, non riesce a fare a meno di chiedergli se Hitoshi gli abbia detto qualcosa - il che a conti fatti è come tradirsi da solo in effetti, ma se l'alternativa è vivere nell'incertezza e dubitare di Hitoshi, tanto vale sacrificare un minimo di segretezza ma assicurarsi di quanto Izuku sappia.


«No, anche se gliel'ho chiesto.» replica Midoriya, senza nascondergli la verità «Durante l'estate mi sei sembrato preoccupato per qualcosa, Todoroki-kun, e quando l'ultima volta siamo andati con Kirishima-kun da Tamaki e ho visto Hitoshi, mi ha chiesto come stessi. Gli ho domandato come mai fosse preoccupato ed è stato evasivo. Io e Hitoshi non siamo mai evasivi uno con l'altro.» sottolinea, un sorriso leggero a incurvargli le labbra, da cui è facile capire che non ce l'abbia con l'altro per avergli negato in maniera piuttosto evidente una risposta. Shouto non se ne stupisce, innanzitutto perché conosce Midoriya e sa che se non fosse strettamente necessario come nel caso di una questione di vita o di morte, Izuku non insisterebbe. Inoltre ha avuto modo di osservarlo interagire con Hitoshi e il cortigiano stesso gli ha parlato, in qualche occasione, del suo rapporto con Midoriya.


«Sono andato—» comincia a dire, ma l'altro lo interrompe scuotendo la testa «Non c'è bisogno tu mi dica niente. Se state entrambi bene per me è sufficiente.» assicura «Però... dice che qualche volta vi incontrate sulla via principale dei negozi. Se dovessi vederlo, penso gli farebbe piacere sapere che stai bene. In caso tu non voglia venire con noi una di queste sere.» aggiunge.


Shouto non dice nulla, limitandosi ad annuire. Vorrebbe vedere Hitoshi, ma il fatto di non essere riuscito a chiarire a se stesso il motivo da quando gli ha regalato l'haori ormai quasi un anno fa, lo frena sempre quando è a un passo dal farlo.


*


Si sarebbe potuto preparare psicologicamente per tutto il tempo e non sarebbe comunque mai stato pronto. Gli arriva la notizia che Kirishima ha finalmente saldato il debito di Tamaki e che quest'ultimo ha accettato di rimanere con lui; da quanto Shouto ha potuto capire, conoscendo anche a grandi linee la situazione famigliare di Kirishima, i due porteranno avanti quella che era la piccola attività mercantile del padre di Eijiro, qualcosa per cui il figlio si è mostrato portato fin dall'inizio sebbene avesse inizialmente scelto un’altra strada. E' qualcosa di modesto, ma di stabile e sicuro. Kirishima dice che a Tamaki piacerà, a patto che non gli si chieda di restare troppo a contatto con i clienti - ma a quello, con la sua socialità piuttosto spiccata, può pensarci Kirishima. Una parte di Shouto, quella che ha osservato prima passivamente e poi con interesse le difficoltà dei due per riuscire ad avere una vita normale al di fuori degli incontri di Yoshiwara, è felice per loro. Una minuscola, infinitesimale parte invece è mangiata viva dalla gelosia di chi non potrebbe neanche volendo. E non per l'aspetto economico dove potrebbe riuscire molto più velocemente di quanto Kirishima avrebbe mai potuto fare. E' tutto il resto a incatenarlo come il più svilito dei prigionieri.


Shouto sa che forse in condizioni normali avrebbe impiegato ancora mesi, anni, o magari non sarebbe mai arrivato al punto di mettersi in discussione e distruggere quel precario e delicato equilibrio tra lui e Hitoshi. Quello per cui si incontrano da più di un anno, non importa quanto breve sia la compagnia che riescono a godere l'uno dell'altro, senza andare mai oltre quella linea di cui sono entrambi coscienti. Se non ci fosse la minaccia di un uomo interessato a Hitoshi, probabilmente Shouto non si spingerebbe mai da solo per la seconda volta tra le vie di Yoshiwara e fino alla casa di piacere, richiedendo di poter stare con lui.


Quando lo raggiunge nella stanza, sembra sorpreso e guardingo al tempo stesso. Shouto lo può capire, ma questo non lo rende meno confuso da se stesso o pronto a parlare a cuore aperto delle ragioni per cui si trova lì. Hitoshi però deve aver avuto modo di interagire con molte più persone di quante Shouto potrebbe mai averne incontrate sulla sua strada, alcune forse anche meno loquaci di lui, perciò sa bene come intraprendere il discorso: lo porta a parlare di cose di poco conto, chiacchiere che potrebbero fare due amici. Offre aneddoti divertenti e interessanti, menziona l'incontro con Midoriya di cui Shouto è già a conoscenza e non nasconde di avergli chiesto come stesse.


«Sei una delle persone più complicate da leggere, Todoroki,» gli fa presente, lasciando da parte l'onorifico da quando Shouto gli ha chiesto di farlo «e io sono bravo a leggere gli altri. Capire i tuoi pensieri è difficile invece, perciò ho dovuto chiedere a Izuku se sapesse se eri almeno in buona salute.» afferma, facendo per versargli un poco di sake. Shouto muove la mano fino a tenerla sollevata sopra il proprio bicchierino, segnalando tacitamente di non volere altro alcol. Hitoshi ripone allora la bottiglietta da una parte, dove non può essere d'intralcio.


Cade un silenzio quasi abitudinario, tra di loro, ma la verità è che Shouto è consapevole di non potersi trincerare in eterno dietro di esso o continuare a scappare quando qualcuno cerca di mettere a nudo quello che prova o almeno di scalfire un muro che, nella sua mente, è stato estremamente facile da erigere e che gli riesce ormai quasi impossibile da buttare giù. Non può aspettarsi che gli altri abbiano più fortuna di lui senza fare niente, ma limitandosi ad osservare e - nel vederli fallire  - scuotere le spalle come se l'errore di partenza fosse stato aspettarsi qualcosa.


«Mi hanno detto che qualcuno ti... cerca spesso.» pronuncia. Gli basta guardare il modo in cui Hitoshi cambia espressione per capire di averlo detto nel modo sbagliato o che, forse, non avrebbe dovuto prendere l'argomento e basta.


«Soltanto perché tu vieni solo ad accompagnare gli amici e non fai altro che stare ad ascoltare quello di cui ti parlo o a offrirmi regali che finiscono con il sembrare senza importanza, come se li facessi a chiunque, non vuol dire tutti facciano la stessa cosa.»


Shouto capisce razionalmente a cosa si riferisca, ma ci sono così tanti tasselli mancanti e così tanti freni nella sua testa che capire da dove cominciare è difficile - avverte però la frustrazione nella voce di Hitoshi e c'è almeno una cosa che è sicuro sia un fraintendimento da parte dell'altro, qualcosa che deve aver interpretato male e Shouto non ha idea di come o del perché ma sa di aver bisogno di chiarirla.


«Non faccio doni a chiunque.» pronuncia, forse più brusco di quanto vorrebbe «Quando ti ho preso quell'haori volevo...» voleva fare cosa? E' qui il punto dell'intera questione. Desiderava assicurarsi che stesse al caldo, voleva mostrare una premura, ma forse in cuor suo voleva che Hitoshi si ricordasse di lui, che pensasse a lui anche quando in una casa di piacere non ci si può aspettare di essere l'unica persona nei pensieri di un cortigiano. Forse ha persino desiderato che quel dono, arrivato dal nulla e non come l'ennesimo di una lunga serie, nella sua rarità potesse esprimere le cose al posto suo. Sperava fosse sufficiente a dire a Hitoshi che la sua presenza è diventata enorme dentro di lui, senza che nemmeno Shouto se ne accorgesse.


«Di nuovo perso nella tua testa.» commenta con una punta di sarcasmo che non gli ha mai sentito nella voce, non con accezione negativa rivolta a lui «E di nuovo non hai una risposta. Forse sei abituato così o magari pensi solo che io non meriti una risposta chiara. In fondo si dice questo di Yoshiwara e di quelli come me, giusto? Siamo solo l'illusione di una notte e non siamo degni di essere più di questo. Quando uscite da qui, all'improvviso nessuno di noi esiste più.»


Quella frase lo colpisce molto più di quanto potrebbe fare uno schiaffo. Lui e Hitoshi non potrebbero essere più diversi a prima vista e anche dopo più di un anno dal loro primo incontro Shouto è sicuro ci siano aspetti di lui che non può far altro che invidiare. Al di là di questo, però, mai come adesso ha sentito di avere anche qualcosa profondamente in comune con lui; forse quella sera tardi, in cui prima di andare via ha lasciato che Hitoshi potesse intravedere la sua più grande paura, quando gli ha permesso di vedere per un istante il se stesso bambino che non ha mai trovato risposta a un'unica, fondamentale domanda, Hitoshi non ha saputo cosa dirgli non solo perché non gli ha dato abbastanza tempo per farlo ma anche perché sono entrambi vittima dello stesso dilemma per cui si passano vite intere a cercare una soluzione.


Per questo, se c'è una colpa di cui non può accettare di macchiarsi, è quella di far credere a Hitoshi di essere qualcuno a cui non è permesso esistere al di fuori di due mura e di un'intimità offerta senza sentimento. Pensare, a causa sua, di non essere niente più di quello anche agli occhi di Shouto. Per questo allunga una mano e concede a entrambi il primo vero contatto da quando si conoscono, lui sempre così attento a non sfiorarlo se non strettamente necessario, come quando gli ha posato un haori sulle spalle lo scorso inverno. Prende la sua mano come per fermarlo, anche se Hitoshi non ha dato alcun cenno di stare per andarsene; entrambi guardando quella presa, stupiti e confusi. Hitoshi cerca il suo sguardo e Shouto lo vede che è combattuto tra il credere che quello sia un buon segno e il non volersi fare illusioni.


«Ci sono cose che non ho mai detto, è vero, e... so che è difficile capire a cosa stia pensando. Ma una cosa che non ho mai creduto è che meriti di essere dimenticato solo perché ti ho incontrato la prima volta nel quartieri di Yoshiwara.» dice, forse una delle frasi più lunghe che abbia mai concesso all'altro in sua compagnia. Shouto sa di apparire come il figlio prediletto di un uomo di potere, qualcuno destinato alla grandezza senza il minimo sforzo e non fa né ha mai fatto una colpa a nessuno per averlo creduto a un semplice sguardo e averlo relegato a un ruolo di privilegio senza domandarsi se potesse essere davvero così facile. Razionalmente oltre a essersi interessato poco dell'opinione di chi era quasi meno di un conoscente, ha cercato di ripetersi che avrebbe fatto lo stesso al posto di un altro se non avesse avuto sentore di qualcosa di putrido nascosto nella stanza più segreta di una casa dalle mille porte. Però avrebbe voluto che qualcuno si avvicinasse anche solo abbastanza da sfiorare la verità.


Vorrebbe più di ogni altra cosa che quel qualcuno fosse Hitoshi.


«Quando ci siamo visti la prima volta fuori da qui» pronuncia quindi, gli occhi chiari ancora fissi sulla mano che tiene quella altrui «stavo comprando qualcosa per mia sorella. Io non sono... il tipo di persona che offre regali a chiunque. O che va nelle case di piacere. Non ho mai nemmeno dovuto corteggiare qualcuno, perché— cosa posso offrire?»


Azzarda per un momento ad alzare lo sguardo e trova sul viso di Hitoshi l'incredulità di chi ha appena sentito dire all'imperatore di non avere abbastanza servitori. Il sollievo che prova quando non lo sente ritrarre la mano ma, anzi, stringerla appena di rimando è impossibile per lui da descrivere.


«Todoroki» lo chiama Hitoshi ma lui scuote la testa, mentre d'istinto si morde l'interno della guancia: «Shouto» lo corregge «Todoroki è il nome di mio padre. Non mi piace mi chiamino così.»

«Izuku però ti chiama così.»

«Tu non sei Midoriya.»


Gli sfugge tra le labbra con naturalezza e quasi con stizza, come se si aspettasse di essere ben oltre il punto in cui devono dirsi cose del genere - ma la verità è che lui stesso è stupito di come aver espresso i suoi pensieri con la limpidezza con cui si formano nella sua testa lo faccia sentire più leggero.


«Shouto» concede Hitoshi, lasciando per un attimo da parte la sua puntualizzazione «cosa vuol dire cosa posso offrire? Tu sei... se tu non hai nulla da offrire cosa dovrebbe avere qualcuno come me o Tamaki? Nessuno si aspetta da noi più di quanto il nostro ruolo sottintenda.» gli fa notare, con un piegarsi delle labbra che sa di amareggiato. Shouto si ritrova a scuotere di nuovo la testa.


«Non parlo di beni materiali.» comincia a dire ma Hitoshi lo interrompe bruscamente. Prima che possa realizzarlo, le sue labbra sono sulle proprie. E' un contatto abbastanza breve che non viene approfondito, come se Hitoshi sapesse di non poter tirare troppo la corda o non volesse approfittare della sua sorpresa per spingersi oltre senza sapere se lui lo voglia o meno. Le sue labbra sono morbide contro le proprie e Shouto vorrebbe aver ceduto molto prima.


«Nemmeno io ho mai parlato di beni materiali.» sussurra quando interrompe il contatto e si scosta quanto basta solo a pronunciare quelle parole. Shouto sente ancora la sua mano nella propria e inspira piano, intrecciando le dita con quelle di Hitoshi in modo che è sicuro sembrerà piuttosto goffo. Cerca di non pensarci, quando nonostante la poca distanza cerca i suoi occhi con i propri. Rimangono in silenzio, fronte contro fronte, guardandosi solo in alcuni momenti prima che Hitoshi pronunci piano un «Passa la notte con me.»


Shouto si sente scuotere dentro, come se gli vibrasse l'anima, e sa che non è possibile ma non sarebbe in grado di descriverlo in nessun altro modo.


