hakurenshi: (Default)
[personal profile] hakurenshi
 

Prompt: age difference (10 anni)
Missione: M1
Parole: 10187
Rating: sfw
Warnings: au, dancer!oikawa, 27!Iwaizumi, 17!oikawa


Hajime non ha idea di come si sia ritrovato lì. 

Bugia. Hajime sa bene per quale motivo ora è fermo davanti alla porta di un locale dove da solo non andrebbe mai, una musica allegra e dal ritmo incalzante che riesce a passare oltre le finestre e le porte chiuse raggiungendo in parte la strada. Per quanto riesce a vedere da dove si trova, l’interno sembra accogliente e le persone – quelle sedute più vicino ai vetri – hanno sulle labbra i sorrisi di chi si diverte ed è perfettamente a suo agio. I visi di alcuni di loro sono coloriti dal rosso del vino su alcuni tavoli, o forse dallo sforzo della risata, e da tutti traspare un sentimento di contentezza e complicità generale. È una visione strana e lo fa sentire come se fosse in un altro mondo, e non è così lontano dalla realtà dopotutto, con il sole dell’ora della siesta a picchiargli sulla nuca, un leggerissimo velo di sudore sulla pelle che probabilmente finirà con lo scurirsi quando sarà ora di tornare sul suolo giapponese. Al suo fianco Yachi, l’unica vera ragione per la quale si trova lì, indossa un vestitino giallo e leggero e nella mano sinistra tiene il manico dell’ombrellino con cui si ripara dal sole; i capelli sciolti, a eccezione del codino laterale che ha sempre tenuto da quando Iwaizumi l’ha conosciuta all’università facendo accoglienza ai kohai, gli fanno venire caldo. Ammira come le ragazze riescano a sopravvivere all’impulso di tenersi su i capelli. 

Gli occhi castani di lei brillano mentre restano posati sulla porta d’ingresso, il legno chiaro che pare promettergli una certa frescura all’interno, e ogni suo muscolo sembra comunicare quanta voglia abbia di entrare ma non si senta di farlo da sola – forse per un senso di colpa dovuto dalla troppa cortesia per cui non vuole lasciare Hajime fuori, quasi abbandonandolo quando sono usciti dall’alloggio studenti insieme. La rassicurerebbe se non sapesse quanto inutile risulterebbe il tentativo, e in più non è molto favorevole all’idea di lasciarla da sola in un locale sconosciuto di un Paese straniero: non esiste proprio.

La vede lanciargli un’occhiata di sottecchi, incerta, titubante e lui sospira, rassegnato, occhieggiando l’insegna del locale che in lettere colorate gli rimanda indietro la scritta “Bailamos” a cui Iwaizumi riconduce la musica che arriva dall’interno – non che sia questa gran sorpresa, da quando sono arrivati lì non ricorda molte occasioni in cui girando per la strada non abbia sentito brani musicali di vario tipo colorare le strade con suoni ritmati e che “sanno di Spagna”; non ha mai saputo spiegare quell’espressione, né comprenderla quando gliel’hanno rivolta, ma ora riesce a capirla alla perfezione (o, insomma: meglio di prima). Un po’ come intuisce il desiderio palese di Yachi di entrare lì dentro, e così muove un primo passo fino a raggiungere la porta, una mano sulla maniglia, voltandosi a guardarla da sopra la propria spalla: «Andiamo?» pronuncia per incalzarla, e lei gli rivolge un sorriso grato e luminoso, con un «Sì!» in risposta prima di muoversi per affiancarlo mentre lui spinge la porta verso l’interno, la musica ad accoglierli prima di qualsiasi dipendente. 

Ha conosciuto Yachi alla festa di benvenuto delle matricole, o meglio ancora, lungo il tragitto verso il secondo locale dove avevano deciso di andare a bere tutti insieme. Yachi era rimasta indietro, non ricorda nemmeno bene perché ora come ora – forse era stata solo più lenta delle altre ragazze  - e Hajime aveva rallentato il passo, per ovvi motivi. Aveva così scoperto che anche lei aveva optato per lo stesso dipartimento di lui, e così era diventato naturale incontrarsi più volte nei corridoi o indicarle cosa fare in questa o quella situazione, specie quelle relative alla documentazioni universitarie. È una brava ragazza, e mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi in erasmus con lei in Spagna, né di tornarci insieme e far incrociare di nuovo le loro strade diversi anni dopo la laurea. E invece eccoli lì in un locale dove… non sa bene cosa stia succedendo, in realtà, e forse glielo si legge in faccia perché la ragazza che li accoglie ha sulle labbra il sorriso divertito di chi ha colto tutta la tua perplessità. 

«Aye, ustedes son japoneses, verdad?» pronuncia in uno spagnolo veloce che Hajime coglie per un pelo; per quanto sia stato abituato a parlarlo tra i compagni e in classe, è qualcosa con cui ha perso quella fluidità che aveva un tempo; specie da quando il suo lavoro lo ha portato a comunicare, se non nella sua lingua madre, in inglese. Non certo in spagnolo e in ogni caso sentirlo da un madrelingua è tutta un’altra cosa. Annuisce, incerto, e la vede ridacchiare e voltarsi verso l’interno del locale pronunciando un «Shouyo! Trae tu culo aquì!» e qualcosa verso di loro che non coglie ma immagina sia un “divertitevi” o qualsiasi altra cosa si possa dire a un cliente appena entrato e che si suppone rimanga almeno per una consumazione. Dopo pochi istanti un ragazzo li raggiunge, l’aria assonnata mentre risponde alla giovane che li ha appena abbandonati in favore del bancone. Iwaizumi non coglie appieno ma sospetta ci sia più di qualche parola che qualunque giapponese considererebbe poco cortese. Quando il ragazzo rivolge a loro la sua attenzione e inquadra Yachi, un sorriso ampio gli curva le labbra «Giapponesi?» chiede per sicurezza, mostrando una maggiore intelligenza di quanta Hajime gliene attribuisca a guardarlo. Gli unici che non partono dall’idea che chiunque abbia tratti orientali venga dallo stesso luogo sono quelli che ne sanno poco; visto che il giapponese altrui suona pressoché perfetto, suppone di avere davanti un compatriota o almeno qualcuno dal vissuto anche solo per qualche anno in Giappone. Annuisce con un mezzo grugnito, e per fortuna Yachi è più amichevole e ben disposta di lui, anche se lo strascico di agitazione che si porta dietro dall'adolescenza le gioca ancora il brutto scherzo di farla impappinare per le prime quattro sillabe che tenta di pronunciare, facendo ridere apertamente il ragazzo di fronte a loro.

«Va bene, va bene, non preoccuparti!» scherza su, dandole un paio di pacche fin troppo amichevoli sulle spalle, e fa cenno a entrambi di seguirlo. Li guida verso uno dei tavolini sul lato sinistro del locale, non di fronte alle vetrate – forse intuendo il loro desiderio di non essere messi in vetrina – ma nemmeno in un punto troppo appartato, quasi a non isolarli dal resto dei clienti. Il locale è discretamente pieno, i tavolini liberi non sono molti e i presenti sono organizzati nei modi più disparati: famiglie, coppie di fidanzati, coppie di amici, un paio di solitari al bancone o almeno alla parte di esso che presenta degli sgabelli per consumare direttamente lì. Il legno è il materiale preponderante del locale, dalle sedie ai tavoli, al pavimento; sembra voler dare l’idea di un posto d'altri tempi, semplice, “del pueblo” come dicono lì in Spagna. Aleggia l’odore di cibo, per lo più, ma anche il profumo che spesso Hajime ha sentito per le strade da quando è arrivato, quello particolare e proprio della terra in cui si trova – secco, caldo, naturale. Non somiglia a nessuno che abbia sentito prima, e di certo è lontano anni luce da qualsiasi aroma possa esserci in Giappone.

