hakurenshi: (Default)
 

Prompt: evoluzione

Missione: M2 (week 6)
Parole: 7136
Rating: teen up
Warnings: shonen-ai



Hitoshi ha ancora addosso l'adrenalina dello scontro ma anche, insieme a quella, la sensazione di aver comunque fallito. Con se stesso, non certo nei confronti di altri; importa poco che la sua classe si sia sgolata per tifare per lui, lasciandosi trascinare dal senso di appartenenza e di rivalsa di chi è considerato "meno". Perché i veri, futuri eroi sono quelli della 1-A e lo saranno sempre. Il divario di capacità è evidente, abissale. Persino lui, che a detta di tutti ha il quirk degno di un futuro villain, non ha potuto nulla contro Midoriya Izuku alla fine. 


Siede nell'area meno affollata di tutte, quella che collega tramite dei tunnel la zona degli scontri del festival sportivo agli spogliatoi dove si attende il proprio turno. Ha preferito evitare gli spalti con i suoi compagni di classe, così come le zone dove i professori passano per assicurarsi che tutto funzioni come deve. E' un posto quasi d'onore, a modo suo, quello dal quale può guardare gli scontri dopo il suo. E' questa l'occasione in cui si sofferma su Todoroki Shouto più di quanto abbia mai fatto prima e, certamente, più del necessario. Perché è il protagonista dello scontro con Midoriya, è chiaro. Eppure in lui c'è qualcosa che spinge Hitoshi a non distogliere lo sguardo, nonostante lo abbia sempre considerato né più né meno del privilegiato figlio di Endeavour che deve aver avuto la strada spianata fin dall'infanzia. Uno di quelli destinati alla grandezza senza nemmeno impegnarsi per averla - è stata l'invidia a parlare per lui, Hitoshi ne è del tutto cosciente. Ma è anche solo un ragazzo di quindici anni che, al contrario dell'erede dei Todoroki, di regalato non ha mai avuto nulla.


Nonostante questo, si rende conto di non riuscire a fare altro che guardarlo. Succede soprattutto quando gli vede sul viso l’espressione disperata in cui gli risulta molto più facile riconoscere se stesso anziché Todoroki - o, per meglio dire, l’idea che si è fatto di Todoroki.


E' una disperazione che si presenta come un'amica di vecchia data, un mantello invisibile che per anni è stato poggiato sulle proprie spalle, capace di proteggere dall'esterno e al tempo stesso di pesare come un macigno. Si trascina dietro l'inadeguatezza di aspettative sbagliate o alle quali non si vuole rispondere, perché è quanto tutti si aspettano. Tranne lui. Tranne, forse, Todoroki. A Hitoshi risulta complicato immaginarsi cosa ci possa essere di così difficile, quando si hanno ben due quirk di inimmaginabile potenza e potenziale, entrambi adatti a essere uno dei futuri eroi in lista per la posizione numero uno. Se il mondo prova a immaginare qualcuno a successione di All Might, non si figura persone come Hitoshi, ma persone come Shouto. Eppure quell'espressione è inequivocabile per lui: incomprensibile, anche, ma non si può non riconoscere un peso enorme che si porta sulle spalle. Nemmeno quando lo si scorge sulle spalle di un altro. 


Così guardare il suo scontro con Midoriya perde d'importanza, o magari di senso, e diviene un osservare qualcuno che - sulla carta - dovrebbe essere il suo esatto opposto e avere tutto ciò che Hitoshi non avrà mai.


*


Todoroki Shouto è una creatura incomprensibile. Hitoshi è ben consapevole che, se dicesse questa cosa ad alta voce, a seconda del proprio interlocutore potrebbe ottenere delle reazioni ben diverse. Se lo dicesse a Midoriya Izuku, per esempio, o in generale a chiunque della 1-A, sospetta che rimarrebbero quasi straniti. Convinti, immagina, che l’erede dei Todoroki sia da considerarsi invece un adolescente quasi più semplice da comprendere di molti altri. Al contrario, Hitoshi non vuole nemmeno immaginare come potrebbe essere affrontare il discorso con qualcuno della 1-B - poi ricorda che, in fondo, non è così vicino a nessuno dei suoi compagni di classe da voler avere una conversazione incentrata sulle sue impressioni riguardo a uno degli studenti del corso Hero. 


Il solo pensare come potrebbe essere parlarne e avere Monoma a infilarsi nella discussione è sufficiente a fargli già venire il mal di testa. In ogni caso, non ha davvero motivo di esternare le sue considerazioni e può lasciare che rimangano tali e personali, niente più di pensieri fugaci e improvvisi quando gli capita di intravedere Todoroki nell’area sportiva a correre oppure nel tragitto verso i dormitori. O, ancora, per i corridoi. 


Magari, si dice a un certo punto Hitoshi, quella del festival sportivo è stata solo una sensazione data da diversi fattori che non sussistono già più. E, se è così, la realtà dei fatti rimane la stessa: lui e Todoroki non hanno nulla da spartire. 


*


Hitoshi non saprebbe dire come succeda, ma di sicuro quanto sia strano è molto più facile da descrivere. Todoroki, di fianco a lui, si sta occupando in silenzio di una pila di fogli riguardanti l’attività esterna della 1-A che dovrebbe tenersi di lì a poco, qualcosa che Hitoshi era convinto sarebbe stata prerogativa dei due rappresentanti di classe. D’altronde, lui stesso è un intruso in tutto questo, solo in virtù di un favore personale a Kendo. 


Da quando sono entrati non hanno aperto bocca e si sono semplicemente sistemati seduti allo stesso tavolo, uno di fronte all’altro, lavorando nel completo silenzio. Hitoshi ne è grato, a modo suo: non reputa di essere il tipo da chiacchiere casuali. Todoroki sembra essere persino meno capace di lui, se non altro, perciò immagina non ci siano aspettative da parte sua.


«Midoriya voleva invitarti a pranzo, oggi.» se ne esce Todoroki, come se nulla fosse. Hitoshi ferma a mezz’aria il movimento di posare il foglio sulla pila di quelli sistemati, mentre quella da lavorare è ancora tristemente piena. Alza lo sguardo e lo punta sul giovane di fronte a lui che, per tutta risposta, sta continuando imperturbabile il suo lavoro. Shinsou, invece, ha bisogno di fare un ordine specifico nella sua mente, cercando di capire quale sia l’informazione che lo destabilizza di più e quale quella più trascurabile. Immagina sia il tipo di analisi che tutti i loro insegnanti vorrebbero venisse fatta in momenti di criticità; Hitoshi non riesce a pensare a un momento più critico di Midoriya che vuole invitarlo a pranzo in mensa con tutto il tavolo di compagni della 1-A con cui lo vede di solito. E che a riportare il messaggio sia quello più inavvicinabile dopo Bakugo Katsuki. 


«…A pranzo.» non può fare a meno di ripetere, per chiedere conferma ma soprattutto per lasciare che l’informazione attecchisca nella sua testa. Solo allora Todoroki alza lo sguardo su di lui, soffermandosi per una manciata di secondi; sembra vagliare la possibilità di confermare o dirgli che è tutto uno scherzo, e sarebbe anche plausibile se soltanto Hitoshi non fosse abbastanza sicuro che il ragazzo di fronte a lui - tra le sue, immagina, innumerevoli qualità - non brilli certo per il senso dell’umorismo. 


Alla fine, Todoroki annuisce e basta, ma sosta comunque con gli occhi su di lui e Hitoshi si domanda se voglia aggiungere altro o solo spiare la sua espressione in risposta all'informazione. A essere completamente sincero, non ha una reazione pronta da offrirgli - perciò si limita a un sospiro leggero e a tornare ai fogli da dividere. Decide di non controllare cosa stia facendo l'altro, se lo stia ancora guardando o se abbia già perso interesse, avendo riportato il messaggio che è probabile gli sia stato semplicemente affidato da Midoriya.


E' una sorpresa sentirgli dire: «Midoriya è il tipo da tenerci sul serio.»


Deve imporsi di continuare a tenere gli occhi bassi, perché sa bene che ora come ora la sua espressione potrebbe solo tradirlo.


*


Hitoshi non accetta l'invito a pranzo per molto tempo. Lo fa per caso, perché non riesce a svignarsela in tempo, quando Midoriya è stranamente solo nella mensa della U.A, un avvenimento che stona abbastanza da farlo soffermare a sbirciare in sua direzione. La cosa si rivela fatale ma, sorprendentemente, è anche meno tragico di quanto Hitoshi ha mai immaginato potesse essere. Midoriya ha l'entusiasmo di chi è rimasto un fan prima ancora di realizzare di essere un futuro pro Hero e la gentilezza di chi forse, in passato, non ha brillato sotto la luce dei riflettori come il mondo tende a credere riguardo a chiunque.


Si avvicinano lentamente, ma Hitoshi capisce quasi subito che il sentore avuto durante il festival scolastico - quello di avere di fronte una persona incapace di lasciare indietro gli altri, qualunque cosa questo significhi - non è sbagliato. Izuku potrebbe, potenzialmente, essere la persona più vicina a diventare il suo primo amico. O la cosa più vicina a un amico nel senso più ampio del termine. Parla molto più di quanto Hitoshi possa mai fare, ma non è un male se c'è qualcuno a riempire i suoi silenzi - sono incontri piuttosto brevi, considerati tutti gli impegni e gli allenamenti che la 1-A si ritrova ad avere, ma Midoriya ha sempre qualcosa da raccontargli. Così Hitoshi, pure se molto lontano dalla realtà della classe di futuri pro Hero su cui tutti contano, assorbe passivamente aneddoti che altrimenti non potrebbe conoscere - le difficoltà, sì, ma anche quegli aspetti molto più umani.


«La prossima volta potresti unirti a noi.» gli propone Izuku con tutta la naturalezza del mondo. Hitoshi mangia il suo ultimo boccone di omurice prima di alzare lo sguardo su di lui, incerto su come dire nel modo più delicato possibile che Midoriya è un'eccezione e che in quanto tale è difficile aspettarsi un trattamento simile anche dagli altri. Forse lo rende molto palese, o forse l'altro è solo molto bravo a leggere gli altri, ma lo vede sorridere con gentilezza come a suggerirgli che ha capito quali pensieri lo stanno trattenendo dal rispondere. E che va bene anche così.


«Magari la prossima volta.» Hitoshi glielo concede più per ringraziarlo, implicitamente, di non forzarlo a qualunque cosa stia cercando di fare che per reale intenzione. Potrebbe anche andare meglio del previsto, un giorno.


*


E’ una situazione strana quella in cui Hitoshi si ritrova, per la prima volta, a interagire davvero con Todoroki per qualcosa che vada più dell’incrociarsi per il corridoio o il lavorare insieme a una pila indefinita di fogli. Sarebbe tutto sommato semplice se si trattasse di una missione di poco rilievo, di essere da supporto a qualche pro Hero e ritrovarsi affiancato anche da Todoroki - questo gli permetterebbe di comportarsi come suo solito, di interagire il minimo e in modo professionale. Invece lui e Shouto si ritrovano insieme a… fare la spesa. Qualcosa di così normale da essere surreale. 


«Todoroki» richiama Hitoshi mentre attraversano la strada da marciapiede a marciapiede «mi ricordi per quale motivo stiamo facendo la spesa?» domanda, non con il tono di una provocazione ma con molta confusione. Succede, quando una massa non meglio identificata di studenti della 1-A piomba a chiedere chi è libero di comprare gli ultimi ingredienti necessari e Kendo - inspiegabilmente loro complice? - si accoda nel pregare per quel favore personale. Hitoshi non ha problemi a fare la commissione di per sé, era solo convinto di poterla fare da solo. Quasi il pensiero di Monoma è confortante, in questo frangente.


Shouto occhieggia il foglietto con indicati i prodotti da comprare e solo poi punta lo sguardo su Hitoshi. Lui, di tutta risposta, si domanda se sia legale avere un occhio di quell’azzurro; di come sarebbe stato averne un paio, su di sé, di quella sfumatura che non sembra quasi vera e nella quale riconosce comunque senza alcuno sforzo gli stessi occhi di Endeavour. Un dettaglio a cui non ha intenzione di dare voce per due motivi: il rapporto ormai di dominio abbastanza pubblico tra lui e suo padre e il fatto che suonerebbe piuttosto discutibile un intero ragionamento sugli occhi di Todoroki.


«Per il compleanno di Kirishima.» replica Shouto con quel fare placido «Credo la 1-B sia stata invitata da Tetsutetsu.» aggiunge, quasi dovesse giustificare la sua presenza lì. Hitoshi annuisce, affondando entrambe le mani in tasca. Razionalmente la domanda che continua ad affollargli la mente è sciocca, eppure a livello inconscio non riesce a smettere di chiedersi se Todoroki abbia preso in considerazione - anche solo per un momento - la possibilità che rispondergli potrebbe portarlo a essere vittima di quel quirk più adatto a un villain che a un eroe.


Hitoshi si limita a seguirlo in silenzio, muovendosi tra gli scaffali una volta che sono nel supermercato; adocchia solo una volta la lista lasciandola nelle mani di Shouto, guardandosi intorno per ritrovare il giusto reparto. Lo ritrova ora qui ora lì, ma senza troppe difficoltà, aiutato dal fatto che Todoroki non passi esattamente inosservato. Anche se Shinsou sospetta che l’altro sia sicuro di essersi camuffato a dovere; non ha il cuore di dirgli che un berretto e una mascherina non servano a granché quando si è uno degli studenti della U.A. con più fan in assoluto e i capelli di diverso colore sono piuttosto difficili da confondere con quelli di qualcun altro. Quasi a voler confermare il suo pensiero, non fanno in tempo a mettere piede fuori dal supermercato con una busta a testa che vengono fermati. Per fortuna si tratta solo di due studentesse, a occhio non più grandi di una terza media. 


Quando ormai se ne sono andate, Todoroki assume un’espressione confusa mentre rivolge lo sguardo a Hitoshi per chiedergli, con fin troppa serietà: «Credi ti abbiano riconosciuto?»


Shinsou lo fissa, aspettandosi un segno che si tratti di una battuta. Quel segno non arriva mai e questo, contro ogni pronostico di Hitoshi per quella giornata e ogni sua preoccupazione riguardo al pensiero di Todoroki sul suo quirk, finisce per portarlo a devolvere ogni sua energia a cercare di non ridere apertamente. Fallisce in parte, mentre uno sbuffo divertito gli abbandona le labbra e le spalle si rilassano perché quella dicotomia in Todoroki non si ferma a fuoco e ghiaccio, ma è un insieme di atteggiamenti in completa contrapposizione con la sua indole. Lo vede guardarlo, con una sfumatura di confusione nello sguardo, quasi non capisse il perché di quella reazione piuttosto vicina all’ilarità. 


«Davvero, Todoroki?» gli fa eco, mentre sembrano stranamente vicini al modo di comportarsi di due amici «Pensi sul serio che abbiano riconosciuto me?» gli fa notare, non riuscendo a trattenersi dal sottolineare nel modo più gentile possibile l’assurdità di quel fraintendimento. Shouto non sembra convinto, ma nemmeno ribatte, forse trovando un discreto senso in quelle parole. Hitoshi scuote la testa, ma con il fare bonario che nell’ultimo periodo ha imparato a rivolgere più che altro a Izuku, quando lui è l’unico a vedere in Hitoshi le potenzialità di un buon amico quasi dimenticandosi dei ruoli a cui i loro quirk li relegano, o le loro classi, o qualunque altro tipo di ranking. 


Non si aspetta assolutamente di vedere le labbra di Todoroki incurvarsi in un sorriso. E’ impreparato a vederlo sbuffare a sua volta, tradendo un divertimento genuino. E, meno di ogni altra cosa, è del tutto fuori da ogni sua percezione del loro (quasi inesistente?) rapporto quel colpetto spalla contro spalla che Todoroki gli offre, con una complicità quasi assurda. Shinsou lo guarda, abbassa gli occhi sulla propria spalla, cercando di non riflettere nell’espressione il modo quasi stranito in cui si sente. Todoroki Shouto è ancora lo studente del festival sportivo, è ancora il riflesso incrinato di una disperazione che sente addosso come se fosse una seconda pelle e che non sa se andrà mai via; è la figura che segue da troppo tempo quando passa nei corridoi, con la discrezione di chi non vuole essere visto e frainteso - o scoperto. E’ lì, di fianco a lui, più tangibile di qualsiasi ancora Hitoshi abbia mai avuto alla realtà, chiedendosi se ne avrebbe mai avuta una normale in cui non conta suo padre, non conta il suo quirk.


Pensava che la risposta alla domanda fosse Midoriya Izuku. Invece si ritrova, inaspettatamente, Todoroki. E, insieme a lui, ha tra le mani sentimenti di cui non sa cosa fare. Tranne nasconderli. Perché, se c’è una cosa che ha imparato, è di non poter pretendere di avere troppo quando a stento gli è stato concesso il minimo. 


*


Hitoshi non avrebbe mai scommesso sulla possibilità di unirsi alla sezione A, di poter - un giorno - perseguire il suo sogno di diventare un pro Hero insieme a quella che è sempre stata considerata l’eccellenza delle nuove generazioni. Per questo sente ancora le mani tremare, dopo l’allenamento di gruppo; anche se in parte è dovuto anche all’accenno di panico e preoccupazione provata quando si è reso conto che Midoriya stava perdendo il controllo. Forse perché non si aspettava si sarebbero addifati proprio a lui per provare a contenerlo, o foerse perché è difficile per lui immaginare che uno come Midoriya possa essere qualcosa di diverso da come uno della loro generazione si immagina un futuro eroe. 


Quando sono ormai tutti liberi di commentare i vari match di quell’esercitazione, accade qualcosa che Shinsou si sarebbe aspettato persino meno della fiducia che i ragazzi della 1-A gli hanno dimostrato. Quel qualcosa è sentire la voce di Todoroki rivolgersi a lui con un: «Possiamo parlare un momento?»


Per quanto ci provi, Hitoshi sospetta di non riuscire a mascherare del tutto la sua perplessità. Nonostante questo non ha motivo di negare - o di negarsi - questa compagnia; perciò si muove passo dopo passo verso Todoroki. Non si allontanano poi troppo, tanto che quando si siedono possono ancora tranquillamente vedere i loro compagni divisi in piccoli gruppetti, ognuno impegnato in una conversazione. Hitoshi occhieggia l’altro un paio di volte prima di sentirsi rivolgere la parola. 


«Grazie,» gli sente dire «di aver aiutato con Midoriya.» chiarisce subito. Hitoshi si volta a guardarlo direttamente, senza sapere bene come reagire alla cosa. Da una parte pensa di non aver fatto nulla di speciale ma il minimo sindacale: dare una mano, o almeno provarci. Può non essere scontato tra le persone, ma in un contesto di aspiranti eroi Hitoshi dubita che qualcuno si sarebbe sottratto. Dall’altra, crede di riuscite a capire che in quel ringraziamento non c’è solo la gratitudine per un intervento fisico o del proprio quirk. Incredibilmente, Hitoshi si ritrova a parlare d’istinto spostando lo sguardo sugli altri ragazzi, Midoriya compreso. 


«Credo che Midoriya, più di chiunque altro, non avrebbe mai sopportato l’idea di coinvolgere qualcuno nella perdita di controllo del suo quirk.» pronuncia infatti con tono basso, cogliendo con la coda dell’occhio il movimento della testa di Todoroki, sentendo lo sguardo su di sé. Non puà distinguerne l’espressione, visto che non lo guarda, ma può provare a immaginarla. Specie quando Todoroki dice: «Forse tu lo capisci meglio di quanto gli altri pensano.»


