To not be hurt (COWT11, w7, m5)
Mar. 31st, 2021 09:42 pmPrompt: Tactlessness
Missione: M5 (week 7)
Parole: 5550
Rating: teen
Warnigns: linguaggio colorito, original
Socchiude la porta, attento a fare meno rumore possibile. Atsushi, all'interno, si è addormentato da poco e per quanto non abbia tendenzialmente il sonno leggero, negli ultimi giorni qualche piccola colica serale non gli ha dato pace rendendo difficile fargli prendere sonno. Non ci tiene a svegliarlo per errore e a rischiare di dovergli far passare altri venti minuti di doloretti e piccoli lamenti.
Il corridoio di casa Sievert, che ormai conosce meglio di quanto abbia mai conosciuto casa propria in quel di Toshima, è in penombra e la poca luce che arriva è dovuta al salotto la cui porta è accostata poco più avanti. La cosa bella di casa Sievert, una che gli è piaciuta fin da subito, è che per chi come lui non dorme subito poco dopo cena c'è sempre la speranza di trovare qualcuno in piedi anche a orari improbabili. O al massimo di potersi arrendere a passare la notte in bianco leggendo sul divano senza la preoccupazione di svegliare nessuno.
Quando si intrufola nel soggiorno lo trova tutt'altro che deserto. Innanzitutto, contro una delle pareti e in uno spazio libero lasciato tra i mobili vari, una nuvola di pelo che riconosce come Himmel sta ronfando con addosso un Adrian che evidentemente non apprezzerà mai davvero la presenza di una camera da letto come farebbero la maggior parte delle persone - non che Tatsuya possa parlare, visto quante dormite si è fatto sulla poltrona. Ad alzare gli occhi in sua direzione, proprio seduto sulla poltrona in questione, c'è Mikhail impegnato nell'inquietante arte della partita a scacchi da solo. Lo ha visto farlo più di una volta, ma quando a portarla avanti è un ragazzino di nemmeno diciotto anni che ha fatto l'assassino per almeno gli ultimi cinque, finisci a chiederti cosa gli stia frullando per la testa e soprattutto se non stia immaginando i vari pedoni come umani sgozzati. Tutto è possibile con Mikhail. Non invidia per nulla Leon che può sentirne i pensieri.
Poco distante, intento a recuperare un paio di libri da uno dei tavolini vicino al divano, c'è Freyr - è un miracolo che uno come lui, scaredy-cat per definizione, sia sopravvissuto anche solo a una manciata di secondi nella stessa stanza con Mikhail. Ma forse il giovane russo ha avuto pietà di lui come se ne potrebbe avere di un cucciolo di foca. Freyr lo nota e a Tatsuya sembra anche di vedere un leggero sussulto, ma sa bene che sarebbe solo controproducente farglielo notare. Una volta lo avrebbe sottolineato senza pensarci due volte.
Freyr gli fa un cenno, svicolando tra il divano e il tavolo per guadagnare l'uscita dopo aver farfugliato un «Buonanotte.» generico a cui lui replica con un cenno del capo, mentre Mikhail con un semplice gesto della mano mentre gli occhi restano sulla scacchiera. Con tutta calma Tatsuya si muove per occupare il divano, lasciandogli la poltrona senza grossi problemi, ma non prima di aver sostato per qualche minuto davanti alla piccola libreria (pallida imitazione di quella dell'altra stanza, da cui frega i libri a Siegfried) e aver scelto con cosa intrattenersi per le prossime ore nel caso l'insonnia decidesse di essere sua amica stretta anche stanotte.
Non va oltre le prime cinque righe che la voce di Mikhail lo raggiunge: «Non so come fai, con i Sievert come Freyr.» se ne esce, senza apparente senso logico e senza alzare lo sguardo. Mikhail non ha mai mostrato un rispetto particolare nei suoi confronti, né un attaccamento come quello di alcuni dei membri più giovani e a Tatsuya non ha creato grossi drammi esistenziali dal momento che non è mai stato il tipo da piacere agli altri e in generale non accoglie le persone come Mikhail perché vedano in lui una famiglia. Gli basta che non crei problemi di un certo tipo. Eppure il giovane ha comunque dimostrato di rispettarlo a modo proprio e, forse, di temerlo per la sua abilità.
«Ossia?»