Sui tavoli delle tovagliette colorate di giallo o di rosso stanno sotto i piatti e sotto i bicchieri così che la condensa non bagni il legno; su buona parte di essi sta un contenitore in vetro fine, snello, che ospita qualche fiore più per ornamento accennato che non usato come centro della tavola. Colora il tutto ancora di più e contribuisce all’atmosfera allegra ma, inutile aspettarsi qualcosa di diverso, è la musica a fare il grosso lì dentro: note incalzanti e voci di madrelingua spagnoli aleggiano nell’aria mantenuta fresca da un condizionatore per cui Hajime ringrazia in silenzio, godendo della differenza di temperatura rispetto a fuori. Gli salta all’occhio come, nonostante non sembri esserci una disposizione precisa dei tavoli, questi lascino uno spazio importante tra la porta e il bancone e risultino per lo più ammassati su due lati: sono, tra loro, distanti abbastanza da concedere un po’ di privacy ma non troppo da isolare un cliente rispetto a un altro. 

«Come mai c’è così tanto spazio tra i tavoli?» è un’osservazione ad alta voce la sua, e si dimentica di avere altri potenziali interlocutori oltre Yachi fin quando non è il ragazzo con loro a rispondere, mentre scosta una sedia in maniera galante invitando con un occhiolino Hitoka ad accomodarsi: «Qui decide tutto la señora» dice con un sorrisetto, neanche quello spiegasse tutto. Mentre si allontana allo scopo di recuperare un menù che allunga sul tavolo per poi lasciargli il tempo di studiarlo e scegliere, Iwaizumi ha modo di notare come sia lui che la ragazza dell’ingresso abbiano abiti simili pur senza essere una vera e propria divisa. Hanno entrambi su dei pantaloni scuri e una camicetta bianca, con le proprie personali accortezze – la ragazza dell’ingresso ha le maniche, probabilmente corte, arrotolate fino a sopra la spalla; il ragazzo-interprete chiamato “Shouyo” ha le maniche arrotolate ma fino ai gomiti ed entrambi hanno un grembiule nero a coprirgli la parte davanti dei pantaloni. Mentre Yachi sbircia il menù, Hajime sente di nuovo la voce della ragazza urlare mentre si sporge da una porta che si può supporre porti alle cucine: «Señora Vanesa, tenemos que» qualcosa persa in un momento di percussioni della musica.   

Makki li raggiunge subito dopo, distogliendo l’attenzione di entrambi posando davanti a loro due bicchieri pieni di un liquido rosso dall’aroma fruttato e con pezzi di frutta dentro; Hajime non ha bisogno di chiedergli di cosa si tratti, nonostante non sia pratico delle bevande spagnole.

«Una sangria migliore di quella della señora non la trovate, garantito.» assicura loro «Deciso cosa ordinare? Serve una mano?» li incalza, e poi «Conviene che fate veloci, mica per altro, tra poco si comincia con l’attrazione forte del locale.» spiega e Hajime inizia a rimpiangere molte delle sue scelte di vita. Rivolge la propria occhiata dubbiosa a Yachi che invece sembra divertita e incuriosita al tempo stesso, per quanto sia chiaro come non abbia idea di cosa aspettarsi. Ordinano entrambi i due piatti che sembrano più innocui pur nei loro nomi originali e spagnoleggianti, e quando Shouyo si allontana Hitoka si sporge appena verso di lui e sorride entusiasta, con un: «Non è carino, Iwaizumi-senpai? Mette un sacco di allegria!» esclama felice di essersi decisa a entrare, sebbene con un piccolo incoraggiamento da parte dell’altro. Lui non è altrettanto sicuro, ma se ne guarda bene dal farglielo presente – ha imparato a sue spese quanto dannosa, nella sua completa goffaggine, possa essere la paranoia dell’altra in merito al disturbare gli altri o all’essere fuori luogo. Cosa che non è praticamente mai, ma Hajime ha rinunciato a farglielo notare. Si limita a rivolgerle un sorriso e a limitarsi ad annuire, e poi torna ad abbracciare il locale con lo sguardo; è così che inquadra quella che con ogni probabilità deve essere la più volte citata “señora”. È una donna a cui dà almeno settant’anni ma con una vitalità espressa in ogni singolo segno sul viso, nel modo in cui sorridendo ai clienti al bancone le si formano delle rughe d’espressione intorno agli occhi e agli angoli della bocca, e una gioia di vivere facile da notare nel modo in cui si muove e si avvicina alle persone. C’è una forza prorompente in lei, una a cui Hajime non è abituato perché è del tutto diversa dal modo discreto in cui si esprime un qualsiasi giapponese. La sente ridere e immagina senza difficoltà come, lì dentro, tutti i suoi dipendenti possano adorarla, comprende quasi fosse un sentimento proprio l’adorazione nel modo in cui la chiamano, come sia molto più di un’inflessione idiomatica.

 

Si ritrova a sorridere mentre le ultime note di una chitarra fanno scivolare via la canzone appena iniziata quando lui e Yachi sono entrati, lasciando il posto a delle nuove ancora più movimentate; si chiede se esistano, in Spagna, canzoni lente. Al momento la sua modesta esperienza gli suggerisce di no. 

La sorpresa più grande arriva insieme alle prime battute di quella nuova canzone, sembra come un incantesimo dei libri per bambini che si impossessa all’improvviso di chiunque lo senta mentre viene pronunciato: se Shouyo inizia a battere istintivamente il piede per terra a ritmo, la ragazza dell’ingresso ora ferma in attesa di un ordine al bancone ancheggia piano insieme alla musica con il sorriso divertito di chi è finalmente nel proprio habitat naturale. Nel guardarsi intorno, Iwaizumi incrocia lo sguardo con il giovane che da solo occupa il tavolo di fianco al loro – quello lo nota a sua volta, com’è ovvio, e fa un cenno del capo. Coi suoi capelli scuri appena mossi e i lineamenti orientali, Hajime non riesce davvero a stupirsi quando lo sente parlargli nella sua lingua madre: «È l’attrazione maggiore del posto.» gli dice soltanto, forse dandogli la spiegazione che dal suo sguardo è palese gli serva. In realtà, quando riporta l’attenzione verso il centro del locale tutto diventa più chiaro: le parole di Shouyo, quelle del ragazzo a cui si è appena rivolto e il suo interrogativo sulla disposizione dei tavoli. La ragazza dell’ingresso ha appena finito di fare una giravolta e sta ridendo, dicendo qualcosa al giovane che l’ha fatta ballare sul posto e che suona come un «Tu único rasgo bueno es la forma de bailar, Tooru!» e fa sorridere persino Hajime, un po’ per il suo significato – “il tuo unico lato positivo è il modo in cui balli” – e un po’ per l’espressione del ragazzo quando la sente, un broncio da ragazzino che lascia spazio quasi subito a una linguaccia infantile  e a un sorriso di sfida. Ha tra le mani un piatto con sopra, a vederlo e per quanto possa capirne, ciò che suppone sia una porzione di tortilla; questo non lo ferma dall’avanzare verso un tavolo dal lato opposto a quello occupato da Hajime e Yachi, posandolo sulla superficie di legno davanti al ragazzo della coppia che vi sta seduto. Gli fa un occhiolino, quasi a mo’ di scusa, e il perché è chiaro nel momento in cui – come una sorta di pedaggio da pagare per avere il proprio cibo – prende la mano della ragazza facendola alzare. La coinvolge nel ballo immediatamente, e basta dargli un’occhiata per capire come danzare a quei ritmi musicali gli scorra nelle vene, e dunque l’appunto fatto dalla ragazza dell’ingresso: Tooru, chiunque egli sia, si muove con una tale disinvoltura da far sembrare stia facendo qualcosa di molto più semplice; respirare, per esempio. 

La sua partner improvvisata ride divertita e sta al gioco, forse abituata e quindi non presa del tutto alla sprovvista, e il suo ragazzo dal tavolo la indica e sillaba qualcosa che Hajime non riesce a cogliere del tutto ma immagina sia una presa in giro bonaria, quasi un “ah beh, io non ti salvo di certo ora”. 