Hitoshi comprende il sottinteso, se lo sente sulle spalle, ma lo ignora perché è il tipo di cosa di cui non parla con le persone; così abbozza un sorrisetto e lo guarda di sottecchi: «Non sono esattamente il suo migliore amico.» osserva con una leggera alzata di spalle «Ma è piuttosto evidente che tipo di persona sia Midoriya.» aggiunge, convinto che non abbiano molto altro da dirsi. Quasi si aspetta di vedere Todoroki alzarsi e spostarsi verso il gruppo, magari con un cenno di saluto verso di lui. Invece l’altro, contro ogni sua previsione, pronuncia un: «Però nessuno di loro sa cosa significhi temere il proprio quirk. Midoriya forse ha imparato solo a considerare i danni sul suo corpo, ma non su quello degli altri.»


Potrebbero affrontare questo discorso, se volessero. Potrebbero  restare lì seduti e raccontarsi di quanto questo li abbia condizionati: chi puà ferito dai pregiudizi degli altri, annidati nella sua testa con lenta ma instancabile violenza, chi invece influenzato da avvenimenti traumatici. Potrebbero dirsi quanto difficile sia convivere con la consapevolezza che la cosa di cui si ha più paura è una parte di se stessi, quella indispensabile per i propri obiettivi. Potrebbero riconoscere l’uno nell’altro la paura, il dispiacere, la delusione;  ma anche una piccola e incrollabile speranza, oltre alla gratitudine - e un pizzico di ostinazione. Sarebbe come guardarsi allo specchio (di nuovo), perché entrambi sono stati salvati da Midoriya. Perché Hitoshi non pensa potrà mai dimenticare il Todoroki di quel festival sportivo, neanche tra dieci anni. 


Potrebbe assecondare l’istinto di stringergli la mano e confortarlo.


Eppure non fa nulla di tutto questo.


*


Si accorge distrattamente di dare una spallata a un’infermiera e, in un angolo molto remoto della sua mente, si sente in colpa per questo e per non aver nemmeno preso in considerazione di fermarsi a chiedere scusa. Hitoshi si ripromette di farlo dopo, ma adesso non può perdere tempo in quel modo - non mentre scatta per i corridoi di un ospedale, anche se “scatta” è una parola grossa con tutti i dolori che sente in tutto il corpo. Dietro di lui ha la vaga percezione di qualcuno che lo richiama, eppure adesso come adesso non si fermerebbe neppure se fosse Aizawa-sensei a chiedergli di farlo.


All for One è stato sconfitto e nemmeno il mondo ci crede ancora, troppo spaventato e troppo - irrimediabilmente - ferito da troppe cose su cui lui, Shigaraki e la League of Villains è riuscita a mettere le mani. Le certezze di tutti si sono sgretolate come un masso costantemente vessato che alla fine non può rimanere del tutto intatto in eterno. Hitoshi sa che ogni singolo Eroe ha almeno una ferita e che molti sono stati meno fortunati, rimettendoci la vita. Basterebbe già questo a farlo sentire in modi difficili da comprendere anche per lui stesso, ma a stringergli il cuore nel petto quasi All for One in persona ci avesse messo le mani e lo stesse stritolando per ucciderlo è che nessuno sia stato in grado di dirgli con precisioni le condizioni di Todoroki. 


E’ stato talmente al centro dello scontro, almeno per parte di esso, che Hitoshi non sa come prendere quella mancanza di informazioni: non lo sanno perché tutti troppo lontani da lui per essersene sincerati con i propri occhi? Non lo sanno perché non stanno rilasciando notizie ufficiali nemmeno tra i pro Hero? Non vogliono dirglielo per scelta?


Ha il vago sentore della voce di Kaminari che lo chiama ma la ignora fin quando il suo cervello non registra che proprio gli altri della 1-A potrebbero sapere dove si trovi Todoroki. Così fa dietro front, fermandosi a ridosso della porta con una fitta dolorosa al fianco, una che sembra prendersi gioco di lui dicendogli così impari a correre dopo essere appena stato rattoppato. Digrigna i denti per un momento, prima di alzare lo sguardo e abbracciare l’intera stanza, alla febbrile ricerca di una testa inconfondibile; quando la trova, di lì a qualche secondo, sente il macigno nel suo stomaco sciogliersi in un istante e un’ondata di sollievo investirlo in pieno. Todoroki è seduto su un letto d’ospedale, sì, è pieno di bende ma è vivo. Non è qualcosa su cui Hitoshi ha avuto il coraggio di scommettere finora.


«Wow, sicuro di star bene?» domanda Kaminari, con quache cerotto e graffio, oltre all’aria stanchissima come tutti loro, ma niente di davvero letale a vederlo. In compenso sembra piuttosto preoccupato per lui, tanto da poggiargli una mano dietro la schiena, neanche si aspettasse di vederlo cadere come una bambola senza vita da un momento all’altro: «Sei bianco come un cadavere.» offre come spiegazione, solo per sentir intervenire Ojiro con un «Credo sia un paragone da evitare…»


In altri momenti Hitoshi crede che gli strapperebbe un sorriso, specie quando Kaminari inorridisce nel rendersi conto cos’abbia detto; ora come ora, però, Hitoshi annuisce con un vago «Tutto bene, niente di rotto.» che non è una bugia anche se qualcosa di rotto c’è - incrinato, corregge la voce della sua coscienza, puntualmente ignorata. 


«Ho chiesto di alcuni di voi… continuavano a non dire niente di chiaro.» mormora, occhieggiando anche lo stesso Kaminari e vedendolo sospirare: «Eh, è un casino, ci sono un sacco di pro Hero di cui stanno ancora accertando le condizioni…» conferma lui, le spalle che si abbassano tradendo il dispiacere di chi avrebbe voluto fare di più, non importa quanto sia chiaro a tutti che abbia fatto il massimo senza risparmiarsi nemmeno per un istante. Hitoshi allunga una mano per dargli una pacca leggera e piuttosto goffa, perché non ha avuto il tempo di abituarsi a quel tipo di condivisione con loro. Al tempo stesso, però, se sopravvivere a una guerra non unisce, non sa cosa dovrebbe farlo.


Kaminari infatti gli rivolge un sorriso amichevole, mentre Ojiro gli offre lo stesso gesto consolatorio; Todoroki ha lo sguardo verso la finestra, invece, e non si è mai voltato in direzione della porta da quando Shinsou è entrato. Kaminari e Ojiro sembrano seguire il suo sguardo e intuire la sua tacita domanda: il primo scuote la testa, a suggerirgli forse di aver già tentato e fallito. Il secondo, invece, abbozza un sorriso che sembra volergli dire “prova, se vuoi” senza credere molto in un risultato diverso. Entrambi, però, lasciano la stanza di lì a poco annunciando di andare a controllare gli altri e a cercarli nelle stanze. 


Hitoshi ha la strana sensazione di essere finalmente solo con Todoroki, così da potersi accertare delle sue condizioni, e al tempo stesso di non essere pronto a condividere da solo la stanza con lui. Specie a giudicare da come l’altro non sembri avere alcuna voglia di compagnia. Nonostante questo decide di muoversi verso di lui, almeno per vederlo in viso e assicurarsi che la situazione non sia grave. In silenzio, se necessario, senza disturbarlo per niente più di uno sguardo. 


Se non fosse che, quando Todoroki rientra nel suo campo visivo per bene, a Hitoshi si stringe lo stomaco in una morza ferrea quasi quanto quella che lo ha accompagnato fino a quella stanza. Il ragazzo seduto su quel letto non è né quello del festival sportivo, una realtà che sembra lontana anni, né quello convinto bastino un berretto e una mascherina a renderlo irriconoscibile. Non è quello che lo ringrazia per aver aiutato un amico. Non è il suo specchio, non più. E’ qualcuno a cui dentro si è spezzato qualcosa, senza molta possibilità di rimetterla a posto. Nemmeno per Hitoshi, che un tempo ha pensato di capirlo meglio di altri, perché così simili sotto alcuni punti di vista.


Fa per muoversi verso la porta, ma a sorpresa si sente dire: «Resta.» 


Todoroki non lo guarda ancora e ha il tono stanco di chi ha visto troppo, combattuto troppo, vissuto troppo. Si tratta di qualcosa che va oltre tutti i bendaggi, i graffi, le ferite fisiche in generale. E’ qualcosa che ha scavato dentro e che potrebbe scavare per ancora tanto tempo, fino a non lasciare niente; Hitoshi sospetta non ci sia nulla da dire a qualcuno che ha ritrovato suo fratello solo quando un villain gli si è parato davanti professandosi tale, decretando con poche parole che non potessero coesistere insieme e da vivi. O che almeno uno dei due non avesse né interesse, né intenzione a farlo. 


Hitoshi non potrà mai prendersi la responsabilità di dire a Todoroki l’unica cosa che vorrebbe sentirsi dire, ossia che tuo fratello non diceva davvero - in primis perché sarebbe irresponsabile: non saprà mai cosa voleva Dabi (Touya). Oltretutto Hitoshi non è affatto sicuro che questo aiuterebbe Todoroki in alcun modo. Cos’è meglio, dopotutto, sapere che il proprio fratello provava davvero odio o che sarebbero potuti essere qualcosa di diverso da due nemici ma ormai non lo sarà mai con certezza perché suo fratello è morto?


«Mi dispiace.» gli dice soltanto, in un sussurro, mentre si siede accanto a lui. Lo vede irrigidire appena le spalle e stringere le mani lì in grembo dove le tiene senza mai essersi mosso da quando lui è entrato. Hitoshi sospetta di aver detto due sole parole e aver comunque scelto quelle sbagliate.


«Era un villain. Avrebbe ucciso qualcuno, ha–»
«Sì.» lo interrompe Hitoshi, guardando davanti a sé verso la stessa finestra che sta fissando anche Todoroki - perché se continuasse a guardare il ragazzo al suo fianco, finirebbe col tremargli la voce. Vederlo così è una delle cose più difficili che Hitoshi abbia dovuto fare e dirlo dopo una guerra è ancora più significativo. Ed è così sfibrato da temere di non avere abbastanza forza anche per questo, non adesso. 


Rimangono in silenzio, uno con due pesi diversi: per Todoroki, sospetta, è il silenzio di una realtà che deve ancora scivolare e adattarsi alla persona che la rifiuta. Per Hitoshi è la disperata ricerca della cosa giusta da dire, in un repertorio spoglio di relazioni sociali.


«Però era mio padre.» pronuncia a un certo punto, così privo di senso logico - neanche stesse dicendo che Dabi era suo padre - da portare persino Todoroki a guardarlo per un breve istante. Non è che Hitoshi lo ignori, ma mantiene il proprio sguardo dov’è, forse per dare all’altro l’illusione di non essere visto e di poter decidere se continuare a fissarlo o tornare rivolto nella stessa direzione di poco prima. Lui, in ogni caso, preferisce non affrontare questo discorso con un contatto visivo: «Voglio dire» riprende «è quello che ho pensato a un certo punto. Quando tutti hanno continuato ad aspettarsi che facessi la stessa fine, visto il quirk che mi ritrovo.» lo dice non senza difficoltà. Perché, dopotutto, non ha ancora affrontato direttamente l’argomento con nessuno e forse non era sicuro di volerlo fare proprio con Todoroki fino a questo momento. Fino a quando non ha compreso che potrebbe essere l’unica cosa, tra quelle di cui l’altro ha bisogno, che lui possa dargli: un appiglio basato sull’esperienza personale. 


Sospira, pianissimo, quasi sperando che il ragazzo al suo fianco non lo senta: «“Farà la stessa fine”, lo hanno creduto tutti quelli che mi hanno sentito parlare della U.A. o che hanno scoperto il mio quirk. Perché mio padre ha scelto la strada sbagliata e io, con un’abilità adatta a un villain, che altra direzione potevo prendere?» mormora, sforzandosi di tenere il tono fermo, attribuendo ogni tremolio anche solo vago al dolore alle costole. Todoroki non lo interrompe e questo lo aiuta in modi che non ha tempo di analizzare.


«Non so se perdonerò mai mio padre per questo.» ammette, senza dilungarsi su cosa intenda con “questo” - il fango gettato su di lui, l’ombra con cui ha avvolto la sua reputazione prima ancora che Hitoshi potesse formarsene una personale. Ogni fibra di lui combatte per non parlare affatto di lui e di quei sentimenti contrastanti che non sa se riuscirà mai a chiarire; eppure, si ripete, è l’unica cosa che può fare. L’unico supporto che è capace di dare, qui e ora: «Ma era mio padre. Mi piaccia o no. E lui era tuo fratello.»


C’è un lungo, lunghissimo silenzio tra loro. Todoroki guarda di nuovo davanti a sé, stringe ancora le mani in grembo, sembra ancora come se gli avessero scavato un buco nel petto e gli avessero strappato il cuore - però a un certo punto, quando Hitoshi si gira a guardarlo direttamente per la prima volta, vede il suo labbro inferiore tremare. E’ solo un istante e non ci sono lacrime; in compenso Todoroki apre bocca per pronunciare una frase ben più lunga di un disperato “resta”. 


«Adesso, però, il mondo intero ha visto che sei un eroe e che hai salvato delle vite.»

 

E’ assurdo come lui dovrebbe consolare Todoroki e, invece, si ritrovi ad ascoltare quell’unica frase che più di qualsiasi premio gli fa capire quanto sia riuscito a essere almeno in piccola parte ciò che voleva. Il tipo di persona che, oltre i pregiudizi degli altri, riesce comunque a fare del bene. A essere quello che sogna di essere, non quello che per colpa degli altri sembra destinato a diventare senza possibilità di appello. Specie considerando come, fino a poco più di un anno prima, un pensiero simile non sarebbe mai stato nemmeno concepibile per lui. Lo deve a Midoriya, ma lo deve anche a persone come Todoroki Shouto.


Lo stesso che, dopo avergli appena offerto senza alcuna pretesa parole salvifiche che Hitoshi non avrebbe mai osato sperare di ricevere, gli prende repentinamente la mano. Non è una stretta romantica, non è la timida ricerca di un contatto intimo. E’ il disperato bisogno di aggrapparsi a qualcosa e per questo gliela stringe di rimando.


«Era mio fratello.» sussurra pianissimo, così tanto da far pensare di essersela immaginata, quella voce spezzata dal dolore di chi avrebbe voluto poter salvare il pezzo mancante di una famiglia che non si potrà risanare mai più, non dopo questo: «Era mio fratello.»


Hitoshi rimane in silenzio, e lascia che Todoroki lo ripeta per quante volte vuole, stringendogli la mano fino a fargli male.


*


Il post guerra è difficile per tutti, e non certo in maniera inaspettata. Hitoshi non si stupisce che sia difficile tornare alla normalità, ma è ancora più complicato quando non deve solo riabituarsi ai suoi ritmi ma anche a come si è trasformato il suo rapporto con Todoroki - ecco, quello è stato inaspettato. Hitoshi non sa collocare il momento in cui una serie di cose sono diventate la normalità: farsi affiancare da Todoroki nei corridoi, ritrovarsi spesso vicini a mensa, fare qualche allenamento insieme durante le lezioni pratiche. Di per sé non può dire di non apprezzarlo, anzi; sarebbe semplice crogiolarsi nell’idea di aver trovato un’anima così affine alla sua, un amico oltre Midoriya senza però la componente dalla rivalita che prova invece nei confronti dell’erede di All Might… se solo Hitoshi potesse raccontarsi quella bugia e crederci.


All’inizio forse ci è anche riuscito, ma poi con il tempo è diventato difficile ignorare i segnali. Lui non vanta di essere un esperto quando si tratta di amicizie e di cosa comportano, cosa a cui Kaminari - per dirne uno - sembra voler rimediare in ogni modo possibile, ma è abbastanza sicuro che il conforto della vicinanza di un amico non si trasformi mai nel desiderio di tenergli la mano, di condividere una serie di intimità molto diverse tra loro ma tutte ben oltre il sentimento in questione. A Hitoshi non rimane altro che nasconderlo ed è anche convinto di farlo bene; perciò, naturalmente, Midoriya lo scopre.


Glielo chiede quando sono gli unici a essersi attardati per liberarsi del loro costume da Eroe. Conoscendolo, Hitoshi sospetta debba aver pensato per settimane a come approcciarlo, assicurandosi fossero soli, e a come prendere il discorso. In un certo senso lo apprezza, perché dopotutto Midoriya è un osservatore troppo acuto perché potesse sfuggirgli per sempre come guarda Todoroki; d’altra parte, come molte altre cose di cui ha parlato a stento negli anni, anche questa è una di quelle che Hitoshi pensa dovrebbe tenere per sé e portare come un bagaglio non condivisibile con nessuno. Perciò si gela sul posto quando Midoriya, dopo un approccio molto vago e generico che non sortisce l’effetto sperato, gli dice: «Credo a Todoroki-kun farebbe davvero piacere se ci fossi anche tu.»


Sembra una frase buttata lì, collegata al semplice parlare dell’imminente capodanno e della festa che vorrebbero fare tutti insieme. Eppure è quella specifica a far capire a Hitoshi che entrambi stanno fingendo di non sapere qualcosa - Midoriya della sua infatuazione, lui che Midoriya l’abbia notata e si riferisca esattamente a quella. Così Hitoshi sospira e si arrende, sedendosi sulla panchina centrale. Ci vuole una manciata di secondi scarsi perché veda Midoriya fare lo stesso alla sua destra. Se non altro, se questa conversazione deve avvenire, gradisce molto che l’altro aspetti con pazienza e gli dia tempo di organizzare i pensieri. 


Non che ci sia granché da organizzare, comunque.


«Non sono così speciale.» gli esce di bocca al posto di molte altre cose più sensate. Forse, senza nemmeno rendersene conto, ha provato a riassumere in una frase tutto quello che pensa ci sia da dire in quella conversazione un po’ forzata: Todoroki non vuole me come io voglio lui, lo so e mi sta bene, possiamo essere amici senza troppi drammi.


Se lo sguardo di qualcuno potesse perforargli il cranio, quello di Midoriya lo avrebbe già fatto; sarebbe anche una beffa non indifferente, farlo proprio a lui che con la mente delle persone può interferire in una certa misura. Lo fa quasi innervosire, grato di sentirlo prendere un respiro prima e parlare poi: «Per Todoroki-kun o in generale?» gli sente chiedere, già pronto a rispondere dissimulando quando è sempre Midoriya a rompere il silenzio «Perché anche tu hai salvato il mondo, Shinsou. Più di uno.» 


Quell’aggiunta gli fa inarcare un sopracciglio e, suo malgrado, lo spinge a guardare Midoriya dritto negli occhi. Non trova un rimprovero nei suoi lineamenti, quanto più una convinzione. E’ difficile dire a chi è l’Eroe per antonomasia di questa storia chi abbia contribuito e chi no, come voler insegnare a un cuoco il modo giusto in cui cucinare. Il sorrisetto sulle labbra dell’altro gli fa supporre ne sia pienamente consapevole, nonostante il suo carattere lo porti a non mostrare eccessiva strafottenza nemmeno quando potrebbe permetterselo.


«Beh,» riprende Hitoshi «non l’ho certo salvato da solo.»
«Se parli della guerra, no. Nessuno poteva vincerla da solo.» conviene con lui Midoriya - Hitoshi si è accorto che, al pari di molti altri, anche lui quando accenna a quell’evento sembra perdersi in un vuoto così profondo da far temere sempre che chi ci cade non torni indietro. Hitoshi sa che tutti loro, chi più e chi meno, sono nella stessa condizione e ci rimarranno probabilmente per tanto tempo ancora. 


«Però» dice Midoriya «c’è anche chi hai salvato da solo.» fa notare, occhieggiandolo forse per capire se Hitoshi stia seguendo il suo discorso. Se stia cogliendo i riferimenti. Stavolta, però, Hitoshi lo deve deludere perché sta iniziando a perdersi in quello che gli sembra un giro di parole sempre più lontano dal focus del discorso: «Parlo di quel giorno in ospedale.» aggiunge Midoriya e Hitoshi comprende istantaneamente il soggetto della frase questa volta. Immagina che, per forza di cose, sia stato Todoroki a raccontarglielo.


