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Prompt: “Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo”

Missione: M2 (week 1)
Parole: 1550
Rating: teen up
Fandom: original

Warnings: accenni di violenza




Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo.


O meglio: perché lo stessero facendo nonostante entrambi avessero cambiato vita, in un certo senso, dando a essa un indirizzo in apparenza lontano anni luce dal precedente. 


A Tatsuya veniva da ridere: non importava a quante persone, tra quelle che conoscevano Aoi da molti anni, rivelasse la loro parentela. C'era sempre una reazione al limite dell'incredulo che per lui finiva con l'essere solo estremamente divertente. Ma questo, al contrario del legame di sangue tra lui e Aoi, non stupiva nessuno. Dopotutto come Irina avrebbe detto - così sosteneva - anche quando da morta starò di sicuro tormentando qualcuno, era troppo stronzo perché il suo ridere del disagio altrui arrivasse come qualcosa di inaspettato. D'altronde, non sentiva di poterle dare torto. Lui stesso con Aoi non aveva condiviso l'infanzia, ma lo aveva comunque conosciuto che era un ragazzino di quindici anni di cui comprendeva il terribile lutto subito - la perdita di una madre, Tatsuya lo sapeva, era qualcosa di insuperabile. All'epoca non aveva la forza né l'empatia necessaria (e forse neanche il coraggio) di dirgli che il massimo che sarebbe riuscito a fare sarebbe stato imparare a convivere con quel dolore, con quella mancanza. Era il massimo che si poteva fare. Il massimo che si poteva chiedere a se stessi.


Guardandolo ora, a venticinque anni e dopo dieci di conoscenza, era quasi difficile credere di avere davanti la stessa persona; Tatsuya, tuttavia, riconosceva in lui ancora un'anima non così dissimile da quella che era certo non avrebbe retto a lungo nella vecchia organizzazione in cui si erano incrociati per la prima volta. Era difficile dimenticare un ragazzino non troppo alto, pronto a impegnarsi nel comprendere qualcosa di difficile come la medicina pur di essere di supporto a discapito di un potere potenzialmente distruttivo. Era quasi impossibile dimenticarsi le sue mani fasciate nella speranza che una perdita di controllo distruggesse delle bende, prima di fare del male a qualcuno; di come lo trovava spesso a dormire fuori della sua stanza, rannicchiato tra i mobili, perché le cose, se distrutte, posso in qualche modo provare a ripararle. Lo aveva visto tentare e lo aveva visto fallire; lo aveva osservato affezionarsi e colpevolizzarsi ogni volta in cui qualcuno tornava con una ferita di troppo; lo aveva visto diventare il centro del mondo di una persona, condividere con quella tutto ciò che di più intimo aveva e di cui non aveva mai osato parlare; giorno dopo giorno Tatsuya aveva osservato, notato come Aoi fosse riuscito alla fine a toccare qualcuno senza paura di ucciderlo per errore. Lo aveva visto trovare una figura a metà tra un padre e un fratello.


Poi lo aveva visto capire di non essere abbastanza per loro - in quel modo terribile e collaterale, in cui si era importanti ma non abbastanza, non tanto quanto un ideale, non al pari di una decisione.


Tatsuya era sicuro di poter dire, non che fosse questo grande vanto nei confronti di un altro essere umano, di aver visto l'esatto istante in cui Aoi era passato dall'essere un ragazzo testardamente ottimista all'essere un uomo capace di vedere ancora il buono, ma anche di riconoscere le verità più crude. Non avrebbe saputo dire se quello fosse stato il momento in cui anche il suo potere aveva fatto un cambiamento importante né se fosse necessario perché avvenisse. Era solo cambiato, divenuto più stabile e Aoi aveva ora una consapevolezza e comprensione tale del proprio potere da essere uno degli ability user più forti e pericolosi in circolazione. Poco importava sottolineare quanto non fosse praticante, per dirlo in modo delicato, se non per esigenza.


