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A small, dark blue "balloon flower" for Iori.

The autumn just came in, with red and yellow leaves on the trees and peaceful afternoons; Tamaki is taking a nap on the sofa instead of studying and usually Iori would simply wake him up and try to make him study - he's also ready to give him a small break at some point with Tamaki's beloved pudding, too used to do homework with him to not know how the other is easy to convince with the right motivation. Now he looks at him, snoring while hugging a pillow and sighs: maybe it's autumn already but it doesn't mean it's warm enough. He takes a blanket and puts him over Tamaki, covering him to the shoulder; then he sits down again and takes a sip of the hot cocoa Mitsuki made for him before and goes back to write some notes down. When Tamaki will get up, it will be easier for him to study. And as he will wait for him to finish his homework, ready to help him if necessary, he'll help the others too, without being noticed as usual.

Balloon flowers are for faithful lightness and for undying love.

 
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Sogo si guarda allo specchio, mentre una risposta che non avrebbe mai voluto sentire gli riecheggia nella mente. Guarda il suo riflesso e non lo riconosce, perché lui non è così.
Non è mai stato così.



La prima volta che Sogo ha realizzato di avere una capacità così particolare aveva solo dieci anni, ed era accaduto per caso: a scuola era stato sempre il tipo di bambino tranquillo, più maturo dei propri coetanei, sempre attento a non pesare sugli altri e a fare le cose per bene, come gli insegnanti e suo padre volevano. Ben voluto dai compagni, non aveva mai davvero avuto problemi con loro, ma non si poteva nemmeno dire che avesse un amico in particolare: Sogo andava d’accordo con tutti, ma non c’era nessuno che avrebbe potuto davvero definire come “migliore amico”. E la possibilità di averne si era annullata completamente quando, per la prima volta, aveva sentito una risposta a una domanda mai pronunciata.

Chissà se Yuuki-kun ha bisogno di una mano…, si era chiesto guardando il compagno vicino a lui; e in quel momento aveva sentito nella sua testa la voce dell’altro pronunciare un seccato: Sogo-kun è insopportabile. Chi gli ha mai chiesto di aiutarmi ogni volta?!
Era così che Sogo aveva scoperto un’abilità che non avrebbe mai voluto avere. Ma nell’incredulità del momento aveva provato ancora. E ancora. E ancora. Così di tanto in tanto, dopo essersi anche sentito in colpa, aveva posto le domande a cui non aveva mai avuto il coraggio di dare voce; aveva guardato suo padre, chiedendosi se fosse fiero di lui.
La risposta gli aveva fatto capire che, in futuro, sarebbe stato meglio fingere che quella sua capacità non fosse mai esistita.
Non era stato così facile, però: aveva impiegato del tempo per capire come funzionasse, quali precauzioni prendere, come evitare che succedesse se anche non prestava la massima attenzione. E nel processo era stato inevitabile scoprire  cose che non avrebbe voluto sapere, ascoltare verità nascoste che non avrebbe voluto sentire. Alla fine quindi, per preservare gli altri ma in parte anche se stesso, aveva imparato quel piccolo trucchetto: si era accorto che se chiedeva qualcosa nella propria testa ma non guardava la persona in questione, non arrivava nessuna risposta. Così aveva imparato a prestare attenzione alle persone, ma a far scivolare via quella stessa attenzione quando rischiava di sentire troppo, di darsi un motivo per considerarsi una persona orribile che spiava nel cuore degli altri senza permesso.
In qualche modo aveva funzionato per dieci anni.
In qualche modo - che a volte non sembrava granché, ma era meglio di niente - era sopravvissuto.

Economia è stata più una scelta di suo padre che non la sua ma, in un certo senso, Sogo non rimpiange altre facoltà; economia è, verosimilmente, logica o almeno lo è più di quanto potrebbe mai esserlo una facoltà umanistica e per quanto sia più un suo preconcetto che non una realtà, Sogo si è ripetuto che è meglio così, che è meno probabile cogliere un pensiero casuale e personale lì dove un po’ tutti si affannano tra  corsi e crediti di materie a cui ci si approccia con sguardo critico e poco coinvolgimento emotivo.
Il suo angolo di paradiso Sogo lo ha trovato per caso, nemmeno troppo lontano dal campus: il Wish Voyage è un locale di medie dimensioni che offre sia dei menù fissi per i pasti principali, sia  un menù più vario fatto di snack, bevande calde e fredde per i clienti solo di passaggio. E’ un ambiente semplice ma accogliente, con una musica di sottofondo  in cui a volte Sogo coglie qualche nota di brani nostalgici che ascoltava suo zio e che ormai le radio non passano più, se non per qualche tributo a vecchie canzoni. I tavoli si prestano anche per fermarsi a lavorare o a studiare, e Sogo qualche volta si lascia tentare dall’idea - molto più allettante dell’appartamento troppo grande in cui suo padre lo ha costretto a vivere quando Sogo ha manifestato l’idea di voler iniziare a cavarsela da solo. Mesi estenuanti di litigi, di domande solo pensate guardando a terra per non sentirne la risposta, e di bruciori così forti allo stomaco da aver dovuto prendere delle medicine per non ritrovarsi ricoverato per un’ulcera nel periodo degli esami di ammissione.
