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 Odiava Echait con tutto se stesso: ma come si poteva vivere in uno stupido posto così gelido?! Va bene che detto da uno che abitava le Terre di Nessuno, deserte sia come clima e presenza di dune che come popolazione per il livello di pericoli che presentavano poteva sembrare poco obiettivo come commento, ma sul serio, la gente di Echait in più di sei secoli non aveva mai pensato di cambiare luogo? Migrare? Maledire gli dèi?
«Wyran è disperato perché dice che non trovare un ospite è inammissibile.» pronunciò una voce alle sue spalle; se non si voltò con l’intento di darle fuoco - letteralmente - fu solo perché sapeva riconoscere l’assenza di intento omicida tanto quanto la sua presenza. Quando si ritrovò faccia a faccia con la regina di Echait fu piuttosto felice di non averle dato fuoco. Supponeva non sarebbe stato molto d’aiuto dal punto di vista diplomatico anche se, beh, lui della diplomazia non era proprio un grande esponente né se ne faceva davvero qualcosa.
«Non sono un pezzo grosso, può stare tranquillo anche se vado disperso, mh? Che insomma, c’è poco da scherzarci in questo posto. Davvero vi sapete orientare?»
«La maggior parte di noi sì. Mi posso sedere?»
Per essere una sovrana, strana lo era di sicuro. Ian di re ne aveva incrociati abbastanza per una vita intera - ossia uno solo, più che sufficiente per tutta la sua categoria -, ma era ben difficile immaginarne uno mettersi sullo stesso piano di un ospite di poca importanza, senza titolo nobiliare, considerato addirittura un fuorilegge. Il suo essere a capo dei reietti che nessun altro voleva non valeva nulla, di fronte a una regina, eppure Iris di Echait chiedeva il permesso di occupare un piccolo spazio accanto a lui, lì seduto su uno dei punti più alti del palazzo reale. Simulò un piccolo inchino, un gesto goliardico e non di vero rispetto, ma Iris si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito che si trasformò in una piccola nuvola di condensa, il fiato caldo a perdersi nel clima rigido. Si sedette, raccogliendo le gambe vicine al corpo e abbracciandole: era minuta, tanto che forse Ian non le avrebbe attribuito i suoi diciotto anni se non fosse stato al corrente dell’età in questione.
«So che però anche le Terre di Nessuno sono difficili per l’orientamento.»
«Si potrebbe dire che abitiamo in due deserti diversi: il mio è di sabbia e terra secca, di rocce e bestie che il ragazzo-drago non penso voglia incontrare di nuovo.» ammise con una punta di divertimento. Forse lei non sapeva delle disavventure del suo protetto o forse sì, ma a lui non interessava troppo ai fini della conversazione «Il tuo è neve e ghiaccio, bianco in terra e bianco in cielo. Forse qualche bestia ce l’avete anche voi ma io in un posto simile impazzirei-- poi comunque fa un freddo esagerato!» si lamentò, un broncio leggero mentre sbuffava fuori con fare teatrale aria calda, vedendo un’ennesima nuvola di condensa formarsi.
«Se devo essere sincera, non credo che un deserto di ghiaccio come Echait possa essere abitato da qualcuno che non sia nato qui.» ammise, usando anche lei quel paragone, definendo “deserto” un luogo che era comunque di certo più abitato delle terre di Ian. Perché lo facesse, lui non ne aveva idea, ma nemmeno lo interessava troppo; la regina lo incuriosiva, sì, ma non era un’esistenza vitale per lui. Era importante come la distrazione in un momento di noia: si sopravviveva benissimo anche senza.
«Beh non penso che uno dall’esterno ci verrebbe volutamente, in un posto così. Senza offesa, eh. Tu magari sarai pure una buona regina - è un po’ difficile crederci, niente di personale però l’unico re che ho conosciuto è quello di Raskea e hai un po’ quel desiderio di dargli fuoco. Tu non usi il fuoco vero?»