«Non c'è nulla di sospetto nella stanza.» pronunciò Aoi, tirandolo fuori da quel flusso di coscienza che tempo fa non si sarebbe mai concesso. Tatsuya vorrebbe poter dire di non avere più l'istinto di una volta, ma saprebbe di mentire. Mai come negli ultimi anni aveva compreso le parole di suo padre che, nonostante non gli mancasse nemmeno un'unghia di quanto gli manchi sua madre, non era mai davvero riuscito ad accantonare. Troppo tempo della sua infanzia e della sua adolescenza era stato passato ad apprendere anche solo passivamente da lui, consapevole di come un giorno lo avrebbe sostituito, com'era poi successo. Lo diceva sempre, Kensuke Miyuki: un assassino non smette di esserlo solo perché decide di vestirsi da essere umano da un giorno all'altro.


A onor del vero, i Miyuki non erano mai stati assassini. Il codice gli imponeva un rigore assoluto. Ma nel loro ambiente era poco credibile pensare non sarebbe arrivato il giorno in cui ci si sarebbe sporcati le mani del sangue di qualcuno e Tatsuya non aveva fatto eccezione - aveva lasciato alle spalle, tra le dicerie dei vicoli, un record di cui non c'era nulla per cui essere fieri umanamente parlando. Ma il punto era che suo padre aveva ragione: Tatsuya non era più a capo del Miyuki-gumi - non esisteva più, un Miyuki-gumi - ma sapeva ancora come si impugnavano due katane contemporaneamente ed era certo di poterle usare meglio di molti altri, con la stessa precisione e freddezza di un tempo, al pari di quanto era sicuro di saper ancora respirare senza nemmeno dover pensare di farlo.


«Certo» riprese Aoi spostando lo sguardo su di lui e mantenendo un sorriso morbido «non pensavo sarebbe di nuovo capitato di essere insieme in una circostanza come questa, Tsuya.»


Ci era voluta una vita, prima di sentire Aoi utilizzare un nomignolo con lui; ora lo faceva come se non avessero avuto mai un rapporto diverso da quello di adesso.


«Ti dirò, un fidanzato nella mafia russa e essere adottato da una famiglia di assassini tedeschi forse avrebbe dovuto suggerirmi che potesse almeno succedere. Anche se ormai non esercito più, come direbbero alcuni.»

«Credo sia solo perché non ti chiedono di esercitare.» sentì dire ad Aoi, il tono morbido di chi immaginava non sarebbe mai stato in grado di smettere di essere gentile almeno con i suoi affetti: «Ma se chiunque della famiglia di Xylia ti chiedesse di tornare a fare questo lavoro ogni giorno, non ci penseresti affatto. Nemmeno ora che sei padre, forse.» lo sentì aggiungere, quasi in extremis.


Padre. Non ci avrebbe scommesso neanche uno yen, meno di un anno fa.


«Ahimé, rimango uno dei migliori ed è la croce delle persone di talento.» pronunciò, suonando volutamente più arrogante di quanto già non fosse la frase di per sé. Aoi, alla sua destra e di un paio di passi più avanti per meglio lasciar fare al suo potere il proprio dovere, sbuffò una risata quasi infantile.




«Allora sarai felice di sapere che la tua fama ti precede.»

«Ah, mi dai sempre buone notizie. Ero quasi preoccupato di aver lucidato le lame per niente. Ci pensi, tornare da Irina e deluderla dicendole di non averle nemmeno estratte dal fodero?» ironizzò, premurandosi di estrarne una sola per il momento. Avvertì gli occhi di Aoi seguire quel movimento, attenti ma al tempo stesso come si sarebbe potuto fare nel vedere un gesto conosciuto. 


«Sai chi sarà davvero deluso? Chihiro.»

«Non dirglielo» si raccomandò con un pizzico di serietà in più «penserebbe che sono tornato davvero a muovermi in un certo ambito e insisterebbe per venire qui.» proseguì, cercando il contatto visivo con Aoi «E non tornerebbe più a casa.»


Aoi non chiese di più, perché in fondo non aveva bisogno di farlo - aveva conosciuto Chihiro, aveva parlato con lui e aveva inquadrato più di quanto forse lo stesso Chihiro immaginasse. 


«Quindi» riprese Tatsuya guardando davanti a sé prima e verso il soffitto poi «quanti ne senti?»