«Vanno trattati con i guanti di velluto e io non ci riesco. Lui, Krow. Anche Yvan.» elenca e deve ammettere che, prendendo i tre più "docili", non è facile dirgli che non è così o far presente che a modo loro sono più tosti di quanto sembri. Yvan e il suo metaforico ma perenne scodinzolio lo rendono un tantino difficile.
«Non ne ho la certezza per Krow» comincia, tenendo anche lui lo sguardo sulle pagine pur senza leggere «ma Freyr e Yvan penso ne abbiano viste abbastanza da sopportare la tua totale assenza di empatia, Mikhail.»
Va bene, parlare di "empatia" con un ragazzo che è capace di trasmettere al tatto le proprie emozioni causando una sorta di empatia forzata agli altri somiglia a una battuta di gusto molto discutibile. Però rende l'idea. Lo sente sbuffare divertito - seriamente, non pensava di avere un membro del gruppo con un senso dell'umorismo pessimo come il proprio, a parte suo fratello Kaede - e questo lo porta a cercarlo con gli occhi ambrati. Si ritrova a guardare quelli eterocromi dell'altro e il sorrisetto sulle sue labbra gli suggerisce che non potrà dedicarsi alla lettura presto come avrebbe voluto.
«Non pensavo avrei sentito fare un discorso sull'empatia a una persona priva di tatto come te, Tatsuya.»
«In generale non avere qualcosa non significa non saperla riconoscere quando la si vede o non saper notare quando anche gli altri non ce l'hanno. Per il resto» pronuncia con un'alzata di spalle «ho molto più tatto di quanto ne avessi alla tua età.» ammette.
«Ah? Sta per cominciare un discorso sul tuo oscuro passato prima della yakuza e poi durante? Sono pronto!» esclama, abbandonando al suo destino la scacchiera come se, all'improvviso, fosse del tutto priva di senso né suscitasse in lui alcun interesse «Tanto la partita mi stava annoiando.»
Tatsuya lo osserva per qualche momento. In genere non è proprio il tipo da chiacchierata notturna cuore a cuore, o da ripercorrere il suo triste e cupo passato per avere la solidarietà degli altri. Ma Mikhail ha condiviso la sua storia con lui come prova di volersi unire non solo per ritrovare un contatto con le sue origini russe e per smettere di essere un assassino, ma anche per cambiare vita senza dover per forza incasinare quella degli altri. E' sicuro, Tatsuya, che Mikhail non sia stato mosso da buone intenzioni come proteggere "i suoi simili" o nulla del genere, ma almeno è stato sincero abbastanza da non fingere che fosse così. E alla fin fine, non è più questo gran segreto inconfessabile. Negli anni, per un motivo o per l'altro, volutamente o meno, ha finito con il condividere almeno parte della sua storia con buona parte degli abitanti di casa Sievert e con quasi tutti i membri del suo gruppo. Uno in meno o uno in più a cui raccontare qualche aneddoto non sarà certo un problema.
«Da bambino a dire il vero ero particolarmente sensibile.» comincia a far presente mentre chiude il libro, senza nemmeno il bisogno di mettere un segno di qualche tipo visto che non ha letto neanche mezza pagina prima di essere interrotto.
«Ah sì? E cosa è andato storto?»
«Un numero molto alto di cose.» ribatte lui, tornando a guardarlo «Ma vuoi la storia della mia vita o solo qualche esempio di quanto stronzo io sia stato in alcuni frangenti?»
In entrambi i casi, la notte si prospetta fin troppo lunga per raccontare tutto quanto.
*
La campanella dell'intervallo è suonata da un paio di minuti eppure la voglia di alzarsi dal banco è pressoché inesistente. Ha imparato presto la giusta tattica per evitare la maggior parte delle seccature: lasciare agli altri il tempo di mettere via le cose usate a lezione, tirare fuori il pranzo, accordarsi con gli amici, uscire dall'aula. Se ha abbastanza pazienza da aspettare che questo avvenga, poi i pochi gruppi che rimangono in classe - di solito uno molto numeroso oppure un paio più piccoli - finiscono col rimanere per conto loro e lasciare a lui la totale libertà di un banco isolato tra altri banchi liberati da chi ha deciso di pranzare altrove. A quel punto la prassi è sempre la stessa: aprire il bentou, mangiare e leggere nel mentre. Ogni tanto si infila anche le cuffiette nelle orecchie, di solito quando è stata una pessima giornata e non ha voglia di parlare nemmeno con Jin; è il loro segnale, che a volte viene ignorato, ma a causa di buone intenzioni. Non ringrazia mai Jin, perché per quanto ci sia il tentativo di essere un buon amico, gli fa comunque rodere il culo e peggiora esponenzialmente un umore già discutibile, ma almeno l'altro ha la pelle dura abbastanza da non prendersela. Tra figli della yakuza si sono riconosciuti subito, e altrettanto in fretta hanno preso le misure uno con l'altro.