*


Le mani di Hitoshi potrebbero muoversi con molta più agilità, consapevolezza e conoscenza lungo il suo corpo ma non lo fanno. C'è una lentezza voluta nel modo in cui si spogliano a vicenda o in quello in cui Shouto lascia che, in una certa misura, sia Hitoshi a guidare le sue dita.  Quando sono quasi del tutto nudi sul futon che l'altro ha richiesto senza mai lasciare la sua mano, Hitoshi gli promette di fare solo quello che vuole. Si abbandona completamente al desiderio di Shouto senza nemmeno chiedergli cosa implichi o quanto in là voglia spingersi e Shouto si domanda per quanti uomini abbia dovuto fare questo e quante volte si sia limitato ad assecondare il piacere di un'altra persona senza badare troppo al proprio. Non può cambiare il passato e non può cancellare la gelosia che sente dentro, del tutto priva della razionalità che pensa essere tipica di lui.


L'unica cosa che può offrirgli è di essere diverso, di riuscire in qualche modo a comunicargli che per lui è importante quello che desidera e non soltanto soddisfare un bisogno fisico. Così guida le mani di Hitoshi sulle proprie spalle, una alla volta, e passa un tempo lunghissimo a baciarlo. Non sono i baci più disinvolti del mondo e, anzi, per Shouto è difficile capire quanto il suo istinto lo stia guidando nella direzione giusta e quanto no; Hitoshi però gli cinge le spalle e insinua le dita nei suoi capelli, si spinge con il bacino verso di lui quando Shouto gli morde piano il lobo prima e il collo poi, così lui non può far altro che farsi guidare da quelle reazioni.


Gli domanda in poco più di un sussurro se c'è qualcosa che vuole che faccia, di dirgli cosa gli dà piacere. Lo fa senza guardarlo, perché non si fida di se stesso in questo momento, ed è Hitoshi stavolta a guidare la sua mano fra le proprie gambe. Shouto sfiora la sua erezione per un momento ma lo sente farlo andare oltre fin quando le sue dita non vengono spinte leggermente tra le natiche. Shouto capisce e, nel sentirlo inarcare appena la schiena e riversare un gemito nella sua bocca quando fa scivolare un dito dentro di lui con incertezza, desidera dargli tutto ciò che Hitoshi vuole.


Sarebbe pronto, si dice, a veder bruciare Yoshiwara se fosse necessario.


*


Lo sveglia la sensazione di una carezza tra i capelli, come quella di molte, troppe sere fa in cui si addormentò con Kirishima già collassato poco lontano da lui; fingeva di dormire ed era a un passo dallo scivolare nel sonno e si era convinto fosse stata una sensazione, perché ammettere che potessero essere le mani di Hitoshi avrebbe implicato troppe cose.


Apre gli occhi, ora, e vede la figura dell'altro uomo con cui ha appena passato la notte di fianco a lui: la coperta lascia fuori la spalla nuda, mentre le dita della mano gli sfiorano i capelli. Quando si accorge che è sveglio, Hitoshi gli offre il primo vero sorriso da quando si conoscono - nulla a che vedere con l'illusione offerta da Yoshiwara né con la sottile ironia che Hitoshi gli ha sempre rivolto, ora in modo complice e ora in modo provocatorio, forse in attesa di avere da lui la reazione di cui aveva bisogno per capire dove stessero andando con quegli incontri brevi ma quotidiani senza nemmeno essersi promessi nulla.


Quel sorriso è come un fiore sbocciato timidamente lungo una strada dove un po' di neve si porta dietro lo strascico dell'inverno.


Si avvicina piano, Shouto, e gli dà un bacio leggero. Non è meno goffo di quelli della sera precedente, ma si tratta dell’affetto e dell’adorazione più sinceri e diretti che abbia mai mostrato a qualcuno. Hitoshi sbuffa sulle sue labbra e a Shouto sembra che qualcuno finalmente abbia aperto la porta della stanza con tutti i suoi segreti e li abbia dispersi da qualche parte, dove non possono pesargli sulle spalle.


Gli sembra di respirare di nuovo per la prima volta.  

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Prompt: interruzione
Missione: M1 (week 4)
Parole: 609
Rating: gen
Warnings: original




Sono passati anni dall'ultima volta in cui è stato richiamato durante una lezione che stava tenendo per una comunicazione importante. Capitava spesso quando c'era Airi, quando suo malgrado la lasciava alle cure di sua madre con la febbre perché non poteva cancellare in alcun modo le lezioni in ateneo - ed era giusto così in fondo, perché aveva un impegno nei confronti dei suoi studenti e perché, come gli hanno sempre fatto notare, i bambini sono dei contenitori di germi e da piccoli capita spesso che prendano febbre o raffreddori particolarmente forti. Così nonostante non lo facesse di buon grado, alla fine Reiji ha sempre evitato di prendere permessi e in passato una sola volta l'addetta della segreteria del personale universitario ha interrotto la sua lezione per dargli una comunicazione. 


Deve ammettere, quindi, che per lui è sempre stato strano sentire alcuni colleghi parlare della difficoltà a concludere alcuni argomenti. Non per sfiducia nelle loro capacità, sia chiaro, ma perché è estranea per lui la concezione di avere un fattore esterno a influenzare la durata e la buona riuscita di una sua lezione. Pertanto, arrivare alla fine è qualcosa che ha finito con il dare per scontato con l'avanzare degli anni, e di certo aver avuto studenti come Izumi non ha fatto altro che rafforzare questa sua convinzione radicata per cui una volta iniziato non si può che scivolare verso la fine, con naturalezza, portando a compimento ciò che si è prefissato nei suoi appunti. 


Finisce di segnare due nomi in tedesco sulla lavagna e, posato il gesso, si volta verso la classe. Vede diverse teste ancora basse, di sicuro intente a scrivere le ultime cose delle nozioni che ha offerto loro prima dei nomi in questione, e altre già alzate, gli studenti pronti ad ascoltare il resto. Riesce a individuare quelli in cui c'è vivo interesse - la maggior parte, per sua fortuna - da quelli che sono lì perché i crediti glielo impongono. Forse si aspettavano un po' meno nozioni e un libro di narrativa da leggere, ma Reiji spera che riuscirà comunque a passargli un po' della passione che lo coglie quando si mette a leggere un libro. Sta per ricominciare la spiegazione quando la porta dell'aula si apre con un impeto maggiore del semplice socchiudersi di qualche studente in ritardo; Reiji tende a non preoccuparsene né fermarsi per questo, di solito, ma lascia in sospeso una frase quando riconosce la segretaria del personale che lo guarda e fa un cenno del capo. Si chiude la porta alle spalle e avanza verso la cattedra, raggiungendo Reiji. La lezione è ormai interrotta e lui fa cenno agli studenti di dargli un momento.


La donna, ormai vicina, pronuncia un «Ha una chiamata da parte di suo figlio.» che, ne è consapevole, ha appena attirato l'attenzione di tutti gli studenti almeno delle prime due file, visto che in molti sanno di voci che circolano sulla sua famiglia allargata ma pochi sanno di quanti figli si tratti. Anche in questo caso, alle parole della segretaria rivolge un sorrisetto lieve quasi di scuse, mentre replica con un: «Le ha detto il nome?» «No, ma penso sia giovane, forse del liceo.» replica quella.


Reiji sorride, immaginando si tratti di Hotaru: «Ah, deve essere uno dei gemelli.» rivela con leggerezza.


Il mormorio nella classe è istantaneo e sa che, anche una volta di ritorno dalla chiamata in segreteria, sarà difficile ricominciare a fare lezione e riprendere il filo del discorso senza ricevere diverse domande. Alcune già serpeggiano tra gli studenti - gemelli? Ne ha più di uno? Liceo? Ma sembra così giovane! - alle quali vorrebbe rispondere... ma, in fondo, potrebbe anche mantenere un alone di mistero per questa volta. 

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Prompt: interruzione
Missione: M1 (week 4)
Parole: 722
Rating: teen up
Warnings: original, linguaggio scurrile



Da quando si è unito ai Sohma, Ugetsu deve ammettere di aver trovato la dimensione ideale per chi come lui odia annoiarsi. Fin dall'inizio, ha compreso però le poche regole di cui Reiji si è premurato di informarlo e ha capito, anche dal modo in cui l'uomo gliene ha parlato, che il gruppo Sohma è destinato probabilmente a essere ora tanto quanto in futuro uno di quei gruppi in cui un tradimento dall'interno è da considerarsi impossibile. Ugetsu ha visto numerose persone interagire e unirsi sotto la promessa di un forte legame o di un accordo, persino degli interessi e ogni volta c'è stata una scappatoia. Ma nel modo in cui Reiji gli ha detto «Non ho la pretesa tu impari ad amarli tutti nello stesso modo, ma ho la pretesa che diventino per te più importanti da proteggere di te stesso. Il tradimento non è accettabile. E' mia cura assicurarmi che nessuno abbia mai anche solo la tentazione.» nel modo calmo di un uomo poco avvezzo alla violenza. Sono i più pericolosi.


Da allora sono passati mesi e questo, deve ammetterlo, per quanto sia un modo diverso di interagire e qualcosa che di norma lo avrebbe divertito è anche qualcosa che in un certo qual modo lo disturba. Sarà dovuto al fatto di averli sempre visti interagire come fratelli, di aver notato subito quanto attaccamento avessero l'uno all'altro tanto da non avere nulla da invidiare nemmeno ai gemelli, ma lo sguardo e le accuse che si stanno lanciando Akemi e Izumi è qualcosa che è certo nessuno nel gruppo avrebbe mai voluto vedere. Lo intuisce facilmente da come tutti li guardano ma è solo osservando con attenzione che riesce a distinguere le diverse di emozioni di ognuno di loro, senza nemmeno bisogno di avere una capacità speciale per farlo - i gemelli hanno l'orrore di chi ha appena scoperto quanto facilmente un legame possa sgretolarsi, se spinto fino al limite; Yuuya li osserva con la paura di chi ha sentito troppe volte urlare e in ognuna di esse il dolore fisico è arrivato subito dopo; Shinobu ha il distacco di chi ha instaurato una scala di priorità negli affetti come si farebbe come gli impegni della giornata, ma c'è un gelo ben nascosto dato dal rifiuto di fronte a qualcosa di sgradito.


Se Reiji fosse qui, chissà come si comporterebbe e cosa avrebbe negli occhi oltre al dispiacere. 


Akemi, il più aggressivo dei due anche in condizioni normali, fa un passo in avanti e afferra l'altro per il colletto della maglietta, tirandolo forte abbastanza che per la differenza di altezza tra loro Izumi è costretto a chinarsi in avanti. Non subisce passivamente però, una mano a stringersi attorno al suo polso mentre il viso si avvicina pericolosamente a quello di Akemi, fino a che le loro fronti quasi si toccano.


«Non ne avevi il diritto!» gli grida in faccia, qualcosa di impensabile per Izumi, eppure eccolo lì. Akemi lo guarda come se fosse la cosa che meno vorrebbe avere davanti agli occhi ora «Ne avevo il diritto perché mi sono rotto il cazzo di vederti fare il bravo bambino! E' nauseante!» sbraita, lasciandogli il colletto, liberandosi della stretta sul proprio polso e spintonandolo via. Izumi inciampa e si sbilancia, gli lancia un'occhiata come se volesse fargli crollare addosso l'intero edificio. Dall'altra parte Ugetsu può quasi sentire il rumore delle ossa di Akemi cambiare per assumere una forma che sarebbe l'ultimo limite da superare per non potersi riappacificare mai più, invece pronuncia provazioni dure e Izumi si muove verso di lui, la mano alzata e un colpo caricato che finirebbe di sicuro per abbattersi sul viso di Akemi se Ugetsu non decidesse che è abbastanza.


Questa sorta di rissa, questo litigio, questo distruggersi a vicenda perché si conoscono troppo bene le debolezze dell'altro si interrompe quando lui rilascia la sua abilità e l'oscurità è come una corda elastica che si avviluppa intorno al polso di Izumi, fermando quello schiaffo a metà, e attorno alla testa di Akemi coprendo la sua bocca come un bavaglio, fermando parole per cui poi sarebbe difficile scusarsi.


«Adesso basta.» pronuncia, placido e con quel sottotono divertito che non lo abbandona mai. Vede gli altri rilassarsi visibilmente e sente che in attesa di Reiji questa è la massima protezione che ha da offrire: fermarli prima che si uccidano a vicenda. 

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Prompt: freddo
Missione: M3 (week 4)
Parole: 3379
Rating: gen
Warnings: //



Una qualsiasi persona si sarebbe arresa all'idea di avventurarsi a Dragonspine dopo un assai fallimentare tentativo durante il training camp della Gilda, ma non Bennett. Lui può aver avuto qualche contrattempo l'ultima volta, aver rischiato di rotolare giù da un dirupo, essere finito in una gabbia e qualche altro sottile dettaglio trascurabile ma questo non può né deve bastare a frenarlo dall'avventurarsi di nuovo. D'altronde, è importante battere sentieri poco conosciuti e in fondo qualcuno potrebbe essersi perso e avere bisogno di aiuto. Senza contare, poi, che le commissioni affisse in bacheca e che riguardano Dragonspine sono sempre le ultime a essere accettate e portate a termine, salvo ci sia la dicitura urgente da qualche parte.


Proprio per questo motivo ha approfittato di averne trovata una dove si chiede di fare qualcosa per le torce disseminate lungo i pochi sentieri disponibili per facilitare il compito a chi, suo malgrado, deve recarsi almeno all'ingresso della zona innevata per raccogliere alcuni materiali. Strappa l'avviso affisso nella bacheca di Mondstadt e assicura a Katheryne che se ne occuperà lui: «Non c'è da preoccuparsi, il team di Benny è sempre pronto!» assicura con un sorriso entusiasta, fingendo che tutta la città non sia a conoscenza della composizione di suddetto team, ossia un unico membro che è Bennett stesso. Katheryne gli offre cordialmente le coordinate delle torce in questione e gli augura buona fortuna, non dimenticando di rivolgergli il motto della Gilda.


Gli ci vuole poco per preparare l'occorrente, lui che l'avventura ce l'ha nel sangue e per cui l'elemento fuoco - provvidenziale se si tratta di accendere torce - non ha segreti. Zaino in spalla, stivali ben indossati, lascia Mondstadt pieno di positività.