«Difficile darti un numero esatto. Se salissi più di due piani, forse bloccherei qualche piede e perderemmo l'effetto sorpresa.» ammise, spostando anche lui lo sguardo verso il soffitto «Ti direi Due. Poi tre.» riportò, abbassando gli occhi sulle proprie mani. Tatsuya lo vide iniziare a liberare la destra della benda - ormai erano più simboliche, lo sapeva, ma c'era qualcosa di inspiegabile nel vedere Aoi toglierle volontariamente e con la calma di chi si priva di un indumento nel cambiarsi d'abito, quando si sapeva cosa nascondevano. 


«Solo la destra?»

«Preferirei non dover togliere anche l'altra. Significherebbe che siamo nei guai.»

«Stai insinuando che non sappia proteggerti, moccioso?» lo prese in giro Tatsuya, incurvando le labbra in un sorrisetto sghembo. Sentì Aoi cercare, senza troppo impegno, di mascherare l'accenno di una risata da sbuffo rassegnato.


«Non oserei, Tsuya.»

«Bene.» chiuse il discorso ma, soprattutto, la parentesi poco seria lasciando che il proprio potere andasse a coprire più superficie possibile. Al contrario di Aoi, esteso per due piani o per quindici non c'era affatto differenza nel suo caso - se non nella stanchezza che lo avrebbe aggredito a lungo andare, era ovvio. Ma in termini di percezione, non c'era modo per un nemico di accorgersene, nemmeno per la quasi totalità degli ability user. O forse nemmeno tra loro c'era qualcuno che avrebbe potuto percepirlo prima che fosse troppo tardi. 


Una manciata di lunghissimi secondi, quelli in cui rimasero avvolti nel silenzio per lasciare a Tatsuya tutto il tempo del mondo - un modo di dire che non avrebbe mai smesso di farlo ridere.


«Aoi.»

«Mh?»

«Non credo avrai bisogno di togliere le altre bende.»


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Prompt: La stella
Missione: M11
Parole: 1687





I rumori di casa sua sono difficili da ignorare, una volta che si è imparato a riconoscerli. Tatsuya ha tredici anni e pressoché nessun amico quando diventa in grado di riconoscerli tutti alla perfezione e, soprattutto, quando diventa abbastanza bravo da trovare un paio di modi per fare finta di non sentirli nemmeno, o per lasciarli passare in secondo piano tanto che, a volte, sembrano sparire del tutto.
Uno dei momenti migliori, però, è la mattina presto o la sera tardi; nel primo caso crede che sua madre ormai non creda più al suo svegliarsi presto per ultimare le cose della scuola - non ha mai avuto problemi a gestire le tempistiche per lo studio e non fa parte di alcun club, senza contare che è incapace di mentire a sua madre - e sia per questo che anche lei ha preso ad alzarsi di buon’ora, facendogli compagnia. Tatsuya ama avere del tempo con lei, e se non ci sono rumori a disturbarli tanto meglio. Quanto alla sera tardi, invece, quando la maggior parte dei membri del gruppo è in giro o - più raramente - a riposare in qualche angolo della sede, lui ne approfitta per starsene nella stanza del Miyukigumi che suo padre ha messo a sua esclusiva disposizione, quando non torna a casa.
E ultimamente , Tatsuya è sicuro che tanto lì quando a casa propria qualcuno lo osservi. Sebbene abbia un controllo più che buono della sua abilità, è pur vero che non ha ancora mai azzardato l’utilizzo su un altro essere umano e l’idea di farlo solo per smascherare quel qualcuno rischiando di causare qualche danno che lo farebbe scoprire non lo rende proprio entusiasta.
Per questo, sentendosi osservato per l’ennesima volta, decide di provare la cosa più stupida del mondo - specie nel caso si dovesse trattare di un rapitore come qualche anno fa. Ma per quello c’è la katana al suo fianco, supponse.
«Puoi smettere di guardarmi da lontano come se fossi un maniaco, per favore?» pronuncia, senza bisogno di alzare poi tanto il tono di voce visto il silenzio circostante. All’inizio la mancanza di risposta gli fa supporre di dover abbandonare la propria posizione e di dover indagare da vicino. E’ quasi in procinto di alzarsi, quando un rumore lo fa fermare, a eccezione della mano che si avvicina appena all’arma alla sua sinistra. Stringe appena gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura che, nella penombra del giardino, esce finalmente allo scoperto.
E’, senza dubbio, qualcuno che con il gruppo non ha nulla a che fare e che lui, Tatsuya, non ha mai visto prima: ha l’aspetto di un ventenne o poco più - uno che non si cura molto di come vestirsi, a giudicare dal fatto che maglia e pantaloni che indossa sono chiaramente di una taglia più grande - ma persino lui sa riconoscere una persona bella, quando ne vede una.
Il ragazzo mantiene una distanza precisa, rimanendo dove la luce lunare lo illumina abbastanza da rendere visibili i suoi lineamenti, ma senza invadere il suo spazio vitale o mettersi vicino quanto servirebbe per instaurare un contatto. Rimangono lì a guardarsi, e Tatsuya ha tutto il tempo di osservare i dettagli del suo aspetto: non sono tanto i capelli neri e lunghi a colpirlo, per quanto non gli sia capitato così spesso di vedere ragazzi con la chioma lunga abbastanza da farsi una treccia morbida che poggi sulla spalla a quel modo; il vero punto di forza sono gli occhi di quel giovane, di un blu incredibile già a vederli da lontano. E’ difficile leggere la sua espressione, però: Tatsuya non riesce a comprendere se si aspettasse o meno di essere scoperto, né se la cosa lo preoccupi.

