Sparks (COWT11, week 4, m2)
Mar. 3rd, 2021 11:09 pmPrompt: qualcuno che cucina + ricetta (riso al curry)
Missione: M2 (week 4)
Parole: 2000
Rating: PG13
Warning: shonen-ai, missing moment
Il fruscio delle buste della spesa riempie la cucina mentre Mio annuncia di essere tornato dalla breve spedizione al supermercato perché, come ogni volta che comprano del cibo, sembrano destinati a dimenticare sempre una cosa e molto spesso è proprio l’unica che non avrebbero dovuto dimenticare. Con l’occasione, inspiegabilmente, si aggiunge comunque del cibo che all’inizio non era nella lista, ma a dirla tutta Shun non è proprio fiscale su quel tipo di cose.
Uno dei gatti di casa si intrufola tra le sue gambe, strusciandosi e miagolando; Shun abbassa lo sguardo, mentre l’acqua del rubinetto continua a scorrere sulle verdure che ha messo a sciacquare poco prima che Mio rientrasse. Sente che l’altro gli sta parlando, ma ci mette un po’ a focalizzarsi su quello, fin quando l’altro non alza di poco il tono chiamandolo con un «Shuuun» rassegnato di chi è abituato a dover attirare la sua attenzione più di una volta, per ottenerla. Specie quando è reduce da una notte in cui due ore di sonno scarse sono state il massimo ottenuto.
La mano si allunga a chiudere il rubinetto e, quasi nello stesso momento, sente una mano poggiarsi sul suo fianco e le labbra di Mio posargli un bacio leggero e veloce sulla guancia. E’ un gesto dato dall’abitudine che, però, spesso riesce a stupirlo lo stesso. Non ha idea se arriverà mai il giorno in cui il suo cervello riuscirà a considerare quei gesti parte della quotidianità e non di un’immensa fortuna passeggera.
«Hai trovato il roux?» gli domanda, occhieggiandolo, ma Mio è già fuori dal suo campo visivo e lo sente aprire un paio di sportelli per recuperare quanto serve a cucinare tra ingredienti e utensili. «Sì, l’ho preso!» replica poco prima di affiancarlo. Shun lo vede tirare su le maniche della felpa prima e legare i capelli in un codino pratico - gli si sono allungati di nuovo, nonostante non sia passato così tanto tempo da quando li aveva tagliati, prima di partire per accompagnarlo in Hokkaido. «Allora?» si sente incalzare e lo vede lì, a guardarlo con un sorriso contento di chi non sembra avere mezzo problema al mondo se non cucinare per bene quella cena di cui si devono occupare, in mancanza di sua madre e di suo padre. Anche Fumi, per una sera, se ne starà altrove.
«Mmh...» mormora pensoso, come se all’improvviso cucinare del curry fosse questione di applicare una scienza esatta dove il minimo errore può costare caro. «Magari pelo le patate.» decreta infine. Mio lo osserva per qualche attimo, Shun quasi si aspetta che gli faccia qualche domanda poco inerente al cibo, ma alla fine l’altro gli mette in un’insalatiera le patate, le carote e al mela solitaria che sembra deciso ad aggiungere a costo di combattere a lungo per ottenere quel diritto. Shun non ha nemmeno bisogno di discutere: sua madre ha sempre messo la mela nel curry fin da quando era piccolo, per quanto ricorda. «Ecco, tu occupati di queste.» lo incalza Mio, un gesto veloce per indicargli la sedia poco distante «Io intanto faccio la carne e le cipolle.» «E il porro?» «Giusto.» gli sente dire prima di vederlo dargli le spalle per recuperare quello e un tagliere.