«Avresti fatto la stessa cosa.» pronuncia con un’alzata di spalle leggera, sottintendendo il aiutarlo a non sentirsi schiacciato «In verità… avrei potuto farlo meglio. Ho solo parlato a vanvera.» confessa, non la sua migliore dimostrazione di autostima a dirla tutta, ma a questo punto non è la dignità personale a interessargli troppo. Specie quando una delle maggiori ragioni per cui la sua dignità viene meno è stata già scoperta dallo stesso Midoriya. Proprio il ragazzo che ha acceso in lui la speranza di poter essere un Eroe e di poter essere migliore. Quello che adesso lo guarda con un accenno di rimprovero nello sguardo e lo fa sentire un po’ un ragazzino sprovveduto nonostante abbiano la stessa età.


«Credo tu abbia parlato di quello di cui Todoroki-kun aveva più bisogno.» dice, senza girarci troppo intorno questa volta «Lui non mi ha detto di cosa abbiate discusso nel dettaglio, perché ti riguardava personalmente e non stava a lui raccontarmelo. Ed ero d’accordo. Ma anche rimanendo molto sul vago, Shinsou… per lui è stato importante.» aggiunge, con più dolcezza. Hitoshi lo capisce e una parte di lui è stupidamente euforica per questo; purtroppo affossare se stessi è un’abitudine che, una volta acquisita, è quasi impossibile da perdere. 


Per quello finisce con il recitare una parte che non è davvero la sua, abbozzando un sorriso di scherno per se stesso più che per Midoriya: «Magari l’ho fatto per un tornaconto.» butta lì, quasi gli stesse scappando di bocca per caso, solo per sentire la spalla di Midoriya dare un colpetto contro la sua e la voce dell’altro dirgli «E’ un po’ tardi per fingere di essere dei cattivi.»


Lo fa sorridere, tanto da sbuffare un accenno di risata senza allegria, ma consapevole di non potersi giocare la carta della persona senza scrupoli. E’ quando si arrende a questa consapevolezza che le spalle si incurvano un po’ e lui si sente di nuovo un dodicenne che deve schermarsi dal resto del mondo, difendersi chiudendosi in se stesso. Sospira piano e lentamente, buttando fuori l’aria neanche stesse sputando veleno per liberare il corpo da una sostanza nociva. E’ difficile a quel punto tenere per sé un: «Era insopportabile guardarlo spezzarsi davanti a me.»


Vede negli occhi verdi di Midoriya la comprensione, il dispiacere e la vicinanza. La sente nel corpo che si avvicina a lui e nella mano che vede poggiarsi sul suo ginocchio, in un gesto di complice conforto: «Ci sei riuscito. A non farlo andare in pezzi.» gli comunica, in poco più di un sussurro, a metà tra un segreto e il cercare di calmare un bambino svegliatosi da un incubo. In fin dei conti la guerra non è stata molto diversa da quello.

«Perché non ti permetti di guardarlo come vuoi?» sente domandare a Midoriya, quasi con dolcezza. Per certi versi è peggio di sentirsi accusare - perché essere legittimati, ora come ora, per Hitoshi rende tutto più difficile.


«Perché…» prova a dire, sentendosi la bocca secca e ritrovandosi a deglutire «a volte non si tratta solo di guardare. Todoroki e io… siamo diventati amici. O qualcosa che ci somiglia molto. Credo stia bene così a entrambi.»
«O almeno a lui.» gli fa eco Midoriya, cercando di essere sincero e diplomatico al tempo stesso. Hitoshi lo vede stringere appena la mano sul suo ginocchio, in un movimento veloce e più che altro simbolico: «Io penso che Todoroki-kun, più di chiunque altro, ti conosca e sappia quanto sai tenere alle persone, una volta che sono nella tua cerchia. E meglio di tutti sa che non imporresti mai i tuoi sentimenti a nessuno. Sei la persona più distante dal modo in cui tutti hanno percepito il tuo quirk. Lo hanno visto… come qualcosa di dannoso ma tu, Shinsou, non hai mai manipolato il cuore di nessuno. Non lo faresti mai. Lo so io, lo sa la nostra classe, lo sa tutto il Giappone adesso. E di certo Todoroki-kun non lo ha pensato nemmeno una volta.» 


Midoriya parla con tutta la gentilezza di cui è capace, ma anche con fermezza. Hitoshi è consapevole di quanto abbia ragione, ma al tempo stesso quel piccolo passo è qualcosa di difficile per lui. Eppure, al tempo stesso, se pensa a com’era poco più di un anno prima… deluso, amareggiato, convinto di non poter dimostrare niente a nessuno nemmeno in un milione di anni. Incredulo di fronte alla possibilità di essere compreso e di poter essere diverso da quello che gli altri si erano aspettati da lui dall’inizio. E’ cambiato così tanto, e con lui sono cambiati anche i sentimenti per le persone: la rivalità verso Midoriya è, ora, un’amicizia basata su un profondo rispetto. Todoroki era il suo specchio distorto e ora è qualcuno capace di così importante, capace di comprenderlo profondamente ma anche molto diverso da lui. 


Il loro rapporto è cambiato. Quello che prova Hitoshi è mutato, diventando sempre qualcosa di diverso capace di trascinarsi dietro il sentimento precedente - riconoscersi, compatirsi, essere un fastidioso specchio sulla realtà. Però poi vedere la forza, vedere il potenziale e le fragilità. Decidere di proteggerle. Decidere di volere di più e convincersi a non volerlo se significa prendersi cura dell’altro.


E’ una cosa così complessa che, seppure Hitoshi volesse suicidarsi emotivamente in questo modo, non pensa avrebbe abbastanza parole per riuscirci. Lui che, in generale, abbonda di silenzi invece.

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Prompt: l’inizio della fine
Missione: M5 (week 6)
Parole: 3173
Rating: teen up
Warnings: hunger games!au



Ci sono notti in cui non riesce a dormire, volte in cui la colpa è della fame, altre in cui è la stanchezza di troppe ore di lavoro a cui somma quelle nel mercato nero. Rody ha sempre avuto questa capacità di svicolare tra bancarelle e tizi poco amanti delle sue battute - privi di spirito, a suo modesto parere - con la facilità di chi l’illegalità sembra averla respirata fin dalla nascita. Chi lo conosce e lo ha visto crescere, però, sa bene come non sia stato sempre così: genitori di tutto rispetto, una famiglia povera di beni materiali ma non di affetto o di voglia di vivere di piccoli momenti di gioia. Ogni tanto, quando non riesce a dormire, Rody ripensa a quando casa sua era più di un insieme di stanze impolverate. A quando era piena delle risate sommesse di sua madre e della voce di suo padre intenta a giocare con i suoi fratelli - o a come poi andasse da lui, portandogli qualche meccanismo strano facendogli l’occhiolino: vediamo se riesci a sbloccare anche questo, Rody.


Gli manca casa. Gli mancano i suoi genitori. Gli manca anche la fame, a dirla tutta. 


Alza lo sguardo, mentre la luce si fa sempre più vicina e lui, silenzioso, viene portato sempre più in alto; chiuso in un tubo di vetro e metallo come se fosse la sostanza dentro una provetta. Gli scappa un mezzo sbuffo divertito perché, in fondo, deve essere così agli occhi di tutti quelli che di lì a breve diventeranno gli spettatori della sua tragedia. 


*


Rody, negli anni, ha preso delle abitudini più o meno sane: una delle peggiori, che ha tenuto nascosta ai fratelli per evitare che lo imitassero, è quella di sgattaiolare alle prime luci dell’alba fuori di casa, quando tutto il distretto dorme ancora e nemmeno i Pacificatori hanno la pessima idea di mantenere una sorveglianza troppo stretta. Così Rody si è spinto sempre più lontano: la prima volta, con la paura di essere notato subito e - al tempo stesso - l’eccitazione all’idea di poterla fare franca. La seconda, la terza, la quarta– ha quasi subito messo da parte le emozioni negative e lasciato che solo le positive lo guidassero per scorciatoie e oltre i confini che li separano da ampi prati e aree boschive.


Molto spesso, Rody si limita a cercare qualche pietra su cui sedersi o in casi più rari si prende anche la briga di salire sugli alberi. Come la volta in cui ha trovato Pino, unica rimasta di una nidiata: l’ha tenuta d’occhio per tre giorni prima di decidersi a salvarla da un nido abbandonato e prendersene cura, assicurandosi che tornasse in forze, disposto pure a privarsi di qualche preziosa briciola di pane per lei. Non saprebbe spiegare perché abbiano avuto questa sorta di imprinting uno con l’altra, eppure da allora Pino è sempre rimasta appollaiata sulla sua spalla per la maggior parte del tempo, fedele compagna nella buona e nella cattiva sorte. 


Poi, Rody ha fatto dell’osservare l’alba mentre rischiara il cielo l’abitudine dei giorni della Mietitura. Da quando il suo nome è stato nell’ampolla per la prima volta e ha provato una prigionia di minuti e minuti fin quando il nome letto dal cartoncino non è stato quello di qualcun altro. Da quando ha avuto la sensazione di soffocare con le mani di qualcuno al collo. Da quando ha assistito come tutti alla morte dei Tributi del suo Distretto durante gli Hunger Games e ha finito per sognare quelle atrocità ogni notte, per mesi


L’anno seguente ha avuto bisogno di respirare, di avere più aria possibile nei polmoni quasi dovesse farne una scorta; così è uscito, incapace di restare nel letto, con solo Pino sulla sua spalla e un silenzio tale da dargli la falsa impressione di una pace impossibile da scalfire. Persino da Capitol.


Così anche questa volta rimane lì da solo, a guardare un cielo che muta costantemente man mano che il sole lo rischiara, chiedendosi se sarà l’ultima alba che vedrà a casa con tutto ciò che casa può significare - Roro e Lala, più di chiunque altro; la sedia dove suo padre si metteva sempre tenendoselo in braccio da bambino; la coperta che sua madre metteva addosso a entrambi quando si addormentavano sulla poltroncina dalle molle cigolanti, che a Rody sembrava il trono di un re.


Pino cinguetta piano, sulla sua spalla, quasi volesse consolarlo.


*


Il giorno della Mietitura è uno dei due lutti del Distretto: la condanna di una morte quasi certa almeno per uno dei due malcapitati il cui nome viene sorteggiato, spesso troppo presto perché possa risultare qualcosa di diverso da una pura crudeltà. Rody si ricorda la sua terza Mietitura che, fino al momento dell'estrazione, non era stata così diversa dalle due precedenti. C'è sempre questo silenzio assordante, quando la rappresentante di Capitol City fa il consueto discorso di inizio, inutile preambolo prima che la lama di una metaforica ghigliottina si abbatta sul collo di ben due persone innocenti. Rody si ricorda di quando suo padre gli ha spiegato cosa fosse la Mietitura la prima volta e di quando ha assistito, ancora troppo giovane per essere toccato da vicino dalla cosa. Non dimenticherà mai di essersi sorpreso di tutto il silenzio che ha accolto l'estrazione dei nomi dei loro due Tributi, così innaturale da averlo portato a guardarsi intorno, convinto infantilmente che qualcuno avesse fatto una magia. Era il tempo in cui ancora poteva crederci, alla magia; distrutta, quando suo padre a casa lo ha guardato distrutto nel sentirsi chiedere: «Se è una cosa brutta perché nessuno piange?»


Rody ora lo sa: suo padre lo ha guardato consapevole che per anni - nel caso più fortuito - quel giorno sarebbe toccato anche a suo figlio, lo stesso con con ingenuità trovava strano il silenzio ma non tutto il resto.


«Perché le persone che vengono scelte molto spesso non possono tornare a casa, Rody. E tutti sono tristi per questo. A volte la tristezza è molto forte, così tanto che si vorrebbe urlare per renderla più debole... ma rimaniamo in silenzio. Così chi è stato scelto, forse, avrà meno paura.» gli ha spiegato suo padre e Rody da una parte ne comprende le ragioni, ma dall'altro vorrebbe che avesse spiegato meglio, edulcorato meno. Vorrebbe avere i mezzi per comprendere davvero, senza ritrovarsi a pensare a ogni Mietitura che è come vedere tutto il Distretto riunito a un funerale.


Si guarda intorno, vedendo facce conosciute e di cui ha imparato a comprendere le espressioni anche quando hanno cercato di renderle meno evidenti possibili, Mietitura dopo Mietitura; sorride ad alcuni di loro, un vago inclinarsi di labbra che nel mare di rassegnata disperazione equivale a saltare di gioia in mezzo a una folla di bambole immobili. Rody sa che alla fine tutti hanno capito quanto poco di lui sia davvero così sicuro, così sfacciato. Alcuni forse credono ancora sia un mistero di battutine fuori luogo, eppure immagina che persino chi ha quella opinione di lui si renda conto di come sia un modo per ostracizzare la paura - è il suo silenzio, quello, per bloccare il terrore anziché la tristezza. Perché per lui, ancora unico della famiglia Soul a poter partecipare ai giochi, non c'è il rischio che la sua paura maggiore si concretizzi: Roro e Lala sono ancora troppo piccoli per avere i loro nomi nelle ampolle da cui i cartoncini vengono estratti, sebbene il tempo passi inesorabile e lui non voglia nemmeno pensare a come questo potrebbe farlo sentire tra qualche anno. Sempre che ci arrivi in vita.


Quello di cui Rody ha paura è cosa succederebbe ai suoi fratelli senza di lui. 


Accanto a lui, Clair è perfettamente dritta e con lo sguardo rivolto al palcoscenico. Rody all'inizio faticava ad andare oltre la sua apparente assenza di emozioni, il che la rendeva difficile da inquadrare in modo a tratti fastidioso - specie per lui, abituato a indovinare l'indole degli altri e ad azzeccarci la maggior parte delle volte. Poi, però, ha assistito agli Hunger Games in cui uno dei Tributi scelti era suo fratello  e Rody ricorda la compostezza con cui Clair ha guardato suo fratello morire, senza mai distogliere lo sguardo, fino a quando non ha esalato l'ultimo respiro e il colpo di cannone nell'arena ha segnalato un Tributo vivo in meno. Rody ricorda di essersi chiesto come potesse non fare nemmeno una piega fin quando non ha abbassato lo sguardo e l'ha vista stringere così forte un vetro da ferirsi il palmo della mano. Ancora oggi sa esserci una cicatrice visibile lì, come un monito.


Da quel momento Rody ha provato un forte rispetto per lei ed è grato di averla al proprio fianco perché, sebbene lei non sia un possibile Tributo essendo ormai fuori età, è qualcuno che è stato toccato dagli Hunger Games e può capire. 


«Clair.» pronuncia rivolgendole un sorrisetto, trovando in lei solo un cenno del capo e un: «Rody.» in risposta. A lui basta, perché è loro modo di comunicare: formale in apparenza, ma amichevole per quello che Clair può offrire. D'altronde ci pensa la rappresentate di Capitol ad attirare l'attenzione di tutti, compresi loro due: il suo solito monologo, i sorrisi estasiati, gli abiti esageratamente colorati. C'è una familiarità quasi stomachevole nella sua figura, per quanto Rody abbia capito ormai come sia una marionetta nelle mani di un sistema più grande quasi quanto i Tributi. L'unica differenza è che lei rimane viva anno dopo anno.


«Bene.» pronuncia, muovendosi con i suoi tacchetti verso l'ampolla dove sono i nomi dei Tributi donne. Rody la vede affondare lentamente la mano dentro, girarla tra i cartoncini quasi ci tenesse a far vedere come si tratti solo del caso, che le estrazioni non sono truccate; lui si domanda, osservandola, se sia consapevole di come stia attestando l'ovvio dal momento che per Capitol e gli spettatori degli Hunger Games non c'è davvero differenza tra uno o l'altro Tributo. Nessuno bada alla carne da macello, dopotutto. 


Rody la vede estrarre il nome e riguadagnare il centro di quel piccolo palco, aprendo il foglio per leggerne il nome. Gli occhi passano sulla folla, quasi potesse individuare la portatrice del nome, neanche li conoscesse uno per uno. La sua voce, poi, scandisce il nome: «Leila Shan.» e per un istante a Rody sembra di essere parte di un unico grande corpo, di essere una cellula di un intero sistema che trattiene il fiato. Poi, inaspettato, il silenzio a cui suo padre ha sempre attribuito il tentativo di non far sentire ai Tributi la paura, viene spezzato da un grido. 


Negli anni ha sentito tanta gente gridare. Tante persone disperarsi, mentre guardavano gli Hunger Games dagli schermi che Capitol City si premura di fargli avere volta dopo volta, perché al danno si possa aggiungere anche la beffa. Ma il grido di questa volta è disumano: sembra scavargli nella carne come artigli di una belva feroce il cui unico scopo è dilaniare ogni brandello di corpo che riesce a sfiorare, è il volto di una disperazione profonda e inconsolabile, di quelle che Rody pensa possano essere l'inizio di una caduta verso la follia. Con la coda dell'occhio vede qualcosa muoversi, ma prima che abbia voltato la testa Clair lo ha già superato e intercetta una donna. Rody la conosce, perché lì si conoscono tutti: è la madre del Tributo che è stato appena chiamato. Leila Shan. Ha appena dodici anni.


Clair la sta trattenendo con forza, con le mani sulle spalle, mentre la donna grida fino a grattare con violenza contro le proprie corde vocali; i Pacificatori la guardano, Leila la guarda in lacrime mentre la portano verso il palco. Rody si muove per aiutare Clair ma basta uno sguardo della giovane per bloccarlo sul posto, mentre la sente parlare a quella madre disperata. Le ripete: «Non andare, non farle avere ancora più paura.» e poi «Lo so.» e «Ti tengo io.» e ancora «Se ti opponi ti uccideranno davanti ai suoi occhi.»


La cosa peggiore è che quel suo "lo so" non è tanto per dire. 


«...E ora» la rappresentante di Capitol cerca di riprendere il discorso, come se nulla fosse accaduto il quel fuori programma. Eppure, quando sposta lo sguardo su di lei, Rody si accorge in un istante di quanto sia confusa e scombussolata da quella reazione, come un bambino a cui certi atteggiamenti degli adulti sfuggono. E' quasi grottesco, eppure Rody ha un vago moto di pietà verso di lei mentre estrae un cartoncino dal recipiente dei Tributi maschi e quasi le scivola di mano. Si schiarisce la voce, quasi a voler glissare su quella piccola caduta di stile.


«Rody Soul.» chiama lei, cercando di vedere chi si sposterà per andare incontro alla morte.


Perché, in fondo e fin dall'inizio, la sorte non è mai stata a loro favore.


*


Il suo mentore ha cercato di fare il possibile fin da quando sono saliti sul treno che li avrebbe portati a Capitol City. Rody ha capito quasi subito che avere Leila nel team gli abbia spezzato il cuore più di quanto possa già esserlo quello di un normale Vincitore, uno che per tornare a casa ha dovuto uccidere altre ventitré persone fingendo che non gli importasse. Rody lo ha osservato parecchio, pur prestando attenzione ai suoi consigli quando doveva: non crede di poterne uscire vivo, anche se è l'obiettivo di tutti quando si entra nell'arena, ma se dovesse farcela si chiede come potrebbe sopravvivere. Non agli Hunger Games, ma dopo. Si può considerare una vittoria tornare vivi a casa anche sentendosi irrimediabilmente morti dentro? Durante la notte insonne prima dell'inizio dei giochi, Rody si è chiesto se sarà in grado di tornare indietro ed essere ancora se stesso, se Roro e Lala potranno essere ancora il suo fratellino e la sua sorellina. Se Pino, che come tutti gli animali è istintivamente molto più perspicace su cosa sia considerabile o meno un pericolo, gli si poggerebbe ancora con la stessa naturalezza sulla spalla. 