Il Wish Voyage gli dà l’illusione di non essere solo, senza per questo dover imporre la propria presenza a qualcuno in particolare.
Si sente a casa molto più di quanto non accada nel suo appartamento, e molto più di quanto ci si sia mai sentito nell’abitazione in cui è cresciuto.
«Ah, Sogo-san! Benvenuto!»
Riconoscere Mitsuki è facile, sia perché è stato la prima persona a servirlo, sia perché è quel tipo di ragazzo dall’energia contagiosa e il cui tono di voce finisce con il diventare famigliare in pochissimo tempo, al pari di quella di un grande amico di vecchia data. Sogo, mentre lascia che la porta si richiuda alle sue spalle, lo individua poco distante e di fronte all’arco da cui escono i camerieri del locale con i vassoi pieni - ha dedotto, quando l’ha notato, che deve trattarsi di un corridoio che collega la sala alla cucina. Gli sorride, alzando una mano in cenno di saluto; Mitsuki ricambia con un sorriso luminoso, entrambe le mani occupate ognuna da un vassoio pieno: «Il solito tavolo è libero. Arrivo subito!»
Sogo annuisce, muovendosi tra file di sedie sia occupate che libere, fino a raggiungere il tavolo in questione - non è affatto il tipo di cliente che pretende di sedersi sempre allo stesso posto; semplicemente è capitato che il tavolo scelto la prima volta fosse sempre libero quando è tornato e così, d’istinto, ormai finisce sempre con il dirigersi verso quello. Appena in disparte come fila, diviso dalla cassa e dal piccolo bancone con qualche sgabello da un separè, la fila di tavoli di cui il suo faceva parte ne contava solo altri due e quello a cui Sogo sedeva di solito era quello più vicino all’entrata che portava alle cucine, la stessa da cui Mitsuki l’aveva accolto. Nel prendere posto, Sogo notò che il tavolo al centro della fila - quindi subito dopo il suo e che vedeva bene non avendo nessuno seduto davanti a sé - era occupato: intuì subito, dalle divise che indossavano, che doveva trattarsi di due studenti del liceo. Quello che gli dava le spalle era seduto con la schiena dritta, e l’unica cosa che Sogo poté decifrare della sua figura a parte la postura corretta e impeccabile, fu che aveva i capelli neri. L’altro, quello che riesce a vedere in viso, lo fa sorridere perché ha in viso l’espressione di un ragazzino, un broncio che a giudicare da come gli occhi azzurri guardano il libro che davanti deve essere dovuto a qualcosa di incomprensibile scritto tra le pagine. Per Sogo è ritrovarsi a contatto, per quanto superficialmente, con qualcuno le cui espressioni lascino così poco spazio al dubbio riguardo le emozioni che animano la persona in questione; è abituato alla schiettezza cinica di suo padre, ma non a quella naturale e pura che quel ragazzo sembra avere.
Comunque, è difficile non capire le emozioni di qualcuno quando questa persona si lamenta a gran voce come quel ragazzo.
«Iorin...» pronuncia, allungando in maniera infantile la parte finale di quel nome. Un «No» categorico arriva in risposta, senza esitazione alcuna, rendendo il broncio sul viso del ragazzo ancora più pronunciato.
«Non lo capisco!»
«L’ho appena spiegato.»
«Iorin...»
«Per la terza volta.»
«Io--»
«In quindici minuti. Se non ti applichi, Yotsuba-san, non lo capirai mai e studiare non ti sarà di aiuto dal momento che non sei assolutamente capace di memorizzare qualcosa come fanno gli altri, motivo per cui stiamo facendo questa sessione di studio.»
Wow, pensa Sogo sentendo quella sorta di ramanzina piuttosto brusca. Non può vedere il viso e quindi l’espressione del giovane che ha parlato, ma la severità nel suo tono è abbastanza palese e Sogo è sicuro che, al suo posto, non riuscirebbe a essere altrettanto diretto. Ma forse a discapito del modo formale in cui quel ragazzo chiama l’altro, potrebbero essere più amici di quanto sembri - forse è per quello che Sogo fatica a immaginarsi al loro posto. Quella patina di distaccata formalità non l’ha mai persa con nessuno.
“Yotsuba-san” aggrotta le sopracciglia, pianta entrambi i palmi sul tavolo in maniera rumorosa anche se non si alza, ma apre la bocca e pronuncia un “Iorin” a voce un po’ troppo alta che preannuncia una sfuriata di qualche tipo, se non fosse che Mitsuki gli arriva alle spalle, un vassoio su una mano e l’altra che dà uno scappellotto al ragazzo.
«Abbassa la voce, disturbi i clienti!» esclama con né più né meno del fare da fratello maggiore che poi, a ben pensarci, è un po’ la sua aura naturale se Sogo si sofferma a pensarci su. Con sua sorpresa, il ragazzo con i capelli scuri - che voltandosi a guardare Mitsuki mostra almeno il suo profilo a Sogo - pronuncia un: «Niisan...», ma prima che Sogo possa stupirsene Mitsuki si volta proprio verso di lui con un sorriso di scuse, subito dopo aver posato il vassoio sul tavolo dei due.