Durano il tempo di qualche battuta, e Tooru con un mezzo inchino guida il movimento con cui la porta a prendere di nuovo posto; da vicino al bancone la señora si limita a richiamarlo e mima con la mano il gesto di solito rivolto ai bambini per ammonirli sullo scappellotto che potrebbero ricevere se continuano. Il punto è il suo farlo con un sorriso allegro e divertito, materno e rassegnato insieme, accondiscendente tanto da smorzare il monito; e Tooru ride e le risponde, udibile per tutti «No sea celosa, abuela! Tù sabes que eres mi bailarina favorita!»

Sarebbe divertente da guardare, una scena famigliare e bella per questo, se poi il ballerino non si dirigesse proprio verso il loro tavolo e rapisse Yachi, che diventa un insieme di imbarazzo e ansia mentre cerca di articolare delle scuse. Tooru forse è abituato o forse no, Hajime non lo sa ma lo sente ridere in maniera cristallina ancora una volta e dirle in un giapponese pulito e privo di strani accenti: «Impossibile che il ballo non faccia per qualcuno, vedrai che ti diverti, puoi persino pestarmi i piedi.» facendole un occhiolino complice. 

Non sa se abbia la dote naturale di mettere a proprio agio la gente o se sia piuttosto un trascinatore carismatico a cui nessuno sa – o prova a – dire di no; fatto sta che persino Yachi pare sciogliersi il tanto che le serve per accettare la sua mano e alzarsi muovendo qualche passo incerto fino al centro dello spazio. Tooru la guida in movimenti sempre a ritmo della musica ma meno complessi, forse conscio della differenza fra lei e la sua precedente ballerina improvvisata, anche perché non ci vuole un genio per notarla; nonostante quello Tooru riesce a farla ballare, con qualche incertezza iniziale ma un sorriso che va allargandosi sempre di più e un divertimento facile da notare sul suo viso, gli occhi che brillano di curiosità e coinvolgimento, il viso alzato in modo da guardare finalmente l’altro negli occhi in maniera diretta. Tooru le tiene la mano con delicatezza e fermezza insieme, la guida in una giravolta che la fa ridere e l’accompagna poi a sedersi come fatto in precedenza. Hajime contro ogni propria previsione gli è grato di averla fatta sentire a suo agio in un posto estraneo come se abitasse lì da sempre – è stato, peraltro, il motivo principale per cui hanno deciso di uscire nel pomeriggio libero dagli impegni di studio a cui quella trasferta di lavoro li sottopone. Si aspetta già di vederlo andare alla ricerca della prossima compagna di danza, per quanto sia abbastanza sicuro la canzone non durerà a lungo ancora, quando il ragazzo gli porge la mano in un inequivocabile invito. Sbatte le palpebre un paio di volte, ed è sicuro di avere uno sguardo allucinato, mentre cerca sul suo viso il segno di uno scherzo ben celato – una risata di fronte alla sua reazione silenziosa sarebbe un punto di partenza, per esempio, ma presto è chiaro come quel Tooru si aspetti davvero un suo accettare l’invito, un suo alzarsi e mettersi a ballare in mezzo al locale sotto gli occhi di tutti.

Si chiede se sia scemo. Magari ha bevuto troppa sangria e lo licenzieranno per quello perché non ci si ubriaca sul lavoro, specie se (a occhio e croce) si è fin troppo giovani e poi succedono cose sgradevoli: tipo invitare un altro uomo a ballare la salsa con te. La sorte sembra dalla sua parte quando la musica scema nel finale della canzone, e si crea qualche momento di silenzio prima dell’inizio della seguente, ma ormai l’attimo non è stato colto, è scemato e c’è una delusione così ovvia negli occhi e nel broncio sul viso di quel ragazzo che gli sta di fronte impossibile da non notare. Non è comunque abbastanza per farlo sentire in colpa, e alza un sopracciglio come a sfidarlo a lamentarsi della sua non-risposta al suo invito.

La ragazza dell’ingresso si avvicina e gli dà una pacca energica sulla spalla: «No te pongas de mal humor, Tooru» lo rincuora, per quanto Hajime si chieda perché mai l’altro dovrebbe essere tanto intaccato dal suo rifiuto; la ragazza posa sul loro tavolo degli stuzzichini con un sorrisetto complice, sillabandogli in spagnolo un “per essere il primo a rifiutare di ballare con lui” a cui segue un «Yo soy Ines» veloce prima di muoversi di nuovo verso il bancone. 

Il resto del pomeriggio si rivela persino più piacevole del previsto.


*


Hajime non si è mai occupato in prima persona dell'immagine di una squadra, dal momento che il suo ruolo non lo prevede. In verità, l'impiego di allenatore è qualcosa di nuovo, ma è rimasto in contatto con abbastanza senpai da sapere che in genere questo non avviene. Certo, non si aspettava di incontrare Yachi, benché abbia poi scoperto che entrambi sono lì per lo stesso motivo - un aggiornamento, ma in due campi del tutto diversi -, ma deve ammettere di gradirne quella compagnia che non è stata scalfita dagli anni passati rispetto alla fine della sua carriera universitaria. Gli impegni giornalieri tengono occupata la mattinata e il primo pomeriggio di entrambi, offrendo loro soltanto una discreta pausa pranzo che è, poi, quando si sono incrociati il primo giorno. E' stato mentre mangiavano che hanno deciso di recarsi in quel locale che aveva già incuriosito Yachi e dove Iwaizumi non è sicuro di voler tornare. Più o meno.

 

In compenso, ha accettato di accompagnare Yachi in una zona che ospita uno dei mercati più famosi dell'area in cui alloggiano. Il luogo dove si sono dati appuntamento è poco prima dell'inizio dell'ampia via che ospita le prime bancarelle. Basta uno sguardo per capire che il mercato è trafficato abitualmente dagli abitanti del posto: non c'è una vera e propria calca, ma le strade sono già piuttosto animate. Hajime ricorda di aver già notato questa cosa una volta, quando anni prima è stato in Spagna in erasmus: è incredibile come sia sempre un concentrato di colori, di sapori, di odori. E di rumori, anche, in un modo del tutto diverso da come riesce a esserlo il Giappone con i suoi quartieri trafficati al punto che dall'alto sembra di osservare più una colonia di formiche operaie affaccendarsi in giro, anziché delle persone. E' qualcosa di impossibile da descrivere, uno dei tanti casi in cui nemmeno un libro sull'argomento riuscirebbe a essere esaustivo se non si è visto di cosa si parla con i propri occhi, non lo si è vissuti sulla propria pelle. L'Occidente è un mondo del tutto diverso a quello a cui lui è abituato, nella sua madrepatria, eppure Hajime ha imparato ad apprezzarne e ammirarne alcuni aspetti che pensava avrebbe potuto trovare insopportabili. Ritrovarli ora, dopo diversi anni, come se non se ne fosse mai davvero andato per troppo tempo è incredibile.

 

«Iwaizumi-senpai!» la voce di Yachi richiama la sua attenzione. E' una donna adulta tanto quanto lui è un uomo, ma una parte di lui non riesce a scostare da lei l'immagine di una studentessa più giovane conosciuta come manager di una squadra avversaria, poi di una kohai universitaria. Non direbbe che non riesce a vederla come una donna, ma al tempo stesso le domande complici dei colleghi che lo hanno visto passare con lei diversi ritagli di tempo in quei giorni gli hanno fatto capire che all'occhio esterno di chi non conosce il loro rapporto l'idea che danno deve essere quella. Magari di due che si sono ritrovati e hanno finalmente la loro occasione. Non fosse che conosce anche il suo ragazzo e dunque, se anche la vedesse in quel modo, non oserebbe nemmeno metterla in difficoltà con un corteggiamento. Si limita a darle la sua compagnia finché lei la vuole e la trova piacevole abbastanza da voler addirittura azzardare un gironzolare tra bancarelle con lui. La raggiunge, lì dov'è poco più avanti, e la affianca senza fermarsi del tutto ma adeguando il proprio passo al suo.