Sospira e si sede, sposta la sedia quanto sufficiente a prendere posto ma lo fa dalla parte opposta a quella indicata da Mio. Si mette lì perché così può alzare lo sguardo e trovare la figura familiare di Mio, che gli dà le spalle mentre il rumore ritmico del coltello che batte contro il legno del tagliere accompagna il loro lavorare in cucina. Lui si dedica a pelare le patate, come prima cosa, così da liberare il grosso del contenitore in cui Mio gli ha messo le cose di cui occuparsi. Da quanto ricorda, sebbene non sia mai stato un figlio particolarmente avvezzo a dare una mano in cucina a sua madre, da quando si è trasferito sull’isola ha cominciato ad apprezzare la ripetizione degli stessi gesti riscoperta nell’aiutare al locale. Non si tratta di una passione per la cucina in sé, quanto più di una sorta di… ordine, forse anche mentale, che riusciva a dargli sollievo e glielo dà ancora. Nel caos in cui si trova costantemente la sua testa quando è lì a spremere il suo processo creativo più che può – anche controvoglia – la linearità dello stesso gesto per tagliare qualcosa o pelare le patate, come in questo caso, è una benedizione.
Farlo con la possibilità di alzare lo sguardo e trovare Mio, è ancora meglio. Anche se non glielo ha mai detto finora.
«Come va il lavoro?» lo sente domandare, nel tono la leggerezza di chi non chiede per mettere pressione ma per interesse genuino. Shun corruga la fronte e in quel silenzio Mio legge una risposta specifica, eppure stranamente errata in questo caso. «Non preoccuparti, se hai scritto poco. Una buona cena, una bella dormita e domani—» «Ho scritto un intero capitolo.» pronuncia come se fosse una cosa da nulla. Per una manciata di secondi tra loro c’è solo silenzio.
Poi Mio si volta, repentino e sorpreso: «Cosa?!» esclama, un’incredulità di fondo a cui però Shun non ha mai associato malignità. D’altronde anche lui ne è stupito. E il sorriso che si allarga sul viso di Mio fa il resto: «E’ fantastico, Shun! Allora stasera festeggiamo!» esclama e lo fa sbuffare divertito.
«Col curry?»
«Col curry!»
«Lo useresti per festeggiare qualsiasi cosa.» lo prende in giro, bonario, continuando a pelare le patate – poi le taglia, senza preoccuparsi troppo che i pezzi siano grossolani, visto che in ogni caso non deve né tagliarli uguali, né troppo piccoli.
«E cosa c’è di male? È buono.» si limita a rispondergli Mio, un’alzata di spalle per tornare a voltarsi e a lavorare sul tagliere; ci vuole poco perché cominci a canticchiare una delle sue solite canzoncine inventate sul momento. A Shun non dà fastidio, anzi: sono un po’ sempliciotte, a volte del tutto insensate e quasi ridicole, ma gli fanno tenerezza in un certo senso.
Rimangono in silenzio di nuovo, se si esclude il canticchiare di Mio e i rumori della cucina mentre loro approntano gli ingredienti per il curry. Di tanto in tanto Shun abbandona il suo compito per una manciata di secondi e per seguire Mio con lo sguardo; alla fine però le patate sono tagliate e così tutte le altre verdure che gli sono state affidate. L’assenza del rumore del coltello contro il tagliere fa supporre a Shun che anche l’altro abbia ormai concluso, e ne ha la certezza quando lo vede spostarsi per recuperare una pentola dai bordi alti e metterla sul fuoco.
Lo vede armeggiare con la bottiglia dell’olio e assicurarsi che la fiamma non sia troppo alta prima di voltarsi e rivolgergli un «Hai finito con le verdure, Shun?» domanda e poi si sporge un poco sul tavolo per controllare con i suoi occhi. Non impiegano molto a mettere porro in pentola e aggiungendoci la cipolla poco dopo. Nemmeno a caramellarla ci vuole troppo, ma Shun se ne accorge dall’odore prima ancora che Mio glielo dica e gli chieda di passargli la carne di cui si è occupato e le verdure tagliate da Shun stesso.
«Mi passi quella brocca che ho riempito con l’acqua?» gli chiede Mio senza alzare lo sguardo su di lui e andando anche a tentoni per prenderla quando Shun gliela porge, versandone il contenuto nella pentola. Sbircia l’espressione sul viso dell’altro e lo vede soddisfatto mentre si assicura che sia tutto fatto e che si debbano solo aspettare i primi venti minuti senza dover fare altro.