«Scusali, Sogo-san. Se ti danno fastidio e disturbano mentre studi dimmelo.» si offre, con l’implicita aggiunta di una ramanzina che arriverebbe subito, se Sogo dovesse chiamarlo e lamentarsi della troppa confusione. Lui abbozza un sorriso, sentendosi un poco a disagio quando anche i due ragazzi focalizzano l’attenzione su di lui: «Non ce n’è bisogno, Mitsuki-san.» assicura, considerando che i due sono clienti quanto lui, e non vede come potrebbe arrogarsi il diritto di imporre a qualcuno il silenzio solo perché lo disturba. Se volesse studiare nel silenzio assoluto, d’altronde, lo farebbe a casa; andando in un locale, ha sempre messo in conto di avere un ambiente diverso da quello dell’intimità casalinga. Devia lo sguardo da loro, mentre la mano affonda nella borsa e ne tira fuori un volume, per l’appunto, quello al quale conta di dare un’occhiata dopo aver riferito la propria ordinazione a Mitsuki.
A sorpresa, appena il giovane si allontana, è suo fratello minore a parlargli. Alzando lo sguardo su di lui Sogo riesce a vedere una somiglianza di base, per quanto possano essere fisicamente diversi lui e Mitsuki, c’è qualcosa nei lineamenti del viso che li accomuna.
«Cercheremo di disturbare meno possibile.» assicura, un’affermazione sicura di chi ha tutte le intenzioni di portare avanti cosa si è prefissato; c’è una maturità che quasi stona con l’età dell’altro, e una fermezza nello sguardo che somiglia più a quella di un adulto che non ha bisogno del parere di un’altra persona per essere irremovibile su una questione o perseguire il proprio obiettivo fino a ottenere ciò che vuole.
Sogo, nel vederlo voltarsi e tornare a sedersi per bene, lo invidia un po’.


Qualche altra volta capita che si incontrino nel locale, anche se non sempre finiscono con lo stare seduti a tavoli vicini. In alcune occasioni i due - Iori, il fratello di Mitsuki, e Tamaki - stanno andando via mentre lui arriva, specie quando Sogo decide di concedersi dello studio più blando, in orario serale, qualcosa che si può fare anche davanti a una buona cena del menù fisso del Wish Voyage. Però ci sono anche giorni in cui sono invece a tavoli vicini e le loro interazioni non si limitano a uno scambio di saluti, ma anche a qualche chiacchiera di poco conto nelle pause che si concedono tutti e tre. Non sono mai approcci molto marcati, da nessuna delle due parti: Iori a volte sembra guardingo, non in modo cattivo ma come potrebbe esserlo un gatto poco avvezzo a concedere le sue attenzioni a chiunque, mentre Tamaki al contrario pare a Sogo più l’adolescente disinteressato e poco avvezzo alle formalità.
E’ una sorpresa, quindi, quando in un pomeriggio che vede il locale poco affollato la voce di Tamaki è all’improvviso vicinissima e le sue mani sono sulle spalle di Sogo, che sobbalza perché assorto nella sua lettura non si era accorto affatto di avere il ragazzo alle spalle: «So-chan, fallo smettere…!»
Lui è stupito ma l’espressione di Iori è quasi impagabile, mentre entrambi esclamano un incredulo «So-chan?!» che ha valenza differente: per Iori sembra inconcepibile che Tamaki sia tanto informale con una persona più grande e che non conoscono mentre Sogo, da parte sua, è stupito solo da quel nomignolo particolare, perché nessuno gliene ha mai affibbiato uno, non c’è mai stato il presupposto alla base di una cosa del genere che ora suona quasi divertente, in quella situazione. Anche se una punta di disagio bussa alla porta delle tante cose che pensa, ma che non dice mai e nasconde dietro un sorriso che non sa di nulla.
Iori sospira, incredulo, massaggiandosi una tempia mentre pronuncia un esasperato: «Yotsuba-san se vuoi evitare le lezioni supplementari devi passare l’esame della prossima settimana.» commenta, e Sogo non vede Tamaki ma sente la sua presa sulle sue spalle farsi più lieve fino a lasciarle. Si azzarda a voltare appena la testa, vedendolo sconsolato e al tempo stesso combattuto, di certo indeciso tra la reale possibilità di risparmiarsi lezioni in più e la rassegnazione di chi evidentemente ha già dovuto seguirle.
A Sogo scappa fuori una domanda prima che possa dirsi che non è nella posizione di farla: «L’esame è molto difficile?»
«No.» replica secco Iori, occhieggiando Tamaki quasi lo sfidasse a sostenere il contrario «Ma Yotsuba-san non è bravo nella memorizzazione e nei processi logici.»
«Tutti quei calcoli mi annoiano!»
«Allora suppongo ti annoierai anche alle lezioni supplementari mentre il resto della classe sarà in gita, Yotsuba-san.» ribatte impietoso il minore degli Izumi, gettando nella disperazione - un po’ infantile, se Sogo può osare tanto - il compagno di classe.