Oggi è uno di quei giorni, uno di quelli in cui vorrebbe soltanto tornare a casa e trovarla vuota quando invece ha la consapevolezza che verrà salutato da tutti i membri del Miyukigumi in pompa magna e, se Dio lo odia molto, dovrà pure interfacciarsi con suo padre. Sono stati bravi a ignorarsi per quasi dieci anni limitando i loro contatti a quelli di un padre che vede nel figlio solo un successore, e quelli di un figlio che vede nel padre solo uno di cui dovrà un giorno prendere il posto. Poi sua madre è morta, suo padre ha deciso di non presentarsi al funerale e da allora per Tatsuya sarebbe più sopportabile saperlo con un proiettile sparato in fronte che dirgli "sono a casa" giocando alla famiglia felice che non sono mai stati.
Jin ha capito l'antifona subito e gli ha girato alla larga, senza nemmeno fare capolino come fa ogni giorno a ogni pausa pranzo, forzandolo a unirsi a lui oppure trovando già ad aspettare. A volte si mettono a mangiare dove capita, purché lontano dalla maggior parte degli altri studenti; altre volte vanno nei pochi punti dove non passa veramente un cane, perché metà del pranzo non viene toccato se decidono di mettersi le mani addosso e la lingua in bocca.
Sfortunatamente, oggi non è un buon giorno. E' partito male e, quando si sente picchiettare sul banco per avere la sua attenzione, capisce che finirà peggio se possibile.
Alza lo sguardo si ritrova una compagna di classe. Vorrebbe dire di non ricordare il nome come ogni bad boy che si rispetti, ma la verità è che ricorda ogni singolo compagno di classe e anche diversi studenti delle altre sezioni e degli altri anni, specie quelli da cui è meglio tenersi lontani e quelli le cui famiglie hanno un qualche legame con il Miyukigumi, poco importa che si tratti di compagni di business di suo padre o di persone che si sono indebitate in qualche modo. Sakaki Aya lo guarda come se volesse parlare con lui e, al tempo stesso, essere da tutt'altra parte: «Miyuki-kun» pronuncia, accennando alla porta d'ingresso dell'aula «ti cercano.»
A fare capolino, pur restando un po' nascosta per evitare che lo sguardo di chi è rimasto in classe finisca su di lei, è una ragazza della terza sezione del suo stesso anno. Onestamente Tatsuya non viene mai sommerso di dichiarazioni: forse il primo anno qualcuno poteva essersi interessato, ma tra le voci sul suo essere figlio della yakuza (cosa che non ha mai smentito, perché avrebbe dovuto) ad aver allontanato una buona fetta di persone potenzialmente inclini a chiedergli almeno di uscire e il suo aver resto evidente di passare una discreta fetta di tempo a pomiciare con Jin, non si è mai esattamente formata la fila di ragazze fuori dalla porta. Qualche ragazzo sì. Ci si è applicato poco, però.
La ragazza in questione si chiama Murase, è nel club di atletica ed è piuttosto alta. Non ha mai avuto l'aria della fanciulla fragile e delicata, forse perché spicca tra tutte le amiche minute che ha; a dispetto del non voler attirare l'attenzione su di sé, non se ne sta piegata in avanti o incassata nelle spalle cercando di nascondersi anche dove la sua altezza non glielo permette granché. Non gli dispiacerebbe come persona, forse, se non fosse chiaro e lampante l'arrivo di una dichiarazione che può finire in un modo solo. Nonostante questo si alza, abbandonando il libro sul banco e muovendosi verso la porta per uscire.