*


«Freddo.» sentenzia Razor, il volto verso l'alto mentre annusa l'aria, quasi potesse sentire l'odore anche del gelo «Pericoloso.» aggiunge, come una sentenza. Bennett non si sente di dargli torto, non del tutto almeno: sono entrati dentro Dragonspine da meno di una manciata di metri e un gruppo di Treasure Hoarders poco oltre il ponte spaccato li ha subito attaccati. L'aiuto di Razor è stato provvidenziale, e lo stesso Bennett non ha avuto grossi problemi, ma la montagna innevata per tutto l'anno non è troppo rassicurante a vederla e di certo il clima freddo non la rende ospitale. Questo dovrebbe farlo desistere. Naturalmente, è un motivo in più per occuparsi di accendere le torce.


«Non preoccuparti, Razor!» esclama incoraggiante, un braccio attorno alle spalle dell'altro, gli occhi verdi verso la montagna che indica con la mano libera «Ormai conosce bene questo posto! Vedrai, faremo in un attimo!» assicura, perché ci crede davvero. Come si può immaginare facilmente, la sua fortuna la pensa diversamente e dopo quaranta minuti di tragitto seguito, poi lasciato perché era assolutamente necessario salvare una piccola volpe e averlo perso del tutto nel tentativo di ritornarci, si sono persi.


*


Si sente così in colpa per aver trascinato Razor nell'ennesima delle sue sfortune che non ha nemmeno il coraggio di guardarlo, mentre cercando di combattere il freddo vicino a una delle torce che - se non altro - hanno raggiunto e riacceso. Il cielo sopra Dragonspine è più plumbeo, nell'inequivocabile segno di una tarda ora che avanza. Bennett a questo punto è consapevole che difficilmente riusciranno a ritrovare la via per uscire dal territorio innevato e quindi, forse, sarebbe preferibile cercare un punto in cui accamparsi. Se solo non ci fosse neve ovunque... gli basterebbe un punto più riparato, per poter almeno offrire a Razor qualche provvista e un posto meno gelido in cui dormire.


Purtroppo però una volta smarrita la via è ben difficile ritrovarla, specie con l'avanzare della sera e il diminuire dell'illuminazione naturale. Bennett è così sconfortato da non accorgersi della presenza di qualcuno oltre lui e Razor fin quando una voce non lo raggiunge, chiedendogli a tradimento «Cosa ci fate qui?»


Gli occhi verdi abbandonano il terreno su cui si erano fissati, mentre una mortificazione crescente gli stava crollando addosso, per alzarsi e inquadrare di lì a poco la familiare figura di Albedo. All'improvviso si sente stupido per non aver pensato che l'alchimista potesse essere lì - non sarebbe cambiato molto, visto che non sapendo in che punto della montagna si trovano non avrebbe saputo nemmeno cercare l'accampamento altrui dove è stato una sola volta, ma almeno avrebbe risollevato il morale suo e di Razor sapere di poter trovare qualcuno di conosciuto con un po' di fortuna.


«Albedo!» esclama Bennett con rinnovato entusiasmo, muovendosi verso di lui. Neanche due passi e uno scivolone su un punto particolarmente ghiacciato del terreno lo fa finire sedere a terra. Sente Razor subito accanto, sebbene nel guardarlo per assicurare che è tutto a posto noti il suo sguardo fisso su Albedo. In effetti, Bennett non è sicuro che abbiano avuto modo di incontrarsi, ma...


«Razor, lui è il "fratellone" di cui parla sempre Klee!» gli fa presente, certo che questo possa dare all'altro un'indicazione migliore di qualsiasi presentazione. Razor lo osserva di sottecchi, senza ancora fidarsi a non tenere d'occhio l'alchimista, ma arriccia appena il naso come se non fosse sicuro di aver capito «Klee, la bambina che hai incontrato ogni tanto nella foresta!» spiega meglio e Razor tace per qualche momento, prima di annuire con lentezza.


«Ragazza di fuoco» pronuncia «spesso guai nella foresta.» decreta infine, quasi a volersi assicurare di aver capito di chi stanno parlano. Bennett annuisce e nota un impercettibile rilassarsi nei muscoli di Razor. Albedo, d'altronde, ha mutato un poco espressione nella completa consapevolezza dei danni che Klee possa aver arrecato in un foresta piena, quindi di alberi infiammabili. Bennett, però, decide di non dargli il tempo di preoccuparsi troppo di qualcosa che non è di certo stato fatto con cattiveria: si alza, attento a non scivolare di nuovo nello stesso punto, e si scrolla dai pantaloni un po' di neve proprio mentre la voce di Albedo lo raggiunge di nuovo.


«E' tardi per un'escursione.» fa notare e Bennett annuisce «Ci stiamo occupando di riaccendere le torce che si sono spente, per facilitare i viaggiatori! Beh... o almeno lo stavamo facendo, poi però c'era una volpe che sembrava aver bisogno di aiuto... ci siamo allontanati solo un attimo dal sentiero e non lo abbiamo più ritrovato. Beh, ne abbiamo trovato uno, ma non era quello giusto mi sa!» fa presente, con un sorrisetto impacciato e una mano che va a grattare la nuca in un gesto meccanico. Quasi non si accorge di farlo sempre quando deve rendere conto di come la sua sfortuna non faccia che creare problemi, mentre si accorge eccome della folata di vento freddo che soffia dalla direzione in cui sono venuti. Rabbrividisce e si chiede come Albedo possa sembrare del tutto a suo agio con quel clima.


«Venite,» pronuncia l'alchimista, facendo loro cenno di seguirlo «si sta preparando una bufera e nessuno dovrebbe essere in giro per Dragonspine quando succede.»


*


L'accampamento è come Bennett lo ricorda, però lascia a Razor il tempo di guardarsi intorno, memorizzare e prendere confidenza con tutto ciò che per lui è nuovo, di abituarsi all'odore quanto alla presenza di Albedo. L'alchimista invece si comporta come se a stento avesse ospiti in quel momento e si muove con familiarità in quelli che sono i suoi spazi: i tavoli dove tiene le sue ricerche, forse persino nuovi esperimenti che Bennett non saprebbe neanche iniziare a immaginare senza renderli confuse fantasie improbabili. Se non fosse stato già ospite di quel posto, Bennett potrebbe pensare che Albedo si sia limitato a portarli con sé perché cittadini di Mondstadt o per avere la coscienza pulita - in verità, forse, Bennett non lo penserebbe a prescindere perché crede nel buono delle persone - ma sa bene che l'alchimista probabilmente sta solo pensando da dove cominciare per essere ospitale, come la volta scorsa.


«Razor!» lo richiama Bennett mentre l'altro sta occhieggiando curioso la parte dell'accampamento dove Albedo tiene uno dei suoi disegni su tela «Vuoi una sedia? Se la vuoi puoi dirlo ad Albedo, lui può crearla esattamente come la preferisci.» assicura, un po' per impressionarlo positivamente, quasi dovesse presentargli al meglio un amico. Nella testa di Bennett è proprio questa la situazione attuale. 


Razor abbandona la tela disegnata solo in parte per spostare lo sguardo su Albedo che, a sua volta e sentitosi chiamare in causa, ha diretto la sua attenzione sui due. Non sembra infastidito dalle sue parole, quindi Bennett immagina non gli dia noia che qualcuno oltre chi c'era la volta scorsa sappia delle sue capacità. O forse non è abituato al fatto che qualcuno non lo conosca, visto quanto è famoso tra gli abitanti di Mondstadt e anche fra alcuni di Liyue. 


«No sedia,» Razor sentenzia, ma sembra dirlo come per sottolineare che non c'è bisogno, e ha perfettamente senso considerato che dubita ci siano molte sedie nelle foreste di Wolvendom «Bennett tana per dormire. Io caccia.» spiega, un piede già fuori dall'accampamento. A poco vale il tentativo sia di Bennett che di Albedo di far presente che non è necessario e che il vento si sta alzando sempre di più, mentre le temperature continuano a diventare persino più rigide se possibile. Prima che riescano a convincerlo, Razor è sparito oltre il ponte spezzato.


*


Evidentemente non si allontana poi troppo, considerato che non impiega molto a tornare ma soprattutto riesce a farlo senza problemi. Bennett non può che sospirare di sollievo, salvo poi ricordarsi che data la sua assenza è probabile che qualsiasi sfortuna potesse colpire Razor durante la caccia in un territorio mai visitato prima come Dragonspine, sia rimasta in accampamento con lui. Bennett sarebbe pronto a giurare di aver visto le spalle di Albedo rilassarsi impercettibilmente quando dei passi li hanno portati entrambi a guardare verso l'ingresso dell'accampamento dell'alchimista e hanno visto Razor, un cinghiale sulle spalle e del tutto illeso. 


La carne si rivela essere piuttosto buona, almeno a giudicare da come Razor la mangia con gusto e da come anche lui e Albedo la trovano buona abbastanza da trasformare la cena in un insieme di versi di apprezzamento qua e là e silenzi che però non sanno né di imbarazzo, né di disagio. Bennett si prende volentieri il compito di fare un po' di conversazione quando finiscono di mangiare, considerato come sia l'alchimista che Razor non siano persone di tante parole, ma di buon cuore senza dubbio. Così si cimenta nel racconto dell'ultima volta in cui è stato a Dragonspine e di tutto ciò che gli è successo, lesinando magari su qualche dettaglio di come sia finito in gabbia ma senza risparmiare invece su come Albedo lo abbia aiutato senza esitazioni e sia stato anche così gentile da non attribuire la colpa di quanto successo a più riprese alla sfortuna di Bennett. A un certo punto l'alchimista specifica che non c'è nulla per cui ringraziarlo e che l'unico motivo per il quale non c'è stata alcuna colpevolizzazione è perché era oggettivamente fuori dal controllo di Bennett e di quella che sia la sua sfortuna. E' carino da parte sua e, anche se non glielo dice, Bennett è grato nel sapere che la pensa così.


Non sa se sia per questo che Razor sembra decidere definitivamente di potersi fidare di Albedo abbastanza da accettare di dormire lì per la notte, più di buon grado di quanto ne avesse dimostrato ormai un paio di ore prima, quando più che un piacere era una necessità data dal freddo pungente e dalla poca familiarità con il territorio.


Parlano a lungo, Bennett gli fa le domande più disparate ed è a dir poco felice quando Albedo mostra interesse per Razor e per il modo in cui vive, tutto scaturito da un accenno a come il ragazzo e Klee si siano incontrati per la prima volta. Razor non lo dice, ma Bennett è sicuro che quelle domande date dalla genuina curiosità di conoscere - quella che sembra l'energia vitale stessa di Albedo - siano per Razor qualcosa di davvero importante. Parlare del luogo in cui è cresciuto e per il quale ha un profondo attaccamento, a dispetto di come all'orecchio di chiunque altro potrebbe sembrare strano, per l'altro ragazzo è così importante da fargli brillare gli occhi quando ne parla e tanto da ammorbidire i lineamenti e la linea della mascella, rimasta sempre in parte serrata fino a quel momento.


Sarebbe perfetto se solo Dragonspine non avesse palesemente deciso di dovergli offrire una delle notti più fredde di sempre. Persino Albedo, a un certo punto mentre stanno mettendo via quanto usato per mangiare, osserva che si tratti di una notte innaturalmente fredda persino per gli standard del luogo. Bennett non glielo chiede, lì per lì, ma gli sembra di vedere lo sguardo dell'alchimista adombrarsi sebbene non offra spiegazioni o ipotesi di alcun tipo. Si limita a guardarli e a dire: «Dopo notti come questa, la neve è più solida e il cielo tende a rischiararsi rispetto al solito. Posso accompagnarvi ad accendere le torce mancanti.»


Bennett non potrebbe essergli più grato e si offre di aiutare a preparare il giaciglio in più per lui e Razor; quest'ultimo, quando Albedo sta spostando proprio la tela con il suo disegno per fare spazio nella parte più riparata dell'accampamento, storce il naso come se avesse sentito un pessimo odore all'improvviso. Bennett prova ad annusare l'aria, aspettandosi che il vento gelido abbia portato qualcosa con sé, ma non avverte nulla.


«Alchimista ha odore di bugie.» mormora Razor vicino al suo orecchio e sebbene Bennett creda non si tratti di bugie ma di verità private e benché non abbia idea di quale odore possano mai avere le menzogne, capisce cosa intende Razor.


*

La notte è calata già da almeno un'ora, crede, ma non riesce a prendere sonno. Un po' se lo aspettava, con il vento a ululare così forte tra le pareti rocciose e un freddo a cui sono riusciti a ovviare solo in parte. Certo, se non altro Bennett può dire di avere la fortuna di esservi abituato con tutte le volte che per un'avventura ha dovuto dormire all'esterno a prescindere da cosa il meteo avesse deciso di offrire - senza contare che in più di un'occasione, Bennett suppone per la sua riconosciuta sfortuna, anche quando sembrava aver trovato il punto perfetto per dormire un temporale lo aveva colto impreparato e all'improvviso, a volte rendendo impossibile restare sul terreno scelto o distruggendo direttamente l'accampamento di fortuna che si era tanto impegnato a tirare su.

 

Albedo si è rivelato un bravo padrone di casa anche stavolta, anche se quella non è una casa vera, ma rende comunque l'idea: ha lasciato a lui e a Razor la parte più riparata, dandogli la possibilità di essere meno colpiti possibile dall'aria fredda che non può essere del tutto bloccata, visto che quello di Albedo rimane un accampamento all'aperto che non è pensato per dormire. O almeno quella è la sensazione che Bennett ha avuto fin dalla prima volta in cui è rimasto lì con Aether e gli altri. Certo, è chiaro, Albedo dovrà pur dormire a un certo punto ma un conto è farlo per la necessità di non spostarsi se sorpresi da una tormenta di neve come sembra essere quella là fuori stanotte, un altro è farlo perché si vuole e si è pianificato.

 

Non si stupisce quindi quando sente rumore di passi, ben diverso e facilmente distinguibile da quello del lento scoppiettare del fuoco lasciato acceso per riscaldarli un pochino. Sente il respiro regolare di Razor ma è sicuro che, sebbene sia a occhi chiusi, l'altro percepisca i rumori molto meglio di lui e sia quindi in un certo senso vigile. Apre gli occhi, Bennett, e cerca di spiare con discrezione in direzione del suono per avere conferma di quanto ipotizzato: Albedo è in piedi, di fronte a quello che immagina sia uno dei suoi tavoli da lavoro, gli occhi bassi su dei fogli tenuti lì fermi da qualche tomo a fare da peso. La lampada a olio è accesa per illuminare al meglio quanto riportano e l'espressione di Albedo, vista di profilo, è pensierosa. E' impossibile per Bennett dire se sia preoccupazione per qualcosa o solo il tentativo di decifrare qualcosa nei suoi appunti.