«Potrei non essere di grande aiuto rispetto al vostro programma...» mette le mani avanti Sogo, una parte di lui che non si capacita di come stia per imporre un aiuto non richiesto (di nuovo) a quei due ragazzi, ma ormai è troppo tardi per ritrattare «ma potrei vedere di cosa si tratta. Ho ancora alcuni appunti di quando frequentavo le superiori… magari potrebbe essere d’aiuto?» azzarda, occhieggiando più che altro Iori visto che Tamaki è ancora in parte nascosto dietro di lui - per quanto Sogo, da seduto, possa nascondere un ragazzo alto come Yotsuba.
«Non credo dovresti preoccupartene, Osaka-san. Ogni volta che studi qui è per qualche corso universitario, vero? I tuoi libri hanno l’aria di essere complessi. Non c’è ragione per--»
«So-chan, per favore, aiutami.» lo interrompe Tamaki, piazzandosi tra loro per sovrastare Iori e le sue opinioni. Chiede aiuto in maniera così diretta, e senza preoccuparsi dell’impressione data per questo, che a Sogo scappa uno sbuffo divertito che non fa in tempo a celare. Si sporge un poco di lato, per riuscire a vedere anche Iori: «Non c’è problema, davvero. Sono solo vecchi appunti. Ah, però forse sarebbe utile spiegarvi alcuni passaggi che potrebbero essere poco chiari…?»
«Potreste fare una sessione di studio da noi.» si intromette la voce di Mitsuki, l’entusiasmo della proposta nel tono di voce e un caffellatte poggiato proprio davanti a Sogo, un occhiolino complice rivolto a lui: «I tavoli da quattro sono quelli che si vengono occupati più facilmente, qui, e non è proprio silenzioso.» butta lì, come se quello fosse l’unico dettaglio da considerare. Sogo potrà essere un cliente abituale, ma disturbare autoinvitandosi in casa degli altri…
«...Ammetto che sarebbe di aiuto, se per Osaka-san va bene.» concede infine Iori. A quel punto, nonostante tutti i dubbi che gli stanno attraversando la mente, Sogo è già nella situazione in cui non può più dire - né sarebbe capace di farlo - di no.
«Se non è un disturbo per voi...» azzarda con un mezzo sorriso, senza sapere davvero che espressione fare.
Mitsuki ridacchia, sostenendo che il vero disturbo sarà quello che si prenderà lui a cercare di far capire qualcosa a Tamaki, prima di andarsene e chiedergli di aspettare la fine del suo turno per avere l’indirizzo e scambiarsi i contatti per ogni evenienza.
Ed è così che Sogo, due giorni dopo si ritrova a suonare al citofono di una casa modesta che reca sulla targhetta il cognome “Izumi”. Mitsuki è alla porta in un secondo, gli apre il cancelletto con un pulsante prima di uscire sulla soglia e accoglierlo con un sorriso ampio e un saluto meno formale di quando sono al locale - «Ti dispiace se ti chiamo solo Sogo?» -, lo invita a entrare come si fa con gli amici di sempre. Gli indica con fare quasi distratto le pantofole per gli ospiti, gli dice dove lasciare la giacca; Sogo segue tutte quelle direttive con gli occhi, annuisce, si libera delle scarpe e invece tiene la borsa, mentre Mitsuki gli dice che Iori e Tamaki sono già al piano di sopra nella stanza di suo fratello. Prima di seguire il padrone di casa su per le scale, Sogo vede spuntare da una porta che non ha idea a quale stanza conduca un’altra persona e quindi si ferma, incerto su chi possa essere ma già in procinto di fare un inchino e salutare, ringraziando dell’ospitalità e presentandosi come Osaka Sogo. Ha un momento di difficoltà quando si rende conto di non potersi definire “un amico di Mitsuki-san” ma nemmeno una conoscenza vera e propria del figlio più piccolo di casa, e dunque indugia, oscilla tra definizioni che non gli appartengono del tutto, finché Mitsuki - accorgendosene, o forse solo per caso - prende le redini della conversazione con naturalezza.
Presenta Sogo come un cliente abituale del locale dove lavora (non che lui non ci aveva pensato, ma temeva suonasse fuori luogo in qualche modo), e l’altro ragazzo come Nikaido Yamato, un amico di famiglia fin dagli anni del liceo, dove era un suo senpai. Si scambiano uno sguardo e poche parole, quelle di rito, prima che Yamato dica a Mitsuki che aspetterà lì e dunque l’altro prende a salire le scale, invitando Sogo a fare lo stesso.
Lui cerca di guardarsi intorno quanto basta ma cercando di restare discreto, voltando a destra quando Mitsuki fa lo stesso e fermandosi un paio di passi dietro di lui quando l’altro varca la soglia oltre la quale si sentono già venire le voci di Tamaki e Iori.
La stanza in cui Sogo si affaccia lo sorprende innanzitutto perché deduce, dal letto a castello, che i fratelli Izumi devono aver diviso la camera per molto tempo - sempre ammesso che Mitsuki viva ora da solo da un’altra parte. Solo in un secondo momento, dunque, nota i particolari dell’ambiente: un ordine che d’istinto attribuisce a Iori, una libreria piuttosto grande, un tavolino di quelli pieghevoli a occupare il centro della stanza e sul quale sono già poggiati diversi testi e quaderni. Iori e Tamaki siedono l’uno di fronte all’altro, mentre entrambi i lati liberi sono papabili posti per Sogo, destinato a stare tra i due. Non gli sembra molto cortese sedere dove finirebbe con il dare le spalle alla porta a chiunque dovesse entrare finché sarà lì, quindi opta per l’altra parte dove si siede con un filo d’incertezza mascherato da educazione.