Strano ma vero, Murase non gli chiede di allontanarsi per andare dove nessuno li vede o in un classico punto da dichiarazione come il retro della scuola. Sarà che il corridoio è abbastanza deserto ora come ora, con le belle giornate a concentrare la maggior parte degli studenti fuori in giardino - a ben pensarci forse avrebbero attirato ancora più sguardi se fossero usciti insieme e si fossero poi diretti sul retro. Se ne resta fermo davanti a lei, spostandosi il giusto per non stare in mezzo a chi dovesse uscire o entrare dall'aula, non più di un paio di passi comunque. Lei indugia qualche momento e poi alza lo sguardo, puntandolo direttamente nel suo.
«Miyuki-kun, sono Murase della terza sezione.» pronuncia e lui nota solo per abitudine a fare attenzione ai particolari e al linguaggio del corpo degli altri che le trema leggermente la mano destra, per il nervosismo immagina. «Vorrei che accettassi questa,» aggiunge offrendogli una lettera in una busta molto semplice la cui unica particolarità è il suo nome come destinatario e quello di Murase come mittente «che la leggessi e poi mi dessi una risposta.» conclude. A Tatsuya sfugge un po' il senso della lettera: di solito se non si ha il coraggio di parlare, non si ha nemmeno il coraggio di darla di persona; al contrario con un approccio del genere, a che pro leggere la dichiarazione su un foglio?
Osserva la busta in silenzio per qualche attimo, poi alza lo sguardo su di lei.
«Avresti potuto lasciarla nell'armadietto, perché me la dai di persona?» domanda, diretto. Sa bene che il buon costume delle dichiarazioni scolastiche vuole che lui prenda la lettera e faccia quanto richiesto dalla ragazza, dandole poi una risposta. Lui però non capisce la logica e lo incuriosisce più di quanto lei possa aver scritto su pagine e pagine. Murase lo guarda, è chiaro non si aspettasse quella domanda. Nonostante questo però sembra valutare che sia okay rispondere e lecito chiedere.
«Perché volevo. Non mi hai mai dato l'idea di una persona che ama perdere tempo ascoltando troppe parole e io non sono comunque brava a voce a esprimere tutto quello che penso. Mi sembrava... una buona soluzione.» ammette, tentennando appena sul finale. Tatsuya la guarda, poi osserva di nuovo la lettera per una manciata di secondi. E' vero che non ama chi blatera, ma dare per scontato che una lettera sia diversa solo perché passa metà del suo tempo con la faccia tra i libri... è stupido tanto quanto credere che solo perché è scritto allora perdere tempo con cose che immagina già esserci in quella lettera gli vada bene. A parole o su inchiostro, il punto è l'assenza totale di interesse nei confronti di sentimenti basati sul nulla.
«Okay.» replica, prendendo la lettera «Ma ti dico subito che la risposta è no.»
Questo lascia di sasso non solo Murase, ma anche chi sta di certo sbirciando la scena. Lui può quasi sentirlo il gelo e il fiato sospeso di chi sta tendendo l'orecchio fingendo di fare altro. D'altra parte lei ha voluto il corridoio, lui avrebbe detto la stessa cosa in qualsiasi altro posto.
«Senza nemmeno leggerla?» puntualizza lei e Tatsuya capisce immediatamente che proprio perché è una sportiva, abituata a non farsi intimidire dagli avversari che sulla carta dovrebbero stracciarla, non starà lì in silenzio a farsi rifilare un no senza pretendere una spiegazione. Una gran seccatura.
«So già cosa c'è scritto dentro e so che la risposta è no.»
«Potresti almeno avere la cortesia di leggere qualcosa che hanno scritto per te. Non sono venuta qui con la certezza o... o la pretesa che tu accettassi i miei sentimenti, ma... dirmi in faccia che non vuoi nemmeno leggerla—»
«Sarebbe stato meglio dirti che l'avevo letta anche se non era vero?» la interrompe, fissandola. In ragazze come Murase è facile vedere la rabbia o l'irritazione quando cominciano a montare su, ed è sicuramente meglio di vedere le lacrime in arrivo.
«Sarebbe stato—»
«Sarebbe stato meglio se tu non avessi dedotto dal fatto che leggo in continuazione che dichiararti con una lettera sarebbe stata una seccatura minore che farlo a parole. E sarebbe stato meglio se anziché pensare di conoscermi o farti un'idea sbagliata di me avessi ascoltato quello che dicono in giro. Visto quanto piace chiacchierare a una buona parte degli studenti, a dire il vero non capisco come ti possa venire la voglia di chiedermi di uscire o di scrivermi che mi ammiri. Ammiri cosa, Murase-san? Il fatto che sono figlio della yakuza o il fatto che me la faccio con gli altri maschi?»