 

«Mi ricorda un po' un matsuri.» fa presente lei, gli occhi che vagano da destra a sinistra, incapaci di soffermarsi su una sola cosa perché troppo desiderosi di guardare tutto insieme «Molto più grande, forse. Almeno di quelli della mia zona.» si corregge, portando una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Capisce bene cosa intenda, ritrova qualche somiglianza lui stesso. «Come sta andando l’aggiornamento?» le sente chiedere e gli occhi scuri vagati poco prima su una delle bancarelle più vicine tornano ora su di lei.

 

«Abbastanza bene, direi. Il tuo?» «Incredibilmente stimolante.» offre lei con molto più entusiasmo di lui - non che Iwaizumi non apprezzi le tecniche che sta imparando con quel corso, ma è sempre piuttosto complesso spiegarlo a chi non mastica i termini tecnici, anche se Yachi è stata la manager di un club di pallavolo per tre anni o poco meno, quindi in effetti potrebbe capirlo meglio di molti altri. In ogni caso a Iwaizumi non dispiace lasciare sia lei a parlare per prima, a raccontare piccoli aneddoti e aspetti interessanti di cosa sta imparando. Si fermano, come prevedibile, prima a una bancarella con del cibo, l’odore troppo allettante per ignorarla; con qualcosa di buono nello stomaco Hajime finisce con il lasciarsi coinvolgere dalla conversazione e vi prende parte attivamente. Parlano saltando di argomento in argomento, abbandonando presto - ma non prima di aver detto buona parte di cosa ci fosse da dire - quello del corso. Ogni tanto qualcosa che attira la loro attenzione si collega in automatico a ricordi di un erasmus ormai di diversi anni prima, forse l’occasione in cui hanno avuto modo di instaurare un reale legame tra senpai e kohai. 

 

«Yamaguchi?» le chiede anche, a un certo punto. Lei fa un sorriso più ampio, probabilmente senza nemmeno rendersene conto. La ascolta parlare di una quotidianità semplice, di progetti per il futuro e ne parla con la contentezza di chi ha trovato la persona giusta ma anche con l’attenzione di chi ha riflettuto a lungo prima di prendere una decisione importante. Quando Yachi gli domanda «E tu, senpai?» Iwaizumi legge nelle sue parole un interesse sincero e non la semplice voglia di ficcanasare. Per questo le risponde con sincerità – non c’è nessuno di speciale nella sua vita, anche perché il suo lavoro occupa una parte ampia del suo tempo e non tutti sono disposto a scendere a patti con questo. D’altronde nemmeno lui, finora, ha avvertito il bisogno di trovare un compromesso per garantire qualcosa a qualcuno.

Il resto del loro giro si rivela piacevole e interessante: al cibo si alternano bancarelle con alcuni abiti più o meno tradizionali o per turisti, oggettistica particolare e, in punti strategici, anche alcune che offrono bevande fresche alla cui tentazione decidono di cedere quando le ore calde sono ancora persistenti. Iwaizumi è troppo impegnato a sbirciare le opzioni che il chiosco offre per accorgersi di chi sia il padrone  della voce che si rivolge a loro. Probabilmente ci baderebbe poco se non lo sentisse parlare in giapponese.

«Ah! Quello che non ha voluto ballare con me!» sente esclamare, alzando lo sguardo prima che il suo cervello possa registrare il senso di quelle parole e associarle a un viso che si ritrova a guardare. Lì dall’altra parte del piccolo bancone del chiosco, come – apparente – unica persona a gestirlo c’è il ragazzo ballerino del locale che hanno visitato. Hajime non si è preso troppo tempo per osservarlo la volta scorsa, impegnato a rendere chiaro il non volersi assolutamente rendere ridicolo ballando di fronte a un gruppo di estranei. A guardarlo ora, mentre anche Yachi lo riconosce e intavola una conversazione con lui, Hajime individua facilmente in lui i segni di una giovane età; non saprebbe nemmeno dire se sia maggiorenne o meno. Ha la faccia di uno che nella vita finora deve aver avuto intorno solo due tipi di persone: quelli che lo adorano e quelli che lo odiano. È probabilmente anche uno di quei tipi che da grande potrebbe diventare molto carismatico e, chissà, magari già ora potrebbe avere un discreto ascendente… ma Iwaizumi ha conosciuto, a scuola, tipi come lui e a quell’età sono per lo più insopportabili e basta.

«Quindi, aranciata per Yacchan.» ma quando, esattamente, sono passati a un soprannome del genere?! «e una bevanda che ancora non so per un uomo senza nome e che mi ha rifiutato.»

«Ho rifiutato di ballare con uno sconosciuto.» puntualizza Iwaizumi. Il ragazzo lo guarda poco convinto, ma poi inizia a servire almeno Yachi «Quindi se non fossi uno sconosciuto balleresti con me?» «No.» ribatte senza alcun bisogno di rifletterci su. Al contrario di quanto fa invece con la scelta della bevanda, prima di optare per qualcosa che sembra essere alla mela verde. Il ragazzo serve Yachi e poi si occupa di lui, ma prima di dargli la sua bevanda lo occhieggia.

«Oikawa Tooru.» si presenta, aspettandosi una presentazione di rimando «Vorrei la mia bevanda.» gli fa lui e lo vede gonfiare le guance con fare infantile. «Solo se mi dici come ti chiami.»

«Sai che sono un cliente, vero?»

«Purtroppo il padrone del chiosco mi adora.» sottolinea, sfacciato.

«Mi domando perché.» ribatte sarcastico – con la coda dell’occhio vede che Yachi sta faticando a trattenersi dal ridere. Sospira, rassegnato: «Iwaizumi.» dice alla fine e vede il sorrisetto soddisfatto sul viso dell’altro; l’istinto di rovesciargli la bibita in testa è pressante, quasi. Quello gli allunga il bicchiere di plastica: «Tieni, Iwa-chan.»

Lui gli sbatte le monete sul bancone e se ne va senza nemmeno degnarlo di una risposta.

 

*

 

I colleghi di Iwaizumi a un certo punto finiscono con il chiedergli più o meno direttamente chi sia la ragazza con cui lo hanno visto andare in giro in fin troppe occasioni per essere una conoscenza fatta qui per caso. Lui non ha problemi a fargli presente di chi si tratti e a presentarla per ciò che è, una kohai; non si aspetta di certo che loro le chiedano di organizzarsi per una di quelle sere, in gruppo, anche con qualche sua collega. Non lo chiamano goukon ma è esattamente ciò che è. Yachi non sembra del tutto a suo agio, ma è anche diversa dalla ragazzina di dieci anni fa che faticava a instaurare un contatto visivo con chi non conosceva bene e le sue colleghe sono spigliate abbastanza da offrirsi per una serata piacevole in cui conoscere altre persone. Iwaizumi non solo non può sottrarsi, essendo insieme a Hitoka l’anello di congiunzione di quel gruppo improvvisato, ma non può nemmeno sbilanciarsi troppo quando la scelta sul locale finisce con il vertere sull’unico che effettivamente conoscano bene abbastanza da poter garantire su cibo e atmosfera.

La fortuna non lo ha mai amato in maniera particolare, perciò non c’è l’ombra nemmeno vaga di sorpresa quando varcata la soglia ritrovano parte dello stesso assetto di camerieri della volta precedente: Ines, Shouyo e – con suo grande rammarico – Oikawa, che lui sperava fosse solo un ballerino e non di turno magari. Poco male, però. Se è impegnato a servire i tavoli, si dice mentre Ines fa loro strada per farli accomodare, non si soffermerà troppo al loro. Sorprendentemente si rivela essere così per buona parte della serata, al punto che Iwaizumi a un certo punto si dimentica della sua presenza lasciandosi prendere dalle chiacchiere con i colleghi e le colleghe di Yachi. La compagnia si rivela piacevole, di tanto in tanto Shouyo o Ines nel portargli questa o quella ordinazione scambiano qualche parola con loro ma niente di troppo prolungato dal momento che più avanza la serata più il locale si riempie. Non arriva mai al punto di diventare soffocante e lo spazio tra i tavoli, studiato per l’intrattenimento, si rivela provvidenziale in questo caso.

