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Prompt: warnings (au, angst, lemon)
Missione: M1
Parole: 1221
Warnings: angel!Romani, demon!Merlin, pwp



Le dita di Merlino gli sfiorano hanno sfiorato il corpo innumerevoli volte ma mai così. Romani si è controllato in ogni singola occasione, gli è sfuggito come acqua che non si può contenere e aria impossibile da imprigionare eppure Merlino non ha mai desistito, e ha lasciato che lui potesse illudersi di poter sfuggire in eterno o, in ultimo, di poter vedere l’alba del giorno in cui Merlino si sarebbe arreso.
Così non è stato. Quando Romani sente le sue dita affusolate scendere lungo la linea della mascella al collo e giù, sfiorando da sopra i vestiti da angelo fino a toccargli il ventre, capisce che è finita.
Non si sarebbe dovuto illudere: mille leggende raccontano della caduta degli angeli e lui, Romani, un archivista tra tutti i suoi fratelli ha letto quelle storie miliardi di volte. Cosa gli ha fatto pensare che improvvisamente la Storia avrebbe fatto delle preferenze risparmiandogli un errore simile?
Dio lo ha amato profondamente e lui, invece, lo ha tradito.


La bocca di Merlino scende sul suo corpo nudo, saggiandolo per quello che a Romani sembra un esplorare centimetro per centimetro. E’ quasi frustrante il modo in cui le labbra del demone sembrano esplorarlo e conoscerlo alla perfezione al tempo stesso, mentre nella sua mente lui riesce a stento a mantenere quella lucidità che è sempre stata per lui un motivo di vanto.
Se lo volesse, forse avrebbe una forza sufficiente non a sopraffarlo del tutto ma almeno a sfuggire alla sua presa, alla sua trappola; ma i demoni sono esattamente quello, creature capaci di rinchiuderti nella gabbia peggiore, nella fortezza più inespugnabile che è il piacere dei sensi. Quando lo si prova per la prima volta, poi, è ancora peggio. Romani ha sentito parlare solo per caso della cosa, di sfuggita - non è argomento comune, tra gli angeli, il modo in cui gli uomini sfogano il desiderio carnale e ne diventano schiavi, al punto che molto spesso si trasformano nelle prede perfette di alcuni dei demoni che maggiormente sfruttano le inclinazioni sessuali di quelle deboli e fragili creature. Nel poco che ha colto, però, e nei pochissimi scritti in qualche modo sopravvissuti al tempo e alle ferree regole della casa di Dio, Romani ha appreso quanto le vittime più frequenti nella storia degli uomini siano sempre state due: chi era già schiavo delle pulsioni prima di incontrare un demone sulla propria strada e chi, invece, da quelle pulsioni non era mai stato toccato.
Merlino si sofferma sul suo ventre, la lingua che tocca l’ombelico, ci si infila dentro; Romani sobbalza e trattiene un mugolio, spingendo con la mano contro la bocca nel testardo tentativo - anche un po’ disperato - di rimanere in silenzio e conservare una dignità che potrebbe presto essere la sua unica compagna per l’eternità, insieme alla dannazione. Il demone lo occhieggia, Romani lo vede perché non ha mai chiuso gli occhi finora: quelli ametista della creatura sembrano quasi provocarlo e, al tempo stesso, accettare una tacita sfida - sembra volergli dire: non costringermi a impedirti di trattenerti - e poi scende ancora sul suo corpo ormai spoglio dei vestiti da fin troppo tempo per preoccuparsi ancora della pudicizia e della vergogna. Le mani di Merlino si muovono di pari passo alla sua bocca, accompagnando il suo viaggio e sorreggendo il corpo di Romani: scivolano giù e si bloccano all’altezza dei suoi fianchi quando la bocca di Merlino accoglie l’erezione di Romani nella bocca calda e umida.
La lingua va a stuzzicarlo quasi subito, senza troppi complimenti, e a quel punto Romani non può trattenere un gemito che gli risale dalla gola e si perde nell’aria, spezzando il silenzio con quella che alle sue orecchie suona come una violenza inaudita - è quello il suono che ricorderà e finirà con l’associare per l’eternità al tradimento verso Dio?
Merlino lo spia, senza vergogna per la loro posizione o ciò che stanno facendo e come potrebbe, quando rispetta perfettamente la sua natura? Lì l’unico a essere sbagliato è Romani, che porta una delle mani a scendere tra i capelli chiari dell’altro, stringendo d’istinto una ciocca quando Merlino succhia la sua erezione con più vigore e il chiaro intento di farlo impazzire, di far sì che Romani si tradisca ancora di più e cada sempre più in basso, fino al punto di non ritorno. Ma forse quello lo ha raggiunto nel momento in cui lo ha baciato, in cui gli ha permesso di macchiare anche solo una piccola parte della sua anima facendo sbocciare in lui il desiderio nello stesso modo in cui una spora velenosa diventa il parassita perfetto di una pianta altrimenti sana e forte.