Leila è una bambina dolcissima e a Rody spezza già il cuore sapere che forse non riuscirà a superare i due giorni nell'arena. Non perché non sia in gamba, ma perché è troppo gentile, troppo distante dal concetto di uccidere un'altra persona. Quasi spera, in cuor suo, che si nasconda fino a che l'arena non li ucciderà tutti - lo distrugge pensare che un giorno, in futuro, potrebbe esserci Lala al suo posto. Per questo quando la sera prima dell'inizio della loro edizione degli Hunger Games lei gli chiede di dormire insieme lui non ha il coraggio di dirle di no e, forse, fa bene a entrambi avere qualcosa di vagamente simile a quello che hanno avuto a casa. Lui una sorellina che gli si addormenta accoccolata addosso, lei il calore di una persona più grande e una mano ad accarezzarle i capelli, quasi per assicurarle che è solo un brutto sogno e l'indomani tutto andrà meglio. 


Anche se è stata una bugia, Rody ne è consapevole ora più che mai, mentre si salutano per essere divisi e portati a indossare la tenuta dei giochi.


Non perde tempo a eseguire ciò che la voce metallica gli dice di fare, abbandonando i confortevoli abiti che Capitol City gli ha messo a disposizione in quei lussuosi alloggi in cui sono stati fino a ieri, in favore di una tuta molto più comoda e di pregiato tessuto adatto alla sopravvivenza. Di cosa, Rody non riesce nemmeno a immaginarselo: nelle edizioni che ha visto c'è sempre stato qualcosa di letale persino laddove riteneva impossibile individuare un pericolo. Dubita che questa volta sarà molto diverso. 


Si morde l'interno della guancia quando gli bucano un braccio per inserirgli il piccolo congegno che permetterà ai Game Master di monitorarlo per tutto il tempo e di giocare con lui, mostrando a Capitol lo spettacolo migliore possibile. Non vuole dar loro nessuna soddisfazione, perciò fa sì di non lasciarsi scappare nemmeno un fiato a quell'iniezione e li osserva andarsene via - si chiede, per un secondo, se sarebbe utile prenderne uno alle spalle e ucciderlo a mani nude. Purtroppo Rody si ritiene intelligente abbastanza da capire che renderebbe solo più veloce la sua, di morte, e dunque aspetta siano fuori da quello che ha avuto la funzione di spogliatoio per lui. Giusto in tempo per sentir tornare la voce metallica insieme alle poche istruzioni necessarie: entrare in quel tubo davanti a lui. Aspettare. Un conto alla rovescia.


Lui esegue, sistemandosi lì sopra. Ci vuole davvero poco perché il vetro si chiuda facendolo sentire intrappolato come un esperimento vivente - e non lo è, forse? - e la piattaforma sotto i suoi piedi cominci a salire. Rody sa cosa sta succedendo, perché il suo mentore ha fatto di tutto per prepararli all'attacco di panico che ha sempre preso almeno uno dei Tributi. In alcuni casi mettendoli fuori gioco prima del tempo, grazie alla trovata delle piattaforme esplosive se qualcuno le abbandona prima del "via" ufficiale dei giochi. Nonostante gli sia stato raccontato, però, l'effetto di persona non regge il confronto.


Deve aspettare qualche istante perché gli occhi si abituino a tutta la luce dell'arena e la prima cosa che percepisce è il vento sul proprio viso: né troppo freddo né troppo caldo, perciò mentalmente Rody cerca di escludere scenari ambientali troppo sbilanciati in un senso o nell'altro. Quando finalmente può vedere di cosa si tratta, c'è un solo istante in cui lo scenario gli sembra bellissimo senza considerare di essere ufficialmente nella propria tomba. Davanti a lui si estende una distesa di erba verdissima sotto un cielo così azzurro da far male alla vista. Se si volta, intorno a loro ci sono quattro laghi oltre i quali si srotolano radure fatte di alti alberi e folta vegetazione. Al centro, equidistante da tutti loro, una pedana quadrata con sopra zaini, armi e tutto ciò che può fare gola a ogni singolo Tributo. 


Gli altri sono intorno a lui: alla sua destra, Kirishima Eijiro. A sinistra, Hitoshi Shinsou. Cinque postazioni oltre quest'ultimo, Rody intravede Leila con gli occhi spalancati di chi è terrorizzato alla sola idea di mettere un piede sull'erba - Rody non riesce nemmeno a immaginarla correre, figurarsi prendere un'arma o qualcosa di utile per la sopravvivenza proprio dal centro, dov'è sicuro si mieteranno le prime vittime. Cerca di incrociarne lo sguardo, mentre il countdown avanza inesorabile e comincia a far scoccare gli ultimi dieci secondi a loro disposizione; quando ne mancano cinque Leila lo guarda e lui la vede stringere le mani contro i fianchi e annuire debolmente, cercando di farsi forza.


E' come sentirsi accoltellare al petto e avere la consapevolezza di non potersi ritirare per questo. 


Tre secondi, e Rody capisce che sarà questo l'ultimo posto che vedrà. Due, mentre rivolge un pensiero a Roro e Lala e si pianta sul viso un sorriso che spera vedano e ricordino, senza attribuirgli la paura. Uno, mentre gli riecheggia in testa il suo ultimo scambio con Clair - «Prenditi cura di loro.» «Prenditi cura di te.»


La sirena dà inizio alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games. 


Per Rody è solo l'inizio della fine.

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Prompt: la U
Missione: M3 (week 5)
Parole: 2671
Rating: teen up
Warnings: linguaggio scurrile






Nel rientrare in casa Midoriya non si aspetta di sentire la voce di Bakugo sbraitare. Non perché lui non lo faccia, e gli epiteti molto spesso irripetibili che gli escono di bocca sono suoi vecchi amici da ben più di metà della sua vita ormai; semplicemente, era certo di aver letto dalla lavagnetta magnetica in cucina chi fosse impegnato con cosa durante il giorno e che Katsuki fosse fuori per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio. Ritrovarlo quindi ora, appena passata l'ora di pranzo, e non del migliore degli umori gli fa inarcare un sopracciglio perplesso proprio mentre la figura di Shinsou esce dalla cucina e si ferma a metà del corridoio d'ingresso, notandolo.


Si scambiano uno sguardo e, come se Izuku avesse posto una domanda ben precisa, Shinsou scuote la testa e sillaba: pulizie. Per quanto questo non spieghi al cento per cento di cosa si stia parlando, gli dà comunque un'idea piuttosto specifica, giusto mentre dalla direzione delle camere da letto la voce di Bakugo esplode con un: «Ti metto per cappello questo cazzo di cestino, faccia di merda!»


Izuku sospira, liberandosi delle scarpe da ginnastica e assicurandosi di metterle nell'apposita scarpiera - non serve davvero scatenare ulteriormente l'altro - prima di entrare a tutti gli effetti. Gli ci vogliono pochi passi per raggiungere Hitoshi, ancora fermo dove lo ha visto poco prima e con lo sguardo rivolto verso il lato del corridoio che porta al salotto, tramite il quale poi si può accedere alle altre stanze del loro appartamento condiviso. Una volta che sono vicini abbastanza, Izuku lancia uno sguardo generico in quella direzione prima di abbassare la voce nel pronunciare un «C'è anche Shouto?» abbastanza scontato, senza però ricevere risposta. Aspetta, osserva Hitoshi... e poi lo vede girarsi e fissarlo a sua volta, quasi fosse in attesa di qualcosa. E' solo in un secondo momento che lo vede avvicinare una mano all'orecchio e toglierne quello che è indiscutibilmente un tappo.


«Scusa, mi hai chiesto qualcosa?»


*


All'inizio è stato complicato da così tanti punti di vista che, se avesse dovuto scommettere, Izuku lo avrebbe fatto solo in favore della catastrofe. In genere si considera un ottimista, a modo suo - dopo molte analisi, molti appunti, molti ragionamenti -, ma le variabili erano davvero troppe. Ci sono voluti anni già solo perché lui e Katsuki riuscissero finalmente a parlarsi con chiarezza, ad avere un rapporto "pulito" e non fatto di sentimenti inespressi. Sebbene non abbiano mai davvero smesso di rispettarsi, è stato come dover imparare di nuovo e ci è voluto tempo, questo Izuku lo sa bene. Così come non è stato facile andare oltre senza temere di spezzare un delicato equilibrio che poteva finire in frantumi in un secondo. Figurarsi se, poi, i sentimenti per Katsuki erano esplosi mentre la sua relazione con Shouto andava com'è sempre andata: bene. Nessuna crisi a cui imputare un cambiamento del genere, nessun cambiamento, in effetti.


Riconoscere nei confronti di Bakugo sentimenti uguali a quelli provati per Shouto ha avuto un effetto devastante sui suoi nervi fino a che Shinsou non è arrivato in suo soccorso senza neanche saperlo.


Izuku si ricorda ancora il momento in cui Shouto gli ha detto, mentre erano di pattuglia per la città: «Mio padre e mia madre sono riusciti a stento ad amarsi tra di loro nella maniera giusta. Pensi che si possa riuscire con più di una persona nello stesso modo?» con quella sua capacità di restare in silenzio anche per ore e poi, all'improvviso, sganciare una bomba del genere con la naturalezza di chi aveva appena fatto un'osservazione su come la pioggia effettivamente bagni il terreno su cui cade.


Si ricorda bene di aver quasi mancato un appoggio su un palazzo, per dirne una.


«Per stesso modo... intendi come intensità?»

«Sì.» si è sentito rispondere in quell'occasione, ritrovandosi a guardare il profilo di Shouto una volta fermi in attesa di comunicazione dall'agenzia. Izuku si ricorda di aver visto la stessa serietà che chiunque vedeva nel viso di Todoroki eppure, per tutti gli anni passati a conoscersi prima, a essere amici poi e una coppia da dopo il diploma... Izuku non sarebbe riuscito a ignorare nemmeno volendo quella piccola sfumatura nello sguardo dell'altro. Una punta di incertezza, quasi di colpevolezza, ma anche la determinazione di chi di mentire non ne aveva mai voluto sentir parlare davvero.


Così, quella volta, Izuku non ha potuto fare altro che dirgli l'unica cosa possibile che fosse anche la verità: «Non lo so. Ma se ci rifletto, una risposta deve esserci per forza.» cercando di sorridergli perché almeno la colpevolezza, a qualunque cosa fosse dovuta, sparisse.


*


Izuku ci ha pensato così tanto che, alla fine, si ricorda di aver chiesto a Shouto di approfittare di una sera insieme senza essere di turno per parlarne. Se c'è una cosa di lui che Izuku non pensa dimenticherà mai, è la fragilità di quando Shouto gli ha detto: «Si tratta di Hitoshi. Non so perché.» perso come un bambino, incapace di sbrogliare una matassa di sentimenti troppo complessa per lui, riuscendo a tirarne fuori solo quelli che forse chiunque sentendolo si sarebbe aspettato di vedergli provare.


Eppure forse proprio la semplicità con cui Shouto ha approcciato quella questione ha reso più semplice anche per Izuku comprendere e aiutarlo a propria volta. A rifletterci oggi immagina sia anche e soprattutto merito di Shouto se ammettere a se stesso di poter amare due persone contemporaneamente gli è risultato più facile di quanto sarebbe mai potuto essere altrimenti. Ascoltarlo parlargli di Shinsou e di come lo faceva sentire ha permesso a Izuku di vedere il bello senza leggervi dietro un tradimento o la fine di qualcosa di guadagnato con fatica - non perché capire di amare Todoroki fosse mai stato difficile, ma perché Shouto e l'affetto per se stesso sono stati due concetti difficilissimi da affiancare, qualcosa su cui Izuku ha avuto un potere molto limitato e che per il resto è stato una questione a cui solo lo stesso Shouto ha potuto mettere mano.


Ogni tanto, riflettendoci, Izuku pensa di saper collocare abbastanza bene il momento in cui ha compreso che non avrebbe mai potuto privare Shouto di quel sentimento nei confronti di Hitoshi: non soltanto perché non crede avrebbe mai potuto avere un egoismo forte abbastanza da incatenare Shouto con il senso di colpa affinché rimanesse solo ed esclusivamente con lui, ma anche perché una frase di Todoroki lo aveva inchiodato lì sul divano. Non per pietà, né per senso del dovere; eppure sentirgli dire: «A volte è difficile credere di avere te. Quindi non so se è arrogante pensare di avere anche un'altra persona.» aveva fatto stringere il cuore di Izuku a tal punto che non sarebbe mai davvero riuscito a liquidare con leggerezza la questione.


Per questo li ha osservati a lungo. Shouto e Hitoshi durante gli anni della U.A. erano stati studenti distanti prima e buoni collaboratori poi, compagni capaci di godersi il silenzio l'uno dell'altro senza avere - in apparenza - bisogno di riempirlo. Izuku ricorda di averli notati insieme in più di un'occasione, di averli visti condividere momenti anche complici. Eppure nemmeno oggi saprebbe dire se ci sia mai stato un giorno in cui avrebbe dovuto notare qualcosa e pensare "Hitoshi lo guarda in un modo che non ha niente da spartire con l'amicizia o la complicità tra compagni di scuola". Forse sono stati tutti troppo impegnati a crescere a perseguire il sogno di essere Eroi, per avere abbastanza attenzione o interesse verso altri ambiti come le relazioni tra loro. C'è a chi sono venute molto naturali e chi, invece, ha dovuto aspettare di essere fuori dalle mura scolastiche per capirle appieno e notarle. Non solo romantiche, ma proprio tra esseri umani.


A volte Izuku si ricorda di una delle prime volte in cui ha parlato con Shinsou dopo che Shouto ha cominciato a frequentarlo. Seduti sulla panchina di un parco piuttosto lontano dal centro, così da offrire loro un po' di privacy senza essere per forza riconosciuti, Izuku si è chiesto cosa ne pensasse Hitoshi del loro essere lì non solo come amici, ma come entrambi parte di una relazione con la stessa persona senza essere attratti tra di loro.


Non pensa sarà mai in grado di dimenticare il tono placido di Hitoshi quando gli ha detto: «Durante la guerra e gli anni dopo, ho avuto la sensazione che fossimo diventati Eroi ma avessimo perso un po' di quello che ci rendeva umani. Todoroki mi ricorda che, invece, sono ancora una persona.»


E in quell'istante Izuku ha capito che non avrebbe mai potuto togliere questo a nessuno dei due.


*


La camera da letto - o meglio, la soglia che la divide dal breve corridoio che la collega al salotto - gli offre lo spettacolo di Bakugo con una pila di mutande in mano e Todoroki intento a raccogliere calzini da un lato del letto. La guest star è un paio di boxer che Bakugo gli ha appena lanciato in testa con l'intento di fargli più male possibile... non fosse che le mutande non sono esattamente un'arma impropria, ma Izuku decide saggiamente di tenerselo per sé.


Il tutto è accompagnato dal borbottio di Bakugo, un sottofondo che Izuku sente definire a Hitoshi con un ironico «Cosa abbiamo per cena? Brodo di pesce?»


Ci mette un po' a capire che si riferisce al bollire del brodo stesso, aiutato dallo sbuffo di una risata da parte di Shouto. Non può vederlo in viso ma stanno insieme da quasi sei anni e ormai per Izuku è difficile farsi sfuggire quel tipo di reazioni - così come ha avuto modo di notare un umorismo particolare in Shinsou, che crede sia stato fortemente influenzato da Monoma, capace non si sa bene come di far ridere l'altro.


Purtroppo la capisce anche Bakugo, il cui sguardo si posa repentino su Shinsou come se dovesse fargli esplodere la faccia: «Non cucino per chi non sa tenersi a posto la sua roba, te e quell'altro ve ne potete pure andare a fare in cu-»

«Kacchan!» richiama Izuku con un mezzo sorriso e una mano a posarsi sul braccio altrui, l'espressione di chi vorrebbe tacitamente chiedere una tregua. Katsuki lo guarda, aggrottando le sopracciglia così tanto che Izuku teme stia ponderando di far saltare in aria pure lui in onore dei cari, vecchi tempi. Alla fine però lo nota abbassare lo sguardo sulla mano di Izuku e poi borbottare di nuovo qualche maledizione piuttosto colorita, sfuggendo al suo tocco e piegandosi per raccogliere l'ultimo indumento superstite sul pavimento.


Izuku occhieggia invece Todoroki e Shinsou, cercando di non ridere mentre il secondo toglie le mutande dalla testa di Shouto, facendo cenno a entrambi verso il soggiorno; li osserva scivolare via in silenzio proprio mentre Katsuki poggia gli indumenti recuperati sul letto. Lo affianca, sottraendogli un paio di boxer per piegarli e sistemarli alla propria sinistra, decidendo arbitrariamente di impilarci gli altri man mano. Lavorano in silenzio per qualche momento, prima che Izuku riconosca il movimento delle spalle di Bakugo finalmente più rilassate, sapendo di potergli quindi parlare con calma.


Sono piccoli aspetti che solo la quotidianità gli ha offerto. Katsuki lo ha approcciato con il solito fare brusco quando la relazione con Shouto aveva ormai incluso Shinsou nell'equazione. Izuku ci ha messo un po' a capire perché la presenza di Hitoshi sembrasse disturbare così tanto Katsuki - al di là dei loro battibecchi dai tempi della scuola, troppo diversi per coesistere in modo pacifico ma entrambi troppo intelligenti per non rispettarsi a vicenda e riconoscere l'uno il valore dell'altro. Ci sono voluti mesi per tirare fuori di bocca a Bakugo tutto quello che la vista di Shouto e Hitoshi gli causava: rabbia perché sembrava sleale nei confronti di Izuku; invidia per non aver mai detto a Izuku di volerlo nello stesso modo in cui lui sembrava volere solo Todoroki; irritazione generale, senza che ci fosse un bersaglio preciso, la ricaduta di un veleno sempre avuto lì a strisciargli sotto la pelle in qualche modo.


Ora sono l'uno di fianco all'altro, a piegare i boxer di Todoroki Shouto. Izuku non riesce a tenere per sé uno sbuffo divertito: avranno pure ventiquattro anni, ormai, eppure in piccoli e sciocchi aspetti della quotidianità come quelli si sente ancora un ragazzino con grandi sogni e una camera nei dormitori della U.A.


«Che hai da ridere.» lo accusa Katsuki, senza nemmeno guardarlo. Izuku scuote appena la testa, ma fa anche un passo di lato per accostarsi a lui, stando ora quasi spalla contro spalla.

«Pensavo tornassi più tardi, oggi.» osserva lui con fare casuale, come se non avesse colto la sua frase. Sente Katsuki far schioccare la lingua contro il palato in un verso stizzito, prima che pronunci un: «Invece no. E meno male.» con un cenno piuttosto plateale a quello di cui si stanno occupando.


Izuku si lascia scappare tra le labbra un ridacchiare leggero, ma si muove anche per dargli un bacio sulla spalla, di quelli casuali e affettuosi di chi ha passato il periodo della passione ormonale senza freni e ha trovato la calma di una condivisione giornaliera, l'equilibrio di sentimenti rincorsi per troppo tempo prima di avere finalmente un momento di pace.


Katsuki lo fissa, si china in modo quasi impercettibile per sopperire a quei pochi centimetri di differenza tra loro e, senza tante cerimonie, gli dà un bacio sulle labbra; passa un braccio intorno ai suoi fianchi e se lo tira addosso, pretendendolo in quel modo che a occhi esterni sembra quasi fuori luogo a volte, ma in cui bisogna anche saper leggere.


Izuku, meglio di altri, vede il bello.


*


«A ogni modo» pronuncia Shinsou mentre sono al tavolo per mangiare «pare vi abbiano fotografato.» commenta con il tono di chi ha appena detto accidenti, mi hanno cambiato il turno di ronda di domani.


Il tavolo vede calare il silenzio e tre paia di occhi posarsi su di lui. Quando si accenna ai paparazzi è sempre un problema capire chi abbiano fotografato con chi. Izuku e Todoroki? Izuku e Bakugo? Todoroki e Shinsou?