Il ceffone non arriva inaspettato. Gli brucia sulla guancia nel momento stesso in cui la mano della ragazza gli si abbatte sul viso, ma lo porta comunque a piegare le labbra in un sorrisetto divertito che non raggiunge gli occhi. Quando riporta lo sguardo su di lei, poco dietro intravede Jin salire le scale e fermarsi dove si trova visto il momento.
Murase gli strappa la lettera di mano un secondo dopo.
«Hai ragione. Ho pensato potessi essere una persona interessante a dispetto delle cose orribili che dicono di te, invece avevano ragione.» è l'unica frase che gli rivolge prima di girare i tacchi e andarsene. Forse inquadra Jin e lo riconosce perché ha poca cortesia nel modo in cui lo urta appena con la spalla senza girarsi a chiedere scusa ma puntando con insistenza alla propria classe. Tatsuya non concede più nemmeno un briciolo di attenzione a lei, mentre a lui si limita a fare il cenno di quando non ha intenzione di stare a sentire le sue stronzate.
Mentre riprende posto al banco, sotto lo sguardo di chi è rimasto in classe e ha assistito allo scambio, non si preoccupa di farlo con delicatezza né del richiamo di Sakaki al quale risponde piazzandosi le cuffiette nelle orecchie prima di far partire la playlist del cellulare a tutto volume.
*
E' stato un sonno quasi eterno il suo. Un sonno tale che a un certo punto ha pensato di aver perso del tutto la propria coscienza e che sarebbe rimasto in un limbo discutibile fino alla morte. Si è svegliato dopo sei mesi di coma in ospedale con nessuno vicino perché tutti gli altri erano morti - non una volta, non due, ma così tante da non poterle né volerle contare e la prima cosa che ha pensato è stata di non voler vivere. Poi si è trovato costretto a farlo senza più un posto in cui tornare, senza un gruppo da guidare ma solo un numero di cadaveri sulla coscienza.
Ha vagato ed è tornato da uno degli unici due contatti che aveva ancora - sarebbe potuto andare da Jin, di sicuro gli avrebbe offerto non solo un tetto sopra la testa ma anche un ruolo nella sua famiglia. Avrebbe potuto accettare. Ma un leader che lascia cadere il suo gruppo non ha il cuore, né il cervello e tantomeno il diritto di andare in un secondo gruppo e occupare persino una posizione di un certo tipo. E probabilmente non sarebbe in grado di prendere ordini oltre un certo limite.
Così è approdato in quell'organizzazione di cui ha visto subito i pregi ma anche i difetti, i lati positivi dell'idea che la mantiene in piedi e gli evidenti, pericolosi errori di concetto. Ha provato a farli notare, ha provato a cercare di ragionare sulla cosa ricordandosi di dover avere un approccio diverso da quello avuto nella yakuza; ed è stato difficile perché è diventato capo troppo giovane e in età altrettanto giovane li ha persi. Ritrovarsi solo l'impotenza e il senso di colpa tra le mani non facile nemmeno a cinquant'anni, figurarsi a venticinque. Ma ci ha provato ad approcciarsi diversamente. Eppure guardare un leader fare errori grossolani che rischiano di portare a un epilogo non diverso da quello già visto accadere sulla pelle della propria famiglia lo ha reso irritabile, lo ha innervosito fino al punto di esplodere - e allora ha cercato di mettere ancora più distanza, ha rifiutato l'unico legame rimasto col se stesso di un tempo. Ha guardato Mamoru negli occhi, consapevole di essere amato, di essere quasi venerato e sapendo di poter dire le cose in modo diverso, con più tatto.
Ma il tatto non è mai stato parte delle sue qualità e, soprattutto, il tatto rende più accettabili le verità scomode; quando si vuole ferire qualcuno per allontanarlo non si cerca di indorare la pillola.
«E' stato divertente fare sesso insieme. Ma francamente sei innamorato di te e io non lo sarò mai di te. Quindi nessuno di noi dovrebbe più sprecare tempo. A dirla tutta, penso che dovresti andartene. Non sei in grado di restare e non guardarmi come mi guardi ora, no?» gli ha detto consapevole di trattarlo male gratuitamente, consapevole che in un'altra situazione ci sarebbe stato senza dubbio un modo migliore di questo eppure non ne ha scelto un altro. Così Mamoru se ne è andato e lui è rimasto con il senso di colpa, che però era ormai suo amico già da quasi sei mesi e quindi in fondo niente di nuovo e niente che non potesse gestire.