Per tutta la cena la musica li accompagna, mantenuta a quel volume che la rende udibile e persino riconoscibile se si conoscono le canzoni, ma mai di troppo costringendo ad alzare la voce per farsi sentire dai propri compagni di pasto. A un certo punto Oikawa si esibisce, insieme a Ines tra l’altro, in un ballo latino di coppia che Iwaizumi non ha nessuna competenza per riconoscere; gli avventori che fanno da pubblico si appassionano subito ai passi veloci e all’evidente complicità tra i due, dedicandogli un applauso rumoroso e anche abbastanza lungo quando finiscono. Oikawa vi risponde con un primo inchino un po’ più “serio” seguito da un altro paio più giocosi. Con orrore Iwaizumi si accorge di essere stato notato quando i loro sguardi si incrociano.

Lo vede scambiare qualche parola con Ines in uno spagnolo veloce abbastanza da non permettergli di leggere il labiale – ma, a dire il vero, Hajime scosta così in fretta lo sguardo nella speranza che questo faccia desistere il ragazzo dal raggiungere il loro tavolo, che non avrebbe comunque potuto indovinare le parole. Quando rialza lo sguardo è perché sente, fin troppo vicino ormai, uno «Yacchan!» di saluto, il tono amichevole. Percepisce, quasi, la curiosità dei presenti e Hitoka purtroppo non è tipo (né ha motivo di farlo) da ignorare un saluto. Lo invitano a sedere con loro fin troppo presto per i gusti di Hajime, ma almeno gli viene risparmiato di essere protagonista di un racconto breve ma intenso su come si siano conosciuti proprio lì al locale. A pelle tutti sembrano apprezzarlo senza che Oikawa debba nemmeno impegnarsi.

Una parte di Hajime non riesce nemmeno a stupirsene davvero.

*

A fine cena Hajime si è ritrovato tra le mani molte più informazioni riguardo Oikawa di quante ne avrebbe volute: come aveva supposto, innanzitutto, si tratta di poco più di un ragazzino con i suoi diciassette anni e un anno intero di scuole superiori prima di potersi dire diplomato. Perché un ragazzo così giovane decida di passare le vacanze estive in un luogo così lontano dal Giappone è diventato chiaro abbastanza presto visto che una delle colleghe di Yachi si è dimostrata interessata da subito. A quanto pare Oikawa ha un qualche amico di famiglia lì che lo ha ospitato per anni ogni estate o comunque in quelle più recenti - non stupisce che conosca così bene la lingua del posto, una fluidità nel modo in cui conversa acquisibile solo quando si vivono un Paese e una lingua quotidianamente - e quest'anno non ha fatto eccezione. Da un paio di estati lavora in quel locale, sotto le cure attente di Vanesa e coltivando l'amicizia con Ines e Shouyo, persino più giovane di lui di un anno ma di cui Iwaizumi non sa molto più di quanto sapesse prima di questa serata.

Da quanto ha detto di sé, la madre e il padre di Oikawa sono separati e lui ormai vive solo con sua madre e sente suo padre il necessario. Non si è sbilanciato troppo sull'argomento, dimostrandosi furbo abbastanza da scegliere di focalizzare l'attenzione su tutt'altro e trovando terreno fertile nella curiosità delle donne al tavolo, ma Iwaizumi ha supposto che fosse lui il primo a non voler per nulla incentrare la chiacchierata su un padre che forse non è presente come lui avrebbe voluto. 

Balla da quando è piccolo, ha detto. Per passione ma anche per agonismo. Lo ha detto proprio quando Hajime si chiedeva se esistesse il ballo a livello professionale anche per ragazzi così giovani, un pensiero stupido tipico di chi non conosce una disciplina e dunque non si è mai informato, quando basterebbe riflettere sul fatto che i ballerini famosi dopotutto devono pur aver cominciato prima dei vent'anni. Ha scelto il ballo latino quasi da subito, e non lo ha mai lasciato. Iwaizumi deve dargli atto del fatto che quando ne parla, gli si illuminano gli occhi, tradendo un amore sincero e una devozione che solo gli atleti capaci di dedicare anima e corpo a qualcosa hanno. Quello è un aspetto facile da riconoscere anche per lui, che di ballo non sa nulla ma di sport sa tanto - lo ha vissuto, ha sudato, pianto, provato il cento per cento di quanto fosse possibile provare su un campo da pallavolo. Uno come Oikawa avrebbe amato quello sport, se non si fosse innamorato del ballo, forse.

Hajime non ha capito perché o quando questo sia successo, ma si ritrova a salutare Yachi e le sue colleghe che hanno riaccompagnato al loro alloggio con Oikawa al proprio fianco, lì a muovere la mano avanti e indietro in modo infantile e con un sorrisetto divertito sulle labbra. Qualche preparatore atletico come lui, Hajime, ha bevuto qualche bicchiere di troppo ma nulla che non possa essere combattuto con un lunga camminata nella discreta frescura serale mentre tornano indietro. Decide di chiudere la fila, lasciando che i tre del gruppo gli camminino davanti per tenerli d'occhio, e non si stupisce davvero di vedere Tooru affiancarlo: ha le mani in tasca, le braccia mollemente piegate per la posizione e la postura rilassata mentre camminano. Ha un paio di pantaloni bianchi di lino che Hajime è sicuro abbia indossato a fine turno, perché aveva addosso tutt'altro quando ha ballato con Ines. I capelli sono leggermente arricciati contro la fronte, con ogni probabilità perché ha sudato prima. Ha un profilo regolare, i lineamenti freschi di chi non ha preoccupazioni al mondo o che si suppone non ne abbia di troppo gravi. Le maniche corte della camicia che indossa sono state arrotolate alla meno peggio, ma da una delle spalle ogni tanto la stoffa scivola di nuovo giù e l'altro la risistema con un gesto veloce e abitudinario. 

«Iwa-chan, mi stai fissando.» Tooru fa presente, quasi cantilenando. Iwaizumi riporta lo sguardo davanti a sé, gli altri tre ridono e ondeggiano ma nessuno minaccia ancora di cadere faccia avanti, perciò l'ordine del cosmo non è ancora perduto. «E tu ci stai seguendo.»
«Chi ti dice che non stiamo solo andando nella stessa direzione?»
«Il fatto che mi tormenti.»
«Crudele.» 

Hajime sbuffa, senza rispondergli, e il silenzio si adagia tra loro in un modo fin troppo confortevole. I passi di Oikawa, nota, sono leggeri. Hajime è stato abituato per troppo tempo ai passi pesanti sul parquet, ancora oggi è uno dei suoni più familiari di tutti, perciò è strano sentirne uno simile a pochi passi da sé - è come ascoltare lo scroscio di una cascata tutti i giorni per tutto il giorno e poi, all'improvviso, dover distinguere una piuma cadere sul pavimento. E' quasi impossibile eppure è lì. 

«Come mai hai deciso di fare questo lavoro?» gli chiede Oikawa all'improvviso. Di tante domande, Hajime non si aspettava quella, così seria. Cosa possa importare a un diciassettenne che lo conosce appena non lo sa, ma si risponde che in fondo l'altro è in quell'età in cui la scuola comincia a voler sapere i tuoi piani per il futuro e forse non ne ha ancora idea. Magari non ha ancora capito cosa voglia fare oltre a ballare. Può darsi stia cercando di capire, come è stato anche per lui, se esista un modo per conciliare cosa vorrebbe fare davvero con cosa la società si aspetta da lui. Per una volta, di certo la prima da quando si sono conosciuti, Hajime non è infastidito all'idea di rispondere a una sua domanda. 