 

Il vento fuori si schianta con una violenza inaudita contro le pareti della montagna, ululando così forte da sembrare quasi un urlo. Albedo, almeno dalla posizione da cui lo osserva Bennett, sposta lo sguardo verso l'ingresso dell'accampamento ma lo fa con la lentezza di chi non sembra aspettarsi l'attacco di nessuno. Forse conosce Dragonspine così bene da sapere che nemmeno i mostri che la abitano azzarderebbero a uscire dai propri nascondigli in una notte tanto gelida e impietosa.

 

Bennett, però, potrà non capire molto di alchimia ma sa per certo che una notte in bianco - specie una come questa - non aiuta nessuno, soprattutto quando Albedo si è offerto di accompagnarli ai punti segnati sulla mappa e che dovrebbero corrispondere alle torce da accendere. Così si alza, cercando di muoversi piano abbastanza da non svegliare Razor o metterlo in allarme; è consapevole di aver fallito al primo spostamento di una gamba, ma Razor si limita a fissarlo attento e incuriosito da cosa lo stia facendo alzare a quell'ora.


Anche Albedo si accorge di lui e lo guarda, un sopracciglio leggermente alzato: «Non riesci a dormire?» chiede e Bennett scuote la testa. Non lo avvicina e, per la verità, non è nemmeno del tutto in piedi ma seduto nel giaciglio condiviso finora con Razor, ma gli fa cenno di avvicinarsi cercando di mantenere l'espressione più seria possibile, quasi grave. Vede la perplessità sul volto di Albedo ma l'alchimista si avvicina comunque fino a raggiungere dove si trovano. Bennett gli offre la mano, quasi a chiedergli un aiuto a tirarsi su, e anche se è sicuro l'altro abbia già valutato con uno sguardo che non ce ne sia reale bisogno, se la sente stringere.

 

Tira verso il basso, anziché farsi tirare verso l'alto. Albedo agevola il movimento un po' con la sorpresa, un po' perché evidentemente non sente di dover fare resistenza. Razor li fissa, entrambi, e a Bennett piace pensare che abbia capito le sue intenzioni e sia appena diventato suo complice quando lo vede avvicinarsi di più e passare un braccio sul fianco di Bennett; non lascia scivolare la mano per chiuderlo in un abbraccio, però, fissando Albedo in attesa.

 

«Non fa bene restare sveglio.» Bennett dà voce alla sua preoccupazione ma anche alla sua intenzione - condivisa, crede - di far dormire l'alchimista con loro. Albedo li guarda per qualche istante con fare interrogativo, prima di obiettare con un «Non serve, sono abituato.» che ottiene solo l'effetto contrario. Bennett tira un altro po', senza irruenza ma più come un invito fisico ad accontentarlo, e gli rivolge un sorriso.

 

«Allora diciamo che io e Razor non riusciremo a dormire se tu sei in piedi, sveglio e a lavorare a quest'ora e con questo freddo! Non ci riuscirebbe nemmeno Aether! Anzi, lui di sicuro ti avrebbe già trascinato via dagli appunti parecchio tempo fa.» fa presente Bennett - se si trattasse di chiunque altro questo sarebbe un colpo basso, ma nel suo caso sta solo facendo notare una verità. Aether è premuroso abbastanza da non permettere a nessuno di fare una notte in bianco per qualcosa a cui si potrà sempre rimediare il giorno seguente.

 

Albedo sembra figurarsi la situazione nello stesso momento in cui Bennett la fa presente e si lascia sfuggire un sospiro lieve, ma rassegnato. Bennett volta la testa per scambiarsi uno sguardo soddisfatto con Razor, per quanto la posizione renda la manovra piuttosto scomoda.

 

«Ecco, sdraiati qua di fianco» lo istruisce «bene, io rimango nel mezzo perché stavo pensando, la mia Visione causa un sacco di calore, no? Potrei usarla e potremmo dormire su—»

 

La mano di Razor si poggia sul fianco di Albedo, sistemandosi in modo da essere fisicamente a contatto con entrambi. Poi scuote la testa, la punta del naso contro la guancia di Bennett.

 

«Bennett fermo,» sentenzia «dormire su fuoco non va bene. Ragazza Klee fatto una volta e foresta incendiata.»

 

Bennett ridacchia, ma lascia al giorno dopo spiegazioni su come lui e Klee abbiano la stessa Visione ma operi in maniere molto diverse. Quando sfiora il braccio di Albedo, per stare a contatto abbastanza da scaldarsi, sente la pelle fredda sotto le dita.

hakurenshi: (Default)

Prompt: caldo
Missione: M3 (week 4)
Parole: 305
Rating: teen up
Warnings: original, menzione di morte, tentato suicidio implicito



«Non mi hai mai chiesto della cicatrice.» se ne esce senza motivo né preavviso. Sono sdraiati sul letto, un posto dove hanno preso l'abitudine di stare durante il tardo pomeriggio quando Jin finisce i suoi doveri e lo ritrova circondato di libri e appunti, ora che ha finalmente deciso di proseguire gli studi. Lo fa più per ricambiare la gentilezza dell'uomo che lo ha accolto, a dire il vero, ma c'è anche dell'interesse personale. Sente lo sguardo di Jin su di lui ma non alza subito il proprio, volendo finire prima l'esercizio di matematica.


Sente delle dita sfiorargli la guancia offesa da quel segno indelebile, solo per portargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio. E' un gesto dolce al quale risponde con il silenzio, limitando a inclinare la testa verso di lui, quasi ad agevolare quel contatto per qualche istante ancora. Jin non chiederà mai, ma in quel semplice gesto Isen capisce che c'è un tacito invito a parlarne, se sente il bisogno di farlo. Forse lo avverte, o forse è solo volersi togliere un peso, concedergli qualcosa che pensa di dovergli.


«Una volta sono stato avvolto dalle mie stesse fiamme.» dice, lo racconta come se non riguardasse lui ma il passato di un bambino che ora vive chissà dove. Distaccarsi è l'unico modo di raccontare di cui è capace: «Henry pensa sia stato terribile, che abbia bruciato da morire. Perché il fuoco brucia. Ma io sentivo solo calore. Forte, molto vicino, come se mi venisse da dentro e distruggesse tutto ma era questo e niente di più. Nessuno riesce a capirlo, quando lo spiego.» ammette, spostando finalmente lo sguardo su Jin, che lo osserva come se avesse raccontato un aneddoto come tanti della propria infanzia.


«Era un caldo piacevole?»

«Non lo so. In un certo senso. Forse perché speravo di morire.»

 
hakurenshi: (Default)

Prompt: magia (scienza/magia)
Missione: M3 (week 4)
Parole: 9173
Rating: gen
Warnings: HP!au, slow burn, pining, Miya Atsumu è uno sfigato



E’ il secondo anno quello in cui Atsumu pianifica di dare fuoco al Cappello Parlante per la prima volta, mentre seduto al tavolo di Serpeverde deve scendere a patti che anche quest’anno - come per i prossimi cinque - non potrà passare il tempo libero tra le lezioni a lagnarsi con Osamu in Sala Comune. Perché uno straccio formato cappello ha deciso di dividerli in due casate diverse. Sottintendo tra l’altro che lui sia quello scemo dei due, perché ovviamente Osamu è finito a Corvonero. Atsumu odia quel cencio sullo sgabello.


Takeda sta spiegando con il sorriso sulle labbra al gruppo di undicenni più o meno spauriti davanti a lui a cosa stanno per andare incontro. Atsumu è tentato di urlare “Vi toglierà tutto ciò che avete di più caro!” per il puro gusto di dire ciò che nessuno ha il coraggio di dire e di seminare il panico. Se si distrae dal suo piano malvagio è solo perché uno dei primini sta letteralmente saltellando fino allo sgabello come se quello fosse il momento più bello del mondo. Atsumu si augura per lui che non abbia fratelli gemelli.


Da lì a pochi minuti, si convince di essere il mago più potente del mondo a soli dodici anni - non che non sia stato sempre molto sicuro delle sue capacità, da quella volta in cui l’iguana di zia Touko è esploso perché la magia di Atsumu ha deciso di manifestarsi e lui era un po’ arrabbiato. Ha sempre saputo che avrebbe fatto grandi cose, magari dopo essersi diplomato a Hogwarts e essere diventato il più fantasmagorico giocatore di Quidditch degli ultimi due secoli. Invece deve aver appena ucciso il Cappello Parlante con tutte le maledizioni mentali che gli ha lanciato. 


Si sistema meglio sulla panca e ne approfitta per accostarsi a Hanamaki, del terzo anno, e bisbigliargli un: «Secondo te l’ho ucciso col pensiero? Sono almeno tre minuti che non dice niente.» sussurra, mai abbastanza piano evidentemente visto che dall’altro lato di Hanamaki spunta Oikawa, lo sguardo di chi non crede di dover spiegare certe ovvietà a qualcuno. Fissa Atsumu quasi non fosse sicuro di volergli concedere la conoscenza di quanto stia avvenendo, ma alla fine sbuffa e gli offre un: «Certo che non l’hai ucciso col pensiero. Solo perché a te ha solo sfiorato la testa prima di mandarti da noi non significa che tutti siano così semplici. Anche il sottoscritto ci ha messo ben un minuto e ventitre secondi


Atsumu frequenta Toru Oikawa da appena un anno ma ha sentito la storia del suo Smistamento almeno cinque volte. E’ divertente perché ogni tanto la ripete davanti a Iwaizumi che gli ricorda anche quanto abbia frignato quando sono stati divisi di casata. 


«GRIFONDORO!» tuona il Cappello Parlante, e il ragazzino è tutto un woah e un waaaah mentre corre verso il tavolo rosso-oro. Atsumu invece si volta verso quello di Corvonero, individua Osamu e gli fa cenno di aver avuto un’idea geniale. Suo fratello sembra già stanco.


*

Atsumu dimentica del tutto l’esistenza di Hinata Shouyo - se non una sommaria e rumorosa consapevolezza in Sala Grande durante i pasti - fino alla fine del quarto anno. La sua carriera sportiva è già avviata da due e Serpeverde è una squadra piuttosto competitiva quell’anno: perdono contro Grifondoro per un soffio, nonostante Oikawa riesca a prendere il boccino d’oro, ma l’assenza di Matsukawa dopo essersi preso un bolide sul gomito si è fatta sentire, costringendo Atsumu a coprire quasi tutto il campo da solo come Battitore. 


Dopo due anni in squadra e considerata la quasi inesistente differenza di età tra lui e Oikawa, Atsumu sa fare di meglio che tornare nello spogliatoio finché non si sarà calmato o finché Iwaizumi non avrà avuto la forza di farlo calmare e di fargli passare la frustrazione che Atsumu stesso condivide, a essere del tutto sincero. Perciò devia altrove, la divisa ancora indossata a eccezione delle protezioni riposte in fretta e furia prima che Oikawa entrasse nello spogliatoio, e per un momento pensa di aver ricevuto un bolide in pieno stomaco. Pensa già a possibili invidie che vogliono metterlo fuori gioco, stroncare la sua futura sfavillante carriera - ignorando la totale assenza di senso nel farlo a stagione conclusa, cosa a cui Osamu di certo penserebbe in maniera più lucida di lui - quando è la zazzera di Hinata Shouyo a rientrare nel suo campo visivo e non un bolide impazzito.


Hinata alza lo sguardo e c’è un letterale brillio nei suoi occhi quando realizza di averlo davanti. Da lì comincia a parlare così velocemente che Atsumu perde metà delle informazioni che gli vengono date.


«E poi hai roteato la mazza e bam e il bolide è sfrecciato via e wham! ha preso Nishinoya-senpai! Cioè, io ho tifato per Grifondoro tutto il tempo, ovvio, però! Però!» continua a dire, più entusiasmo che sangue nelle vene e Atsumu vorrebbe mantenere una certa classe ma è stanco, viene da una vittoria e quelli sono complimenti e chi è lui per rifiutarne. Sarebbe meglio se avesse vinto, in condizioni normali tutta questa attenzione e da un tifoso avversario basterebbe a fargli prudere le mani tanto da voler mettere mano alla bacchetta, ma qualcosa in Hinata gli fa intuire che non lo stia facendo per prendersi gioco di lui. L’ammirazione che esprime sembra essere sincera, quindi per una volta Atsumu decide di concedere il beneficio del dubbio.


«Grazie,» replica con una punta di esitazione data dalla troppa esagitazione «Iwaizumi e Tanaka non mi hanno reso facile il compito.» aggiunge, riferendosi ai Battitori Grifondoro che lui odia dover affrontare in partita. Stupidi forzuti.


Hinata ha tantissimo da dire anche su di loro, il che è scontato in effetti, ma quando ormai sono fermi nel corridoio da buoni dieci minuti Sawamura - capitano e portiere - viene a recuperarlo e ci aggiunge un «Scusalo, gli ho detto che non era il caso dopo la partita.» di chi è abituato a fare più da padre che da capitano, alla propria squadra, specie visti diversi soggetti presenti. Atsumu apprezza che ci sia una certa sensibilità da parte di chi ha vinto e sa di dover scegliere il giusto momento per complimentarsi con gli avversari. Perciò scuote la testa e fa un occhiolino complice a Hinata: «Non c’è problema, abbiamo fatto due chiacchiere interessanti.»


Di lì a poco entrambi si avviano per il corridoio, probabilmente per riunirsi alla squadra. Nell’andarsene, Hinata gli dice: «Il prossimo anno saremo avversari, Miya-senpai!»


*


A partire dall’anno successivo, Atsumu fa molto più caso a Hinata, forse aspettandosi un agguato in qualche corridoio. E’ così che finisce con il notare molte cose a cui non aveva badato e che, di norma, non sarebbero nemmeno troppo di suo interesse. Hinata Shouyo è una strana creatura capace di farsi amici in qualsiasi casata e in qualsiasi anno: amato e preso in simpatia da persone come Sawamura, che ne è il capitano della squadra di Quidditch, ma anche da Sugawara di Corvonero che sembra averlo adottato, passando da Kozume di Corvonero che non è famoso per avere tutta questa schiera di amici e finendo con l’interagire anche con Oikawa stesso. Atsumu lo vede nei corridoi, di passaggio tra una lezione e l’altra, mentre si muove con il suo anno che non ha nulla da invidiare quanto a soggetti difficili ai superiori - Atsumu non crede avrebbe resistito in una classe con Kageyama e Tsukishima.