Dopo diversi istanti Tatsuya lo vede avvicinarsi. Rimangono ancora entrambi in silenzio, fino a quando il ragazzo sconosciuto non gli chiede «Posso sedermi?» come se potessero saltare a pie’ pari tutti i convenevoli con estrema tranquillità - come se quel ragazzo non si fosse intrufolato in una proprietà che non è la sua, tanto per cominciare. Ma a Tatsuya non sembra che abbia cattive intenzioni, così dà un paio di pacche sul pavimento in legno, invitandolo tacitamente a sedersi alla sua destra. Il ragazzo non se lo fa ripetere due volte e gli si accomoda vicino, in silenzio.
Alla fine la cosa comincia a essere così surreale che, nonostante Tatsuya non sia proprio un esperto dell’arte della conversazione (non ancora) finisce con il cercare di intavolarne una.
«...Quindi tu chi sei?»
«Alphard.» gli risponde quello, ravvivando la sua attenzione, forse senza volerlo. Tatsuya lo scruta per un breve momento, quasi a cercare la menzogna nella sua espressione, ma arrendendosi quando non la trova.
«La stella?» gli chiede quindi. Quello che intendeva dire era “Alphard come la stella?”, e invece in risposta riceve non soltanto il primo cambio di espressione sul viso del ragazzo, quando il puro stupore glielo attraversa, ma anche un inaspettato «Come fai a sapere che sono una stella?»
Tatsuya on crede che esista qualcuno della sua età capace di credere ancora a cose come le stelle scese dal cielo in forma umana per un qualsiasi motivo - che poi non ricorda nemmeno una fiaba con qualcosa del genere, figurarsi. E’ inevitabile, quindi, aggrottare un sopracciglio con fare a dir poco perplesso.
«Come scusa?»
«Hai riconosciuto che sono una stella e non una persona come te.» riprende quello con espressione serissima «Non mi era mai successo. E poi» aggiunge, in un momento stranamente loquace a quanto sembra «in pochi conoscono la stella Alphard.»
A questo Tatsuya può dare il beneficio del dubbio - lui non è un esperto delle stelle a dire il vero, anche se gli piacciono e lo diverte imparare i nomi - ma per una stella conosciuta come “la solitaria”, non è difficile immaginare che sia difficilmente la preferita di qualcuno. Continua a non credere di poter avere davanti una stella, ma a tredici anni perché dovrebbe prendersi la briga di credere ad altro piuttosto che a questo? Al contrario, qualsiasi cosa dirà avrà senso, no? D’altronde è con un corpo celeste che sta parlando.
«E perché una stella viene nel mio giardino a quest’ora?»
Alphard - per adesso è l’unico modo in cui può chiamarlo - lo guarda in silenzio, tanto che Tatsuya pensa non sia intenzionato a rispondere; quando lo fa, però, dice qualcosa che proprio non si aspettava.
«Perché anche tu sembravi solo.» dice, e come se gli avessero tolto un tappo che continuava a impedirgli di parlare, prosegue senza quasi dare il tempo all’altro di metabolizzare «Guardo spesso giù e ogni tanto scendo in mezzo alle persone, come ora.» continua una spiegazione richiesta ma che lui non è più sicuro di voler ascoltare «Non mi faccio vedere quasi mai, ma...» esita, alzando lo sguardo verso il cielo. Che effetto deve fare guardare le stelle quando sei una di loro? Sarà la stessa di quando lui guarda una folla di esseri umani?