«Ho fatto pallavolo per moltissimi anni.» replica, una premessa più che una vera risposta «E con il tempo ho cercato di capire cosa potessi fare senza allontanarmene troppo.» ammette, un mezzo sorriso sporcato dalla nostalgia di anni scolastici ormai passati da un bel po'. Percepisce lo sguardo di Oikawa su di sé, ma non dice niente e infatti la voce dell'altro non tarda a farsi sentire: «Perché non sei diventato un giocatore professionista?» gli chiede quasi spazientito, come se Iwaizumi avesse preso la cosa più ovvia e logica e l'avesse abbandonata in favore di una assurda. A lui però non fa che scappare da ridere, uno sbuffo e poco più. 

«Perché non ero abbastanza bravo.» pronuncia con la leggerezza di chi ha avuto modo di crescere e scendere a patti con l'idea, di rendersi conto dei propri limiti ma soprattutto di capire che quei limiti non dovevano per forza fare di lui un fallito. Ci è voluto un po', col suo carattere, ma una volta trovata la giusta chiave di lettura è riuscito a rendere i ricordi degli anni passati a giocare a pallavolo qualcosa di piacevole, di prezioso, e non un rimpianto - e ancora oggi, di tanto in tanto, fa due scambi e qualche partita amichevole perché dalla pallavolo è probabile non riuscirà mai ad allontanarsi davvero. 

«Perché, tu vorresti fare il ballerino?» gli chiede, occhieggiandolo. Lo vede aggrottare le sopracciglia per una manciata di secondi, prima di sbuffare piano e distendere di nuovo i lineamenti. Alla fine però curva le labbra in un sorriso amaro che a Iwaizumi non piace: riconosce in quella semplice espressione un rimpianto che non si dovrebbe avere a diciassette anni. Oikawa affonda ancora di più le mani nelle tasche e poi gli offre una scrollata di spalle: «Forse lo avrei fatto prima dell'operazione. Adesso non penso potrò.» pronuncia, asciutto quasi riguardasse le gambe, la passione e il futuro di un'altra persona. A Iwaizumi viene spontaneo postare l'attenzione sulle sue gambe, chiedendosi quale ginocchio sia, cercando per deformazione professionale di cogliere qualche piccolo dettaglio che tradisca una delle ginocchia del più giovane. Gli sembra di notare, ma potrebbe essere la suggestione, che poggi più peso su una rispetto all'altra... ma decide tornare a guardare il suo viso. 

«E' un infortunio grave? O ti hanno dato la possibilità di migliorare con la riabilitazione?» domanda, cauto. Incredibile come, pur non conoscendosi affatto, diventi palese dall'espressione altrui cosa gli stia passando per la testa - o almeno, Hajime si accorge di cambiamenti che è abituato a non riuscire a intravedere sul volto di adulti come lui, abituati a celare dietro la cortesia, l'educazione e la riservatezza la maggior parte dei loro sentimenti. In Tooru c'è la spontaneità e l'irruenza di un'età giovane dove non si riesce a nascondere le cose a lungo, perché non si ha pazienza. «Più o meno. Posso ancora ballare,» ed era ovvio viste le esibizioni occasionali al locale «ma saperlo fare ed eccellere sono due cose molto diverse.» 

La durezza di quelle parole la comprende bene, ma arriva inaspettata. Si era fatto un'idea abbastanza superficiale dell'altro, ma si sta ritrovando davanti una serietà e un realismo inaspettati. Chissà se è dovuta, almeno in parte, al divorzio di cui ha accennato durante la cena.

«Nel dubbio, trattalo bene dopo aver ballato al locale.» gli fa presente, con naturalezza. Deformazione professionale, di nuovo. Tanto basta a dipingere un sorrisetto divertito sul viso di Oikawa e a fargli rivolgere un'occhiata strafottente a Iwaizumi, come quella al chiosco dopo aver finalmente ottenuto il suo nome: «Ma allora hai un cuore d'oro, Iwa-chan.» lo sfotte senza nemmeno provare a mascherare la presa in giro. Hajime fa schioccare la lingua contro il palato in un verso seccato. I tre colleghi davanti a lui sembrano pendere pericolosamente verso sinistra, tutti insieme, ma solo allora si accorge che sono arrivati e gli idioti stanno semplicemente cercando di imboccare l'ingresso dell'hotel dove alloggiano. Ferma i propri passi e non ha bisogno di voltarsi per vedere che Oikawa fa lo stesso; li lascia addentrare oltre l'ingresso e solo allora guarda il più giovane, in attesa. 

«Forza.» lo incita quando sembrano entrambi congelati sul posto. «Sto aspettando di darti la buonanotte quando entri, Iwa-chan!»
«Ti accompagno.»
«Oh. Anche gentiluomo.»
«Muoviti, prima che cambi idea.» gli intima, alzando gli occhi al cielo perché davvero, anche solo interagire con lui è una fatica. Lo sente ridere però, e sembra una risata sinceramente divertita, genuina. Qualunque cosa ci fosse prima, sembra sparita insieme alla brezza serale che di tanto in tanto ha preso a soffiare. Iwaizumi è consapevole di star inarcando un sopracciglio in una muta richiesta su cosa ci sia da ridere, ma tutto ciò che ottiene in risposta è un sorriso da parte di Tooru.

«Non c'è bisogno. Sono poco più avanti, in ogni caso. Puoi riaccompagnarmi la prossima volta però.» fa notare, dando per scontato ci sarà un'altra occasione. Hajime non fa in tempo a chiedere qualcosa in merito che lo sente riprendere a parlare «Per quanto mi piacerebbe dire che sono gentile con tutti i clienti del locale, e lo sono, infatti tutti mi adorano» ribadisce, andando fuori tema perdendosi in inutili digressioni «il mio camminare per tutti questi interminabili metri è un gesto mosso unicamente dal secondo fine.»
«Non avevi detto di vivere poco più avanti?»
«Iwa-chan, non rovinare tutto e fai le domande giuste: "quale secondo fine?", per esempio.» fa notare e, quando lui non chiede nulla ma resta solo a guardarlo, lo sente sbuffare ma il sorriso non se ne va e questo la dice lunga «Quanto sei difficile, Iwa-chan.» borbotta, sporgendosi abbastanza da dargli un bacio leggero che non è sulle labbra ma non è neanche propriamente sulla guancia. 

«Usciamo per un appuntamento.»
«Non esiste.»
«Uno solo.»
«Hai dieci anni meno di me.»
«Dettagli.»
«Raccontalo alla polizia.» gli fa notare, ma è una debole protesta la sua. Uscire di per sé non sarebbe mai un motivo sufficiente per farsi arrestare - potrebbero essere mille cose diverse da amanti, loro due, ma non ha alcuna intenzione di accettare l'invito per un appuntamento di un diciassettenne. Lo stesso che sta ridendo delle sue serie considerazioni in merito a quanto sia una pessima idea: «Come sei melodrammatico, Iwa-chan. Concedimi un appuntamento.» ripete, testardo. Hajime lo fissa nemmeno stesse considerando se mandarlo via a calci o se arrivare fino alla porta facendosi seguire per il puro gusto di chiudergliela sul muso. Moccioso arrogante. 

«Mi hai già negato un ballo.» rimarca Oikawa «Almeno uscire me lo devi.» 

Gli chiude la porta in faccia ma, prima di voltarsi per andare verso la reception a recuperare la chiave lasciata in precedenza, lo vede ridere con la coda dell'occhio prima di avviarsi lungo la strada.

 

* 

Avrebbe mantenuto il punto, se solo Oikawa non si fosse rivelato la più grande seccatura su due gambe mai esistita. Una settimana dopo la cena con i colleghi e l'essersi fatto riaccompagnare - benché non sia mai stato chiaro fino alla fine che l'intento fosse quello - quel ragazzino lo ha letteralmente tampinato. Iwaizumi non crede così tanto alle coincidenze da reputare plausibile e accettabile incontrare una persona con cui non si ha pressoché nulla in comune almeno una volta al giorno. Invece è proprio quanto successo e Hajime non è così stupido da credere che Tooru non si sia impegnato fin troppo a rendere la cosa molto più semplice di quanto sarebbe dovuta essere. 