«Tu» indica Katsuki «e tu.» aggiunge spostando il dito verso Shouto prima di portare con eleganza le bacchette alla bocca, insieme al suo boccone di karaage. Izuku lo vede masticare con tutta la calma del mondo, la stessa che manca a Bakugo, lì a vibrargli di fianco: «Mi hanno anche chiesto se pensavo ci fosse qualcosa di - come hanno detto? - esplosivo che volessi commentare su di voi.» conclude, rivolgendo un sorrisetto a Bakugo.


Katsuki apre bocca per dire qualcosa eppure, a sorpresa, è Shouto a parlare; o meglio, Izuku lo vede muovere il braccio sotto il tavolo con discrezione e indovina facilmente che stia prendendo la mano di Hitoshi a giudicare da come ricerca anche il suo sguardo prima di chiedergli: «Tutto ok?» come se temesse di vedere l'altro perdere la pazienza. Come se avesse già chiesto troppo quando gli ha detto di amare Izuku esattamente come ama lui, vedendolo accettare la situazione.


Hitoshi si scioglie in un sorriso più morbido, accostandosi quanto necessario a posargli un bacio sulla guancia. Izuku ha sempre trovato molto tenero il modo in cui Shinsou si rapporta a Todoroki. Non che non abbiano la loro intimità, esattamente come lui ce l'ha con Katsuki, eppure è una dolcezza diversa quella che nota nei suoi gesti. Anche se non si è mai soffermato a parlarne con i diretti interessati, tenendo semplicemente quella considerazione per sé.


«Tutto ok.» gli conferma Hitoshi «Sarebbe stato peggio se mi avessero chiesto da quanto dura la passionale relazione tra me e Dinamitardo-san.» commenta, in un'evidente presa in giro ai danni di Katsuki.


Bakugo si esprime in un'espressione di colorito disgusto, mentre una mano mima un dito in gola e un inequivocabile verso accompagna il tutto. Prima di poterselo impedire Izuku scoppia a ridere, mentre vede Hitoshi trattenere un sorrisetto sghembo prima di tornare al suo karaage e Shouto guardare proprio lui - Izuku - con la stessa adorazione di quando avevano quasi diciotto anni e Shouto gli ha detto mi piaci.
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Prompt: “casa”
Missione: m3 (week 3)
Parole: 1060
Rating: teen up
Warnings: shonen-ai, established relationship, 20+!RodyDeku 



Quando Rody Soul sostiene di aver avuto un’adolescenza diversa dagli altri, tutti pensano a come si sia dovuto preoccupare dei suoi fratelli o di come abbia fatto i salti mortali - alcuni molto poco legali - per mettere un piatto in tavola, sobbarcandosi del ruolo di genitore di se stesso. 


I pochi, pochissimi a conoscenza del suo quirk potrebbero aver pensato quanto sia agghiacciante per un adolescente avere un pennuto rosa pronto a sputtanare ogni tua emozione. A questo, però, Rody ha posto rimedio subito: si contano sulle dita di una mano le persone a cui ha confidato questo segreto. Pino è davvero l’ultimo dei suoi problemi. 


Il punto è quando a diciassette anni il tuo (tardivo?) risveglio ormonale si deve a qualcuno di un altro continente. Sarebbe difficile anche senza essere poveri in canna, ma Rody deve ancora ribilanciare il suo karma oppure far ridere il suo destino, quindi ha anche il sottile problema di star studiandoc ome un disperato al di fuori del suo lavoro al locale e di fare la conta degli spicci per far quadrare tutto alla fine di ogni mese. Non proprio la situazione migliore per fare avanti e indietro in aereo una volta al mese. 


C’è chi dice sia tutto molto semplice, ormai, grazie alla tecnologia. Anche tenersi in contatto con le persone lontane - ma Rody, ecco, lui a volte odia la leggerezza con cui questa cosa viene detta e l’ha odiata ancora di più da ragazzo. Quando lui e Deku si mandavano messaggi che si trascinavano dietro ore di fuso orario, per esempio. Ha perso il conto delle mattine in cui si è alzato presto per recuperare qualche ora di studio prima del lavoro e si è visto arrivare un messaggio della buonanotte da parte di Izuku, ritrovandosi a scrivergli “buongiorno” in risposta. O delle occasioni in cui, per una semplice videochiamata, è stato come giocare a un tetris livello avanzato: il fuso orario, gli impegni di Izuku, i turni di Rody. 


Se ci ripensa adesso, mentre aspetta l’apertura dell’imbarco per il Giappone, è incredibile aver retto una relazione a distanza così giovani. Essersi fatti bastare i surrogati di un tenersi per mano, dei baci, della quotidianità condivisa. 


La voce dell’altoparlante annuncia il gate mentre lo schermo delle partenze si aggiorna con lo stesso dato. Rody recupera il cellulare, digitando velocemente un “mi sto imbarcando”. Qualche istante dopo lo schermo della chat con Izuku - non riuscirà mai a non sbuffare divertito di fronte alla sua foto profilo con i broccoli… - gli rimanda indietro un “ti aspetto a casa”.


*


Come c’è da aspettarsi, Izuku si fa trovare in aeroporto perché nessuno crederebbe mai a lui che aspetta comodamente tra le mura di casa, lasciando Rody a muoversi con un taxi o, peggio ancora, con i mezzi. Anche se il taxi lo prednono comunque per evitare l’ora di punta, sossia troppi occhi abituati a riconoscere l’Eroe succeduto ad All Might.


E’ una sensazione strana, quella di varcare la soglia di un appartamento con la consapevolezza di essere a casa di Izuku. Durante la sua ultima visita era ancora nei condomini messi a disposizione dall’agenzia. Tipico di Izuku, non voler pesare su Inko e preferire aspettare di avere abbastanza da parte da poter comprare l’appartamento solo con le sue forze e, al tempo stesso, senza sperperare denaro inutilmente. Il posto non è immenso ma, in qualche modo, è personale - non c’entra nulla l’action figure di All Might nel luminoso e confortevole salotto.


C’è anche uno strano imbarazzo, o forse è più un impaccio quasi sottopelle, nella consapevolezza di uno spazio privato come quello. Uno in cui non debbano preoccuparsi né di madri, né di fratelli e sorelle minori, né di colleghi eroi con sole tre ore di sonno alle spalle. E’ simile al nervosismo di una prima volta nella stanza da soli, ma c’è anche la conoscenza più intima possibile tra due persone. La lontananza, l’assaggio - mai sufficiente - della quotidianità, l’attesa dell’incontro dopo e quello dopo ancora.


Infine, più reale di tutto il resto, la mano di Izuku a scivolare nella sua, dita che si intrufolano tra quelle di Rody come un ragazzino pestifero che sgattaiola via quando non dovrebbe. Percepisce le cicatrici sul palmo, lungo le dita; con alcune ha fatto conoscenza fin dal primo momento in cui Izuku lo ha inseguito come se fosse il villain più pericoloso in circolazione, altre si sono aggiunte tra allenamenti troppo duri, missioni troppo grandi per un adolescente e la preoccupazione a miglia di distanza. Rody le ha odiate per ciò che hanno sempre rappresentato, poi ha imparato ad amarle perché sono parte del corpo di Midoriya Izuku.


Quella mano lo accarezza con una devozione che Rody non pensava potesse esistere tra due esseri umani - tra un artista e la sua opera, forse, o tra un credente e il suo Dio. Invece Izuku lo sfiora facendolo sentire in quel modo, lo ha fatto fin dalla prima volta, quando le dita gli tremavano e l’imbarazzo lo faceva arrossire fino alla base del collo.


Rody muove un passo, un altro ancora. Si ritrova con la schiena contro il muro, sentendo contro le scapole  lo stipite della porta. Di quale stanza, non ne ha idea; è un po’ difficile concentrarsi sulla cosa quando la bocca di Izuku è contro il suo collo e la mano che non tiene la sua è a insinuare le dita sotto la sua maglia. Maglione. Non si ricorda più quanta roba indossa finché non sente Izuku fare un verso a metà tra il divertito e il frustrato, mentre borbotta contro la sua pelle un «Troppi strati.»


Lo fa ridere, mentre gli allaccia il braccio libero al collo e si distanza quanto basta a guardarlo in viso e irfilargli il sorriso più sfrontato del suo repertorio: «Oh no, salvami dai vestiti, Eroe.» dopo cui si gusta il modo in cui l’espressione di Izuku passa dall’incredulo al cercare di nascondere il divertimento. E’ quando l’altro ride a queste battute da commedia romantica di decima categoria che Rody capisce quanto sia fortunato a essere ricambiato. O a non essere stato ancora mollato. 


«Rody, non lo dicevo per iniziare del roleplay…»

«Peccato.» commenta, facendogli l’occhiolino - una vera fortuna è anche che Pino sia altrove. Sospetta renderebbe evidente ogni singolo sentimento che la vista di Izuku, pronto a chinarsi di nuovo su di lui, gli scatena.

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Prompt: Percy Jackson

Missione: M4 (week 7)
Parole: 5947
Rating: teen up
Warnings: AU, linguaggio colorito, shonen-ai



Al campo gli hanno spiegato, poco dopo il suo arrivo, che in genere i primi ad arrivare erano i figli dei cosiddetti “Big Three”, ma che si trattava al tempo stesso dei semidei più rari. Al suo ingresso, infatti, solo tre - uno per divinità - erano stati accolti e riconosciuti. Perciò quando Shouto ha varcato la metaforica soglia del campo a soli dieci anni, il mondo ha pensato che fosse un altro figlio di uno dei pezzi grossi. Qualcuno forse ha persino scommesso su di lui, invece Ares lo ha riconosciuto come sua prole prima che chiunque altro potesse avanzare strambe ipotesi. Essere semidio da parte di padre significava automaticamente che sua madre doveva averlo conosciuto e Shouto non riusciva a immaginare come una donna come lei potesse aver attirato l’attenzione del dio della Guerra. Ricorda di averci pensato quando l’estate è passata ed è potuto tornare a casa; quando è tornato tra mostri fatti di silenzi e prove insuperabili costruite di ostacoli composti da segreti e litigi tra sua madre e il padre che Shouto pensava fosse il suo fino a pochi mesi prima. 


Visto che per tutta l’estate era stato bravo, si era addestrato e non aveva chiesto mai nemmeno una volta che suo padre venisse a parlare con lui dopo la sera in cui lo aveva riconosciuto ufficialmente, Shouto aveva pregato una sola sera. Sperato in cuor suo che Ares potesse sentirlo e pensare che, se un figlio sempre silenzioso gli si era rivolto, doveva essere qualcosa di importante.


Ares non aveva mai risposto. Dall’anno seguente, Shouto ha smesso di tornare a casa. Non ha mai più parlato con Ares da quel giorno.


*


Inevitabilmente Shouto ha finito per essere il semidio con più perle al collo, subito dopo i tre figli di Zeus, Poseidone e Ade. Mirio, Nejire e Tamaki sono stati la cosa più vicina a dei fratelli e una sorella maggiore che Shouto potesse avere al di fuori della Cabina 5, anche se a conti fatti ha forse trovato più analogie con il figlio di Ade che con gli altri due. Per anni Nejire gli ha fatto notare che «Dovessi scommettere le mie dracme, non direi mai che sei figlio di Ares!» e non si è mai sentito di darle torto, perché l’irruenza non è mai stata nelle sue corde e, all’inizio, nemmeno la competetività. Quella è arrivata un poco con gli anni, venerdì dopo venerdì in cui è stato costretto a partecipare a “cattura bandiera” perché così era per chiunque nel campo. 


Poi è arrivato Bakugo Katsuki, pieno di graffi e lividi, dodici anni e già pronto a sbraitare come se ne avesse molti di più e ne avesse viste troppe per avere ancora la forza di mantenere la calma. Se ne fosse stato capace, di certo sarebbe esploso e avrebbe poi dato fuoco all’intero campo e - per questo - nessuno si è davvero stupito quando il simbolo di Ares lo ha indicato come suo figlio, proprio come successo a Shouto anni prima. Bakugo ha dimostrato di essere la perfetta rappresentazione di cosa ci si aspetta nel cercare di immaginarsi la prole del dio della Guerra. 


Shouto ricorda di averlo osservato arrivare al tavolo, accolto da amichevoli pacche sulle spalle che l’altro ha guardato male per tutto il tempo e di aver infine incrociato il suo sguardo. Bakugo ha guardato lui, Shouto ha fatto lo stesso e ha aperto bocca per dire qualcosa - senza sapere bene cosa - interrotto ancora prima di cominciare da un: «Che hai da guardare? Vuoi un pugno in faccia?!»


Lui e suo fratello non potrebbero essere più diversi.


*


Hanno quattordici anni quando cominciano ad arrivare, uno dopo l’altro, alcuni di quelli che di lì a solo qualche mese diventano “il gruppo di Bakugo”. I primi sono Kirishima e Kaminari, recuperati da un paio di satiri in ricognizione: sono abbastanza malconci, ma di sicuro non buttati troppo giù nello spirito a giudicare da come Kirishima continua a parlare di come debba diventare più forte così da lanciare via quell’arpia la prossima volta e come Kaminari continua a fare battute idiote per alleggerire la stessa tensione che Shouto gli riconosce con facilità nel modo in cui ha le spalle irrigidite. In pochi giorni vengono rispettivamente riconosciuti dai loro genitori divini, Nike ed Ermes, e quasi subito si alleano con Bakugo contro la volontà di quest’ultimo.


Uraraka Ochaco e Iida Tenya arrivano dopo quasi un mese durante la stessa estate. Sorprende abbastanza che siano molto meno ammaccati dei due che li hanno preceduti, il che - da quanto Shouto sente dire tra le varie voci durante la cena - sembra essere merito della tendenza di entrambi a essere prudenti e prediligere la fuga con meno danni possibili al combattimento per l’orgoglio. Vengono riconosciuti a due sere di distanza: prima lei, come figlia di Apollo, e dopo lui come figlio di Efesto. Non sono attaccati a Bakugo quanto Kirishima e Kaminari, ma l’essere coetanei aiuta parecchio. Quello stesso anno Yaoyorozu Momo, della Cabina di Atena, lo avvicina per chiedergli di studiare greco antico insieme durante la settimana. Shouto accetta, senza sapere ancora che è il primo passo verso quella che sarà la sua prima amica.


Ci vogliono due anni prima che Midoriya Izuku raggiunga il campo mezzosangue per la prima volta, in estremo ritardo per la maggior parte dei semidei. In questo lasso di tempo Shouto non ha collezionato molti più amici rispetto al passato: c’è sempre Momo, ogni tanto Inasa della Cabina di Nike lo approccia in modo rumoroso e lo convince a fare qualche esercizio con armi insieme. Per assurdo finisce a legare più del previsto con Tamaki - per la prima volta da quando è arrivato i silenzi in presenza di un’altra persona non sono più mostri, ma una parte di lui con cui potrebbe riuscire a fare pace. Ogni tanto parlano, anche. Tamaki un giorno gli dice «Mio padre non è male come tutti credono.» e Shouto vorrebbe poter dire lo stesso o vorrebbe avere un’opinione forte in merito da poter offrire. Invece si limita a dirgli «Okay.» e Tamaki sembra sollevato.


Quando Izuku arriva e viene riconosciuto da Atena, Bakugo sembra voler dare fuoco a tutto il campo mezzosangue al solo scopo di assicurarsi che nell’incendio doloso ci finisca di mezzo Midoriya. Il suo gruppo di amici, ormai consolidato, smorza di continuo la tensione e riesce a far sembrare la sua rabbia meno problematica e al tempo stesso fanno amicizia anche con Midoriya e lo coinvolgono abbastanza da non farlo sentire colpevole di non si sa bene cosa. Shouto viene a sapere che sono compagni di scuola durante l’anno, fuori dal campo mezzosangue, e che sono cresciuti insieme perché la madre di Bakugo e quella adottiva di Izuku si conoscono. A un certo punto Shouto e Midoriya finiscono insieme a occuparsi del pranzo durante uno dei giorni della settimana e Shouto capisce che c’è molto di più di quanto sembri, in lui. Non è sicuro di essere adatto a scoprire di cosa si tratti, ma la considera una possibilità. 


Midoriya un giorno, poco prima di lasciare il campo alla fine dell’estate e mentre il banchetto dell’ultimo giorno vede sorrisi e chiacchiere ovunque si posi lo sguardo, gli dice «Mi dispiace che tu rimanga da solo per tutto il resto dell’anno, Todoroki-kun.» ed è sincero, Shouto lo capisce subito. Non può fare a meno di guardarlo sorpreso e confuso, perché tutto ciò che sa di Midoriya fino a questo punto è quanto poco Bakugo lo sopporti e quanto invece Momo sia contenta di averlo come altro figlio di Atena, o come Iida e Uraraka abbiano subito stretto amicizia con lui. 


Non sa cos’hanno in comune e non ha idea se possano essere amici anche loro.


*


L’anno tra i suoi sedici e i suoi diciassette anni lui e Tamaki legano al punto tale che passano buona parte del tempo libero insieme, forse anche perché Nejire e Mirio sono tornati dalle rispettive famiglie umane per quell’anno, cosa a cui Shouto si sottrae più che volentieri - e apparentemente lo stesso vale per Tamaki. Il figlio di Ade gli chiede persino di restare in cabina con lui, a un certo punto; Shouto non ha voglia di tornare nella propria, per quanto ormai sia abituato ai fratelli e alle sorelle di Ares, quindi rimane. E’ strano, quasi come avere una camera privata, perché la cabina di Ade è grande abbastanza da ospitare diversi figli e occuparla in due non è così diverso dallo stare in un albergo da soli. 


Quando arriva l’estate e il campo mezzosangue si riempie di nuovo con tutti i semidei che tornano dalle loro rispettive case, Midoriya va subito a salutarlo. Shouto nota che lui e Bakugo sembrano avere un rapporto vagamente più decente, se si può considerare tale, e che quando Izuku finisce di parlare con lui raggiunge un altro ragazzo non troppo distante. Shouto lo conosce di vista perché, come la maggior parte degli altri della sua età, li ha visti arrivare nel tempo: Hitoshi Shinsou è giunto poco prima di Midoriya e quasi subito è stato riconosciuto da Afrodite. Shouto ha sentito su di lui voci che discordano di parecchio con ciò che vede tutti i giorni al campo mezzosangue: chi è andato in missione con Shinsou sostiene non sia una persona collaborativa e, in generale, qualcuno che in tanti preferirebbero non avere tra le proprie fila - uno dei poteri più conosciuti dei figli di Afrodite, la capacità di usare bene le parole tanto da influenzare gli altri con il potere per la propria voce, non li rende apprezzati tra chi ha il preconcetto di vedere in loro persone che potrebbero approfittarne. Insieme al loro saper mutare aspetto, avere controllo sull’amore e il desiderio, sono spesso letali tanto quanto sono belli. Dal poco che ha notato Shouto, Shinsou non si è proprio sprecato a circondarsi di amici negli anni, non più di quanto abbia fatto Shouto stesso. 


Scosta lo sguardo da lui e Midoriya quando Momo si avvicina a chiedergli se abbia passato un buon anno. 


*


«Todoroki!» esclama la voce di Kirishima, capace di farsi sentire da una parte all’altra del campo mezzosangue senza difficoltà se necessario. Shouto abbandona la posizione di guardia, abbassando la spada solo dopo essersi assicurato che uno dei suoi fratelli abbia capito che stanno per fare una pausa. Ha già imparato a sue spese quando era più piccolo che è sempre meglio essere molto chiari con un figlio di Ares con cui stai facendo allenamento con un’arma. Una volta sicuro si sposta dall’arena così che intanto possano utilizzarla altri e si avvicina al figlio di Nike. 