Non gli sfugge nemmeno come Hinata sia ogni giorno a invadere un tavolo diverso in Sala Grande, non per tutta la durata del pasto naturalmente, ma la facilità con cui scivola nelle conversazioni con chiunque lo incuriosisce. Così lo segue con lo sguardo più di quanto si accorga di fare, anche se ci vuole la prima partita della stagione di Quidditch del suo quinto anno perché qualcosa cambi davvero.


Le fila di Grifondoro hanno cambiato formazione, inserendo in rosa tre studenti che fino allo scorso anno non facevano altro che da riserve. Non si stupisce troppo di vedere Hinata finire a confrontarsi con Oikawa nel ruolo di Cercatore, perché la fisicità lo rende anche troppo scontato; al contrario si rivela un fastidio non indifferente avere tra i nuovi Cacciatori Haiba e Goshiki. Atsumu li ha visti spesso con Shouyo ma non aveva mai badato troppo ai termini delle loro conversazioni. Haiba è alto, così tanto che Atsumu ha dubbi su come riesca a stare in equilibrio sulla scopa durante certe manovre - a un certo punto, durante la partita, Haiba fa un volo di tre metri prima che per pura fortuna riesca a finire di nuovo attaccato alla propria scopa almeno con le mani. Dagli spalti, Yaku Morisuke impreca. 


Goshiki è un Cacciatore di un’aggressività incredibile, tanto che a un certo punto Atsumu e Matsukawa si dividono i compiti e a lui tocca scaricare ogni singolo bolide che gli passa sotto mano contro Goshiki, al punto tale che la palla magica sembra essere stata incantata per seguire solo lui quando sono ormai agli sgoccioli di una partita tiratissima. Goshiki è inesperto abbastanza da mancare l’ultimo tiro in porta, superando l’anello di parecchio e facendo finire la Pluffa da tutt’altra parte. Per motivi che Atsumu non conosce, dagli spalti Grifondoro si eleva non un verso scontento, ma un «HOMERUN TSUTOMU» che fa vergognare Goshiki abbastanza da farlo accartocciare sulla scopa, forse nel tentativo di sparire o mimetizzarsi. 


Qualche secondo dopo uno scoppio di applausi dagli spalti Serpeverde porta Atsumu ad alzare lo sguardo in tempo per vedere Oikawa fare un ampio cerchio in volo, pugno che stringe il boccino teso verso il cielo. Hanno vinto, ma lo sguardo di Atsumu è attirato da Hinata: due metri sotto Toru, ha lo sguardo di una bestia famelica pronta a qualsiasi cosa per avere quel boccino la prossima volta che il campo lo ospiterà come giocatore. Ed è di fronte a quella fame insaziabile che Atsumu lo ricorda: un ragazzino saltellante rimasto troppo tempo sotto il Cappello Parlante perché la scelta della sua casata possa essere stata semplice e sbrigativa.


Adesso ne capisce il motivo.


*


Contrariamente al pensiero di chiunque, non gli parla dopo quella partita folgorato da chissà cosa. Comincia con i saluti quando si incrociano agli allenamenti, uno in procinto di iniziare e l’altro con il forte desiderio di una doccia; si prendono qualche minuto in corridoio, tra incantesimi che vengono lanciati dove non si dovrebbe e magici quadri pronti a ficcanasare in qualsiasi momento. Qualche volta Hinata si ferma alla sua tavolata in Sala Grande, inizialmente attirato dal vedere lui e Osamu vicini - ma siete gemelli! - e poi per questo o quell’aneddoto, per una domanda su una Pozione che per Atsumu è già programma affrontato l’anno precedente.


La sorpresa è quando a ridosso di un’uscita a Hogsmeade Atsumu viene abbandonato letteralmente da chiunque, perché la sua vita è evidente debba essere un continuo tradimento. Osamu è raffreddato, Oikawa ha un appuntamento con Iwaizumi - finalmente, ha detto Hanamaki quella mattina a colazione, stava diventando imbarazzante fingere di non sapere che si fanno il filo da due anni - e Atsumu potrebbe ammettere (solo per stavolta) di non essere esattamente pieno di amici.


L’aspetto sconvolgente è che Hinata, sempre circondato di persone, si ritrovi solo al punto da chiedergli di passare la giornata a Hogsmeade insieme. E Atsumu non ha motivo di rifiutare.


«E a quel punto» continua Hinata mentre camminano, i piedi ad affondare un poco nella neve non del tutto spazzata via in alcuni punti della strada «Yaku-san ha fatto rimanere Lev per altri trenta minuti di allenamento.» aggiunge, l’espressione di chi rabbrividisce non per il freddo ma per evidenti metodi spartani a cui Atsumu non fatica a credere. Una delle cose più divertenti della compagnia di Hinata, nonostante parli più di quanto Atsumu di solito sia abituato ad ascoltare, è l’immensa espressività: non soltanto quella tradotta in sorrisi e facce buffe, ma anche quella intravista sul campo da Quidditch. Mentirebbe a se stesso se dicesse di non esserne stato incuriosito o addirittura affascinato, in una certa misura. 


«Miya!» sente chiamare e fa appena in tempo a poggiare una mano sulla spalla di Hinata e a tirarlo indietro prima che una palla di neve di discrete dimensioni gli passi a pochi centimetri dal naso, mancando di un soffio la sua testa e quella del Grifondoro. Gli basta voltarsi nella direzione da cui è venuta per inquadrare Suna e Ojiro, il primo che non si sta neanche impegnando a nascondere la bacchetta con cui sta facendo fluttuare diverse palle di neve intorno a lui e con la quale di certo deve avergli lanciato quella appena evitata. 


Suna ha un sorrisetto che mette su ogni volta che ha tra le mani del materiale da ricatto per qualcuno, e Atsumu suppone di essere diventato una vittima; Ojiro sembra quasi volersi scusare con lo sguardo per questo.


«Avevi detto che non saresti venuto!» esclama Suna, fingendo un melodramma assolutamente non credibile visto che non si sta neanche impegnando a mostrare doti da attore che - comunque - non ha mai posseduto. E lo fa di proposito, per far capire di non essere affatto ferito. 


«Ho detto che sarei venuto con Samu!» rimbecca, mentre sta già tirando fuori la bacchetta «Ma è in infermeria con il raffreddore e qualcuno che dovrebbe essere mio amico deve fare la passeggiata romantica a Hogsmeade con il quasi fidanzato.» commenta senza privarsi di sottolineare ogni singola parola con cui ha tutta l’intenzione di mettere l’altro in imbarazzo e farlo tacere. Per sfortuna di Suna, Atsumu un amico orribile. Per sua fortuna, Aran e Suna inorridiscono contemporaneamente e gli offrono l’occasione perfetta per sussurrare l’incantesimo giusto e accostarci il movimento di polso necessario a far finire in faccia a Suna una palla di neve.


«Shouyo-kun, andiamo di là.» lo istruisce con un sorrisetto da schiaffi stampato sulle labbra, facendo una lieve pressione sulla sua spalla per indirizzarlo dalla parte giusta. Abbandonano quasi subito la strada principale girando dietro uno dei negozi meno frequentati del piccolo villaggio e, anche se gli sembra di sentire un’imprecazione alle sue spalle, è abbastanza sicuro di non essere seguito.


Quando lui e Hinata risbucano, dopo un paio di angoli girati e lontani dalla strada principale, a pochi passi da Mielandia il Grifondoro ha gli occhi colmi di curiosità. Di lì a poco sfocia in un: «Ma era un incantesimo velocissimo! Nemmeno Kageyama è così veloce!» esclama, e Atsumu trattiene giusto in tempo sulla punta della lingua un ci mancherebbe altro, visto che sono di un anno più grande


«Mi dicevi, Shouyo-kun,» riprende invece Atsumu, glissando sulla questione «che hai iniziato a sentir parlare di magia solo a Hogwarts?» 


Hinata annuisce, affondando le mani prive di guanti nelle tasche e lasciando che i piedi lo guidino con naturalezza verso Mielandia, anche se stranamente rimangono fuori e lui non sembra intenzionato ad andare a infilarsi tra gli scaffali di dolci. Il freddo di un inverno inoltrato non pare togliergli comunque le energie necessarie a divertirsi in un’uscita a Hogsmeade o a cercare subito il riparo del Tre Manici.


«Sì, i miei sono Babbani.» replica lui con un’alzata di spalle «Forse il nonno di mia mamma era un mago, non lo so. Lei me ne ha parlato qualche volta da piccolo, ma non me lo ricordo nemmeno bene e lui non l’ho mai conosciuto. Comunque a un certo punto ero a scuola, la scuola quella normale no, e sai come abbiamo scoperto che avevo la magia?» lo interroga, come un cantastorie che coinvolge il suo pubblico, ma al tempo stesso con il malcelato entusiasmo di chi vorrebbe raccontare tutto e subito. Atsumu lo guarda e scuote appena la testa, incentivandolo a continuare. 


«Wham!» esclama, come se dovesse essere un effetto speciale «All’improvviso stavo volando in mezzo alla classe!» 


Atsumu si riscopre a figurarselo con estrema facilità, forse perché dopo averlo visto volare su una scopa durante la partita di Quidditch gli riesce difficile immaginare Shouyo in un contesto più naturale del volo. E lo fa sbuffare divertito il pensiero di uno Shouyo bambino, più corto di tutti i suoi compagni di scuola, poco più di un frugoletto forse che ride mentre vola involontariamente per tutta la classe. 


«Che c’è? Guarda che dico la verità!» esclama il Grifondoro, pensando erroneamente che lo sbuffo divertito di Atsumu sia dovuto all’incredulità; lui ridacchia più apertamente, una mano guantata va a scompigliare i capelli di uno studente più giovane a cui non avrebbe mai dato un galeone la prima volta che lo ha avvicinato come un fan potrebbe fare con il suo idolo. 


«Ci credo, ci credo,» lo rabbonisce «ma penso ancora che far esplodere l’iguana di tua zia sia molto più figo.»
«Hai fatto esplodere cosa?! Ma dai!» ribatte Shouyo, capendo che non c’è partita in quella gara che poi gara davvero non è se non lo scambio di due adolescenti che si vantano di cose che non avrebbero comunque potuto controllare nemmeno volendo. 


Una folata di vento gelido fa rabbrividire Atsumu, e lo sguardo va a cercare d’istinto il Tre Manici di Scopa, poco lontano da loro. Fa un cenno con la testa verso il locale, in un muto invito per Hinata a muoversi in quella direzione, e mentre si avvicina già riesce a vedere attraverso i vetri che danno sulla strada qualche pentola che si sta lavando da sola grazie alla magia e boccali intenti a raggiungere fluttuando i giusti clienti.


Shouyo, quando li nota, sembra vedere un incantesimo concretizzarsi davanti ai suoi occhi per la prima volta nonostante abbia avuto di certo modo di vedere quel locale già l’anno prima con l’inizio delle sue visite a Hogsmeade. Quasi distrattamente, Atsumu si ritrova a pensare che emozionarsi a quel modo ogni volta senza lasciare che l’abitudine smussi la meraviglia sia la vera magia.


*


Il quinto anno, o quel che ne rimane dopo Natale, è un insieme di prese di coscienza molto scomode da sommare all'inesorabile avvicinarsi dei GUFO. Dopo l'uscita a Hogsmeade Atsumu passa più tempo di quanto gli piacerebbe ammettere, con Hinata, e senza la più pallida idea di come questo possa o debba significare qualcosa. Ne approfittano spesso per qualche allenamento extra insieme, anche se si parla più di manovre di volo che di altro, visti i ruoli diversi.


A un certo punto Suna decide di mettergli una fastidiosa pulce nell'orecchio alla quale è difficile sottrarsi quando la causa è un compagno di anno e di casata e avete avuto la sventura di scegliere anche le stesse materie facoltative. Così mentre sostano sulle scale che, come magia impone, sono intente a cambiare - costringendoli a un giro molto più lungo - Suna gli picchietta su una spalla e gli indica la rampa di scale sopra la loro, ferma e occupata da una classe del quarto anno. Riconosce la testa di Shouyo un momento prima che lui lo veda e si sbracci con un «Atsumu-san!» che, data la vicinanza e la reazione del poveretto davanti a lui, deve aver appena stordito Goshiki.


Atsumu ricambia con un cenno breve e un mezzo sorriso, sentendosi chiedere «Alla prossima ora sei libero?» e, alla sua risposta positiva, un «Vengo a prenderti fuori dall'aula!» che è sufficiente a Suna per dedurre tutto ciò di cui ha bisogno e che, invece, Atsumu non vorrebbe mai e poi mai offrirgli così su un piatto d'argento. E infatti, non appena Hinata e compagni spariscono dalla loro vista - incentivati da un «Muoviti, idiota» di Kageyama - Suna non perde un solo secondo.


«Devo fare domande sul fatto che uno studente di un altro anno con cui sei uscito a Hogsmeade a Natale venga a prenderti alla fine di una lezione di cui non dovrebbe sapere l'orario?» chiede e Atsumu percepisce il godimento altrui nel porgli quella domanda che è, in realtà, una provocazione evidente.


«Ti ricordo che Tanaka e Nishinoya sono nel nostro anno.» sottolinea, sapendo lui per primo che nessun kohai si prenderebbe mai il disturbo di memorizzare l'orario di un senpai. Di sicuro non Atsumu.


Suna blatera qualcosa ma lui, in modo molto maturo, gli cantilena sopra fingendo di non sentirlo.


*


Verso Aprile il suo mondo viene quasi completamente distrutto dal fatto che suo fratello si fidanza. Un concetto inaccettabile da qualsiasi punto di vista, a cominciare dall'averlo battuto sul tempo quando Atsumu è palesemente il più popolare dei due - il conteggio ufficiale che lui e Samu tengono dal loro terzo anno recita settantuno lettere di ammiratrici e ammiratori per lui e sessantanove per Samu. Non è lui a fare le regole, okay?