A vedere la riunione che si sta svolgendo ora davanti ai suoi occhi, sente quasi di aver risparmiato a Mamoru una cosa ben peggiore.
«Ci deve essere un cazzo di modo di tenere su questa situazione e salvarlo allo stesso tempo! Che cazzo, salviamo sempre il culo di tutti su commissione senza mezzo ringraziamento, mi stai dicendo che a questo giro in cui avremmo tutto l'interesse a farlo il governo ci chiede o di starcene seduti o di fare fuori un compagno?!»
Non è che Tatsuya non capisca il senso del discorso alla base. Il governo giapponese li tiene buoni perché li teme, poi possono raccontarsi tutte le favole del mondo secondo le quali non è così. E capisce, visto che stanno al centro di una città giapponese e con la collaborazione di diversi poteri forti, che non sarebbe il caso di inimicarseli. Ma sacrificare mille per salvarne uno non gli sembra una grande idea - è abbastanza sicuro che il governo non accetterebbe di salvare il singolo a discapito della collettività nemmeno se non fosse uno di loro, ma una persona socialmente accettata come normale.
Eppure il loro attuale leader tentenna. Inevitabile, visto il conflitto di interessi più grande dell'intero edificio che ospita la loro organizzazione. Ma sono lì da due ore e non ne stanno uscendo, anzi: più qualcuno gli fa notare quanto sia eticamente sbagliato, più il leader tentenna. Tatsuya vorrebbe dirgli che lo capisce, ma che non può permetterselo. Vorrebbe dire al resto dei presenti pronti a far esplodere una città per un solo, unico compagno (o magari ex compagno visto che Tatsuya dubita li riconoscerebbe se li avesse davanti o che risparmierebbe loro la vita ora che non ha più coscienza di sé) è da folli. Eppure non esiste un modo delicato per dirlo ed essere ascoltati. Non sarà ascoltato comunque, nessuno di loro. Hanno bisogno di un cattivo e alla fin fine, per quanto forse qualcuno lì in mezzo ci abbia provato a farlo sentire tale, lui non li considera né riuscirà mai a considerarli una famiglia. Quella ce l'aveva, una volta. Non pensa ne avrà un'altra tanto presto.
«Mettiamola ai voti.» se ne esce e vede più di sei paia di teste girarsi a fissarlo «Inutile che discutiamo altre due ore, non c'è un punto d'incontro e ci sono pareri troppo discordanti. Mettiamola ai voti come ogni normale organizzazione. Anche il voto del leader o dei caposquadra vale comunque uno. La maggioranza vince.» spiega, pratico. Non ha nemmeno bisogno di guardare per sapere che quello con lo sguardo di chi vorrebbe saltargli alla gola e azzannargli la giugulare è Harris.
«E poi cosa, eh?!»
«E poi si fa quello che la maggioranza decide.»
«Cosa cazzo non hai capito del fatto che non ucciderò un compagno?»
«Tu invece cosa hai capito della situazione globale degli ultimi tre giorni, Harris?» domanda con un sarcasmo voluto, consapevole di farlo incazzare ancora di più ma non per questo deciso ad abbassare i toni. La gente leale fino al midollo come lui non potrà mai cambiare idea su una cosa simile e dunque l'unico modo di farlo stare zitto è sbattergli in faccia la verità.
«Fattela riassumere, visto che abbiamo appena perso due ore in discussioni inutili, cinque minuti non cambieranno molto.» prosegue «La situazione è che abbiamo avuto un danno collaterale, tu puoi chiamarlo amico e lui» indica il leader «può chiamarlo fratello, non mi interessa. Il governo vede meglio di te quello che sta succedendo: un pazzo a piede libero, fuori controllo, che uccide innocenti in gran numero e che può diventare anche un incidente diplomatico se esce fuori dal Paese. Chiedono a noi di sistemarlo perché nessuno, neanche l'esercito può farci niente, nel caso non ti fossi accorto che ha un'abilità speciale leggermente difficile da gestire senza avere un'abilità speciale a propria volta. E forse il cinquanta per cento di questa stanza non potrebbe gestirla comunque senza rischiare di rimanerci secco. Quindi Harris sì, sto dicendo di votare e se la votazione a maggioranza deciderà di ucciderlo ti sto anche dicendo di ucciderlo.» chiarisce, vedendolo alzarsi con un pugno già sbattuto sul tavolo. Quasi si aspetta di vedere il tavolo spaccarsi.