Odia ammetterlo ma alla fine si è arreso. Quando persino i suoi colleghi hanno cominciato a dire, per prenderlo in giro, che non fosse il caso di maltrattare un povero liceale che sembra averlo preso come modello Hajime ha capito che forse avrebbe potuto limitare molto di più i danni accettando di fare una stupida uscita e sopportandolo per un pomeriggio anziché fuggendo. Certo, avrebbe anche voluto far presente ai suoi colleghi che non c'è niente di "povero" in Oikawa Tooru, ma sarebbe stato fiato sprecato. Tra l'altro non ci tiene a far sapere a tutto il piccolo e ristretto mondo nipponico nel suo stesso hotel che esce con un diciassettenne. 

Deve persino dare atto all'idiota danzante con cui si accompagna di non aver pianificato una brutta giornata. Quando Hajime ha ceduto - a lui piace pensare di essere stato maturo e accomodante - si è almeno premurato di scegliere un giorno libero da attività, assecondando la propria sensazione per cui Oikawa avrebbe finito con il trascinarlo in giro per buona parte del giorno e non avendo intenzione di correre sotto il caldo estivo solo per cercare di tornare in tempo a qualche appuntamento pomeridiano con i colleghi o con qualcuno degli istruttori che a volte si mettono a disposizione di chiarimenti e approfondimenti nelle ore prima della cena. E come volevasi dimostrare, Tooru ha subito approfittato della cosa dandogli appuntamento a metà mattinata e facendo da perfetta guida per un paio di ore, finché non sono stati a ridosso del pranzo abbastanza da cercare un buon locale in cui mangiare. Per forza di cose ha lasciato scegliere al ragazzo, molto più pratico di quanto Hajime potrebbe mai essere entro la fine della sua permanenza lì, e si è rivelata una giusta decisione. Ogni piatto tipico che ha assaggiato sotto consiglio era delizioso.

Dopo pranzo non c'è molto di aperto in termini di negozi, gli ha spiegato Tooru, e quella è stata la scusa ufficiale per portarlo a visitare i suoi posti preferiti della città che però hanno poco da spartire con le mete turistiche più gettonate sulle guide. In una passeggiata durata abbastanza da digerire persino la colazione, Oikawa gli ha parlato di tutto e di più: delle calde estati passati lì dalla prima volta in cui ce lo hanno portato, di come ha imparato a sentirsi a casa anche lontano chilometri e chilometri dal Giappone. Gli ha parlato della sua prima visita, quando ancora erano una famiglia composta da tre persone; non si è troppo sbilanciato su suo padre e Iwaizumi, per delicatezza, non ha chiesto. Ha lasciato fosse Tooru a prendere le misure delle rivelazioni da concedere. Così non ha avuto da lamentarsi quando l'argomento è cambiato in fretta in una replica difettosa di quanto avvenuto alla cena al locale. Lo ha ascoltato blaterare sulla scuola, sugli amici, sui colleghi e su Vanesa. Lo ha interrotto poco, ma non gli ha lasciato fare un monologo. Ogni tanto si è rifiutato di rispondere alle sue domande più scomode, lo ha redarguito con lo sguardo o lo ha apostrofato come cretino - e Tooru ha riso, Hajime non capisce perché. Forse quando si è giovani come lui si ha una percezione molto meno seria di certe dinamiche di conversazione, o magari è solo che gli insulti di Iwaizumi non hanno la verve che avrebbero avuto un tempo. In ogni caso, non dura granché: Oikawa gli mostra dove si muove quando vuole stare solo, i piccoli angoli di città dove può stare tranquillo quando è stanco e poi fa sì che entrambi si tuffino di nuovo nelle vie più trafficate e che nel frattempo si sono animate di nuovo. Lo porta in un bar piccolo ma accogliente dove prendere un caffè e riposarsi per dar tregua ai piedi di entrambi e poi vagano, fino all'ora di cena. Iwaizumi non si abituerà mai a quanto tardi si mangi lì rispetto a come accade in Giappone. 

La cena è piacevole quanto lo è stato il pranzo. Per quanto non sia mai davvero assente dalla conversazione, Tooru gli sembra più lontano, non tanto in termini di freddezza ma più come se non riuscisse a dedicarsi del tutto a quello di cui parlano. Per essere sincero, a Iwaizumi non pesa troppo la cosa di per sé, ma la consapevolezza di quali potrebbero essere le motivazioni gli fanno presagire un disagio che non ha fatto altro se non aleggiare su di loro fino a questo momento e minaccia ora di calare come un sipario. 

Quando si alzano, insiste per pagare lui perché non esiste che permetta a un liceale di offrirgli la cena. Tooru insiste all'inizio ma capisce presto di non poter vincere quella battaglia e lo lascia fare. Proprio quando Hajime è convinto di poter considerare la serata finita, Oikawa gli chiede di accompagnarlo ancora in un posto prima di salutarsi. Si immagina di essere trascinato in qualche locale degno della movida spagnola e non se ne stupirebbe, visto che a quell'ora le strade sembrano animarsi per la prima volta, giovani riversati per le vie quasi fossero rimasti addormentati a causa di qualche forza misteriosa fino a quel momento. Tooru però lo guida da tutt'altra parte - seguono le strade principali sono per un po', ma a un certo punto le abbandonano e Hajime non può che affidarsi a lui. Si spostano in silenzio, stranamente. Tooru ha il passo lento ma sicuro di chi potrebbe percorrere quella strada a occhi chiusi e lo vede alzare lo sguardo verso il cielo notturno di tanto in tanto, seppure senza soffermarcisi troppo.

«Voglio farti vedere l'ultimo posto speciale di questo tour, Iwa-chan.» gli rivela quando ormai Iwaizumi non ha davvero più idea di dove siano, avendo svoltato già più di due volte in viuzze secondarie per lui irriconoscibili. Ma di lì a poco si ritrovano su uno spiazzo ampio che sarebbe perfetto per un parco e che, invece, presenta sì e no un paio di panchine, quasi fosse stato pensato per ospitare pochissimi visitatori alla volta o ci si aspettasse che siano in pochi a riuscire a scovarlo. Mentre lui si ferma a osservare il luogo, cercare qualche punto di riferimento per potersi ricordare come arrivarci magari, Tooru si va a sedere su una delle due panchine e solo dopo qualche secondo gli fa cenno di unirsi a lui. Hajime lo fa, gli si siede accanto ma né le loro gambe né le loro spalle si sfiorano per la troppa vicinanza. Oikawa sembra non badarci neppure, il naso all'insù e gli occhi puntati a cercare qualcosa tra le rade nuvole disperse in un cielo sereno. 

«Dove siamo di preciso?» si decide a chiedergli Iwaizumi dopo un po', quando ormai non pensa la spiegazione arriverebbe se lasciasse dettare i tempi della conversazione a Tooru come ha invece fatto finora. Lo vede, mentre osserva il suo profilo, incurvare le labbra in un sorriso leggero che si estende agli occhi in modo strano: li coinvolge, ma è come se qualcosa impedisse al sentimento di spandersi a macchia d'olio per tutto il viso. Cosa dovrebbe fare, poi, quando sente la mano altrui cercare la sua?  

L'istinto gli dice di allontanarla, ma non riesce davvero a farlo quando sente le dita altrui muoversi timidamente, saggiare le sue, cercare con i polpastrelli dei calli che ormai sono molto meno facili da trovare rispetto a quando ancora giocava. Non lo incoraggia, ma non lo rifiuta. Vorrebbe dirgli che non deve, ma sente che non lo sta cercando solo come naturale conseguenza di un appuntamento ma anche in un altro modo difficile da inquadrare, senza una risposta alla sua domanda. Quando arriva, Hajime dopo averla ascoltata non è più certo sia stato un bene aver chiesto. 