Romani percepisce a stento una delle mani del demone lasciargli il fianco; la ritrova quando sente una delle sue dita premere contro la sua apertura e insinuarsi dentro, scivolando con un po’ di forzatura. Inarca la schiena e boccheggia, sentendo il respiro mancare - e la lingua di Merlino si fa più insistente, più lasciva contro la sua pelle sensibile.
Per puro caso gli occhi verdi guardando verso l’alto, abbandonando la testa di Merlino tra le sue gambe; il cielo è di un fastidioso azzurro brillante.


Non sa più da quanto tempo sono lì, uniti nell’unico modo completo che gli umani conoscono e nell’unico che lui, Romani, non avrebbe dovuto conoscere mai.
Merlino si spinge dentro di lui, provocandogli un piacere immenso che la sua mente a stento riesce a registrare, momento dopo momento. Non è la prima volta che Romani sente la sensazione di stare per venire, di star raggiungendo l’orgasmo, al punto da saperla riconoscere almeno vagamente. Tutto il suo corpo e la sua mente sembrano in grado di concentrarsi solo sul basso ventre e sul punto che il sesso di Merlino continua a stimolare, una spinta dopo l’altra, affondando nel suo corpo quasi volesse far in modo di fondersi con Romani a un livello del tutto diverso di quello spirituale che un tempo l’angelo conosceva.
Romani ha le braccia allacciate al collo del demone, la bocca impegnata ad accoglierne i baci e le carezze lascive della sua lingua, insieme a qualche frase provocatoria di tanto in tanto e una di apprezzamento, di complimento - ma ogni spinta di Merlino, ogni ondata di piacere che gli annebbia la mente, risuona in una piccola parte della sua testa e del suo cuore come un pugnale affilato e di ghiaccio che gli affonda nel petto, ferendolo senza possibilità di ripresa.
Romani ha sentito parlare diverse volte di angeli caduti, di traditori di Dio che hanno avuto la dannazione eterna e la consapevolezza che non avrebbero mai più potuto godere della luce del regno dei cieli, del favore del loro amato Creatore, ma non  è mai stato in grado di comprendere appieno cosa si potesse provare nel sentire la presenza di Dio scivolare via dalla propria, come se fossero sempre state in qualche modo complementari e poi, all’improvviso, fosse impossibile anche solo pensare di farle coesistere.
E’ come morire, pensa. Mentre raggiunge l’orgasmo e un gemito alto soffoca nella bocca di Merlino, che si spinge dentro di lui ancora un paio di volte prima di raggiungere l’apice a sua volta, Romani sente il piacere riempirlo e qualcosa dentro di lui spezzarsi.
Non può ancora vederlo, ma la base delle sue ali è macchiata.
Presto gliele spezzeranno per sempre.
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 Le dita di Cu si muovono dentro di lui ancora per qualche attimo prima che lui le tiri fuori, lasciandolo lì a sentirsi vuoto e nudo – più nudo di quanto già non sia, con i vestiti strappati via in fretta e furia poco prima, ora lì a giacere sul pavimento. Ritsuka ha appena il tempo di prendere coscienza di quel vuoto improvviso e dell’uomo di fronte a sé, prima che Cu lo tiri su di peso e se lo porti sul proprio bacino, il petto ampio che sfiora il suo, le mani che dai fianchi scendono sulle natiche, stringendole. Ritsuka si ritrova a poggiare le mani sulle sue spalle, per tenersi su, aggrapparsi a qualcosa, il viso così vicino a quello di Cu che è impossibile non notarne il ghigno sulle labbra, l’espressione soddisfatta di chi pregusta qualcosa di già provato ma che non gli basta mai.