«No» replicò lei scuotendo la testa «ghiaccio.»
«Ovvio.» sbuffò lui, alzando lo sguardo al cielo; che bianco fastidioso.
«Comunque sì, magari tu rendi questo posto fantastico, ma fa troppo freddo per i miei gusti.»
«Sicuramente io troverei le Terre di Nessuno troppo calde.» minimizzò lei, come a dire che non era importante che lui insultasse sottilmente (e nemmeno troppo) il suo Paese. Ian la guardò di sbieco: esisteva un sovrano così poco influenzato da un plebeo che gli diceva in faccia quanto il suo regno facesse schifo?
«Però per essere un deserto di ghiaccio e neve» riprese, portando gli occhi su di lui «è un deserto libero.»
Ah, pensò guardandola. E’ così, quindi.
Iris Ceallaigh era il tipo di regina che proteggeva nel silenzio, avvolta nella discrezione di un Paese bianco e fatto di una quiete surreale; taceva, osservava, accomodava prima di sferrare un colpo solo, anche piuttosto scontato, ma che il bersaglio lo prendeva in pieno.
Ian rise, sentendo una bolla di calore scoppiargli nel petto - si piegò in due, poi si lasciò cadere indietro fino a sdraiarsi, per poi rannicchiarsi e ridere tenendosi la pancia. Ogni tanto la guardava e vedeva che Iris ridacchiava piano, coprendosi la bocca con la mano minuta, per nulla infastidita da tutto quel rumore.
Come Echait, anche lei nascondeva ogni cosa, ma solo perché la lasciava coperta di così tanti strati di neve che vedere era impossibile.
Un guizzo nella sua mente offrì a Ian la motivazione perfetta per essere lì e per restarci, nonostante il gelo.
Chissà quando sarebbe venuta giù una valanga che Echait tratteneva da sei secoli - chissà come suonava quella regina discreta e silenziosa, quando esplodeva come il più distruttivo degli incendi.
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 Eilsel era nato a Echait, ma era sicuro che non si riuscisse mai a conoscere quel luogo, anche a viverci per tutta la propria vita. D’altronde anche dall’esterno, tutti guardavano al loro Paese nello stesso modo: un’immensa distesa di ghiaccio e neve che copriva tutto, dalle rocce ai sentieri, dalle foreste a buona parte delle abitazioni, mimetizzandole agli occhi del mondo. Persino il palazzo reale di Echait rischiava di scomparire, con il suo marmo bianco.
Non avrebbe mai potuto dire di odiare il suo Paese, ma non riusciva a trovare quel qualcosa che lo facesse sentire parte di esso, quel qualcosa che avrebbe dovuto scuoterlo nel profondo e alla quale si sarebbe dovuto aggrappare. Ed essere assegnato a seguire la futura regina di Echait non era proprio qualcosa che lo faceva sentire parte integrante del tutto, nonostante fosse considerato un ruolo quasi vitale.
Iris Ceallaigh, con i suoi undici anni - quasi dieci meno di lui - era la futura regina di un Paese difficile, eppure le volte che l’aveva intravista prima di esserle assegnato aveva sempre avuto la sensazione che fosse niente più di quello che era: una bambina. Sembrava non avere nemmeno coscienza del compito che le sarebbe spettato tra non così tanti anni come avrebbe dovuto invece avere a disposizione per essere pronta. L’eredità di Echait era più pesante di quello di qualsiasi regno. Eppure quella bambina era sgattaiolata fuori dal palazzo reale e lui l’aveva seguita lungo sentieri semi-nascosti, osservandola muoversi con addosso un vestiario che l’avrebbe resa facile da confondere con una qualsiasi ragazzina, se non fosse stato che tutto il suo regno conosceva bene il volto della propria futura regina. Tuttavia era proprio quel suo vestire che l’avrebbe mostrata come una ragazzina strana, ancor prima di una futura regina: in quell’abito leggero e in quei piedi scalzi, a muoversi su una distesa di neve come se il freddo nemmeno lo sentisse. Sembrava un’entità, più che un’umana, e il bosco di Echait l’accoglieva tra le sue fronde come se fosse uno spirito degli alberi che faceva ritorno a casa.
