Loyalty is a privilege (cow-t week 5)
Feb. 17th, 2018 07:52 pmElsword sta raccontando qualcosa, il tono alto di chi ha l’entusiasmo sotto la pelle e l’ottimismo nel sangue; Aisha scuote la testa ma ha un sorriso leggero sulle labbra, Elesis posa una mano sul capo del fratello, Ara si copre la bocca con una mano mentre si fa sfuggire una risata leggera. Eve e Rena sono una di fianco all’altra, Raven è poco più distante e ha gli occhi su Elsword, Lu rifugge al controllo di Ciel solo perché quest’ultimo è impegnato a occuparsi di tutti loro in quei momenti in cui l’attenzione non è su di sé.
Chung abbandona il loro gruppo, dinamiche che gli sono familiari, e sposta lo sguardo sull’unica persona che non concede mai a se stessa di essere parte reale di quel party; Add se ne sta in disparte, poggiato con la schiena contro un albero, le braccia incrociate al petto che già da sole sembrano dire quanto consideri tutti loro sciocchi e non degni di attenzione, l’intero momento – e quello dopo, e quello dopo ancora – un’immensa perdita di tempo. Le dinamo gli ronzano intorno, e a lui non sembra servire altro rumore.
Viaggiando di continuo non possono sempre permettersi di dormire con un tetto sopra la testa, ma quando capita cercano di economizzare più possibile anche con le stanze; Chung sente il respiro pesante di Elsword e quello appena percettibile, se non fosse che il silenzio lo tradisce, di Raven. Non si stupisce davvero quando, mettendosi a sedere, scorge un letto vuoto né quando la voce di Raven lo raggiunge, sebbene lui gli dia ancora le spalle.
«Non allontanatevi da soli.» gli dice, e Chung capisce immediatamente che deve aver sentito uscire anche Add, prima di lui. Mormora un “non preoccuparti” giusto prima di richiudersi la porta alle spalle.
Add è ovviamente nel posto più isolato e da cui, al tempo stesso, si può vedere di più: il tetto della locanda dove alloggiano lo ospita, le dinamo silenziose. Si accorge subito di lui, e d’altronde Chung non cerca di celare la sua presenza; gli si siede accanto però, non così vicino da sfiorare la spalla con la sua, ma nemmeno così distante da dare l’idea di voler condividere uno spazio in cui Add è presente solo per caso.
Lo vede guardarlo di sottecchi solo perché lui è del tutto voltato in sua direzione, gli occhi azzurri sul suo viso; intravede una stizza che si esprime in uno schioccare della lingua contro il palato, ma senza che assuma la forma di parole precise.
Se deve essere onesto, Chung non si reputa migliore di nessuno del loro gruppo: sa bene che qualcuno di loro forse è di quell’idea – il ragazzino che da giovanissimo ha cominciato a viaggiare da solo, il figlio che ha dovuto colpire suo padre, il ragazzo che ha dovuto accettare la sorella di chi è stato causa del suo male – ma lui, quando ci pensa, si sente schiacciato dal quelle considerazioni. Mentre viaggiano, ogni giorno, guarda Add considerato la mina vagante e inaffidabile del gruppo, e pensa a come forse anche lui sia sicuro di non avere niente a che spartire con gente come Chung; per quanto ne sa Add potrebbe vederlo come il signorino che dalla vita ha avuto tutto, o come il santo che vuole salvare il mondo sacrificandosi per la giustizia. Ma a quello si contrappongono i sussurri, la fama che lo precede – un messaggero di morte, non una persona – e non vede come mai potrebbe essere tanto idealizzato uno come lui. Perché Add dovrebbe sentirsi così distante. Perché non possano, semplicemente, compensarsi tutti tra loro con le loro storie e le loro esperienze, oppure con gli sbagli che però li hanno resi migliori.
«Il tuo cervello è più rumoroso di una macchina progettata per fare casino ogni volta che si muove.» è l’inaspettata forma che i pensieri di Add prendono, voce chiara anche mentre gli occhi non lo degnano di attenzione, per quanto questa sia stata in qualche modo già tradita. Se lui fosse Elsword starebbe già sbraitando contro Add – ma se fosse Elsword, probabilmente, Add lo avrebbe insultato molto diversamente se non peggio –, ma il privilegio di essere stesso gli concede di guardarlo e limitarsi a un mezzo sorriso.