«Se vi serve qualcosa sono giù.» comunica Mitsuki, con un occhiolino per Sogo, che non si sa bene se sia un “buona fortuna” o un “cerca di sopravvivere” ma lui decide di non interrogarsi troppo sulla cosa. Preferisce andare a frugare nella borsa che utilizza anche per l’università e che ha portato con sé, tirandone fuori i famigerati quaderni di appunti di ormai un paio di anni fa. Li posa sul tavolino, occhieggiando prima Iori e poi Tamaki: il primo ha già aperto un quaderno, preso la mina  e sembra intenzionato a non perdere ulteriore tempo mentre si appropria del libro che recita “Matematica II”. Gli stessi oggetti sono anche di fronte a Tamaki, ma non c’è lo stesso approccio, è abbastanza chiaro: basta guardare Tamaki in viso per riconoscere l’espressione di una persona molto scettica nei confronti di ciò che ha davanti agli occhi.
Sogo ha già impartito qualche ripetizione, in passato, e in diverse materie; non direbbe che matematica sia quella in cui andava meglio, ma di sicuro non ha mai avuto grossi problemi, quindi immagina di potercela fare. Il problema è capire quale possa essere il metodo giusto.
«Dunque, Tamaki-kun» inizia «potremmo provare a fare qualche esercizio e vedere cosa non capisci? E se poi serve, possiamo vedere insieme i miei vecchi appunti.» propone un approccio soft, avendo colto del metodo di studio del ragazzo pochi frammenti, per lo più tradotti in lamentele a dire  il vero. Quello annuisce, anche se sembra ancora poco convinto, mentre Iori chiede di poter visionare subito gli appunti di Sogo se lui non intende utilizzarli da subito. Annuisce, osservandolo avvicinare il quaderno in questione per poterlo sfogliare con calma.
Tamaki non ha nemmeno iniziato e sembra già in crisi.

Dopo un’ora e mezza Sogo comincia a capire il perché di alcuni momenti di irritazione di Iori nelle varie occasioni in cui si sono incontrati al Wish Voyage. Tamaki fa davvero fatica a fare suoi alcuni passaggi semplici, dunque non c’è da stupirsi che l’oggettiva difficoltà e una scarsa capacità di concentrazione lo portino a fare errori grossolani che nel tempo devono essergli costati più di un’insufficienza. Sogo tuttavia riesce a vedere, nel modo in cui Tamaki corruga la fronte e si intestardisce, come stia comunque cercando di fare del suo meglio ed è per questo che quando è convinto stia ormai per scoppiare, è lui a proporre di fare una pausa.
«Perché non ci fermiamo un attimo, Tamaki-kun?» propone, decidendo in un secondo che non gli costa niente fingere di essere lui ad averne bisogno - che poi non possa fargli che bene è la verità - così da non far sentire il più giovane in difficoltà o mortificato. Da come Tamaki si lascia andare sul tavolo, allungando le braccia tanto da coprire con le mani anche il quaderno su cui stava lavorando Iori, Sogo immagina di essersi preoccupato per nulla. Iori sta per alzarsi quando Sogo lo precede, rivolgendogli un sorriso gentile: «Scendo io a chiedere a Mitsuki-san, se hai bisogno di qualcosa, Iori-kun. Devo anche usare il bagno.» aggiunge subito, così da non far sentire il più giovane in dovere di fare il bravo padrone di casa con un ospite. Iori non sembra convinto al cento per cento, ma Sogo intravede nella sua espressione un piccolissimo accenno di stanchezza, e dunque non si stupisce nel sentirlo ringraziare, suggerendo di aver già pensato a qualche snack per la pausa e che è sufficiente Sogo chieda a Mitsuki da parte sua. Lui annuisce, lasciandoli nella stanza e guadagnandone l’uscita, scendendo le stesse scale per cui si è fatto guidare appena arrivato e raggiungendo il piano inferiore; lì indugia per un momento, guardando da una parte e dall’altra, non sicuro di dove cercare Mitsuki ma non volendo ficcanasare in casa d’altri. Giunge in suo aiuto la voce di Yamato che pronuncia un «Ichi e Tama se la staranno cavando?» che guida Sogo sulla destra. La porta di quello che suppone essere il soggiorno è aperta, ma per troppo zelo Sogo indugia per un momento, non sapendo se palesare la sua presenza con un bussare leggero contro lo stipite o meno. Sente Mitsuki sbuffare rumorosamente, pronunciando un: «Dovresti concentrarti di più, Yamato-san.» che sembra più vezzeggiare l’altro e non un vero rimprovero.