Anche Alphard si sente fuori posto in mezzo agli altri corpi celesti, a volte?
«ma osservo gli altri. Tu sei distante. E’ come se non toccassi gli altri esseri umani.» commenta con una totale assenza di tatto che forse bisogna aspettarsi. D’altra parte è probabile non conosca nemmeno la metà dei modi di fare degli umani o dei metodi più corretti per approcciare discorsi simili. Se Tatsuya fosse più grande, sarebbe capace di dissimulare per evitare di rispondere a un argomento scomodo quanto la realtà di cui fa parte; ma ha soltanto tredici anni, e l’unica cosa alla quale riesce a pensare per mettere un muro tra sé e quella stella è imbronciarsi - per quanto sia istintivo, in verità - e spostare l’attenzione su altro (o così crede lui. Tra qualche anno non sarà così folle).
La cosa sbagliata, però.
«Beh, anche tu sei distante dalle altre stelle.»
«Però parlo con la mia costellazione.»
«E io con la mia famiglia.»
«Solo con la donna con cui passi alcune sere.» gli rinfaccia, quasi «Le persone hanno paura delle altre persone?» gli chiede poi.
«Io non ho paura.» ed è vero, non teme le altre persone più di quanto tema qualsiasi altra cosa.
«Forse loro hanno paura di te?»
Beh, considerato chi è suo padre non esclude che alcuni abbiano il timore di parlargli o che ad altri sia stato detto dai genitori di non avere troppo a che fare con lui. Ma non lo preoccupa troppo; in generale non è bravo, a fare amicizia, lo dimostra il fatto che il suo unico amico sia Jin. E una stella. A quanto pare.
«Ho pensato tu fossi solo come me» riprende la stella «e mi sono incuriosito.»
«Sono solitario anche io?» lo prende in giro, ma più per non far vedere che l’idea non sarebbe così strana - ci ha pensato anche lui, ci si considera davvero anche se non in modo poi tanto negativo come potrebbe sembrare agli altri.
«Forse sì. Sei un po’ strano, per essere un bambino umano.»
«I bambini umani non controllano il Tempo, io sì. Direi che sono strano da prima che venisse a dirmelo una stella.» ribatte occhieggiandolo di traverso per un momento, tornando poi a guardare il cielo. Ce ne sono tanti di puntini luminosi, ma chissà quanti sarebbero in grado di prendere forma umana e scendere a parlare con lui. O quanto abbiano davvero il desiderio di scendere da un posto che sembra tanto bello (e facile, molto più facile del suo mondo) per trovare… beh. Nulla di così entusiasmante.
«Il Tempo è un dono prezioso.» gli sente dire, ma percepisce anche la sensazione della punta delle dita fredde contro la guancia. Non si volta, perché non vuole ammettere di trovare il Tempo un dono orribile.
«Le stelle di più. Anche solitarie e quando vengono a rompere le scatole.»
«...Non posso tornare?»
Lo guarda, adesso, e ancora non sa distinguere la sua espressione ma non ne ha bisogno. Sono soli entrambi, solitari forse in modo fin troppo simile e cosa c’è di male ad avere una stella per amica? Non sarebbe la prima stranezza, e non crede proprio che sarà l’ultima.