«Devo chiederti una cosa molto seria.» esordisce Eijiro e questo è molto diverso da cosa succede di solito. In genere l’altro lo avvicina per chiedergli di allenarsi insieme, uno contro uno, e come lui Inasa; i figli di Nike non amano la sconfitta e non amano tirarsi indietro di fronte alla possibilità di una sfida, pertanto Shouto ha dovuto imparare che se qualcuno deve mettere un freno ogni tanto quello è lui. Qualsiasi altro figlio di Ares - o almeno una buona parte di loro - accetterebbe e infatti non è strano vederli darsele di santa ragione, ma Shouto non può e non vuole passare tutta la giornata in quel modo. 


Eijiro si guarda intorno per un attimo e poi gli fa cenno di seguirlo, in un implicito “non qui” a cui Shouto non può fare altro se non annuire e seguirlo. Si muovono tra le varie aree di allenamento, passando per quella di tiro con l’arco dove i figli di Apollo si stanno destreggiando in una gara tra fratelli, e deviando leggermente verso le cabine. Superano anche quelle senza che Eijiro dica una sola parola e si fermano solo dove è facile intravedere le tavole dove si riuniscono tutti a mangiare. L’orario distante tanto dal pranzo quanto dalla cena fa sì che non ci siano effettivamente troppi semidei in giro. Forse anche per questo è facile riconoscere Kaminari che, nel vederli in avvicinamento, fa un cenno amichevole a entrambi.


Gli è sempre meno chiaro cosa possano volere da lui, almeno finché Eijiro non lo fronteggia e dopo una manciata di secondi un po’ troppo lunga riesce a farsi uscire di bocca: «Tu e Tamaki state insieme?»


Shouto lo guarda. Si aspetta il momento in cui Kaminari farà un battuta, gli darà una pacca sulla spalla e tirerà fuori il vero motivo per cui sono lì ma questo non succede e alla lunga il silenzio comincia a diventare imbarazzante. Shouto inarca un sopracciglio e alla fine si limita a un «No?» come se non capisse da dove venga fuori la domanda, e in effetti è così. Vede gli altri due guardarsi e poi tornare con gli occhi su di lui.


«Non è un problema,» comincia Eijiro per poi fare un verso frustrato «cioè è un problema perché sei un rivale temibile, Todoroki, ma non mi tiro indietro di fronte a una sfida e sono sicuro che giocheresti pulito. Quindi posso accettarlo e alla fine ognuno farà la sua parte e sarà Tamaki a scegliere!» assicura, dando voce a quello che nella sua mente deve essere un insieme di considerazioni fatte da chissà quanti giorni o settimane. Apprezza il discorso, ma il problema di fondo rimane sempre lo stesso.


«Io e Tamaki non stiamo insieme e siamo solo amici.»
«Ma… uno dei figli di Afrodite ha detto che siete rimasti per tutto l’anno, questa volta, e che hai dormito spesso da lui.» ribatte Eijiro incerto. Shouto non fatica molto a capire che l’altro deve essere molto combattuto, perché dare retta alle voci di corridoio non è affatto nel suo stile ma forse in questo caso e di fronte a qualcosa che lo tocca da vicino, ha ceduto abbastanza da voler chiarire la cosa. Lo apprezza, più dell’alimentare il pettegolezzo di sicuro.


«Ho dormito in cabina da lui, sì.» conferma «Ma non è quello che credi, né quello che crede il figlio di Afrodite che te lo ha detto.»


Kaminari dà una pacca sulle spalle a Eijiro, offrendogli frasi di conforto come “visto? Te l’avevo detto che bastava chiedere” e “Todoroki dice sempre la verità quindi stai tranquillo”. Si sente abbastanza lusingato dalla fiducia, ma visto che non c’è altro da fare per lui, decide di muoversi per tornare indietro. Eijiro lo invita ad allenarsi insieme, ma rifiuta per questa volta; il campo di fragole non può certo raccogliersi da solo e lui è di turno per oggi.


*


Tutti amano “cattura bandiera” o, se non lo fanno da subito, finiscono per farlo con il tempo. Le motivazioni sono diverse per tutti: c’è chi è competitivo per natura, chi lo diventa, chi ama il gioco di squadra e la strategia, chi ama la vittoria di per sé, chi sfrutta l’occasione per migliorare le tecniche di combattimento e averne un riscontro, chi lo fa per spirito di coesione con il resto dei compagni. 


Shouto la detesta. Riesce forse ad apprezzarne il senso strategico ma, per il resto, odia essere costretto a parteciparvi ogni venerdì perché è tradizione e non aiuta essere uno dei pochi a non amarla. Specialmente quando si è figli di Ares e tutto il resto del campo mezzosangue dà per scontato che questa sia una ragione sufficiente per avere voglia di combattere ogni settimana per recuperare una bandiera. Ed è il motivo per cui, nel limite del possibile, cerca ogni volta di essere assegnato a una posizione che non comporti agire come uomo-chiave della partita. Evidentemente questa settimana suo padre deve averla presa sportivamente e così si è ritrovato nella posizione peggiore di tutte: a ridosso della bandiera avversaria.


L’ha notata e per un fugace istante ha pensato di ignorarla. Voltarsi dall’altra parte, deviare di pochissimo per finire fuori pista. Un po’ difficile quando alle spalle Kaminari Denki se ne accorge, ti fa un segno dell’ok e si dilegua quasi subito con la velocità propria dei maledetti figli di Ermes. A Shouto non serve Momo di Atena per sapere che l’altro è andato a comunicare tra gli altri membri che la bandiera è stata trovata e - quindi - di avvicinarsi per supportare Shouto. 


Apparentemente a difenderla c’è una sola persona; Shouto riconosce Hitoshi Shinsou quasi subito, seduto su una pietra come se fosse a fare tutt’altro che partecipare alla gara e solo per caso si fosse sistemato da quelle parti. Shouto decide di non muoversi di soppiatto, in buona parte anche perché non è il suo stile di combattimento preferito, così l’altro lo nota senza troppe difficoltà e non fa nulla per mettersi sulla difensiva. Shouto si avvicina fino a quando non ci sono che pochi passi tra di loro, una decina forse, e si ferma. Non distingue tutte le direzioni da cui avverte quella sensazione, ma è sicuro di avere diversi occhi puntati su di sé. 


In pratica se dovesse decidere di girarsi e andarsene via, almeno una dozzina di persone (destinate ad aumentare) lo vedrebbe. Le spiegazioni da dare sarebbero così tante che gli viene mal di testa già solo a pensarci. 


«Io tornerei indietro, se fossi in te.» Shinsou pronuncia, un sorrisetto divertito sulle labbra. Shouto quasi si aspetta di sentire su di sé il potere del figlio di Afrodite, ma questo non avviene; nessuna parte del suo corpo si muove contro la sua volontà, non sente la mente annebbiarsi. E’ invece fin troppo vigile e consapevole di anche troppe cose che lo circondano, così come della presenza dell’altro di fronte a sé. Non replica nulla, cercando di analizzare la situazione: la bandiera è più verso Shinsou che verso di lui - forse in un rapporto di otto passi contro due - ed è sicuro che per quanto veloce, se desse l’idea di volersene appropriare l’altro potrebbe fermarlo con facilità. D’altronde Shinsou non avrebbe motivo di accettare una sfida ad armi pari, con la spada che tanto lui quanto Shouto hanno al fianco, ancora nei rispettivi foderi. 


«Io lascerei la bandiera, ma non è fattibile.» commenta Shouto, in apparenza a consigliargli di arrendersi. In realtà, vorrebbe poter essere lui a lasciar perdere e andarsene altrove. A volte immagina che Ares, lì nell’Olimpo a guardarli come un padre normale vedrebbe la partita registrata del proprio figlio, abbia dei ripensamenti quando Shouto non sente di avere desiderio di combattere o sete di sangue. Quando alla forza bruta preferisce la strategia, anche se non sempre. Quando sembra che nulla gli faccia perdere la pazienza, lo attiri abbastanza da farlo lottare con le unghi e con i denti. Quando il suo onore gli sta a cuore ma non al punto da poter essere provocato dalla minima parola o insinuazione. 


Scuote la testa, sorpreso di ritrovarsi a lasciarsi in balia della distrazione di fronte a un avversario. Quando alza lo sguardo su Shinsou, trova un evidente stupore anche sul suo volto e una sorta di scetticismo, quasi. Forse incredulo di avere di fronte un figlio di Ares che non abbia ancora sguainato la spada gettandosi contro di lui per rubare la bandiera. Shouto allunga la mano a raggiungere l’elsa e non ha mai desiderato così tanto di non doverlo fare.


Ha appena stretto la presa e impresso una leggera forza per sguainarla, quando il suono del corno di Chirone decreta la sconfitta della sua squadra. Senza rendersene conto, rilassa le spalle e lascia andare la spada ancora nel fodero. 


Sente lo sguardo di Shinsou su di sé ma lo ignora con la scusa di doversi voltare per ricongiungersi ai suoi compagni.


*


Più tardi, dopo cena e mentre siedono attorno al fuoco, Kaminari sospira sconsolato: «Non si può vincere contro Bakugo, sembra sempre sul punto di voler uccidere tutto il campo mezzosangue solo per arrivare alla bandiera!» esclama, stanco come solo chi ha visto Bakugo puntarlo come un toro impazzito potrebbe essere. Uraraka, che è stata nella squadra di Shouto come Kaminari, dà un piccolo buffetto sulle braccia a entrambi.


«Non prendertela, Todoroki-kun,» pronuncia con un sorriso «Kaminari-kun ha detto che eri praticamente arrivato alla bandiera! Sono sicura che è stato solo questione di secondi tra te e Bakugo!»


Shouto annuisce e le lascia credere che sia così.


*


Gli fa molto comodo sapere che le occasioni di incontrare e interagire a lungo con Shinsou siano veramente poche. Per doverlo fare, in un campo pieno di semidei, Shouto capisce che dovrebbero crearsi delle specifiche situazioni: essere affidati allo stesso compito, ma potrebbe essere gestibile con altri semidei presenti; dover andare insieme in missione durante l’estate, ma può sperare nella legge dei grandi numeri; essere approcciato dall’altro, e lo ritiene molto poco probabile. 


I suoi piani vengono mandati all’aria dall’unica variabile possibile, ossia la presenza di Izuku a fare da mediatore inconsapevole in un turno di pulizia in armeria che vede loro due, Shinsou e due figli di Tiche presenti. Shouto è concentrato sulla lama di cui si sta occupando quando Midoriya gli si avvicina per un saluto che, inevitabilmente, si traduce in una chiacchierata. Shinsou all’inizio è una presenza silenziosa che offre solo un cenno di saluto con la testa e un mezzo sorrisetto che sembra essere sulle sue labbra per buona parte del giorno e a prescindere dalla persona con cui interagisce, quindi non è male. Shouto suppone di poter essere un ascoltatore silenzioso quando gli altri due cominciano a parlare per lo più tra di loro, sottovalutando enormemente la gentilezza di Izuku Midoriya che è stata finora più un sentore che una certezza.


«Uraraka-san dice che sei piuttosto bravo nel primo soccorso, Todoroki-kun! E che qualche volta durante cattura bandiera le hai dato una mano con alcuni semidei.» pronuncia lui e Shouto alza lo sguardo dalla lama che ha quasi finito di lucidare, cercando il viso di Midoriya. Gli basta un’occhiata per capire che non si tratti di una provocazione, ma è anche sufficiente a notare un vago interesse nell’espressione di Shinsou. Sospira, sperando che rispondere a quelle parole non comporti aprire una parentesi sulla tradizione del venerdì di cui non è pronto a discutere con il figlio di Afrodite presente.


«Ogni tanto. Ma Uraraka-san è una figlia di Apollo, non siamo paragonabili.» afferma, forse tagliando corto in maniera fin troppo evidente. Midoriya non ne pare disturbato e addirittura non sembra cogliere il suo tentativo di chiudere l’argomento ancora prima di aprirlo davvero. Lo vede soppesare qualcosa per un momento, un mormorio basso in cui non riesce a distinguere le parole prima che si trasformi in un ben più udibile: «Proprio perché è una figlia di Apollo credo che il suo commento positivo sia incredibile! Ho provato qualche volta a bendarmi da solo qualche ferita lieve dovuta agli allenamenti in arena ma… è stata gentile abbastanza da non dirmi che sono una frana, ma credo lo abbia pensato. Sono del tutto negato! Forse è perché sono tanti anni che sei al campo rispetto a me?» ipotizza, una curiosità evidente nello sguardo. Shouto capisce che non c’è speranza di chiuderla con due parole a questo punto, specie quando Shinsou lo occhieggia e, con un incurvarsi di labbra divertito, rincara la dose con un «Già, sono curioso anche io di sapere come mai un figlio di Ares fa qualcosa di così fuori dall’ordinario per la Cabina 5.»


Shouto tace per qualche istante, chiedendosi quanto nelle parole del figlio di Afrodite sia una provocazione e quanto no. Ci sono numerose spiegazioni che potrebbe offrire, ma la più sincera è qualcosa che ora come ora ha condiviso una sola volta con Tamaki, in una notte alla cabina di Ade mentre si autoconvinceva che il buio e il silenzio si sarebbero portati via quel segreto, senza lasciare niente al risveglio. Non è qualcosa che è pronto a dire né a Midoriya, né a Shinsou.


«Sono arrivato al campo a dieci anni. Sono sette che mi alleno. Alla fine impari ad andare dai figli di Apollo solo per le cose gravi che non puoi fare da solo.» si limita a dire con una leggera alzata di spalle, tornando a occuparsi delle lame. Midoriya ha abbastanza di Atena, insieme a quella che Shouto sospetta essere una grande sensibilità, da farsi bastare quella risposta e commentare soltanto con la sua speranza di diventare presto autosufficiente così da non aumentare il lavoro di Uraraka e i suoi fratelli e sorelle. Shouto percepisce lo sguardo di Shinsou su di sé e l’assenza di commenti da parte dell’altro gli fa intuire che non sappia dissimulare quanto Midoriya, non quando si tratta di subodorare una storia non raccontata e una mezza verità offerta tanto per chiudere la questione. Shouto si autoconvince, invece, che se non alza lo sguardo e non concede un contatto visivo tutti e tre se ne dimenticheranno una volta lasciata l’armeria che li costringe a condividere gli spazi.


*


E’ l’inizio di Agosto quando il signor D. li chiama perché c’è una missione - nessuna profezia di lunga durata o con cui potrebbero decidersi le sorti del mondo, ma una come altre a cui Shouto ha partecipato. Quando raggiunge la casa principale per sentirsi dare le indicazioni necessarie, ci trova davanti altri semidei. Riconosce ovviamente Momo, così come di vista sa chi sia Jiro, grazie anche a qualche confidenza di Yaoyorozu che non ha chiesto ma che non ha avuto cuore di ignorare. Tetsutetsu di Nike è solo un nome associato a un volto e a una voce troppo alta e infine Shinsou. Chiude il gruppo Hatsume Mei di Efesto, con cui Shouto ha smesso di avere a che fare quando a dodici anni ha accettato ingenuamente di aiutarla a collaudare qualcosa ed è finito quasi schiacciato dai pegasi nella loro stalla. 


Tutto considerato, la missione dovrebbe richiedere al massimo una notte fuori, due se proprio dovessero impiegare più tempo del previsto. Partono di mattina all’alba e percorrono più strada di quanta avrebbero dovuto, riuscendo a concedersi una discreta pausa per mangiare e riposare, rimettendosi in cammino di buona lena nel primo pomeriggio. Diventa quasi subito molto chiaro che ci sono dei piccoli gruppi che si formano istintivamente quando si tratta di mangiare, anche se Momo è saggia e amichevole abbastanza da fare da collante tra tutti loro. Quando camminano, però, lei è avanti con Jiro e Tetsutetsu parla di migliorie per il combattimento contro le arpie con Hatsume. Questo lascia a Shouto la compagnia di Shinsou, piuttosto silenziosa per buona parte del tragitto, per sua fortuna. E’ chiaro però che non possa essere un’intera missione di nulla. 


Shouto è quasi consolato dal fatto che a un certo punto trovino il campo che gli è stato segnalato, sempre che di campo si possa parlare, e che i mostri lì lo obblighino a concentrarsi sulla battaglia anziché sul resto. E a maledire il fatto che siano molto più numerosi di quanto gli risultava sarebbero stati - Tetsutetsu è una forza della natura che perde però di lucidità fin troppo facilmente, mentre Momo non ha ancora davvero appreso quanto puntuali possano essere le sue strategie e i suoi approcci alla battaglia. Shouto capisce che sono un gruppo male assortito quando si accorge che la maggior parte di loro non è ancora sceso a patti con l’idea di poter essere un leader o più che competente nel suo campo. Riescono a liberarsi dei mostri ma non senza pagarne il prezzo con qualche ferita e se Shinsou non utilizzasse il potere meno apprezzato dei figli di Afrodite non andrebbe così di lusso. Shouto lo realizza quando persino lui viene stordito per qualche secondo da quel potere. 


Non può fare a meno di chiedersi, se questo è il risultato senza essere l’obiettivo di Shinsou, come sarebbe se invece il suo potere fosse diretto contro di lui?


Si chiudono tutti nel silenzio quando possono finalmente abbassare le armi; decidono di allontanarsi abbastanza nel caso arrivasse qualcuno, così da potersi occupare delle ferite lievi e di rifocillarsi in pace. Trovano uno spiazzo isolato abbastanza e si accampano lì. Mentre Momo discute con Mei dei turni di guardia, Jiro si occupa di sistemare le ferite di Tetsutetsu - non sorprende nessuno che la sua irruenza nel lanciarsi in combattimento gli sia valso più ferite di tutti gli altri messi insieme. 


Shinsou se ne sta per i fatti suoi, poco incline alla conversazione. Le uniche parole che Shouto gli sente pronunciare sono quelle per assicurare a Jiro di non aver bisogno di alcun tipo di cura. Cenano in silenzio, per così dire, e nemmeno i tentativi di Momo riescono a farli chiacchierare in maniera piacevole perciò alla fine lei stessa si arrende. Jiro si offre di fare il primo turno, ma prima dell’alba - quando sa essere il turno di Shinsou - i movimenti del cambio sono minimi, ma Shouto è già troppo vicino al risveglio per ignorarlo e riuscire a tornare a dormire come se nulla fosse. 


Quando si alza lo fa con movimenti lenti. L’odore del fuoco ancora acceso si mescola a quello dell’erba umida che li circonda. Si tira su a sedere, passandosi una mano sul viso, cercando di scacciare con un gesto la stanchezza che si sente nelle ossa. Non è mai stato tipo da riuscire a riposare bene mentre accampato in missione e questa non fa eccezione; quando finalmente lascia vagare lo sguardo nei dintorni, trova subito gli occhi di Shinsou su di lui, intenti a studiarlo. Non gli dice nulla e Shouto non ricerca per forza una conversazione, preferendo carburare lentamente fino a riuscire a svegliarsi del tutto. A essere onesto non si aspetta di sentire la voce di Shinsou chiedergli: «Preoccupato che possa ordinarti di fare due giri su te stesso e ballare con un gonnellino appena varcheremo di nuovo la soglia del campo mezzosangue?»


Shouto lo guarda, senza capire subito, riuscendo poi a cogliere l’ironia e il riferimento. Mentirebbe se dicesse di non essere stato stupito - non proprio positivamente - nel sentire la propria mente annebbiarsi e una sorta di spinta ad assecondare le parole di Shinsou, non importa quali o le loro implicazioni. Perciò decide di non mentire affatto. Dopotutto, immagina che questa non sia la prima volta che all’altro succede di ritrovarsi in questo tipo di situazione. 