Sogo ha la pessima idea di muovere un passo, riuscendo a vedere così quasi tutto l’interno della stanza, ma la mano quasi a ridosso dello stipite si ferma di botto, mentre gli occhi inquadrano i due occupanti del salotto: sono seduti vicini sul divano, la mano di Yamato si poggia morbida contro il collo di Mitsuki mentre il pollice gli accarezza distrattamente la guancia; sono leggermente sbilanciati, come se Mitsuki lo avesse colto di sorpresa, ma è chiaro dal linguaggio del loro corpo che il bacio che si stanno scambiando non è sgradito a nessuno dei due. Sogo se ne sta fermo lì, come pietrificato sebbene una parte remota della sua testa gli stia imponendo di togliersi da lì anziché restare a guardare, e riesce a sbloccarsi solo quando Mitsuki porta una mano dietro la nuca di Yamato, le dita che gli affondano nei capelli con un gesto più possessivo che simile a una carezza, approfondendo il bacio e quasi imponendosi con il corpo su quello dell’altro, per quanto la differenza di stazza tra i due farebbe pensare il contrario.
Sogo si scosta immediatamente, guadagnando un nascondiglio momentaneo che è sufficiente a celare il modo in cui avvampa, imbarazzato dall’aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto, stupito da un rapporto che non aveva assolutamente colto - come avrebbe potuto, insomma, non è certo come avere un cartellino appuntato al petto che oltre al tuo nome, cognome e impiego avvisa anche del tuo orientamento sessuale - e incerto sul da farsi. Potrebbe tornare su e ammettere con Iori di non essere sicuro di dove trovare Mitsuki e di non voler vagare per stanze di una casa non sua, ma il presentimento che Iori potrebbe non sapere di suo fratello e l’idea di fare un danno irreparabile lo fa desistere; tornare su a mani vuote, in ogni caso, comporterebbe uno scenario del genere, e dunque Sogo lo esclude a priori. L’unica alternativa è richiamare l’attenzione di Mitsuki, ma l’idea di farlo riesce a imbarazzarlo e mortificarlo al tempo stesso.
Nelle due ore che seguono quel momento, si sente un vile per ben tre volte: la prima è quando torna sui suoi passi, sale un paio di gradini e riprende da lì, come uno scrittore che riprende la sua storia da una frase lasciata per sbaglio a metà, ritrovandosi a improvvisare un po’ con la certezza che non sarà mai com’era stata pensata. Fa rumore volutamente e alza un po’ il tono per chiamare Mitsuki e palesare la sua presenza per dargli il tempo di sentirlo e muoversi di conseguenza.
La seconda è quando di nuovo in stanza con Iori e Tamaki non sa nemmeno bene come comportarsi, incerto se considerarsi complice di un segreto simile a una bomba o traditore che non rivela il fulcro di una missione nemica così da garantire la vittoria alla sua fazione. A un certo punto guarda Iori e si chiede se lo sappia, come al prenderebbe, e si rende conto troppo tardi di non aver abbassato lo sguardo - quando la voce di Iori pronuncia nella sua mente che Yamato rende felice suo fratello, e questo rende felice lui.
La terza volta, quella peggiore di tutti, è quando sull’autobus per tornare al suo appartamento si sente in colpa per aver invidiato quei due fratelli che tra loro si supportano a tal punto da avere a cuore la vicendevole felicità e non tutto quello che gli gravita intorno. Pensa a come sarebbe accolta una cosa del genere in casa Osaka, alle urla, alle accuse, alle parole piene di disprezzo, alla distruzione di un’accettazione che poi in realtà non è davvero mai esistita. Pensandoci si sente invidioso, quasi desideroso della vita di un altro, e questo lo rende orribile.
Lo rende un vile.



Passano quasi due settimane prima che incontri di nuovo uno dei tre ma, vigliaccamente, Sogo non cerca a tutti i costi di creare l’occasione perché questo accada. Ha cercato di fare quello che ha imparato per gestire meglio il senso di colpevolezza immotivato che spesso lo coglie, annidandosi nei suoi pensieri senza più lasciarlo andare per diverso tempo: si è gettato in una routine sempre uguale costellata, però, di piccole azioni che necessitano attenzione costante per essere portate a termine. In questo modo si focalizza su cose che gli impediscono di lasciar vagare la mente, e la situazione migliora. Così quando passa dal Wish Voyage e la figura conosciuta di Mitsuki attira la sua attenzione, salutandolo da fuori il locale e vestito in borghese, si sente meno a disagio di come si sarebbe invece sentito se si fossero incontrati il giorno dopo la sua permanenza in casa Izumi. Sapere che persino Tamaki ha strappato una sufficienza aiuta a far sparire dalla testa di Sogo quel che restava di pensieri superflui sul suo essere una persona orribile - si raccomanda con Mitsuki di fare i complimenti ai due ragazzi da parte sua e si congeda, perché la sua meta non è il solito appartamento ma la casa dov’è cresciuto.
Varca la soglia, gli vengono rivolti i saluti formali a cui è stato abituato fin da bambino, percorre corridoi troppo conosciuti perché si faccia ancora attenzione a dove si gira e incrocia la figura di suo padre che gli viene incontro; quello, da solo, è un campanello d’allarme che grida a gran voce.
Suo padre apre la bocca e Sogo sente già il sapore della bile grattargli la gola.
Ci vuole così poco a cadere.