«Oppure» inizia prima che Harris possa davvero saltare sul tavolo e poi addosso a lui «rifiutati e lascialo fare agli altri. Basta che smetti di fare il bambino, non si può sempre gestire tutto in modo pacifico.»
«Pezzo di merda!» gli urla addosso lui «Quindi vuoi sacrificare uno che è anche della tua squadra e che hai guidato in missione fino a ieri?!»
Tatsuya non alza la voce. Non ha mai avuto bisogno di farlo nel suo gruppo perché quando parlava tutti tacevano, e se a volte qualcuno non era d'accordo c'erano modi molto diversi di affrontare una divergenza di opinioni. In generale non urla nemmeno da quando è in questa organizzazione perché difficilmente poi si ottiene il rispetto in quel modo, o almeno la sorta di sentimento necessario a guidare una squadra come ha dovuto fare lui. Ma qualcosa di fallimentare nel discorso che sta ascoltando, detto in tutte le salse, da due ore gli azzera la pazienza e le buone intenzioni sui toni da mantenere in quella stanza.
Incurva le labbra in un sorriso pregno di sarcasmo che sa verrà recepito come niente più che crudele e privo di alcuna delicatezza una volta che sarà uscito dalla sua bocca.
«Tu invece vuoi sacrificare tutta la città, a quanto pare.» commenta «Una città di persone innocenti che non possono difendersi è sacrificabile, un compagno che ha perso il controllo di un'abilità su cui avrebbe potuto lavorare per controllarla meglio ed evitare tutta la situazione invece deve essere salvato a tutti i costi. Correggimi se sbaglio, perché è quello che hai appena detto. Una marea di stronzate dove l'unica cosa giusta è il mio essere un pezzo di merda.» gli fa notare come se lo spiegasse a un povero deficiente dal quoziente intellettivo così basso da non poter pretendere nulla da lui.
«Incredibile.» continua quando vede che non c'è risposta. Sente qualche mormorio intorno ma non si gira a guardare nessuno, limitandosi ad incrociare le braccia al petto «Avevo già notato che siete pieni di ipocrisia fino alla punta dei capelli, ma non pensavo foste anche stupidi. Sacrificare tutti per salvarne uno, davvero degno dei super eroi!» batte le mani una, due, tre volte fingendo un applauso che non potrebbe davvero essere meno sentito di così. Quando trattiene Harris per miracolo ma tanto, arrivati a questo punto, non c'è niente di salvabile. Per quello si alza, si prende pure il tempo di sistemare la sedia. Con la coda dell'occhio vede Moira, della sua squadra (se solo sapesse che la incontrerà di nuovo tra anni, in un altro Paese, in un'altra famiglia che sarà per sempre al contrario di questa) e ne percepisce la postura mortificata. Certo, per lei l'idea di una qualsiasi vita strappata contro natura da mano umana deve essere insopportabile. Almeno vale per tutti e non solo per gli amici.
Muove qualche passo per raggiungere la porta, ma lo sguardo viene mantenuto su tutta la tavolata; sosta per qualche secondo in più su leader e non trova niente di quello che vorrebbe trovare. Non che ci avesse sperato, comunque.
«Prenditi pure la responsabilità, se la maggioranza dovesse votare di salvarlo, di avere il resto di Toshima sulla coscienza. La vostra moralità da quattro soldi mi fa venire la nausea e non ci tengo a prendere parte alla recita. Io voto per ucciderlo. Fatemi sapere come va a finire questa pagliacciata.»
Una volta fuori dalla stanza, a porta chiusa, sente Harris abbattersi su una qualche superficie sfogando ciò che avrebbe voluto fare alla sua faccia. Avrebbe voluto poterglielo dire in modo diverso e da amico, se solo fossero stati diversi loro e Tatsuya non avesse imparato solo la versione sbagliata di come dire qualcosa. Il tatto che dovrebbe avere una persona verso i suoi affetti, il poco che aveva, è morto insieme a quelli a cui aveva imparato a rivolgerlo.
Per un attimo, gli viene in mente lo sguardo perso e ferito di Mamoru in ascensore.