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Tatsuya non è una persona romantica e in generale il romanticismo deve averlo guardato in faccia, durante la sua pre-adolescenza, e aver deciso che prenderlo per il culo poteva essere un diversivo interessante in assenza di altri modi per passare il tempo. Da qualunque punto di vista cerchi di analizzare le sue passate relazioni non ce n’è uno che non gli faccia pensare di dover essere il soggetto perfetto per un terapista.
Tanto per cominciare: tutte le sue relazioni - tresche o serie che siano mai state, e per la cronaca nella seconda categoria non può annoverarne più di due. Compresa quella attuale. - sono state con persone dell’ambiente mafioso, lo stesso in cui lui si muove dalla tenera età di tredici anni. Jin è stato la sua prima pomiciata nei corridoi scolastici ed è uno degli attuali boss di Toshima; Yasu è stato il primo kohai con cui abbia effettivamente avuto un approccio più importante (ma non sentimentalmente serio), ed è un informatore che collabora con quasi tutta la rete mafiosa del territorio oltre a essere parte del gruppo di Tatsuya stesso; Mamoru è stato parte del vecchio gruppo, il suo più grande fallimento su tutta la linea nonché dimostrazione di quale persona orrenda lui sia stato in grado di essere - e sia ancora.
La sua unica relazione seria è stata con un uomo che ha conosciuto tramite la mafia, che con essa ha collaborato, che ci collabora ancora, che è tecnicamente il suo capo sul suo secondo lavoro e dire che è finita male è una delle cose più riduttive che Tatsuya abbia mai visto e sentito in tutta la sua vita.
Il suo attuale ragazzo, a pochi minuti a piedi dall’edificio in cui si trova, è nel ramo degli assassini della mafia russa e gli è stato presentato da una famiglia di assassini tedeschi. Se lo immagina, il classico stereotipo del terapista che lo guarda da dietro i suoi occhialetti e gli chiede qualcosa sul genere di “crede che questo riproporsi dello stesso modello di compagno sia indice di qualcosa in particolare?”.
Sì, che le sue capacità relazionali sono discutibili. O che lavora troppo.
Purtroppo la vita e il romanticismo hanno ben deciso di circondarlo di persone che vedono in San Valentino l’occasione perfetta per un suicidio emotivo.
Lancia uno sguardo al salotto in mezzo al quale si trova in piedi, come un disperato (con dignità e poker face, sempre) che attende il giudizio finale sapendo già che non sarà positivo. Succede quando il tuo fidanzato ha un tempismo orrendo e decide di venire a trovarti proprio in questi giorni di eterne maledizioni a chiunque abbia avuto la pensata di far diventare gli innamorati più stupidi all’idea di una festa tutta per loro.
Riflette: nel peggior scenario possibile - che non prevede meteoriti o edifici che prendono fuoco con lui dentro, quello è già successo, ma Rodion che gli ride in faccia è comunque abbastanza apocalittico se può dire la sua - può spacciare la cena per una normalissima cena. E’ ora. Yukinaga non c’è. Qualcuno deve pur cucinare in questa casa. Bene.
I fiori. Potrebbe dire che non sono i suoi: dentro quell’edificio entrano persone come Hiyori, Rui e Hazel-- magari può portare come esempio solo Hiyori. Sa che il doc non lo tradirebbe mai se gli chiedesse di coprirlo, Rui ha tante qualità ma il giardinaggio non è tra queste e Hazel potrebbe ricattarlo. Lui non è sicuro di voler essere in debito con un hacker. Senza offesa, la fiducia prima di tutto.
L’assenza degli altri membri non è un problema, è raro rimangano tutti lì o che in generale ci rimanga qualcuno. Tutto perfetto, ha un’ottima e più che credibile motivazione per ogni cosa che in quel soggiorno urla “sorpresa di San Valentino anche se a San Valentino non ci credo”. Mission clear.
«Scusa» pronuncia Rodion appena gli apre la porta, dopo aver sentito suonare e aver raggiunto l’ingresso con poche falcate «il taxi è rimasto bloccato nel traffico.» spiega brevemente, entrando e togliendosi di dosso il cappotto.