Ritsuka deglutisce, sentendo la testa leggera e il corpo molle, come argilla tra le mani dell’altro; la presa sulle sue natiche è possessiva, il peso che si spinge contro di lui unica concretezza in una stanza di cui a stento percepisce i contorni, perché l’odore forte di Cu gli penetra nelle narici e diventa il centro di ogni cosa. Le mani dell’uomo passano lungo le sue gambe, fino a sistemarsi meglio per tirarlo su di peso quanto basta; lo tiene così per qualche istante, cercando il suo sguardo con il proprio, quell’espressione soddisfatta ancora sul viso. Si lecca le labbra, quasi saggiasse nell’aria un qualcosa che potrà divorare di lì a poco, e poi allunga il viso per catturare le sue. Non c’è niente di casto, non è un semplice bacio nemmeno per un istante: la sua lingua scivola subito nella bocca di Ritsuka con prepotenza, invadendo un territorio che sente suo di diritto, mentre i loro corpi sono così vicini che l’erezione di Cu preme contro di lui e sfrega in parte contro la sua. Ritsuka geme, un suono che si perde dentro la bocca di Cu che sente tremare di eccitazione sotto di sé. Poggia le braccia sulle sue spalle, unisce le mani dietro la sua nuca – le dita di una s’insinuano tra i capelli corti – e gli si stringe addosso più che può. L’odore forte di Cu ha una punta di sudore a renderlo leggermente più acre, il suo perfetto opposto a giudicare da come il suo compagno abbia sempre sostenuto dalla prima volta quanto dolce sia invece quello emanato da lui.
Cu si allontana, non senza mordergli appena il labbro e succhiarlo, non come una provocazione ma come un diritto; solo poi le sue mani si muovono, allargandogli le natiche e facendolo scendere sulla propria erezione, scivolandogli dentro in un movimento unico. Ritsuka ansima, il respiro che per un momento gli si blocca in gola, il piacere che lo invade e lo fa tremare; viene contro lo stomaco di Cu senza alcun preavviso, con un gemito alto che non trattiene affatto, seguito da un altro che è un misto di sorpresa e dolore quando i denti del compagno affondano nella sua spalla. Non è una novità, che la sua pelle venga segnata dai morsi, che Cu lo marchi come sua proprietà ancora e ancora, alternando i denti al succhiargli la pelle finché non diventa livida. Ritsuka lo sente muoversi, dopo essere rimasto fermo finora, e spingere dentro di lui, a ritmo sempre più veloce. Un braccio di Cu è intorno alla sua vita, sorreggendolo e tenendoselo stretto addosso allo stesso tempo, mentre la mano libera lo tocca in più punti, sempre diversi: passa sul fianco, sale lungo il petto, si sofferma su un capezzolo e poi scende di nuovo, gli tocca la punta del sesso, lascia una carezza per tutta la sua lunghezza e poi devia di nuovo verso l’alto, in un sali e scendi che gli fa venire i brividi. Quella mano è improvvisamente tutto ciò di cui ha bisogno, e tutto ciò che gli viene dato; la segue con l’istinto più che con la testa, mentre l’odore di Cu si fa ancora più forte e lo inebria al punto che Ritsuka non è sicuro di quanto ancora riuscirà a rimanere cosciente, soffocato da quello e dal piacere che ogni spinta gli causa, specie quando Cu inizia a muoversi più veloce e verso un punto preciso, quello di massimo godimento per lui. Sente a stento la propria voce riempire l’aria, Cu dice qualcosa che la sua mente non riesce a registrare, e quella sua mano sale di nuovo fino alla sua nuca, affonda fra i suoi capelli e lo avvicina ancora, ancora, come se l’altro pretendesse di inglobarlo completamente, di divorarlo senza lasciare niente di lui.
La sua bocca si muove di nuovo, lascia un secondo morso mentre le dita sfiorano il marchio che li rende compagni per la loro intera esistenza, raggiunge l’orecchio – gli succhia il lobo, e Ritsuka sente di non potercela fare, di non avere quasi più concezione di cosa lo circonda, troppi stimoli su cui concentrarsi e troppa poca lucidità per farlo. Una spinta più forte delle altre lo fa gridare, mentre sente Cu svuotarsi dentro di lui e stringerlo come se volesse spezzargli le ossa, i denti che affondano di nuovo nell’incavo tra collo e spalla – Ritsuka annaspa, ripete il suo nome una, dieci, cento volte e avverte un bisogno viscerale che lo fa muovere ancora con il bacino, su e giù, che lo fa andare incontro alle spinte del compagno, che gli fa chiedere ancora, con un tono di cui in condizioni normali si vergognerebbe.
«Devi— devi…!» non riesce a dirglielo – devi spezzarmi – perché nemmeno nella sua testa basta a esprimere quello che vuole, una sfacciataggine non da lui acquisita nel naturale istinto di unirsi e sentirlo muoversi dentro di lui.
Ci riprova, s’interrompe, ansima, geme e non riesce a finire la frase mentre è ancora duro e l’eccitazione sembra non aver mai trovato sfogo.
«Devi—» di più, ancora di più «Devi—»
«Lo so.» è un ringhio basso contro la sua bocca.

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