Scuote la testa, le voci all’interno della sala riunioni che si alzano di nuovo; poco dopo Aoi esce dalla stessa stanza e lo cerca febbrilmente con lo sguardo per un momento, forse aspettandoselo già altrove e non nel corridoio - Tatsuya riconosce quello che legge nei suoi occhi e scuote la testa.
«Lo so.» dice «Mi dispiace che abbia dovuto dirlo tu per gli altri.»
Tatsuya lo osserva per qualche istante. Vorrebbe poter dire che va bene così, non c'è granché di cui preoccuparsi. Non morirà solo perché qualche persona in più lo detesta.
«Torna dentro.» gli dice con un mezzo sorriso «Sei l'unico ad aver preso qualcosa di buono dei Miyuki, lascia a quelli come me il compito di insegnare agli stupidi le cose.»
*
«...Wow.» commenta Mikhail e la cosa peggiore è vederlo davvero ammirato in un certo senso.
«Come vedi, sono stato molto più indelicato di te in diverse occasioni. Ti risparmio le altre.» pronuncia, anche perché a dirla tutta non ha molta voglia di scendere in altri particolari e non tanto perché non gli fanno onore ma perché Mikhail dovrebbe andare al letto - senza contare che, tra l'altro, non vuole dare altri motivi a Irina per considerarlo il suo best buddy. O motivi a Krow per piangere, dipende.
«Mah, per come la vedo io avevi ragione in entrambi i casi, Tatsuya.»
«Non mi fa molto piacere detto da te, anche se il modo in cui hai salutato Vya mi ha toccato il cuore di ghiaccio che mi ritrovo. Ero quasi commosso.» dice, falsamente toccato dal solo ricordo. Mikhail ridacchia, alzandosi e stiracchiandosi un poco, nell'evidente scelta di ritirarsi e lasciarlo alle sue letture e all'insonnia che è probabile non lo lascerà in pace stanotte. O almeno ne è convinto finché un paio di abbraccia non gli circondano le spalle da dietro; anche se non ce ne sarebbe davvero bisogno alza lo sguardo e inclina leggermente la testa indietro per inquadrare Rodion. Gli sorride con la naturalezza che non pensava avrebbe mai avuto con un'altra persona, specie non con una con cui avrebbe deciso di condividere il resto della vita.
«Dovreste dormire entrambi.»
«Oppure potresti conquistarmi preparandomi una cioccolata calda.» rimbecca lui.
«Pensavo di averlo già fatto, onestamente. Conquistarti.»
«Okay, okay» pronuncia Mikhail attirando la loro attenzione «non avrò empatia ma il terzo incomodo non lo faccio e vado a dormire come i bravi bambini. Così mamma e papà possono fare le cosacce sul divano.» li prende in giro con quella punta di malizia che a volte lo fa sembrare di qualche anno più grande, ma anche una sfumatura di divertimento che smorza la cosa. Non che Tatsuya sappia cos'è l'imbarazzo, almeno su quegli argomenti.
«Vai, vai, non vorrei bloccarti la crescita.» lo scaccia via con tanto di gesto della mano, aspettando che sia effettivamente fuori dal salotto per tornare a guardare Rodion: «Saresti potuto entrare prima.» gli fa notare. A giudicare dallo sguardo del russo, forse era convinto di essersi nascosto bene.
«Te ne eri accorto.»
«Hai un tempo che scorre in modo molto rilassante, mi accorgo sempre se sei abbastanza vicino.» gli ricorda con un sorrisetto divertito degno di una delle sue migliori facce da schiaffi di quando era adolescente, arrogante e insopportabile: «Deluso dall'assenza di tatto del tuo fidanzato che è chiaramente un marchio di fabbrica di tutti i Miyuki?» scherza su, ritrovandosi un bacio leggero sulla fronte.
«Sempre saputo che il tatto non è la tua qualità migliore.» si lascia prendere in giro «Cioccolata calda?» propone Rodion, sapendo già la risposta.
«Cioccolata calda.» gli accorda, lasciandolo sciogliere il mezzo abbraccio e andare in cucina.
Poteva andare meglio di com'è andata, in passato. Ma poteva, senza dubbio, andare peggio. E in qualche modo, non sa ancora bene come, è stato salvato perché qualcuno nonostante tutto non si è arreso e non si è fatto sconfiggere dal modo distruttivo in cui feriva per non essere ferito.