La futura sovrana del regno di ghiaccio aveva il nome di un fiore, come ne crescevano pochi lì, e si muoveva tra rami e radici come se niente potesse intralciare il suo cammino; lei apparteneva a quel luogo in ogni senso possibile e ogni angolo di Echait l’amava, l’accoglieva, agevolava le sue fughe e i suoi rientri a casa, agognava la sua presenza come se lei fosse l’essenza stessa della vita e della linfa che passava tra le venature dei tronchi possenti.
«Eilsel, vieni anche tu?»
Non era abituato a essere sentito, quando decideva di celare la propria presenza, e per la verità era anche convinto che la principessa sapesse a stento della sua esistenza, figurarsi il suo nome. La guardò, mentre palesava la sua esatta posizione pur senza accorciare la distanza tra loro; non lo fece perché l’istinto di sopravvivenza gli urlava contro di non farlo, e comprese il motivo poco dopo: la creatura che in tutta Echait era la più difficile da vedere pur abitando i suoi boschi, uno dei più pericolosi predatori dell’intero regno, stava a dormire placida contro un albero, vicina a Iris come se in lei non vedesse alcuna minaccia ma anzi, fosse parte del suo habitat naturale. Eilsel era certo che se si fosse mosso, lo avrebbe azzannato alla gola in un secondo.
«Non dovreste stare vicino a una creatura tanto pericolosa.» osservò, immobile come una statua. Iris, quella bambina incurante del pericolo e del rischio, lo guardò incerta di aver compreso bene le sue parole e poi si lasciò scappare una risata allegra e divertita, una molto adatta alla sua età e poco a quello che un giorno sarebbe diventata.
«Il Bosco di Echait non contiene nulla di pericoloso.» disse come se ne sapesse più di chiunque altro - Eilsel le diede il beneficio del dubbio non per cieca lealtà, ma perché in qualche modo vedeva nei suoi occhi che non lo diceva a caso o per l’ingenua convinzione che ogni bambino possiede in merito a qualcosa. Lo diceva con la certezza di pronunciare una verità assoluta.
«Ci fai compagnia se ti dico un segreto? Però non dire a Wyran che te l’ho detto.»
Eilsel tacque. Wyran era l’uomo che l’aveva cresciuta dopo la morte dei genitori, quello che le stava accanto mentre lo zio di lei occupava un trono non suo; non riusciva a pensare a un segreto così importante che quell’uomo potesse raccomandarsi di tenere per sé, ma di certo se esisteva doveva essere di una portata enorme, ed Eilsel - che nella vita non poteva vantare molte cose andate per il verso giusto - non era sicuro di volersi addossare un peso del genere e dire “sì, manterrò il segreto per sempre”. L’eternità non esisteva, e i per sempre relativi delle persone erano un tempo troppo lungo per lui.
Ritrattò.
«Potremmo incontrarci a metà strada.» le disse, e lei s’illuminò come se le avesse concesso un mondo intero; la vide fare una carezza a quella creatura, saltellare verso di lui che le andava incontro - i piccoli piedi toccavano la neve e lei sembrava non sentirla nemmeno, ancora. Quando furono l’una di fronte all’altro lui si piegò in avanti e lei si mise sulle punte, coprendo parte del viso come se ci fosse qualcuno presente in grado di leggere il labiale di quel segreto che gli disse in un orecchio.
«Il Bosco di Echait mi ha parlato.»
Le credette. Non seppe perché, ma in un futuro non così lontano avrebbe capito - a sua insaputa, ora - che quel bosco le parlava davvero. Non erano le fantasie di una bambina.

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