In secondo luogo, come sarebbe a dire che all'improvviso non è più lui il centro del mondo di suo fratello? Non se ne fa niente di Suna che gli dice è ridicolo oppure prima o poi doveva succedere. In quanto gemello ha degli specifici diritti e se gli altri non capiscono, che tacciano. E' già pronto a dirigersi al Reparto Proibito in biblioteca e a cercare qualche libro su veleni letali ma che non lascino la minima traccia quando Osamu gli tira una gomitata nel fianco dopo essersi seduto (con un certo slancio) accanto a lui, esasperato.


«E' Shin, okay?! Ora smettila di fare il cretino abbandonato!» gli dice ed è un'epifania della stessa portata di Bombarda in pieno petto. Perché Shin si traduce in Shinsuke e l'unico che sia una conoscenza di entrambi e per il quale suo fratello abbia mai mostrato una parvenza di ormone funzionante è Kita. Ed è tutto estremamente sleale.


Atsumu fissa il libro dei veleni - nel normalissimo reparto di Pozioni a cui può accedere letteralmente chiunque - e sbuffa, senza celare il broncio infantile che gli piega le labbra: «Sei sleale.» ribadisce a voce «Non posso dire nulla se si tratta di Kita-senpai.» perché in nessun altro caso accetterebbe questa cosa, ma Shinsuke è speciale per entrambi i gemelli, anche se in modi del tutto diversi.


Osamu gli pizzica il braccio giocosamente, intimandogli di lasciar stare i veleni, visto che i suoi voti in Pozioni fanno schifo.


*


Atsumu si ritiene capace di diventare il migliore in qualsiasi cosa decida di voler fare. Anche fingere che il problema sia suo fratello e il suo essersi fidanzato, o gli esami in avvicinamento, o l'essersi quasi fatto disarcionare dalla scopa all'ultima di campionato da Kageyama Tobio. Tutto piuttosto che ammettere che il profumo della sua Amortensia gli ricorda pericolosamente Hinata Shouyo, perché quello è un problema, fare un volo di cinque metri rischiando di diventare una figurina delle Cioccorane invece no.


*


Si incontrano un paio di volte in estate, del tutto a caso e per poco tempo, e qualche giorno prima del rientro a Hogwarts, per le ultime spese a Diagon Alley. Succede quando con lui c'è anche Samu, il che è bene perché ha la scusa perfetta per defilarsi quando tutto diventa troppo per il suo ego intento ad autoconvincersi da tre mesi che la sua Amortensia non sa proprio di niente, e molto male perché bastano dieci passi dopo aver salutato il trio Shouyo, Lev e Goshiki perché suo fratello cominci a guardarlo con l'insistenza che gli rivolge solo quando c'è tra loro una domanda evidente che non vuole perdere tempo a pronunciare ma di cui vuole conoscere la risposta. Così Atsumu resiste per ben cinque minuti prima di rivolgergli un esasperato «Che c'è?!» quando sono ormai quasi arrivati al Serraglio dove hanno appuntamento con Kita.


Osamu lo guarda, lo studia quasi non lo conoscesse a memoria, come se i loro volti non fossero identici da quando sono nati e solo alla fine scrolla le spalle e gli rivolge un semplice: «Contento tu.»


Atsumu lo detesta.


*


Al sesto anno Atsumu ha meno lezioni, dopo aver abbandonato le materie di cui non gli interessa prendere i MAGO, ancora più voglia di dimostrare il valore sul campo da Quidditch e meno maturità di quanta ne avesse l'anno prima. Così quando viene a sapere per caso che l'estate ha formato un sacco di coppie e che tra questa ci sono Shouyo e Kageyama la prende così sportivamente da evitare in modo molto accurato e calcolato entrambi. Non ci sono più allenamenti extra, uscite a Hogsmeade e soprattutto quando li vede per caso in corridoio con le mani che si sfiorano in modo goffo, si accerta che non ci siano nemmeno incontri fuori dalle aule o pezzi di tragitto fatti insieme.


E' quasi sicuro che Osamu lo sappia, a quel punto, ma vige la regola del se non parliamo, non lo chiediamo tra loro e ha sempre funzionato - e per una volta aiuta che siano in due casate diverse. Suna ha la decenza di glissare sull'argomento dopo la prima e unica volta che tenta di prenderlo e si ritrova nelle orecchie la minaccia di essere schiantato giù dalle scale. Atsumu non l'avrebbe fatto sul serio, ma si impegna per essere convincente; sa che Suna probabilmente è consapevole non lo farebbe mai, ma apprezza il suo fingere di essere spaventato abbastanza dall'eventualità di sbagliarsi.


Futakuchi arriva come una sorpresa e una scontata possibilità al tempo stesso. Atsumu non sa se tra loro sia il fatto di avere addosso la stessa carica post partita o post allenamento dovuta dall'essere entrambi nella squadra di Quidditch, o se siano solo l'uno l'opzione più semplice per l'altro avendo uno spogliatoio a disposizione. Fatto sta che sono gli ultimi a restare, un giorno, e si stanno rifilando battutine degne dello stereotipo dello sportivo quando di punto in bianco sono uno addosso all'altro e Atsumu sta dando il primo bacio degno di questo nome. Nessuno dei due è granché, ma nel complesso non va affatto male. Si limitano a quello, qualche occhiata in dormitorio, qualche cenno d'intesa quando gli altri compagni Serpeverde del loro anno non ci sono e scuse sul restare ad allenarsi poco credibili ma a cui nessuno bada davvero. Non c'è un vero inizio così come non c'è una vera fine, arriva solo il momento in cui entrambi hanno sperimentato abbastanza e non ci sono drammi tra loro quando semplicemente smettono di farlo quasi di comune accordo.


Di Goshiki nota le occhiate e gli fa tenerezza vedere il modo impacciato in cui ogni tanto si arma del coraggio proprio della sua casata e cerca di approcciarlo in quello che dovrebbe essere un flirt. Ma per fortuna di Tsutomu, ha troppe cose in comune con Shouyo - il Quidditch, la casata, l'anno di appartenenza e anche parte del modo in cui si entusiasma per le cose - e Atsumu non vuole Hinata, figurarsi qualcuno che gli somiglia abbastanza da ricordarglielo. Mette in chiaro nel modo più tacito e discreto possibile che non è il caso. A Goshiki passa in fretta, forse perché non diventa mai niente più di una cotta passeggera per uno studente più grande. Ad Atsumu chiude lo stomaco per due settimane.


Semi è un'incognita inaspettata. E' diametralmente opposto ad Atsumu in qualsiasi aspetto si prenda in esame, ma c'è qualcosa nel modo calmo con cui lo approccia ad attirarlo. Ci prova senza una vera certezza quando sono entrambi di ronda, butta lì una battuta e si finge il gentiluomo che non è nel riaccompagnarlo verso la parte dei sotterranei che gli spetta - poi stanno lì, un po' come se aspettassero entrambi di fare qualcosa, e Atsumu si piega in avanti per un bacio. Semi non si sposta quella sera, né quella dopo, né quella dopo ancora e per qualche mese è un insieme di cose piacevoli su cui non avrebbe mai scommesso. Nel silenzio del dormitorio non nega a se stesso che sia piacevole il modo in cui Semi nota le più piccole cose e fa gesti infinitesimali con cui riesce comunque a far sentire l'altra persona apprezzata. Ha un modo complesso, di cui Atsumu non sarebbe mai capace, di offrirgli un abbraccio quando serve, una stretta amichevole sulla spalla se necessario, di far scivolare la mano nella sua quando Atsumu si chiude in silenzi pochi tipici di lui ma che con Semi può concedersi lo stesso. Proprio perché ha una sensibilità particolare, Semi capisce di non essere l'unico, o di non essere esattamente quello che Atsumu vorrebbe. Rimane per un po', Atsumu non sa perché.


A Natale fa un regalo a Eita anche se non stanno più insieme. Osamu, che non ne può più di quelle che reputa scappatelle tanto per girarsi dall'altra parte quando vede Hinata e Kageyama in giro, gli dice di smettere di fare lo stronzo. Atsumu sa che ha ragione, ma discutono lo stesso mentre gli rinfaccia di farsi gli affari suoi e tornarsene dal suo fidanzato - che non è affatto giusto o corretto nei confronti né di Samu, né di Shinsuke. Si scusa con entrambi senza che siano passate nemmeno ventiquattro ore e offre in segno di pace una porzione di pasticcio di patate dal tavolo Serpeverde. Non ha senso, ma è il gesto che conta.


Febbraio si trasforma lentamente in Marzo, e i primi giorni del mese si ritrova in infermeria con Sakusa. Stesso anno, stessi corsi - almeno alcuni, Sakusa segue davvero troppe materie per i suoi gusti - eppure non potrebbero essere più diversi e Sakusa non potrebbe rendere più evidente di preferire un tentacolo di piovra del Lago Nero nel piatto del pranzo piuttosto della compagnia di Atsumu. Motivo per cui il Serpeverde sente l'impellente necessità di tampinarlo da lì alle settimane seguenti, non senza una certa difficoltà data da una discreta abilità di Sakusa di sgusciare via quando ha l'intenzione di evitare qualcuno, mescolandosi perfettamente ai gruppi di studenti nei corridoi. Quando Sakusa non ne può più, gli dice che lui non è Eita e non ha intenzione di fargli da balia. Per questo Atsumu è confuso quando lo bacia e non si ritrova una bacchetta infilata in posti molto sconveniente o schiantato contro una parete dalla magia più potente possibile, se è vero che dipendono dalle emozioni, perché Sakusa ha forti emozioni verso di lui. Solo che Atsumu pensa siano tutte molto aggressive.


Non sa bene nemmeno lui perché funzionano, ma in qualche modo lo fanno. Sakusa è il primo di molte cose di cui il mondo crede Atsumu sia un esperto o, viceversa, di cose che pensano tutti non lo riguardino. Sakusa è il primo a rifiutarlo quando Atsumu si dice che se limonano nelle aule vuote, potrebbero almeno tentare di uscire insieme. E' il primo che tocca in un certo modo, diverso dalla frettolosa curiosità con Futakuchi e dalla risoluta gentilezza di Eita; Sakusa non ama toccarlo né essere toccato, in linea di pensiero generale, ma ci sono modi in cui riesce a sopportarlo e in cui addirittura lo cerca, anche se Atsumu è sicuro non se ne renda conto e lo faccia in modo del tutto istintivo. Sakusa è il primo per cui deve davvero impegnarsi prima che ceda e gli permetta almeno di portarlo da qualche parte all'ultima uscita a Hogsmeade; certo, con qualche velata minaccia nel mezzo - se provi anche solo a fare cose come prendermi per mano o portarmi in quel tugurio di pub ti faccio volare fino a Mielandia con l'incantesimo più doloroso che conosco - ma lo fa. Sakusa è il primo per cui si impunta e decide di provarci più di quanto abbia fatto con Futakuchi o con Eita, con cui c'è la promessa di scrivergli (risparmiami il tedio, Miya) o di andarlo a trovare durante l'estate (sarò irrintracciabile, te lo assicuro) e di avere quello che anno per più di quanto gli ultimi giorni di scuola concedano.


A un certo punto, mentre arrivati alla stazione di King's Cross si salutano come gli sconosciuti che ormai nessuno crede siano più, Atsumu pensa quasi che forse è così che doveva andare e basta. Di sicuro la sua Amortensia, ora come ora, profumerebbe di tutt'altro.


*


Il settimo anno è quello delle scelte. Un po' perché il mondo pretende da lui che decida e metta nero su bianco cosa fare della sua vita di giovane mago a un passo dall'entrare a tutti gli effetti nella società magica, un po' perché è tra gli studenti più grandi e tutti lo guardano come si fa quando ci si aspettano grandi cose e nessuna incertezza. Deve scegliere per quale squadra di Quidditch professionale fare i provini, perché non riesce a vedersi a fare niente di diverso da quello; deve scegliere di smettere di fare il ragazzino, come Samu ormai ama ricordargli, e tornare a parlare con Hinata prima che metta su una squadra investigativa per scovarlo nei corridoi, specie perché Atsumu sarebbe destinato a perdere visto che Shouyo è riuscito in sei anni a diventare amico anche dei quadri. Lo troverebbero subito.


Osamu ha scelto di restare con Shinsuke anche se l'ex Tassorosso si è diplomato dalla scuola di Hogwarts l'anno prima, ma Atsumu continua a ripetergli che per lui e Sakusa è diverso, non c'è niente da scegliere visto che sorprendentemente mirano alla stessa carriera e quindi sarà più semplice. Deve scegliere la formazione per il suo ultimo campionato tra le mura di Hogwarts, ora che è capitano della squadra perché la scelta era tra lui e Futakuchi e quest'ultimo ha reso piuttosto chiaro il suo e dovermi occupare di altre mille cose oltre a cercare di non fallire platealmente Pozioni ai MAGO? No grazie, facciamo che di quelle ti occupi tu e io al massimo controllo che tu non faccia stronzate.


Logica vorrebbe si preoccupasse anche di parlare con Sakusa perché, a dispetto di quanto dica a Osamu, non è che abbiano esattamente parlato. Stanno insieme, si sono visti in estate. E' un gioco di pazienza, con Sakusa, ma Atsumu si è riscoperto meno scocciato o annoiato di quanto avesse preventivato. Se si fosse trattato di scommettere, lo avrebbe fatto contro se stesso, invece si ritrova tra le mani una parvenza di relazione da sette mesi quando ad Halloween decidono di potersi concedere di andare insieme al banchetto in Sala Grande come farebbe una qualsiasi coppia normale. Nella difficoltà generale di un diciassettenne considerato ormai adulto e responsabile dal mondo adulto, ma a cui gli ormoni fanno ancora qualche scherzo, Atsumu è convinto di starsela cavando egregiamente.


Poi arriva Natale, lui è quasi arrivato in cima alla rampa di scale che porta verso la zona dove si trova la Sala Comune di suo fratello, e sente sbraitare l'inconfondibile - suo malgrado - voce di Kageyama. Gli bastano quattro gradini per vedere un guizzo di scintille rosse e capire che c'è un duello in corso nei corridoi. Impiega dieci secondi lunghissimi a ricordarsi che, nonostante uno dei Caposcuola sia di Corvonero e stia sentendo le voci da dentro la Sala Comune (sempre ammesso sia lì e non a lezione), anche lui è del settimo anno e può cercare di portare la calma. Osamu, sbucando da dietro di lui, lancia un Expelliarmus che fa volare la bacchetta di Kageyama un  metro indietro rispetto a lui e Akaashi, il Caposcuola che come supponeva deve essere appena uscito dalla Sala Comune Corvonero, disarma con la stessa facilità Hinata.