«Non troppo.» ammette quindi, smuovendo leggermente il legno per lo più bruciato dal fuoco, ravvivandolo un po’ «In ogni caso non so ballare bene.» aggiunge. Kaminari, se fosse presente, potrebbe commuoversi all’idea che lui stia cercando di fare una battuta divertente ma la verità è che Shouto davvero si reputa abile nella danza quanto lo è nelle lunghe conversazioni e nell’essere l’anima della festa. Non potrebbe esserci uno più impedito di lui, in pratica.


Shinsou lo guarda e poi sbuffa, divertito: «Non credo a molti interesserebbero i tuoi passi di danza se indossassi un gonnellino, Todoroki.»


Shouto non è sicuro sia un complimento, ma in generale se potesse evitare di essere ridicolizzato di fronte a tutti i suoi fratelli - e il resto del campo - lo apprezzerebbe molto. Perciò scrolla le spalle, non sapendo bene cosa rispondere, se non un «Vuoi farmi ballare con il gonnellino quindi?» giusto per capire se debba davvero preoccuparsene o aspettarselo. Shinsou sembra prendere in considerazione la cosa per abbastanza tempo da inquietare il proprio interlocutore ma, alla fine, scuote la testa.


«Ci sono cose peggiori di quella da far fare a qualcuno. Un po’ tutti se lo aspettano, dai figli di Afrodite. Non che tutta la Cabina 10 abbia questo tipo di capacità.» aggiunge, ma sembra più un commento lasciato cadere, fatto senza la pretesa che gli altri vi prestino attenzione. Shouto non è granché in queste cose, non è il tipo a cui riesce bene distinguere cosa gli altri vorrebbero che importasse delle loro parole e cosa no, tranne quando è molto evidente. Shinsou non lo aiuta a capire se dovrebbe concentrarsi a chiedere quanti abbiano l’abilità di cui parla o se invece il focus sia se lui vorrebbe o potrebbe fargli fare qualcosa di peggiore. 


«Avresti potuto farmi tornare indietro,» decide invece di dire «quando ti ho trovato con la bandiera.»
«Tu avresti potuto provare a prenderla.» ribatte il figlio di Afrodite, non senza ragione. Shouto suppone che forse avrebbe dovuto evitare di riportare a galla l’avvenimento e d’istinto osserva gli altri, apparentemente ancora addormentati. Il cielo è ancora buio sopra le loro teste, quindi l’alba deve essere meno prossima di quanto pensasse. Questo lascia troppo tempo per una conversazione che forse non aveva voglia di portare avanti ma, d’altronde, è un pessimo attore e se anche fingesse improvvisamente di avere sonno Shinsou è probabile intuirebbe subito che si tratta di una bugia.


«Odio cattura bandiera.» ammette così, offrendo l’ennesima sincerità che rivolge a molti ma che nella sua forma assoluta è stata concessa solo a Tamaki, finora, e pochissime volte. Shinsou non sembra sopreso da questa sua confessione, ma nemmeno ha l’aria di chi ne fosse sicuro al cento per cento. Lo scruta, quasi cercasse la menzogna nei lineamenti del suo viso, nel suo respiro regolare, nel linguaggio del suo corpo. Quando non la trova, non lascia trapelare né soddisfazione né delusione.


«Sembra non ti piacciano un sacco di cose che invece piacciono ai figli di Ares.»
«Faccio quello che fanno tutti, tranne prendere la cattura di una bandiera come una questione personale.» spiega, ancora alla ricerca di un personale motivo per farsela piacere, per trovare uno scopo che vada oltre la semplice competizione e il singolo obiettivo. Sono anni che ci prova. Comincia seriamente a pensare di doversi arrendere, a dirla tutta.


«Forse.» concede Shinsou «Fai lo stretto indispensabile. Ma curi gli altri nelle retrovie quando necessario, non tratti da schifo Izuku al contrario del tuo discutibile fratello, non sei in competizione con nessuno su niente. Non sembra nemmeno importanti granché del riconoscimento di Ares.» aggiunge e forse, pensa distrattamente Shouto, Shinsou lo ha detto di proposito per stuzzicarlo. Potrebbe aver notato in lui cose che Shouto è sempre stato convinto di nascondere bene. E’ la prima volta che prova l’istinto di non tacere e tenere per sé un commento, tagliente o meno che possa rivelarsi.


«Ares ha abbastanza figli da poter evitare di aspettarsi qualcosa anche da me.» pronuncia, più gelido di quanto avesse preventivato di essere «E non deve per forza esserci merito nel combattere a occhi chiusi finché non si viene sconfitti.»


Il silenzio tra loro dura abbastanza, ma non così tanto da far pensare a Shouto che la conversazione possa dirsi conclusa. Shinsou guarda il fuoco ravvivato poco prima, poi alza gli occhi su Shouto neanche dovesse scrutargli dentro per tirare fuori più risposte e informazioni di quante lui sarebbe mai disposto a dare. Sembra trovare qualcosa di interessante, a un certo punto, e Shouto capisce di cosa si tratta quando l’altro dice: «Beh, per voi le cicatrici sono medaglie al valore.»


Si alza con un movimento così repentino che è solo quello di risposta di Shinsou - un mettersi in guardia non completo, ma dato dall’urgenza e dall’istinto - a fargli capire di sembrare probabilmente sul punto di attaccarlo. Questo lo ferma sul posto, gli inchioda i piedi sul terreno come se fossero l’unica cosa a impedirgli di cadere giù da un burrone. Il calore del fuoco sfiora le punte delle due dita e Shouto serra la mascella.


Dentro di lui una voce grida mille risposte per Shinsou. Vorrebbe dirgli che nessuno sano di mente si farebbe sfigurare solo per potersi vantare di essere uscito vincitore da una battaglia; che i mostri affrontati fuori dal campo sono stati peggiori di qualsiasi cosa affrontata dopo esserci entrato; che Ares può essere fulminato con tutto il resto dell’Olimpo, per quanto lo riguarda, perché non è e non sarà mai più padre di quanto lo sia stato quello che ha portato Shouto a scegliere di non tornare più a casa. 


Invece si gira, si allontana, e quando Momo apre gli occhi e nella lentezza del risveglio gli chiede dove stia andando, Shouto le lancia un’occhiata gelida e l’unica parola che le offre è: «Ricognizione.»


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Warnings: kissing, making out, (very) vague petting



Il primo anno alla UA non è dei più facili, per Shoto, ma sospetta non sia facile per nessuno. Si sono ritrovati tutti tra le mani un sogno più grande di loro, qualcosa in cui credevano fermamente e la convinzione di poterci arrivare con l'impegno, sì, ma senza avere un'idea precisa di quanto ne servisse. Un po' come tutte quelle cose idealizzate fin da piccoli, in cui si guarda a un obiettivo per cui si è consapevoli di dover lavorare duro ma quando si comincia a farlo si viene schiacciati da quella stessa durezza che si credeva di conoscere appieno.


Si potrebbe dire che la prima volta in cui si accorge di Shinsou sia il festival dello sport, durante il suo scontro con Midoriya, ma più che notarlo si tratta di prendere atto di un'esistenza e poco più; Shouto era troppo concentrato su se stesso e sul dimostrare a suo padre che mai e poi mai avrebbe utilizzato un potere ereditato da lui e che aveva, forse irrimediabilmente, distrutto sua madre e l'intera famiglia per preoccuparsi di chiunque calcasse il ring del festival. Lo nota davvero durante l'esercitazione in cui Shinsou deve dimostrare di avere le qualità necessarie a passare di corso. C'è qualcosa di familiare nel modo in cui non vuole avere amici intorno, o almeno si professa poco interessato a farsene, e come questo è sufficiente a farlo finire circondato da persone mosse dall'intenzione esattamente contraria. Shouto non si definisce uno che non vuole amici, ma immagina di essere sembrato un po' come lui, scostante e disinteressato, quasi freddo. Alla UA, però, essere lasciato in pace è quasi impossibile e non sarà lui a cercare di fermare chi come Midoriya o Kaminari sembra nato per distruggere qualsiasi certezza quelli come lui e Shinsou potrebbero avere.


Sarebbe comunque uno sforzo del tutto inutile. Lui preferisce prendersi più tempo per osservare, cercare in Shinsou somiglianze e differenze, come in un gioco. Riconosce una punta di imbarazzo, intravede il disagio di chi non si sente meritevole o di chi ha un obiettivo troppo grande per concedersi quel tipo di distrazione eppure - al tempo stesso - vorrebbe con tutto il cuore poterselo permettere. Se deve essere sincero, Shouto però vede anche qualcuno schiacciato dal suo passato, dal suo Quirk, da una reputazione di cui è quasi impossibile disfarsi se non impegnandosi il triplo di quanto fanno gli altri e senza nemmeno la certezza di riuscirci. Vede la fatica dell'accettazione. Vede la convinzione che chiunque, letteralmente chiunque altro, sia stato più fortunato di lui. Ogni aspirante eroe è un nemico, l'oggetto dell'invidia: chi ha avuto genitori amorevoli, chi ha avuto un mentore che ha creduto in lui o in lei, chi ha potuto scegliere la sua strada a cuor leggero.


Con il tempo, Shouto ha imparato a non giudicare con superficialità secondo la propria convenienza, ma in cuor suo a volte sente ancora l'invidia spingere forte per uscire e prendere il sopravvento. Per questo, la prima volta che nota davvero Shinsou si riconosce, e questo lo spaventa.


*


In una storia qualunque, Shouto si sarebbe dovuto accorgere di Shinsou tanto da volerlo avvicinare durante la cerimonia di diploma. Quale occasione migliore, se non il raggiungimento di qualcosa di così grande e la svolta da sogno a raggiungimento dell'obiettivo di diventare un Pro Hero a tutti gli effetti? Avrebbe senso avere finalmente quel singolo momento in cui ci si guarda intorno, si abbracciano con lo sguardo le persone con cui in fondo si è cresciuti, con cui si sono condivisi gioie e dolori, successi e fallimenti. La sezione A, nello specifico, è diventata qualcosa di enorme dentro di lui: hanno visto troppe crudeltà che la vita avrebbe dovuto tenere da parte per quando sarebbero stati più grandi, più pronti. Hanno dovuto subire perdite e prendere decisioni impossibili a cui non si riesce mai ad arrivare davvero preparati nemmeno da adulti, neanche dopo anni a combattere il crimine e il male. Avrebbe perfettamente senso trovarsi lì, scattare una foto di classe o di gruppo senza più preoccuparsi di una sezione che ci si lascia alle spalle, e pensare che Shinsou è lì dov'è sempre stato eppure dove lo vede ora per la prima volta, dove si interessa a lui. Sarebbe una storia perfetta.


Invece Shouto si sofferma su di lui un anno dopo, quando una riunione con i vecchi compagni che li vede tutti miracolosamente presenti - per nulla scontato, visti gli impegni di ogni Pro Hero - li porta a sedere intorno allo stesso tavolo e a occuparsi di rimettere in piedi Kaminari dopo troppe, troppe birre.


Lo hanno appena messo in sesto abbastanza da potergli chiamare un taxi e Kirishima si è offerto di assicurarsi che arrivi a casa con le sue gambe, visto che abitano abbastanza vicini. Il chiacchiericcio degli altri, divisi in piccoli gruppi come durante le feste di Natale alla UA, fa da contorno a una notte in cui si gela. Le feste sono alle porte, la prima neve minaccia di cadere da un momento all'altro e le luci del locale dove hanno mangiato accompagnano una serata altrimenti buia ma non abbastanza da rendere facile vedere le stelle, complici anche le luci artificiali della città. Shouto ha le mani affondate nelle tasche del cappotto grigio scuro, la sciarpa color ghiaccio ben sistemata nella speranza di coprire quanto più possibile dal collo in su. A ogni respiro, l'aria abbandona la sua bocca per trasformarsi in nuvolette di condensa.


Kaminari sbraita qualcosa per poi di scoppiare in una fragorosa risata prima e subito dopo in un urletto spaventato che sarebbe preoccupante, se solo non fosse seguito dalle minacce gridate da Bakugou e dalla risata divertita di Mina. Lo sguardo di Shouto, però, vira sulla propria sinistra quando vede con la coda dell'occhio la figura di Shinsou poggiarsi stancamente con la schiena contro la parete del locale. Non è cambiato molto da quel festival sportivo del primo anno, con i capelli più corti che danno l'impressione di essere meno in balia della gravità ma la stessa, identica espressione di sempre. Sta guardando verso il gruppo di Kaminari, le mani nelle tasche del cappotto nero quasi a mimare la posizione di Shouto, un vago accenno di sorriso sulle labbra così lieve che è difficile intuire se sia divertito o se abbia una punta di sarcasmo ben nascosta.


Non parlano lì per lì, ma non sorprende nessuno. Né lui né Shinsou sono mai stati i chiacchieroni della situazione o l'anima delle feste che negli anni hanno organizzato, per quanto gli eventi e i conseguenti umori hanno reso possibile. Ci vuole Kirishima che annuncia l'arrivo del taxi e offre un saluto generale mentre tiene in equilibrio Kaminari a far aprire bocca a Shinsou per dire: «I miei timpani sono salvi.»


E' una frase semplice, ironica, abbastanza tipica di lui o dell'aspetto di lui che Shouto ha visto crescere nel tempo. Al di là dei cambiamenti fisici, che non sono stati molti appunto, di fondo Shinsou non è troppo diverso da come lo ha conosciuto e da come Shouto pensa di averlo inquadrato già la prima volta, quando ha deciso di non voler approfondire perché in un modo complesso e contorto era come guardarsi allo specchio. C'è ancora una perenne punta di ironia nel modo in cui Shinsou parla, quella punta che lo rende odioso a molti ma adorato da tanti altri, specie chi lo ha conosciuto anni fa. C'è la poca propensione all'amicizia di convenienza, ma nel tempo è diventato capace di instaurare legami profondi - pochi, ma duraturi. E' qualcuno di cui si può apprezzare la sincerità, una volta riusciti ad andare oltre l'angoscia di chi ha dovuto sempre giustificarsi per un Quirk destinato ai villain ma capace anche di fare del bene. Shinsou è un'argilla che è stata intaccata da Midoriya e poi rimodellata da Aizawa e dal resto di quelli che hanno voluto dargli e darsi una possibilità.


Shouto pensa di apprezzarlo: lavora bene, non perde tempo, è scrupoloso e attento. Non parla troppo, non urla granché, riesce a stemperare momenti complessi con parole semplici. Ha la consapevolezza di quanto pericoloso potrebbe diventare ma la morale di qualcuno che non lo permetterebbe mai.


Solo che non glielo ha mai detto, e non ha idea di cosa Shinsou pensi di lui.


«Non ho mai capito come uno come te, Todoroki, li incontri una volta ogni due mesi. Per non parlare del fatto che lavorate spesso insieme, giusto?» Shinsou gli chiede, sorprendendolo non poco. Midoriya non ha fatto altro che parlargli di lui, a un certo punto, consigliandogli di approcciarlo di più se gli fosse capitato perché sono certo andreste d'accordo, Todoroki-kun. Lo ha sentito così tante volte, ha annuito, detto che sarebbe capitata l'occasione. Però non l'ha mai fatto, non come intendeva Midoriya probabilmente.


«Il gruppo di Bakugo?»

«Sì. Posso capire Izuku,» pronuncia Shinsou con un cenno del capo. Shouto segue la linea di quel gesto e non si stupisce di trovare Midoriya accanto a Bakugo, forse cercando di evitare che faccia esplodere il taxi da cui Kaminari sta cercando di sporgersi ritardandone la partenza: «so che siete amici. E non è così rumoroso come gli altri. Ma pensavo avessi solo una rivalità a senso unico con Bakugo, almeno a guardarvi alla UA.» aggiunge. E' complesso, per Shouto, focalizzarsi sulla cosa corretta quando il primo pensiero è chiedersi sinceramente stupito quando mai, durante gli anni alla UA, Shinsou si sarebbe preso la briga di osservarlo al punto da avere un'opinione sul suo rapporto con Bakugo.


«Siamo amici. Con Bakugo, intendo.»

«E lui lo sa?» ironizza Shinsou, offrendo un ghigno leggero «E non oppone resistenza?» rincara la dose, facendo scappare un sorriso anche a Shouto. Non c'è dubbio che Bakugo si opporrebbe con tutte le sue forze alla definizione, anche ora che è palese agli occhi di tutti abbiano almeno raggiunto la soglia dell'amicizia. D'altronde, Bakugo ammette a stento di avere dei genitori di cui si preoccupa, a volte.


«Ogni tanto prova.» concede Shouto, riconoscendo la soddisfazione nei lineamenti di Shinsou. Si prende qualche momento per osservarlo, mentre l'altro fa vagare di nuovo lo sguardo verso il gruppo più numeroso.


«Quindi Midoriya te lo ha detto.» dice, abbastanza certo che Shinsou capirà a cosa si riferisce.

«Non ce n'era bisogno,» replica l'altro, incassandosi leggermente nelle spalle «non è che Bakugo sia proprio una persona capace di nascondere le cose. Ci riuscirebbe anche, ma non è discreto su questo.»


Shouto capisce bene cosa intende. Per i più non c'è molto da notare, forse, e per quanto Bakugo possa considerarsi caratterialmente irruento la crescita e le esperienze hanno smussato il suo carattere più di quanto chi non lo conosce potrebbe credere. Però per un occhio allenato, per chi li conosce da quando avevano quindici anni, ci sono cose lampanti; nessuno lo puntualizza, e Shouto lo ha saputo da Midoriya in persona come confidenza di un caro amico, ma il rapporto tra i due Pro Hero più famosi non è un mistero per nessuno della ex 1-A.


«Comunque trovo ancora sorprendente il vostro, di rapporto. Lasciar avvicinare Izuku? E' un conto. Tu, Todoroki?» sottintende qualcosa che invece, stavolta, a Shouto sfugge. Aggrotta la fronte, confuso, cercando di cogliere quella sfumatura che invece gli scivola tra le dita come sabbia. E' un aspetto profondamente legato alla persona di Shinsou, nella sua testa. Alla fine, proprio come in tante altre occasioni, a Shouto non resta altro che dare voce ai suoi pensieri per come sono, confusione compresa: «Io e Bakugo non siamo mai stati insieme...?»


Repentino come se Shouto avesse appena ammesso di essere una spia del peggior villain in circolazione, lo sguardo di Shinsou è su di lui in un secondo; un istante dopo sta disperatamente cercando di non scoppiare a ridere e, di conseguenza, rischiare di attirare l'attenzione.


Mentre gli dice che non era quello il senso delle sue parole e che l'immagine mentale dopo la sua affermazione è terribile e davvero, Todoroki, non voglio mai più immaginarlo Shouto pensa soltanto di non averlo mai visto ridere.


Vorrebbe vederlo ancora, e ancora, e ancora.


*


Di incontri ce ne sono stati tanti altri, dopo quella riunione. Occasioni in cui hanno passato del tempo insieme, hanno parlato e Shouto si è ritrovato a pensare che fosse piacevole stare con Shinsou, per brevi che potessero rivelarsi gli incontri a causa degli impegni di entrambi. Shouto vorrebbe poter dire che sono stati tutti significativi, tutti in virtù di un'epifania che a sentire Midoriya non ha nulla da spartire con la cena a ridosso del Natale di un anno precedente o con le collaborazioni nell'ambito lavorativo - a sentire lui, è qualcosa cominciato molto prima. Shouto non sa quando e non vuole credere a Midoriya quando gli dice è solo una cosa che ho notato, forse al secondo anno?


In ogni caso, Shouto non pensava si sarebbe ritrovato nella situazione attuale: il corpo di Shinsou è contro il suo, sono entrambi al buio e nascosti come ladri in una stanza che Todoroki non sa nemmeno quale sia di preciso. Immagina sia questo che succede a qualsiasi party dove finiscono con l'incontrarsi veramente troppi Pro Hero, situazioni in cui tutti conoscono tutti e ci sono almeno cinque persone che bevono abbastanza da essere brille. Shouto riesce comunque ad apprezzare il fatto che nessuno si sia mai ubriacato tanto da non reggersi in piedi, consapevole della possibilità di poter essere chiamati in qualsiasi momento in caso di necessità e cercando quindi di essere almeno lucidi abbastanza da poter sostenere la cosa. Da quanto ne sa, comunque, non si è mai verificato alcun incidente in situazioni simili.