«Buon per me che i nostri nemici non ci sentano bene, oppure ogni attacco a sorpresa finirebbe male.»
Add non gli risponde, come se lo seccasse così tanto non aver sortito l’effetto sperato (essere lasciato solo), da dover ora riformulare una strategia migliore; potrebbe alzarsi, ma suppone sia una questione di principio, la sua. Il silenzio cade di nuovo fra loro, e Chung si concede di guardare davanti a sé, a un cielo stellato e senza nuvole a coprire la luna crescente. Non c’è odore di pioggia nell’aria, il che è un bene visto che dovranno muoversi di nuovo molto presto.
Chung non sa perché all’improvviso gli torna in mente un’usanza vecchia quanto Hamel stessa, insegnamenti ricevuti quando del mondo non sapeva ancora niente. Ma come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se lui e Add fossero sempre stati in quel tipo di rapporti, lui rilassa i muscoli di tutto il corpo e decide che sì, Add può perdere qualche minuto prezioso del suo tempo per lui, qui e ora.
«Se pensassi che potrebbe esserti di aiuto,» comincia, richiamando alla mente le parole esatte di quel giuramento che si faceva una volta, di cui suo padre stesso gli ha parlato in passato «inciderei il tuo nome sul cuore.»
Persino uno come Add si volta a guardarlo con un’espressione equivalente – perché Chung lo sa, l’altro non gli concederebbe mai un simile privilegio – allo sconcerto di una persona normale. E lui si trova a sbuffare divertito, un accenno di risata che rimane solo l’ombra di quello che potrebbe essere: come lui. Come Add.
«Era un giuramento antico tra i compagni di armi. Il cuore delle nostre armature, ma anche il cuore di una persona, sono la parte più importante. Giurare di avere un nome inciso su di esso per tutta la vita era il modo in cui, nella vecchia Hamel, si giurava la fedeltà, di difendere la persona che portava quel nome. Era un modo in cui si dava fiducia e si concedeva lealtà assoluta.» spiega, sicuro di essere ascoltato perché anche se guarda ancora avanti, con la coda dell’occhio ha notato che Add lo fissa ancora.
«Se sapessi che farlo ti basterebbe per fidarti» riprende «lo farei. Che sia un modo di dire, che sia scrivere non proprio sul cuore ma su qualcosa di affine che lo simboleggia… io lo farei.»
Si volta, gli occhi azzurri a cercare un contatto visivo; lo trova, forse, solo perché Add non è tipo da guardare via, da scappare così quando è convinto di aver ragione – e Chung crede, suppone, che Add sia convinto che niente gli farà mai pensare che le persone siano degne di fiducia. O che valgano qualcosa.
«Non perché tu possa fidarti di me. Quello non penso lo farai mai.» non glielo chiede, lo afferma; c’è una differenza enorme, e sa che Add la comprende pienamente, non si perde quella sfumatura, anzi. «Ma perché tu sappia che sono io, a fidarmi di te. Proteggerei la tua vita, perché mi è preziosa; ti affiderei la mia, perché se bastasse a salvare la tua o a percorrere fianco a fianco la strada con te… allora varrebbe la pena, di darti la mia lealtà.»
Non si aspetta una risposta, non lo guarda mentre si alza – una condivisione breve ma, d’altronde, oggi si concede il lusso di dire quello che vuole, senza preoccuparsi degli altri, di sentimenti che non siano i suoi.
«Add?»
Nessuna risposta. Ma tanto in quel silenzio è impossibile non essere sentiti, così come la quiete della sua stanza ha tradito il respiro di Raven poco prima. Non ha bisogno che Add dica qualcosa, per sapere che è ancora lì.
«Non ti allontanare da solo.»
Dalla locanda, da quel gruppo che – lo sa – per Add non significherebbe granché se non per Eve. Dire “da me”, ora come ora, non ha senso.
Il giuramento di Hamel basta anche se è una sola persona a pronunciarlo.