«Il posto dove vengo quando penso non potrò più ballare come avrei voluto.» ammette con una voce bassa che non ha niente di saccente, niente di arrogante. Non c'è la disperazione, il rimpianto, ma qualcosa di troppo simile alla rassegnazione per essere sopportabile. Hajime ne ha provato un briciolo, alla sua età, eppure avrebbe preferito avere dentro di sé un'esplosione di emozioni completamente diverse da quella se avesse potuto scegliere. Il problema però è proprio quello: non si può scegliere - e lui che può, invece, tra tenere la mano lì inerme e ritrarla? Rimane immobile come un codardo, almeno finché non ricorda di essere stato molte cose fin da giovane, ma non un codardo. E allora la stringe. Lo sente restare fermo per un momento, forse troppo sorpreso, e poi avverte le dita scivolare per incastrarsi al meglio fra le sue. 

Una parte del suo cervello gli intima di lasciare la presa, alzarsi, vagare finché non troverà di nuovo la strada per il suo alloggio da solo. L'altra parte invece no. 

«Iwa-chan.» pronuncia e lo cerca con lo sguardo per la prima volta da quando si sono seduti. Iwaizumi lo avverte sul lato sinistro del proprio viso, quello che offre alla vista altrui dalla posizione seduta in cui si trovano, ma non si volta subito. Se può giustificare tenergli la mano come la solidarietà di chi è stato uno sportivo e avrebbe voluto esserlo a livelli molto più alti ma non ha potuto, sebbene per motivi diversi... se può raccontarsi che in quella settimana di tormento hanno in qualche modo trovato un inspiegabile punto di incontro e che forse, ma solo forse, lo ha avvertito da quando gli ha chiesto in quel modo irriverente di ballare con lui senza nemmeno sapere il suo nome... come potrebbe, Hajime, giustificare di aver risposto ad attenzioni lampanti e inequivocabili? Tooru ha dalla sua parte la sconsideratezza della sua età e il lusso di un ventaglio di possibilità tutte molto diverse dall'uscire con un uomo. Hajime ha la conoscenza di se stessi che si acquisisce con il tempo e la consapevolezza di dover essere quello assennato e coscienzioso dei due. Senza contare che esistono un migliaio di motivi per dire no e nemmeno uno, non logico almeno, di dire sì.

«Iwa-chan.» lo richiama Tooru, più serio, e deve almeno arrendersi a concedergli un contatto visivo. Non si aspetta la serietà che trova nel suo sguardo, mista a una punta di disperazione tipica di chi si gioca il tutto per tutto e riesce in qualche modo a farlo perché quello che desidera vince ogni accenno di paura. «Puoi dire che è colpa mia.»

Hajime sbuffa. 

«Hai diciassette anni, come può essere colpa tua.»
«Può essere solo un flirt.»
«Ma non lo è, giusto?»
«Certo che tu non rendi mai le conversazioni facili.» sbuffa divertito, ma sbuffa sulle sue labbra e questo rende tutto molto più difficile, sì. «Non lo è.» aggiunge poi «Ma tu puoi fare finta di sì.»

Hajime tace, per nulla convinto. C'è una distanza irrisoria tra di loro, basterebbe muoversi di pochissimo per annullarla del tutto e fare una cazzata colossale. Ha ventisette anni e non se lo può permettere. Ha davanti a sé un diciassettenne che può permettersi il mondo, ma non di gettarlo via, specie se quello che voleva costruirsi è già andato parzialmente in pezzi per un'operazione al ginocchio.

Sente il pollice altrui carezzargli piano il dorso della mano, la punta del suo naso sfiorare la propria. Lo chiama di nuovo con quel nomignolo idiota e Hajime azzera la distanza, posa la bocca sulla sua. Trova labbra secche che però si schiudono con una facilità disarmante - tutto il corpo di Tooru gli urla che vuole quel bacio e lo vuole adesso, niente giochi da bambini, vuole essere trattato da adulto. 

Hajime ha ventisette anni e sta baciando un ragazzo di diciassette. E quando lo accompagna a casa, stavolta sul serio, e sciolgono l'intreccio delle loro dita e Tooru gli ruba un altro bacio e poi un altro e un altro ancora, Hajime non sa dire di no. Non sa dire di sì. Sa soltanto che tra tre giorni parte per tornare in Giappone ed è per questo che non voleva rendere facile né la conversazione su quella panchina quasi segreta, né voleva che baciare Tooru si rivelasse così naturale.

 

*

 

Lancia un'occhiata al trolley già recuperato mentre aspetta che il secondo gli faccia finalmente il favore di palesarsi lì sul nastro trasportatore; vorrebbe davvero poterli assicurare ogni volta che deve fare avanti e indietro per le competizioni e invece no, nessuno ha ancora pensato di inventare qualcosa che renda meno infernale aspettare i bagagli insieme ad almeno un altro centinaio di passeggeri. Nell'attesa, senza scorgere ancora nemmeno l'ombra della sua seconda valigia ammessa in stiva, recupera il cellulare scorrendo la serie di notifiche che inevitabilmente arriva in massa quando accende il telefono appena atterrato dopo un volo, specie se lungo. Il primo messaggio che legge è di sua madre - gli dà il bentornato, si raccomanda di chiamarla appena si sarà sistemato e di riposarsi, ora che ha finalmente un po' di respiro.

Ines si complimenta con lui. E' riuscita a recuperare in streaming buona parte della competizione a cui ha preso parte e sostiene lui sia stato insopportabilmente bravo come sempre. Aggiunge, perché lo adora ed è evidente, che ha molta pena per la sua partner: deve essere terribile ballare con te quando vuoi vincere, gli scrive. Le risponde brevemente, riempiendo il resto del messaggio di emoji giapponesi perché sa che li odia. Aggiunge, en passant, di sentire la sua mancanza.

Una serie di notifiche infinite viene brutalmente annullata con uno semplice movimento del dito, così per ricordare a se stesso che il mondo può aspettare. Lo stesso viene fatto con le e-mail a cui ha intenzione di dedicarsi dopo una doccia e un buon pasto, come minimo. Con la coda dell'occhio nota un azzurrino familiare e finalmente la sua seconda valigia ha deciso di palesarsi, così la recupera prima che sia troppo tardi e comincia a muoversi per guadagnare l'uscita dall'area bagagli. Telefono alla mano, mentre si porta dietro i due trolley con l'altra, individua il messaggio di cui gli interessa davvero leggere il contenuto. Il mittente recita un Iwa-chan a cui non ha saputo rinunciare nemmeno quando al cognome di quell'uomo dieci anni più grande di lui si è aggiunto un nome, dopo tanto penare. Lo schermo gli rimanda indietro pochissime parole di cui una è un insulto. Lo fa ridere e gli si stringe lo stomaco dall'emozione.

Fuori dall'area bagagli si immette in un fiume di gente e con lo sguardo cerca nella massa di persone venute a recuperare i propri cari lì in aeroporto. Individua Hajime con una facilità quasi imbarazzante - per l'altro lo è di certo, anche se mai quanto il suo ignorare il resto del mondo e lasciare in malo modo le valigie al proprio destino per avere entrambe le braccia libere e cingergliele attorno al collo. Sa che l'uomo di fronte a lui, già con un insulto tra le labbra, non ama le manifestazioni di quel tipo, troppo poco contaminato dall'estero per riuscire a godersele senza preoccuparsi di cosa gli succede intorno. Per stavolta, però, spera lo perdonerà (come fa sempre).

Lo bacia, perché gli è mancato, e non gli interessa sia davanti agli occhi di tutti. E' un bacio breve, ma è più importante di un qualsiasi "bentornato" detto a voce. Hajime lo guarda male, ma lo vede quell'accenno di sorriso che persino lui non riesce a trattenere.

«Muoviti prima che cambi idea e ti mandi in albergo anziché farti venire a casa mia.» borbotta quello, allungando una mano verso uno dei trolley.

«Casa nostra.» lo corregge e sente la mano di Hajime scivolare vicino alla sua e poi intrecciare le loro dita con la discrezione che a Tooru manca, ma di cui è innamorato da tre anni ormai. E' stata una battaglia lunga, ma se è riuscito a tornare in pista come ballerino professionista, perché mai avrebbe dovuto fallire in questo?




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