I polmoni gli bruciano, l’inizio della primavera non rende comunque l’aria serale calda abbastanza; lui si sente addosso il caldo dello sforzo fisico a cui non è abituato e insieme il gelo sulle guance contro cui sferza il vento. I polpacci gli urlano di fermarsi, fanno male in quella sensazione che chi corre o fa sport conosce bene, l’avvicinarsi al culmine della fatica e dello sforzo ma sentire di avere ancora qualcosa da dare, ancora qualche metro da macinare. Sogo corre, con la borsa che sbatacchia contro la sua gamba e la tracolla che gli sega il collo perché si è spostata poco dopo che ha iniziato a muoversi. Sente il fiato uscire ed entrare veloce e rumoroso dalla bocca, cerca vagamente di imporsi un ritmo di respiro, quello che consigliano sempre per le lunghe distanze dove si deve imparare a dosare l’energia. Ma lui non sa nemmeno quale sia la meta, come può sapere se la strada da percorrere è ancora tanta o se bene o male non lo è? Sta cercando di evitare le vie più trafficate per non doversi preoccupare di fare lo slalom tra le persone, per non attirare la loro attenzione, così gira un angolo che sa portare in una zona fatta per lo più di case - è l’ora di cena, nessuno dovrebbe essere in giro in una zona così, e invece lui si sente chiamare e in un primo momento nemmeno realizza cosa stia succedendo, chi lo stia chiamando, se stia davvero cercando di fermare le gambe e rallentare o se stia almeno voltando a guardare di chi si tratti. Una mano lo arpiona a un braccio, in maniera piuttosto dolorosa non tanto per la presa quanto per il brusco fermarsi, il venire strattonato che si ripercuote sulla spalla.
Nel momento in cui si ferma si rende conto di quanto fatichi a portare aria nei polmoni, quanto le gambe gli facciano male, quanto i piedi gli brucino come se fossero pieni di vesciche e lui ci avesse corso sopra nonostante tutto; sente il proprio respiro affannato fare rumore, quasi rimbombargli nel cervello, mentre nelle orecchie il ronzio fastidioso di quando circola poco ossigeno lo fa sentire come se dovesse svenire da un momento all’altro.
Mette a fuoco la voce di Mitsuki per puro caso, alza lo sguardo per incontrare il suo e dirgli che è tutto a posto - convinto davvero che una bugia così patetica possa convincere qualcuno - e allora vede che c’è anche Yamato, che è lui ad aver fermato la sua corsa, la mano ancora stretta attorno al suo polso. Cerca di articolare qualche parola, ma ha ancora bisogno di prendere aria prima di riuscire a parlare.
Quando pensa di esserne finalmente in grado, nonostante il respiro non sia ancora regolare, si ritrova a piegarsi di lato a vomitare poco più che succhi gastrici; percepisce con una certa vaghezza una mano calda che gli massaggia la schiena, senza saper dire se appartenga a Mitsuki o Yamato, e tutto ciò che riesce ad articolare nella sua testa è un mantra fatto di scuse e mortificazione. Recepisce in maniera quasi distratta poche frasi - «Sogo, ce la fai a camminare?» «Andiamo a casa.» - alcune delle quali non sa nemmeno se siano dirette a lui. Annuisce alla prima e cerca alla cieca qualcosa nella tasca della giacca per potersi almeno pulire la bocca, prima di muoversi con cautela; sente un proprio braccio venire portato sopra le spalle di qualcuno e l’altezza gli suggerisce che si tratti di Yamato. Mormora un «Grazie» flebile, e poi tace per tutto il tragitto, lasciandosi guidare docilmente, incapace di opporsi alle direzioni verso cui gli altri due lo guidano anche se lo volesse.
Ha riacquistato una ludicità degna di questo nome quando varcano la soglia di casa Izumi e, poco dopo, Iori e Tamaki sono alla porta. Sogo nota senza difficoltà la sorpresa sui loro volti mentre Yamato lo accompagna in salotto, imponendogli di sedersi senza formalizzarsi troppo. Mitsuki si offre di preparare qualcosa di caldo ma Iori insiste per farlo al posto suo, forse sentendosi fuori luogo lì con Sogo in quello stato, con la consapevolezza e la maturità necessaria a capire di essere più giovane di lui e di conoscerlo troppo poco per poter dire qualcosa nel caso Sogo decidesse di confidarsi.
Il punto è che non ha intenzione di farlo, e che Mitsuki o Yamato non hanno certo una conoscenza più profonda della sua persona così come lui non la ha di loro. Avverte il loro sguardo preoccupato su di sé e si piega leggermente in avanti, lì seduto sul divano, le braccia conserte e strette contro il corpo, i palmi a contatto con lo stomaco, sperando quasi che il calore rilassi i muscoli contratti e gli dia pace dopo aver dato di stomaco in mezzo alla strada. Le parole di suo padre gli risuonano nella testa mentre deglutisce e sente la gola bruciargli, non sa se per il malore in mezzo alla strada o se per aver alzato la voce in quella che per anni è stata casa sua senza che riuscisse mai a sentirla tale, non davvero.