Questo non li fa urlare di meno, né li aiuta a smettere di abbaiarsi insulti in faccia. Due giorni dopo, le voci di corridoio parlano di come Kageyama e Hinata si stiano a stento parlando, figurarsi se stanno ancora insieme.


Atsumu deve scegliere di fingere che questo non lo riguardi - perché deve pensare agli esami, al Quidditch, parlare con Sakusa e perché la sua Amortensia che ormai non annusa da anni perché non gli è più capitato di prepararla a lezione di sicuro, senza alcun dubbio, non ha più nulla a che fare con Hinata Shouyo.


*


Poiché il settimo anno deve concludersi in grande stile, anche se sono solo a Dicembre, lui e Osamu decidono di stilare una lista delle cose mai fatte nei loro anni a Hogwarts e di spuntarle tutte entro Giugno. In verità forse lui fa la lista e sempre lui insiste, ma in fondo Osamu non accetterebbe se non lo trovasse divertente e non fosse incuriosito da alcune possibili reazioni. Così decidono di scambiarsi all'ultima lezione prima delle vacanze natalizie, prima che Osamu lasci il castello per andare a casa di Shinsuke e Atsumu rimanga invece tra le mura di Hogwarts. Un incanto per il colore dei capelli di qua, uno scambio di cravatte di là e ci vuole davvero poco per riuscire a ingannare tutto il mondo - forse Suna li guarda con un po' di insistenza all'inizio della lezione, mentre dall'espressione di Aren Atsumu capisce di essere stati beccati subito, ma il resto della classe perde completamente per strada lo scambio e così fa apparentemente il professore di turno. Così Atsumu ha la brillante idea di portare avanti quella farsa almeno fino al pranzo, solo perché nel pomeriggio i diversi corsi lo renderebbero impossibile.


Per ogni successo deve andare storto qualcosa, però. Si autoconvince che il problema sia questa massima legge senza alcun fondamento magico quando lungo le scale una mano si aggrappa al suo copridivisa e, senza troppi convenevoli, a malapena riconosce il profilo di Hinata prima che questi cominci a tirarlo su per le scale. Atsumu vorrebbe ritirare il braccio, non fosse che sarebbe un'evidente ammissioni dello scambio tra lui e suo fratello, dal momento che Osamu non avrebbe motivo di evitare Shouyo. Un po' come lui, per quanto alla fine si sia detto che c'è una ragione del tutto valida, solo non gli va di esporla quando gliela chiedono.


Mentre Shouyo lo tira su per i gradini e poi lungo i corridoi, e Atsumu riconosce senza difficoltà la strada che deve fare suo fratello per raggiungere la Sala Comune, il Grifondoro parla a raffica: «Ho deciso» comincia «che l'unico modo è prendere te, Osamu-senpai, e portarti da qualche parte non so dove okay, tipo la torre di Astronomia. O la guferia. Cioè volevo portarti giù nei sotterranei ma sarebbe scontato e Tsukishima continua a dire che non sono capace di fare un piano segreto nemmeno impegnandomi— che poi, comunque, non è colpa mia se lui invece pensa troppo e non mi aiuta a trovare una soluzione.» blatera e blatera, tirandolo abbastanza da farlo quasi inciampare a un certo punto, perché nonostante dovrebbe sapere dove stanno andando il Grifondoro sembra decidere sul momento, passo dopo passo. Atsumu potrebbe giurare a se stesso di non aver capito per nulla quale sia la questione per cui suo fratello dovrebbe essere l'elemento chiave, almeno in apparenza.


«Dico davvero, insomma, è impossibile che Atsumu-san continui a sparire in qualsiasi corridoio anche quando tento di incrociarlo alla fine di una lezione. Nemmeno con gli orari che mi hai dato tu ci sono riuscito, e a meno che non sparisca nel nulla— insomma, sì, siete più avanti di un anno e siamo in una scuola di magia ma non è possibile, giusto? A Hogwarts non ci si può smaterializzare. Comunque,» prosegue senza quasi riprendere fiato ma fermando di botto i suoi passi - Atsumu gli finisce in parte addosso, torace contro schiena, rendendosi conto quasi per sbaglio che Hinata è più alto del ragazzino che al suo terzo anno si è avvicinato per fargli i complimenti dopo una partita persa. Forse se anziché guardarlo da lontano al puro scopo di evitare di incrociare il suo sguardo avesse solo continuato a passare del tempo in sua compagnia, se ne sarebbe accorto. E' un pensiero fugace che si impegna a mettere a tacere prima che possa trasformarsi in un qualcosa di più grande, pesante e pericoloso.


Shouyo si volta a guardarlo ed è ancora il Grifondoro esagitato, ma al tempo stesso è anche un sedicenne che dei lineamenti della fanciullezza ha perso quasi tutto, ed è la persona per cui Atsumu è stato confuso abbastanza da chiuderla fuori nel momento in cui ha scelto qualcuno che non era lui. Poco importa che non gli abbia mai messo di fronte l'altra possibilità o dell'essersi trattato di Kageyama e basta, perché ha soffocato l'alternativa prima ancora che fosse chiara e visibile per lui.


«Puoi aiutarmi a parlarci? Una volta sola. Voglio chiedergli se c'è qualcosa che non va... volevo domandarglielo quando tu e Akaashi-san avete disarmato me e Kageyama, ma...» lascia cadere la frase, abbassando per un momento lo sguardo. Atsumu non ha bisogno di chiedere a quale litigio si riferisca perché è impossibile dimenticarlo, né vuole davvero mettersi nella condizione di farsi raccontare la storia romantica finita probabilmente male tra loro due. Per quanto Osamu lo stuzzichi in merito lui sta ancora con Sakusa, più o meno e in un modo tutto loro, perciò la vita sentimentale di Shouyo non lo riguarda. Per nulla. Assolutamente no.


Sta per dirgli che non pensa ci sia molto da dire, o magari sarebbe meglio optare per un diplomatico consiglio di avvicinare Atsumu - di avvicinare lui - come meglio gli riesce, inventandosi che sarebbe controproducente se lui (Osamu) si mettesse di mezzo. Fa per aprire bocca ma Shouyo lo fissa, aggrotta un poco le sopracciglia e poi gli lascia la manica che non ha fatto altro se non tirare per tutto il tempo, tenendola fra le dita anche quando si sono fermati. Atsumu lo occhieggia, vagamente incuriosito, e capisce che Shouyo ha appena compreso di non avere davanti Osamu Miya, non importa se il cravattino con i colori di Corvonero dice il contrario.


*


Serpeverde vince la Coppa di Quidditch e lui non potrebbe chiedere di meglio per la sua ultima stagione. I festeggiamenti partono dallo spogliatoio, si trascinano per i corridoi, scivolano nei sotterranei e si concludono a tarda notte - per non dire mattina molto presto - in Sala Comune. Sarebbe perfetto se ci fosse Osamu, mentre si è fatto bastare i complimenti sinceri di Shouyo a fine partita. Corvonero dovrà riprendersi dalla batosta di essersi giocato il campionato agli ultimi due minuti di partita prima che suo fratello possa accettare la sconfitta tanto da aver voglia di festeggiare la sua vittoria, ma per adesso Atsumu se lo fa andare bene così. A un certo punto, quando l'alba si sta affacciando timidamente e l'orario implica ancora un castello deserto, Atsumu abbandona le coperte di un letto su cui per motivi a lui ignoti è svenuto anche Suna a un certo punto della festa, si mette addosso abiti semplici visto che il weekend lo libera dall'obbligo della divisa e scivola fuori dal dormitorio prima e dalla Sala Comune poi. Lo accolgono sotterranei bui, silenziosi e solitari e sarebbe così fino alla Sala d'Ingresso se non incrociasse Sakusa proprio dove i sotterranei si immettono nel piano terra del castello. Con Tassorosso e Serpeverde ospiti della medesima area di Hogwarts nessuno dei due si stupisce della presenza altrui, specie conoscendo l'uno le abitudini dell'altro.


Non sa perché, ma Atsumu percepisce senza bisogno di parole che è arrivato il momento di avere una conversazione rimandata dall'inizio dell'anno. Mentre gli esami MAGO sono alle porte e loro si trascinano dietro più di un anno di relazione stabile in cui Atsumu non ha mai guardato né toccato nessuno oltre Sakusa e senza che abbia mai anche solo flirtato per scherzo con qualcun altro, ha la stessa sensazione avuta con Futakuchi e con Eita. Quella consapevolezza di dover mettere la parola fine, in un modo o in un altro, per un motivo più o meno evidente e comprensibile.


Camminano uno di fianco all'altro, in silenzio, fino a quando non riescono a sgattaiolare fuori nel giardino. Sakusa è prudente abbastanza da non rischiare inutili perdite di punti senza ragione, perciò se lui per primo vuole uscire Atsumu lo segue senza troppe domande. Li accoglie un'aria frizzantina nonostante si parli ormai degli sgoccioli di Maggio, la fine di sette anni di scuola pericolosamente vicina e ad Atsumu per la prima volta sembra di non aver concluso nulla pur avendo fatto così tanto e aver stretto, fino alla sera prima, la Coppa del Quidditch in mano. Si fermano in un punto del Porticato, a un certo punto, e Sakusa si siederebbe se solo non fosse per lui inconcepibile poggiarsi su qualcosa di così sporco. Lo fa Atsumu al posto suo, quindi, e aspetta.


Il sole ha ormai rischiarato buona parte del cielo quando Sakusa gli dice: «Possiamo essere compagni di squadra, se lo stesso team decide di volerci tra i giocatori professionisti.»


Non è un drammatico addio, non sono urla e schianti di incantesimi lanciati con rabbia, e una parte molto infantile di Atsumu si chiede se sia perché Sakusa non ci tiene abbastanza; ma poi pensa che per più di un anno Sakusa è stato questo, sempre: la calma di chi lavora duramente, come ogni figlio di Tassorosso, tutti i giorni e mettendo su un tassello dopo l'altro, fino ad avere un risultato. E che non sempre si aspettano che quel risultato sia una vittoria. A volte si aspettano un pareggio o anche una grande sconfitta in cui si fa largo appena appena un piccolissimo traguardo raggiunto. Fa per allungare una mano verso la sua, ma poi cambia idea e scuote la testa. Sbuffa una mezza risata, o almeno così crede.


«Non sei per niente romantico.»

«Ti preferivo quando stavi zitto.»


*


Gli esami sono ormai finiti, tutti gli studenti del settimo anno non aspettano altro che i risultati e il banchetto finale, insieme alla proclamazione della Coppa delle Case. Serpeverde non se l'è giocata male, pur restano di qualche punto sotto Grifondoro ed è difficile pensare che ci saranno stravolgimenti dell'ultimo minuto.


Atsumu ha accennato a suo fratello di Sakusa e, per forza di quella cosa chiamata convivenza con Suna e Futakuchi, l'ha detto anche a loro al solo scopo di evitare imbarazzanti battute sull'Espresso di Hogwarts durante il ritorno. Non c'è nulla che potrebbe sconvolgerlo a questo punto, con l'incubo di inchiostro e calamaio e tempo che scorre ormai lontani, con uno stomaco da riempire e che verrà presto saziato. E' nell'atrio, a una manciata di metri dalla Sala Grande; il vociare si fa più alto e concitato quando qualcuno comincia a insultarsi al punto tale da far impallidire la povera occupante di uno dei quadri più vicini al litigio, una dama di altri tempi per cui qualsiasi cosa venga prima del linguaggio di tre secoli prima è classificabile come volgare e inaccettabile. Facendosi largo tra la piccola folla nessuno si stupisce di trovare Hinata e Kageyama di nuovo ai ferri corti - niente di troppo drammatico, ben diverso dalle bacchette sguainate e gli incantesimi volanti dell'ultima occasione in cui Atsumu li ha visti così, ma si tengono testa abbastanza da portare diversi del settimo anno a chiedersi come sopravvivranno senza Akaashi a far da paciere l'anno prossimo.


Il Caposcuola chiede di lasciar passare, per andare pazientemente a recuperarli. Shouyo protesta, qualcosa riguardo all'essere colpa di Kageyama e sei sempre il solito condito con non capisci niente detto in modo molto più colorito, concludendo con un e intanto hai perso detto di sicuro con tutta l'intenzione di pungerlo sul vivo. Non fallisce di certo - non che ci voglia un grande stratega a capire come provocare Kageyama, comunque. Atsumu si è sincerato di farlo per tutta la partita finale a suon di bolidi tirati casualmente in direzione di Tobio - e Kageyama è lì per estrarre la bacchetta. I suoi muscoli tradiscono meno intenzione di quanto si potrebbe credere, ma Atsumu è più veloce e ha dalla sua la sorpresa di chi non lo ha minimamente considerato fino a quanto un fascio di luce si schianta contro le gambe di Kageyama.


Il Corvonero ci guadagna un balletto di fronte a tutti e ad Atsumu tocca la gomitata di suo fratello nelle costole e il richiamo di un docente perché mi aspetto tu abbia raggiunto una maturità più alta del castare un Tarantallegra contro uno studente più giovane al tuo ultimo giorno in questa scuola, Miya Atsumu!


Serpeverde perde venti punti poco prima della cerimonia di chiusura. Atsumu ci guadagna la soddisfazione di chi voleva farlo da anni.


*


Lui e Sakusa finiscono a giocare per la stessa squadra, quella che già l'anno prima ha accolto tra le sue fila Bokuto. Ad Atsumu non dispiace per nulla, perché Bokuto è un giocatore che ha imparato ad apprezzare durante il campionato scolastico e che è sempre stato curioso di vedere come sarebbe stato avere in squadra, coprirgli le spalle e gestire la distribuzione dei Bolidi in modo da facilitargli il compito già aiutato da un talento evidente. Sakusa probabilmente vorrebbe più silenzio in spogliatoio di quanto possano offrirgli un estroverso cronico e il suo ex fidanzato.


L'anno dopo si unisce a loro Hinata Shouyo. Fa già ridere così.