Dall'altro lato della porta contro cui aderisce la sua schiena, Shouto riesce a sentire lo scalpiccio di chi si muove per cercare qualcosa o qualcuno, che in questo caso assume le sembianze di un Mineta molto ma molto brillo. Una molestia su due gambe e priva di freni inibitori, in pratica. Può quasi immaginare Hagakure e Ashido allearsi per immobilizzarlo appena riusciranno a trovarlo e a non finire colpite dal suo Quirk disseminato qua e là come piccole trappole.


Shinsou lo ha spinto dentro la stanza proprio per evitare una cascata lanciata sicuramente dallo stesso Mineta per fermare i propri inseguitori o catturare qualche collega. La porta socchiusa deve essere sembrata la soluzione migliore tra quelle a portata di mano e Shouto ne è grato, preferendo di gran lunga non avere nulla di Mineta appiccicato al corpo, se può scegliere. Ma nemmeno avere Shinsou contro di lui aiuta - non quando ha bevuto un decimo rispetto agli altri ma quel decimo è sufficiente a renderlo molto più consapevole della situazione di quanto vorrebbe essere. Un braccio di Shinsou è vicino al suo orecchio, poggiato contro la porta; il suo viso non è di molto distante dal proprio, le labbra semichiuse e l'odore di alcolico fruttato che stava bevendo leggero nell'aria che stanno condividendo. Ha gli occhi fissi sulla porta, quasi potesse vederci attraverso, e un mezzo sorriso a curvargli le labbra in risposta alle parole poco signorili che Mina sta pronunciando in mezzo al corridoio.


Shouto è abbastanza sicuro che l'altra mano di Shinsou sia contro la parete, poggiata con più morbidezza di quella consentita se si vuole cercare di reggere il proprio peso, e quello infatti è in buona parte contro il suo corpo e non aiuta molto. Non più di quanto faccia il fatto che Shinsou si sia liberato del maglione quaranta minuti fa, nell'altra stanza, prima che succedesse tutto questo casino e che quindi gli sia rimasto addosso solo un dolcevita scuro. Shouto non ha mai badato troppo né ai vestiti degli altri né ai propri, purché fossero funzionali al lavoro, se non quando ha posato per qualche rivista e altri lo hanno vestito sul set. E' stato meno catastrofico delle interviste solo perché farsi fotografare implica poter rimanere in silenzio. A ogni modo lui non ha mai badato troppo a queste cose ma è quasi felice che con la luce spenta e poca a filtrare dalla finestra grazie ai lampioni su strada non si veda granché. Quel poco che vede lo fa già sentire troppo vicino, troppo a contatto, troppo tutto.


«Possiamo uscire?» domanda, cercando di non suonare troppo disperato o seccato, ma più neutrale possibile. Shinsou sussurra uno sssh e Shouto obbedisce, restando immobile come non crede di essere mai stato in vita sua al di fuori del lavoro. Purtroppo per lui, due cose gli remano contro: fuori non sembrano intenzionati a lasciare il corridoio agibile tanto presto e Shinsou è una persona il cui intuito non ha fatto che acuirsi negli anni. Todoroki ci ha quasi sperato, che il suo essere teso come una corda di violino passasse inosservato.


Avrebbe dovuto immaginare che uno dei migliori amici di Midoriya non potesse farsi scappare un dettaglio simile.


Shinsou si tira leggermente indietro, quanto basta a guardarlo - sempre ammesso lo veda abbastanza - prima di mormorare un: «Okay?» a sostituire un più articolato "è tutto a posto?", probabilmente. Shouto annuisce, forse per non tradirsi, dimentico di dover sforzare le parole nel caso l’altro non si fosse ancora abituato all’oscurità e questa gli impedisca di vedere i dettagli e magari anche i movimenti. Sospira piano, cercando di non sbuffare aria direttamente in faccia all'altro.


«Okay.» replica, sentendo Shinsou lasciarsi scappare un accenno di risata. Non ha nemmeno bisogno di chiedergli spiegazioni, quelle gli vengono offerte su un piatto d'argento da uno scettico «Come no.»


Quelle due semplici parole gli fanno storcere il naso, o magari è lo scetticismo in sé che non riesce a digerire mentre cerca di non sembrare di nuovo un ragazzino di diciassette anni che tenta di ignorare come persino uno dei suoi amici più fidati si sia reso conto della sua cotta adolescenziale. Adesso di anni ne hanno ventuno, e Shouto è meno pronto di quanto era al suo secondo anno alla UA.


«Cosa vuol dire "come no"?» chiede, sistemandosi contro la porta come farebbe su una sedia. Il corpo di Shinsou si scosta un poco dal suo e Shouto deve quasi farsi violenza per non sospirare sollevato in maniera talmente palese da farsi sentire persino da Mineta, ovunque egli sia.


«Izuku lo ha detto più di una volta, che sei difficile Todoroki. Solo non pensavo così tanto.» «Sembra tu non discuta di altro con Midoriya.» commenta, non sa nemmeno lui bene del perché quella nota lievemente piccata accompagni l'affermazione. Se fosse una commedia romantica di quelle che ogni tanto ha guardato con Asui potrebbe affermare, senza dubbi di alcun tipo, che si tratti di gelosia. Ma è difficile vedere in Midoriya un pericolo quando è in una relazione stabile con quello che deve essere stato la sua cotta di sempre e dunque ben lontano dall'avere un rapporto dubbio con Shinsou. E soprattutto, se anche fosse, Shouto non ha diritti di alcun tipo. Nemmeno sull'irritarsi.


«Todoroki, hai bevuto?» arriva la domanda che meno si aspetta, un repentino cambio di argomento che lo confonde un po', lì per lì. Decide di rispondere comunque, non avendo la forza di cercare di aggirare il pensiero di Shinsou e comprenderne anche solo una parte: «Un bicchiere, forse. Mezzo vuoto.»
«Di birra?»
«Di qualcosa versato da Asui. Voleva offrirmelo Ashido, ma è meglio di no.» ammette. C'è qualche istante di silenzio tra loro, quasi Shinsou stesse considerando qualcosa che a Shouto sta del tutto sfuggendo.


«Mi sembra una scelta saggia. Ho bevuto due volte con Ashido in un locale: non ho mai visto nessuno reggere così tanto.» ammette, e a Shouto sembra di vederlo fare spallucce. Non ha mai bevuto con Mina ma ha il sospetto che perderebbe dopo un solo bicchiere. Un po' come sospetta non ci sia filo logico tra le due frasi che Shinsou ha pronunciato finora.


«...Sei ubriaco?»
«Ci vogliono altri tre drink per farmi ubriacare. Ma fingiamo tu lo sia, così posso farti un paio di domande e tu puoi rispondere senza inibizioni, Todoroki.» propone Shinsou, e a questo punto Shouto davvero non sa più quale filo logico ci sia nella conversazione. Il corpo dell'altro, di nuovo contro il suo, non agevola per niente il pensiero critico. L'assenza di risposta da parte sua sembra invece essere letta come una conferma da Shinsou, e mentre lo sente aprire bocca per chiedere Shouto ha la sensazione di starsi già pentendo di non avergli detto che no, non finge di essere ubriaco non avendo mai provato l'esperienza e che non ci sono domande a cui può rispondere solo sotto l'effetto di un alcolico.


Non sa quanto si sbaglia finché non sente la voce di Shinsou domandargli: «Ti piacciono gli uomini, Todoroki?»


Questa è una di quelle domande che nessuno vuole mai sentirsi rivolgere a bruciapelo, specialmente se si è uno dei tre Pro Hero più famosi del momento, si è nell'occhio del ciclone di più o meno qualsiasi news presente in rete e si tiene un minimo alla propria privacy, motivo per il quale non si è sbandierato ai quattro venti di avere un'infatuazione per un ex compagno di scuola. Soprattutto, però, ed è quello a gelare Shouto sul posto, quella è la domanda che lui non vorrebbe mai sentirsi rivolgere. Perché i Todoroki hanno impiegato anni a imparare a parlare dei propri sentimenti senza che questo implicasse fiamme, iceberg giganti e toni rabbiosi. Senza che parlare significasse ferirsi a vicenda, anche se in buona fede, o rinfacciare ferite mai sanate davvero ma solo medicate al meglio possibile. Per quanto suo padre abbia cercato di rimediare, Shouto è cresciuto per dieci anni senza una madre - ma con una bruciatura sul viso a ricordargli di averla avuta e perché non fosse più con lui -, con un padre colpevole e una famiglia distrutta. Per quanto sua sorella ci abbia provato, farlo crescere con la capacità di condividere le proprie emozioni è stato un compito troppo gravoso anche per lei.


Deglutisce, non osando aprire bocca. Shinsou però non sembra intenzionato a lasciar stare e stavolta interpreta il suo silenzio come un dover riformulare, essere più chiaro.


«Intendo dire, visto che non sei sembrato troppo sorpreso di sapere di Izuku e Bakugo né troppo contrario all'idea che pensassi tu e Bakugo aveste avuto una relazione, che forse anche tu—» Shouto lo blocca, la mano contro la bocca di Shinsou prima ancora di riuscire a chiedergli a voce di chiudere la questione e non parlarne, non ora, ma neanche in futuro se possibile. Sente l'imbarazzo salirgli lungo il collo ed è grato per la scarsa illuminazione della stanza, perché significa che anche per Shinsou dovrebbe essere difficile notare quel momento di debolezza. E' ancora più in imbarazzo quando sente le labbra contro il palmo della sua mano, però, perciò allenta leggermente la presa. Shinsou è in silenzio, forse perché non si aspettava di essere zittito in quel modo. Oltre la porta, nel corridoio, c'è ancora del vociare ma sembra essersi fatto più lontano.


Nessuno di loro muove un muscolo, però.


Il silenzio è l'unica cosa a rimanere tra loro e per Shouto non è mai stato scomodo come adesso. Una parte di lui preferirebbe parlare di qualcosa, un argomento semplice, oppure uscire da quella stanza e guardare Ashido vendicarsi di Mineta e riportarlo nella sala principale.


Non si aspetta di sentirsi scostare la mano - o meglio quello sì, perché è stato un gesto improvviso il suo e ha perfettamente senso che Shinsou gli afferri il polso e allontani la sua mano dalla propria bocca - ma, ancora meno, si aspetta di sentire le labbra di Shinsou sulle proprie. Per un momento, una manciata di secondi appena, rimane fermo perché cos'altro dovrebbe fare? Lì contro una porta, con Shinsou addosso, una domanda scomoda rimasta tra loro senza risposta e il ragazzo che ha seguito con lo sguardo per più anni di quanto voglia ammettere lì a baciarlo.


Poi una mano si va a poggiare sul fianco di Shinsou e schiude le labbra, anche se più d'istinto che non come un invito. Si ritrova comunque a rispondere al bacio, anche quando non è più casto ed è invece ben oltre le sporadiche fantasie che si è concesso in dormitorio anni prima, quelle che lo facevano sentire in difetto finché non ha parlato con Midoriya, anche se mai nel dettaglio, mai davvero.


Shinsou è come se avesse aspettato per tutto il tempo un cenno, uno solo ma sufficiente a dargli ciò di cui aveva bisogno per andare oltre una domanda, oltre un dubbio insinuato nell'innocenza di un quesito buttato lì per caso. Non appena sente il tocco della mano di Shouto e non viene respinto, il suo corpo preme di più contro quello di Todoroki e la sua gamba si fa spazio tra quelle di Shouto. La mano libera gli accarezza il fianco, quasi fosse indeciso se provare a far scivolare un paio di dita sotto il suo maglione o restare solo lì, a lasciare qualche carezza. Alla fine Shouto non sa nemmeno più che fine faccia, se la dimentica completamente mentre morde piano il labbro inferiore di Shinsou e si ritrova a rispondere a un bacio dato con ancora più trasporto.


«Aspetta un momento» mormora quando Shinsou si è finalmente deciso a ignorare il tessuto del suo maglione e ad andare ad accarezzargli direttamente la pelle. Lo sente fare un verso di disappunto ma, in un controsenso palese, la sua mano è ferma e la sua gamba anche. Il suo viso si scosta, sebbene di poco, e il suo respiro è più veloce contro la pelle di Shouto.


«E'... okay?» lo chiede confuso, ma Shouto capisce quasi immediatamente che c'è una domanda più specifica in quelle due parole che sembrano buttate lì per caso. Scuote la testa, d'istinto, salvo ricordarsi di nuovo che non è sufficiente.


«Sì, però—» «Cazzo,» sibila Shinsou, scostandosi un po' di più «non sei...? Da come Izuku lo aveva detto e da come guardavi ho pensato—»
«Non è quello.» chiarisce Shouto, più deciso. Non si tratta di non essere omosessuale o di non essere attratto da Shinsou, né di qualche improbabile fraintendimento: «Non sei ubriaco, giusto? Hai detto di no, ma anche Kaminari dice lo stesso quando non riesce a camminare dritto.» fa presente e non vuole ritrovarsi a baciare qualcuno che a stento ha osato seguire con lo sguardo quando era sicuro di non essere visto e scoprire che il giorno dopo non se lo ricorderà. O, peggio, che non voleva.


«...Todoroki ti ho portato dentro una camera buia e senza nessuno, ti ho messo spalle al muro, ti sono addosso da almeno dieci minuti, ti ho chiesto se ti piacciono gli uomini e ti ho baciato. Direi che non devi preoccuparti del fatto che io possa essere mosso solo dall'alcool in circolo. Non sono ubriaco.»


Shinsou glielo dice a chiare lettere e Shouto non ha davvero motivo di non credergli; in verità parte di lui è consapevole che uno come Shinsou difficilmente si metterebbe in condizione di non poter prendere delle decisioni con lucidità. Nonostante questo, però, ha avuto bisogno di chiederlo - perché è da te, Todoroki-kun, direbbe Midoriya che di lui ha questa immagine forse troppo idealizzata. A volte Shouto pensa che tutta la gentilezza e la nobiltà d'animo che Midoriya gli attribuisce non sia davvero lì. La verità è che sì, non vuole mettere le mani addosso a una persona ubriaca (una persona per cui prova qualcosa, soprattutto), ma non vuole neanche Shinsou se lo dimentichi il giorno dopo. O che possa dire di essersi lasciato trasportare, sottintendendo magari che altrimenti, in circostanze diverse, non sarebbe avvenuto.


«Todoroki?» la voce di Shinsou lo allontana dai propri pensieri, insieme alla mano che gli sfiora la guancia con una delicatezza dettata probabilmente dalla stessa preoccupazione che sente nel suo tono di voce, per quanto sia poco più di un sussurro.


«Sto bene.» mormora Shouto in risposta, ma non si sorprenderebbe per nulla nello scoprire che Shinsou non gli crede e, al massimo, si limiterà a fingere di farlo. Per Shouto non potrebbe davvero esserci una situazione peggiore di questa, qui con di fronte l'unica persona che abbia mai avuto voglia di baciare negli ultimi quattro anni e l'idea mai superata di essere destinato al perenne rifiuto. Importa poco che Shinsou lo abbia baciato per primo, che gli abbia detto a chiare lettere di essere perfettamente cosciente di cosa stia facendo - è una piccola voce nella sua testa, quella che di solito diventa la migliore amica di chi ha subito il rifiuto per tutta la sua vita: suo padre, per cui niente sarebbe stato mai abbastanza finché non è cambiato; sua madre, che forse ha visto in lui l'ombra dell'uomo che l'aveva resa incapace di sopportare oltre; se stesso, perché non si è mai perdonato di essere e non essere, di avere il fuoco a scorrergli nelle vene e la capacità di ferire come suo padre e la debolezza di un cuore bisognoso di legami di sua madre. Shouto ha desiderato essere chiunque tranne che se stesso e, quando si è accorto che era impossibile, ha cercato di modellarsi nella versione migliore di sé. O almeno quella che pensava sarebbe stata tale agli occhi di tutti, lui per primo.  Quando si cresce con un tale mostro nell'armadio, non si riesce a sentire il desiderio di qualcuno nei propri confronti e crederci. Nemmeno quando, razionalmente, non c'è altro da fare se non quello.


La mano di Shinsou scivola via, incerta, quasi volesse restare ma stesse lentamente perdendo ogni speranza di instaurare un contatto degno di questo nome. Shouto d'istinto la prende, perché non riesce a fare diversamente, a lasciar andare. L'abbandono è stato forse peggiore del rifiuto e ha capito, anni prima mentre guardava quasi svogliatamente il ring di un festival dello sport, che nessuno lo comprende meglio di Shinsou. Se lo lascia andare adesso, non tornerà. Non farà un altro tentativo.


Lo sente rimanere immobile, a quel gesto. Forse si sta chiedendo se non sia il caso di aprire la porta e uscire in corridoio, ora che non si sentono più né rumori preoccupanti né affermazioni violente da parte di Mina. Se aprono la porta possono raccontarsi che non è successo niente, possono fingere non ci sia stato nulla di particolare in quella stanza se non mettersi al riparo da qualsiasi cosa Mineta abbia tentato di fare. Fuori dalla porta c'è la possibilità di tornare a come sono sempre stati negli ultimi quattro anni: due persone che hanno spesso combattuto il crimine insieme, cresciuti tra gli stessi banchi e formati dalle stesse esperienze o quasi. Amici di Midoriya. Chissà, magari con il tempo amici a prescindere da lui.


Shouto fa una delle cose più difficili che abbia mai dovuto fare, quando si sporge in avanti e cerca un po' alla cieca il viso di Shinsou prima e le sue labbra poi. Ha baciato in più di un'occasione, anche se non con eccessivo trasporto, ma di certo mai qualcuno che gli piacesse come gli piace lui. Ha cercato di non focalizzarsi su Shinsou ma alla fine è sempre tornato al punto di partenza, e c'è in lui l'insicurezza data dalla consapevolezza di tutto ciò che può andare storto. Sente lo stupore dell’altro sulla sua bocca, la rigidità del suo corpo sotto la mano che ancora sosta sul suo fianco.


Dal suo punto di vista è quasi un miracolo sentirlo rilassarsi e ricambiare quel bacio goffo, che è più un tentativo disperato che un flirt degno di essere definito tale. E tutto si aspetta, Shouto, tranne un passaggio repentino e al tempo stesso naturale come quello che avviene quando Shinsou non si limita più a rispondere a quel contatto titubante ma a comunicargli in ogni modo possibile che lo desidera, tanto quanto lo fa Shouto - quanto lo ha fatto per più tempo di quanto abbia mai voluto ammettere a se stesso.


Le mani di Shinsou sono la prima cosa che sfugge al suo controllo: un attimo prima sono ad accarezzargli il viso e quello subito dopo sono una sul suo collo e una sotto la sua maglietta, dove ha provato a intrufolarsi fin dall'inizio. Si sente sfiorare l'addome con le dita mentre Shinsou lo bacia come se si fosse trattenuto per anni, proprio come ha fatto lui; gli succhia il labbro inferiore, glielo mordicchia leggermente e intrufola una gamba fra le sue proprio quando decide di allontanarsi dalla sua bocca. Sembra aspettarsi il verso di apprezzamento che sfugge tra le labbra di Shouto (ecco, si dice, questa è una cosa che per ora fingerò non sia avvenuta) e coglie il momento per sentirlo. Shinsou sbuffa divertito e non cerca nemmeno di nasconderlo, prima di affondare il viso contro il suo collo e lasciare qualche bacio distratto, qualche morso leggero.


Shouto non sa se questo li sta portando da qualche parte. Dovrebbe chiederglielo, ma per ora non lo fa.


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