Iori torna nella stanza e gli offre il bicchiere d’acqua; Sogo alza lo sguardo su di lui, cercando di ammorbidire la propria espressione e lo ringrazia con un cenno, prima di portare le labbra sul vetro e lasciare che l’acqua dia sollievo alla sua gola. Di sfuggita passa in rassegna il volto di tutti i presenti - riconosce la preoccupazione negli occhi di Mitsuki, l’istinto di elaborare per poter agire al meglio nei lineamenti di Yamato, un lieve disagio dato dall’inesperienza in situazioni simili nella rigidità delle spalle di Iori. Quando guarda Tamaki, non riesce a vedere niente e per un momento rischia di cadere in tentazione, di porre una domanda nella propria testa e così porta repentinamente l’attenzione al pavimento, poco importa se sembrerà che stia scappando.
Solo in quel momento gli viene spontaneo guardare verso la porta del salotto, colto da una consapevolezza improvvisa. Fa per alzarsi, mormorando un «I vostri genitori… dovrei--» per poi essere spinto verso il basso, le mani di Mitsuki su entrambe le proprie spalle, fino a farlo sedere di nuovo. C’è un cipiglio severo sul viso del più grande degli Izumi.
«Sono fuori per il weekend e comunque non devi preoccuparti di salutare i nostri genitori. Sei bianco come un lenzuolo Sogo, ti sei sentito male in mezzo alla strada e correvi come se ti inseguisse un mostro. Direi che salutare qualcuno qui adesso è l’ultimo dei tuoi problemi.» commenta con una durezza che Sogo non gli ha mai sentito utilizzare, nemmeno nei rimproveri a Tamaki quando alza troppo la voce nel locale, segno che forse non era davvero seri. Adesso, invece, non ammette repliche.
Sogo china la testa, le scuse già pronte sulla punta della lingua e che ricaccia indietro.
Il respiro si è ormai regolarizzato, quando sente un peso nuovo di fianco a sé e poco dopo la spalla di Mitsuki contro la propria, in un gesto di supporto che però non invade eccessivamente il suo spazio.
«Fermati a dormire qui.» dice, senza guardarlo «Non so cos’è successo o se ne vuoi parlare, ma puoi restare. C’è la camera degli ospiti, Tamaki resta in camera con Iori e io e Yamato per una sera possiamo stare nella stanza dei miei.» assicura con fare pratico. Sogo si lascia distrarre da quel “io e Yamato”, che forse Mitsuki è convinto suoni come “io e un amico qualsiasi” senza sapere che Sogo conosce bene la valenza che invece ha. Non ne è disturbato, no; pensa solo che sia un’offerta generosa da parte di Mitsuki, considerando che non sono amici. Non sa come ricambiare, pensa per un momento che potrebbe dirgli cos’è successo, condividere un qualcosa di privato per sdebitarsi, ma poi riflette e più riavvolge nella sua testa quel che è successo (l’ennesimo litigio), le ragioni dietro tante, troppe urla (un esame andato meno bene di quanto ci si aspettasse da lui, una sola macchia in una carriera immacolata) e le parole che lo hanno fatto tremare, dare le spalle a suo padre e uscire di casa sbattendo la porta, si sente stupido.
E’ una vergogna!
Non sono le cose peggiori che possono capitare a una persona.
Ti concedo l’indipendenza e questo è il risultato.
Non c’è quasi nessun diritto di lamentarsi per una cosa simile.
Sei come tuo zio. Che delusione.
«Ngh...» un lamento gli scappa tra le labbra mentre una fitta allo stomaco lo fa piegare di nuovo, anche se solo un poco; si morde il labbro inferiore, cercando poi di minimizzare con un abbozzo di sorriso che non sa nemmeno lui come esca fuori, e un «E’ una cosa stupida, non preoccuparti.» e anche se non è sciocca, anche se lo ha ridotto a un bruciore di stomaco devastante, cosa potrebbe mai dire? Spiegare l’intera situazione sarebbe spiegare la sua vita, e non è sfacciato a tal punto da obbligare qualcuno che lo ha aiutato e lo sta anche ospitando senza preavviso a una cosa simile.
A sorpresa la voce che gli si rivolge non è né di Mitsuki che si assicura sia davvero tutto a posto per quanto possibile, né di Yamato per proporre di farlo stendere o di Iori che chiede se voglia un altro bicchiere d’acqua. La voce che risuona è quella di Tamaki, di cui incrocia lo sguardo: legge nel suo l’incredulità piatta di chi reputa qualcosa di così scarso interesse e importanza da non meritare nemmeno il tentativo di essere compresa.
«Se non ti succede niente allora puoi tornare a casa tua.»
Sogo lo fissa per un tempo che gli sembra infinito. Per la sua testa passano così tante cose da non riuscire a capire nemmeno da dove iniziare per metterle in ordine, un insieme di accuse, poi di rimproveri, poi di domande - e guarda per terra, perché non vuole sapere le risposte, non vuole, non vuole, non--
Posa il bicchiere sul tavolino basso del soggiorno con troppa forza, si alza troppo in fretta, urta con troppa forza la spalla di Tamaki nel muoversi per guadagnare l’uscita del soggiorno e poi di casa Izumi, ignorando i richiami. Lui, che non è mai stato “troppo” nella sua vita - al massimo troppo poco - scende in strada, per tornarsene a casa sua.
In fondo, non è successo niente.

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