Rodion è quasi due metri di uomo, i lineamenti marcati fanno sì che capelli biondi e occhi azzurri non lo rendano lo stereotipo di un fuscello delicato, cosa che non è e basta guardarlo per capirlo. Nel suo incombere su buona parte dei membri del gruppo - famiglia - di Tatsuya, è probabilmente uno degli uomini più gentili che abbia mai conosciuto, una cosa che non pensa spesso, e che naturalmente non dice mai.
Un uomo così si merita di meglio, Tatsuya ci ha pensato più volte ma non lo ha detto mai, perché sa che Rodion gli direbbe che non è così, che è perfettamente in grado di scegliere per sé a trent’anni. Non che abbia torto, e di sicuro è stato provato da cose ben peggiori di uno stronzo nella sua vita, ma Tatsuya è abbastanza convinto di aver passato il periodo della sua esistenza in cui se ne fregava e giocava a farsi detestare - cosa che gli veniva e gli viene ancora piuttosto naturale: suo suocero, per esempio, lo odia e lui lo trova divertente.
Gli dispiacerebbe se Rodion un giorno si stancasse, come altri si sono stancati di lui o come lui si è stancato di altri, arrivando a dire a qualcuno di non avere più bisogno di lui come se fosse un paio di scarpe che non calzano più come vorresti e che quindi tanto vale buttare via.
Il suo meglio è una cucina preparata con cura e attenzione, tenendo conto dei suoi gusti, e qualche fiore di cui non è un gran fanatico ma che ricorda sia una cosa che sua madre amava e che la rendeva felice, cosa che lo convince - e questo nemmeno la reazione peggiore di Rodion potrebbe cambiarlo - che siano un regalo che valga sempre la pena fare. Niente di più. Eppure nonostante sappia che quello è proprio il suo meglio, (quasi) molto più di quanto abbia mai fatto per chiunque altro, (quasi) molto più di quanto abbia mostrato… nel momento in cui Rodion lo guarda, decide di non lasciargli vedere quel meglio.
Gli si avvicina, instaurando subito un contatto tra loro, le braccia attorno al suo collo e il viso vicino al suo, senza toccarlo; sente subito Rodion cingergli i fianchi, avvicinandolo a sé, per nulla timido di fronte a un gesto del genere, come se se lo rivolgessero da anni e non avessero iniziato a frequentarsi per gioco a causa di un appuntamento al buio organizzato dal peggior soggetto possibile - un’assassina, sì, indovinato. Almeno nell’appuntamento al buio non dovevano tentare di uccidersi a vicenda. E’ positivo.
Rodion lo guarda e Tatsuya lo capisce immediatamente che si sta chiedendo cosa non vada. Odia il fatto che sia così bravo a leggere non le sue espressioni - quelle sa mascherarle ancora bene, il suo caro padre adultero sarebbe fiero di lui - ma qualcosa che è nell’aria. Vorrebbe nascondergli meglio i suoi momenti da persona normale.
«Tutto bene?» domanda infatti, e Tatsuya decide di fare la cosa che gli riesce meglio dopo risultare uno stronzo, stare antipatico a pelle, e fare il boss mafioso: scappare. Posa le labbra sulle sue in un bacio morbido, quasi abitudinario, prima di approfondirlo un po’ senza trovare alcuna resistenza da Rodion; sa bene che non basterà così poco a distrarlo ma anche rimandare a volte è una buona strategia. Non può farlo in eterno, ma può prepararsi mentalmente - potrebbe, se il modo in cui Rodion gli sfiora la nuca con una mano mentre lo tiene ancora stretto con l’altro non lo distraesse dal suo intento.
Quella stessa mano scivola lungo il suo collo, gli sfiora la guancia per puro caso, e poi si ferma sul mento, facendo una pressione lievissima che però basta a Tatsuya per allontanarsi da lui.
Lo sa che Rodion vuole sapere cosa c’è. Ovvio: fa sempre - a voce o meno - le domande più scomode.
«Hai fame?» borbotta arrendendosi. Vede Rodion alzare un sopracciglio e poi guardare oltre lui e, davvero, Tatsuya a volte si chiede come sopravviva quell’uomo nel suo ambiente considerando come in questo momento a lui basti guardarlo in viso per sapere su cosa si stanno posando i suoi occhi - la cena, ha notato la tavola apparecchiata. Ora scorre, non c’è niente fuori dall’ordinario… ecco, ha visto i fiori. E’ confuso. Ha realizzato. Gli sorride e gli posa un bacio sulla fronte.
Lo detesta.

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