«Sono stupito che Fumi sia voluto andare.» osserva Mio quando torna, alla fine, con l’attenzione su di lui. Shun finisce di pulirsi le mani nel panno umido e lo poggia sul tavolo, corrugando la fronte per qualche istante: «Sì, pare sia uno zio che gli piace abbastanza.» replica, distratto. O fingendosi tale. Sente lo sguardo di Mio su di sé e, all’improvviso, vorrebbe che fosse di nuovo sui fornelli. Contrariamente a quanto si aspetta, però, Mio non gli fa domande – è probabile che ormai sappia riconoscere dal modo in cui risponde quando un argomento è qualcosa su cui non ha piacere di soffermarsi. D’altronde, avendogli parlato del disastroso finale del suo tentato matrimonio, non c’è da stupirsi che riesca a fare due più due quando si parla di parenti da andare a trovare.
Di lì a poco, invece, sente le mani di Mio posarsi sulle sue spalle e stringere appena – forse vuole confortarlo o forse vuole soltanto fargli sapere che è lì. Lo salva con ogni gesto, più di quanto sia consapevole. Allunga una mano andando a sfiorare una delle sue, le dita picchiettano un paio di volte contro quelle altrui e poi si intrufolano tra di esse, intrecciandole con le proprie. Tira leggermente, per avvicinare il dorso della mano di Mio alle proprie labbra e posarci un bacio leggero, quasi per gioco. Poi tira ancora un po’ di più, e volta il viso quando basta a guardare il suo. E’ incredibile come, nonostante stiano insieme da un po’, l’altro si imbarazzi ancora abbastanza da renderlo visibile sul proprio volto. Shun in momenti come questo non riesce a tenere per sé un sorriso leggero, intenerito, e intanto una parte della sua testa gli fa il solito brutto scherzo e lo porta a chiedersi se tutta questa fortuna, questa forma di felicità, sia qualcosa a cui ha diritto.
Bacia Mio prima di continuare a chiederselo: un tocco casto prima, ma quasi subito sfiora le labbra dell’altro con la lingua e la intrufola nella sua bocca quando lui le schiude. Lo sente rispondere e si concede di perdersi nella sensazione del calore del corpo di Mio, così vicino, di come sente la sua mano andare a sfiorarlo sotto il lobo come fa sempre da quando ha scoperto che gli piace. Allo stesso modo lui fa salire l’altra mano e intrufola le dita fra i suoi capelli, stringe appena ma senza tirare troppo. È un bacio lento in cui si prendono tutto il tempo del mondo, consapevoli che né suo padre, né sua madre, né Fumi arriveranno da un momento all’altro beccandoli in flagrante e creando e un imbarazzo difficile da mandare via – e il senso di colpa, ma quello Shun è felice di essere sempre stato l’unico a provarlo. Avrebbe preferito di no, ma almeno Mio ne è stato risparmiato.
Lo sente mugolare piano, un verso più di gola che di voce, e si scosta poco da lui. Posa un bacio sulle sue labbra, semplice; un altro e un altro ancora, finché non lo sente sbuffare divertito e strusciare la punta del naso contro la propria.
Lentamente, l’odore di buon cibo riempie l’aria della piccola cucina.
*
«Il riso è pronto?» domanda Mio, mentre con il mestolo continua a girare il curry. Hanno perso qualche minuto in più, prima, ma hanno comunque aggiunto il roux come ultimo ingrediente e lasciato che riposasse ancora senza troppi danni collaterali. Shun adocchia la cuociriso che gli rimanda indietro la lucina con l’inequivocabile significato traducibile come riso pronto. La spegne quindi e ne apre il coperchio, lasciando che la prima nuvola di vapore si liberi nell’aria.
«Pronto. Il curry?»
«Mmmh, forse un altro paio di minuti? Lo vuoi più denso di così?»
«Non lo so, è uguale…»
«Shun.» lo richiama e lui si accosta, svogliato, gettando un’occhiata al contenuto della pentola – non è che non gli interessi, ma un minuto in più o uno in meno non cambierà di troppo il sapore e soprattutto non cambierà il fatto di potersi sedere insieme al tavolo e mangiare. Non cambierà la sensazione di essere soli in una casa loro, a condividere una quotidianità sulla quale Shun non soltanto non avrebbe mai scommesso ma riguardo la quale si era arreso da anni ancora prima di incontrare Mio.
«Ma sì, un altro paio di minuti…» butta lì, allungandosi di poco per lasciargli un bacio sulla tempia.