*


«Dici che ce la fa?» bisbiglia Aren, preoccupato come la mamma chiocchia che è sempre stato per i gemelli Miya, benché lo neghi - nessuno può capirlo come Suna o Futakuchi. Qualsiasi madre rinnegherebbe i gemelli, soprattutto Atsumu.


«Non ci credo nemmeno se lo vedo con i miei occhi.» «State tutti sottovalutando il piccoletto. Salazar piangerebbe sangue se vi vedesse ora, pensavo che la mia presenza vi avesse plasmati almeno durante gli anni che abbiamo condivi—»

«Zitto, imbecille.» sibila Iwaizumi, dando un colpetto tutt'altro che leggero a Oikawa e piantandogli con poca gentilezza una mano sopra la bocca quando intuisce che sta per iniziare a lamentarsi del suo essere manesco. Stanno insieme da anni e non hanno mai perso la dinamica da vecchia coppia sposata.


Osamu non sa quando, di preciso, si sono ritrovati come un gruppo di vecchie streghe riunite nella sala da tè per eccellenza a scambiarsi pettegolezzi, con la differenza che loro sono appostati a un tavolo come un gruppo di sfigati che fingono di bere insieme quando stanno solo spiando l'unico vero perdente interagire con la sua cotta da quindicenne in denial, durante un appuntamento che finalmente ha avuto il coraggio di chiedergli. Sempre ammesso non sia stato Hinata a proporlo.


Si domanda se faranno prima i due interessati a scoprirli, il padrone del locale a cacciarli o il resto degli avventori ad accorgersi che in un tavolo sono concentrati giocatori di Quidditch professionistico, un allenatore che sta compiendo i suoi primi passi ufficiali nell'ambiente e altre persone più o meno conosciute tra l'essere negozianti di Diagon Alley o dipendenti del Ministero della Magia - tutti schiavi della gavetta, ma tant'è.


*


Atsumu ripensa in modo grottesco a quella volta in cui, durante il suo terzo o quarto anno a Hogwarts, aveva pensato sarebbe stato intelligente nonché prova di grande abilità di volo passare sopra al Platano Picchiatore e sfidarlo a colpirlo, così da poter mostrare le manovre imparare come il genio del Quidditch che sentiva di essere. Vorrebbe essere di nuovo il punching ball del Platano, in questo momento.


Ha chiesto a Shouyo di uscire durante il giorno libero, senza specificare se si trattasse o meno di un appuntamento, cosa che però Shouyo si è fatto scappare come l'affermazione più naturale del mondo. Da quel momento Atsumu vorrebbe dire di aver sentito le farfalle nello stomaco e sarebbe molto romantico se solo non somigliassero più a delle tarantole che gli ballano la tarantella dentro. Nonostante questo è stata un'uscita piacevole - con qualche fermata obbligatoria per alcuni fans, ma piacevole.


L'obiettivo della giornata non era certo ritrovarsi davanti Shouyo intento a parlargli di Kageyama.


«Quella volta durante il tuo ultimo anno,» gli dice «quando ti ho scambiato per Osamu e poi me ne sono accorto mentre eravamo sul pianerottolo...» prosegue e lo guarda, aspettandosi un cenno che Atsumu gli concede immediatamente, perché si ricorda bene di quel momento. Quello in cui ha avuto la sensazione, subito dopo essere stato riconosciuto, che Shouyo stesse per dirgli qualcosa di importante che non avrebbe mai più potuto sapere. E infatti non gli era stato detto niente, se non qualche richiesta sul perché non avessero più passato del tempo insieme come prima. Mi manca stare insieme, gli aveva detto con un candore che aveva sortito più o meno lo stesso effetto di un Pietrificus Totalus.


Shouyo si apre in un sorriso e basterebbe già quello a mandare in corto circuito buona parte delle sue elucubrazioni, com'è sempre stato da quando un ragazzino di un anno più piccolo gli finì addosso in un corridoio, pieno di entusiasmo e di complimenti per lui che aveva perso. Come quella volta a Hogsmeade, a Natale, mentre l'ex Grifondoro riusciva a entusiasmarsi per magie a cui chiunque alla sua età era già abituato abbastanza da non stupirsene più. Come quando una voce per la scuola aveva detto qualcosa che poi gli era stata messa di fronte agli occhi, mentre le mani di Hinata e Kageyama si sfioravano con impaccio in corridoio.

 

Atsumu ci ha pensato mille volte, più di quanto gli piaccia ammettere. Le sue prime esperienze sono state con tante persone diverse - Futakuchi, Semi, Sakusa - e quelle di Shouyo magari sono state tutte di Kageyama, ma ciò che li accomuna è non averle condivise. E lui non sa se quanto Hinata sta per dirgli è che vorrebbe tornare con il ragazzo con cui quelle esperienze le ha fatto ma Atsumu, invece, vorrebbe dirgli che dopo Sakusa non ci sono stati altri e che da quando Shouyo si è presentato nella loro attuale squadra Atsumu ha capito che non sarebbe stato in grado di guardare nessuno oltre lui.

 

Ma Atsumu ha imparato negli anni a essere molte cose: è stato scaltro come lo voleva Salazar, ed è stato il complice perfetto di suo fratello, le vuote minacce di Suna, il caso perso di Aran, il cameratismo da spogliatoio per Futakuchi, la cotta adolescenziale di Goshiki. E' stato la spalla di Semi mentre Eita gli faceva da posto in cui tornare, ed è stato per Sakusa più di quello che pensava e meno forse di ciò che si aspettava. Per Hinata Shouyo non ha idea di cosa possa essere stato, ma non sente di poter improvvisamente essere coraggioso.

 

«Tu e Sakusa state ancora insieme?» gli domanda l'altro a bruciapelo e di tante cose che pensava gli avrebbe potuto chiedere quella non c'è mai stata. Di nuovo, a un passo da quella che pensava sarebbe stata una rivelazione, si ritrova con la schietta richiesta di essere sincero.

 

«No,» pronuncia e giura su Osamu che non sa perché il suo cervello decida che quattro anni di silenzio debbano essere recuperati ora ma all'improvviso parla, parla, parla di tutto ciò che non ha mai detto - né a Shouyo, né a Osamu che lo aveva capito da solo, né a Suna - e dopo non sa quanto tempo ha appena ammesso di aver rimpianto di non aver schiantato Kageyama all'ultimo giorno del suo ultimo anno quando Shouyo si alza in piedi e no no no è tutto sbagliato

 

Le labbra di Shouyo sono sulle sue, in uno schiocco che sa di abitudine più che di dichiarazione, di affetto smisurato anziché della passione di chi forse con altre scelte avrebbe avuto questo molto prima. Lo guarda e ride, e che Salazar lo incenerisca con un incantesimo fulminante per quanto sdolcinato sia il pensiero di avere la sensazione che tutta la stanza si stia illuminando quando Shouyo ride per lui. Poco importa che rida di lui.

 

Nessuno al mondo sembra accorgersi del piccolo miracolo che ad Atsumu sembra di stringere tra le mani, almeno finché non sente un coro da stadio due tavoli più in là e inorridisce nel vedere chi lo occupa.

 

Casta un incantesimo non verbale, e negherà fino alla morte che il bordo bruciacchiato del vestito buono di Suna sia colpa sua. 

hakurenshi: (Default)
 

Prompt: scienza (magia/scienza)
Missione: M3 (week 4)
Parole: 900
Rating: gen
Warnings: //






Il suono fisso del macchinario dal quale Aki non si stacca nemmeno per mangiare lo accoglie appena la porta automatica si apre dopo la lettura del sensore. La prima volta che Ian ha avuto a che fare con lui è stato quasi inquietante, visto che nessuno si era preso la briga di spiegargli a cosa stesse andando incontro.


Di Akihisa aveva sentito dire pochissimo e, tra quelle poche voci in circolazione, era sempre stato difficile capire quali fossero dovute a reali testimonianze e quali fossero state invece dettate da una curiosità mai sedata. Così, rimbalzando da un pettegolezzo all'altro, le uniche cose di cui Ian era certo quando era andato a conoscerlo erano tre: Akihisa era di origini giapponesi. Akihisa era un suo coetaneo. Chiunque nella sezione investigativa incappasse in un vicolo cieco durante un'indagine andava da lui e, con un'inquietante percentuale di successo dell'95,8%, alla fine il caso veniva risolto. Tutto il resto erano dicerie improbabili ma, al tempo stesso, non del tutto impossibili.


Dopo il primo incontro Ian aveva capito che erano tutte pericolosamente vere.


«Fermo.» sentenzia la voce di Aki, senza nemmeno alzare lo sguardo dallo schermo «Non calpestare niente.» aggiunge ed è allora che Ian nota dei fogli ai suoi piedi. Se conoscesse Aki da meno tempo, direbbe che sono messi in modo casuale. Purtroppo sa bene che c'è semplice disordine, lì dentro - o almeno può esserlo agli occhi di chiunque, ma nella testa di Aki quello è un ordine preciso, un'organizzazione meticolosa. Così a Ian non resta che muoversi cercando spazio dove possibile, per potersi avvicinare abbastanza da allungare un cestino del pranzo.


«Doc dice che se non mangi chiude il laboratorio a chiave stanotte.» butta lì, consapevole di quanto quella sia l'unica minaccia capace di funzionare con l'altro. Aki non alza subito gli occhi su di lui, ma si prende tutto il tempo di appuntare qualcosa dallo schermo al quaderno che ha davanti. Solo allora sospira, rilassa le spalle e abbandona la penna.


Sono in pochi a usare ancora carta e inchiostro. Ian lo ha pensato quando la prima volta è entrato in laboratorio per recuperare i dossier dell'unità 3, quella a cui appartiene e nella quale sono relegati i casi peggiori di cui la squadra investigativa non si è potuta disfare per questioni di leggi e accordi, ma i cui membri non sono bene accetti da almeno metà edificio. Casualità a non finire sono successe in ogni singolo caso di cui si sono occupati, tanto da far spesso passare in secondo piano la risoluzione dello stesso. Così nessuno si è opposto a mandare Ian lì dentro, forse convinti dalle dicerie che difficilmente ne sarebbe uscito intero - con il senno di poi capisce bene perché: Akihisa farebbe esperimenti su chiunque se solo avesse la certezza che possano essere d'aiuto alla sua ricerca.


Anche la prima volta lo ha trovato così: chino su dei fogli a cui ormai chiunque altro ha sostituito database digitali. Li ho in doppia copia, gli ha spiegato quando glielo ha chiesto, il digitale non è indistruttibile.


Aki lo sta guardando e tende la mano verso di lui, in attesa del cestino del pranzo. Ian gli fa un cenno verso la scrivania e lo vede mentre alza gli occhi al soffitto ma, nonostante tutto, gli fa spazio mettendo da parte i suoi appunti. Una volta che c'è abbastanza superficie libera Ian ci poggia il cibo, recuperando l'unica altra sedia presente e mettendocisi sopra.




Mentre lascia che Akihisa scelga da cosa iniziare il pasto, lo sguardo si sposta per il laboratorio soffermandosi sulle cose che più hanno attirato la sua attenzione fin dalla prima volta: un'intera parete occupata da una lavagna piena di calcoli e grafici; tre mensole a ospitare provette perfettamente ordinate ed etichettate; strumenti di cui non saprebbe capire l'utilizzo nemmeno dopo due ore di spiegazione. Poco oltre Aki, l'occorrente per i prelievi di sangue.


«Come va la ricerca?» domanda, per sentirsi rispondere con il solito «Prosegue» che vuol dire tutto e niente, insieme alla vaga scrollata di spalle dell'altro. Dopo incontri su incontri - molestie, le ha chiamate Aki facendogli scoprire che wow, aveva anche un senso dell'umorismo! - Ian ha capito le verità altrui. Anche quelle scomode che forse Akihisa non gli avrebbe mai raccontato, ma che almeno ha lasciato alla sua mercé qualora si fosse rivelato il buon osservatore che è davvero.


Akihisa è di origini giapponesi, anche se gli occhi verdi direbbero il contrario. E' un suo coetaneo ma probabilmente non vivrà altrettanto a lungo a causa della mutazione genetica a cui è stato sottoposto da esperimenti di terzi, il caso più lungo a cui il dipartimento si sia mai dedicato e l'unico rimasto irrisolto. Akihisa è un bambino prodigio: a dieci anni Doc lo ha preso con sé e lo ha reso una sua mini-copia che ora è lo scienziato con il più alto quoziente intellettivo. Non ci sono macchinari, calcoli, analisi a cui l'altro non sappia dare un perfetto senso e una magistrale interpretazione. Akihisa fa esperimenti su se stesso, perché per quanto i pettegolezzi dicano il contrario, ha troppa paura di uccidere qualcuno nel processo per farlo sugli altri.


Ian allunga una mano e gli sposta una ciocca di capelli. Il bip del macchinario che misura i battiti di Akihisa gli rimanda il suono regolare di un cuore che pulsa solo grazie alla scienza che lo tiene in vita.

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Missione: M3 (week 4)
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Non sa come sia possibile. Non vede adesso Kelly dopo tanto tempo, non è ora che dovrebbe sentire questo magone mentre lo sguardo si posa sulla persona più importante della sua vita - sarebbe dovuto avvenire prima, quando lo hanno ritrovato, quando fisicamente ha potuto sentire il loro essersi riuniti pure senza comprenderlo logicamente. Sono passate settimane. Oltre una barriera di polvere prima e accanto l'uno all'altro poi, eppure solo adesso che i ricordi sono tutti al loro posto non importa quanto dolorosi, Robbie sente di esserci davvero.


Stringe Kelly, come se fosse la prima volta dopo una vita intera.

 
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Missione: M3 (week 4)
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Seteth sta spiegando l'importanza delle riunioni tattico-strategiche nel dispiego di forze di cui si è a capo. Da dieci minuti si sta focalizzando sull'aspetto vitale di prendere in esame non soltanto i punti di forza dei propri alleati e quelli deboli dei propri nemici, ma anche viceversa, senza escludere il territorio e il senso di unità derivante dalla riunione stessa per il morale delle truppe - Byleth si trova d'accordo, sebbene stia ascoltando senza averne bisogno. 


Una ciocca di capelli gli sfiora le dita e lui abbassa lo sguardo, trovando Linhardt addormentato sul banco. Purtroppo lo nota anche Seteth. 

 

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