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Fandom: Tsurune
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C'è un silenzio totale a circondarli, lì da soli nel dojo a occuparsi delle pulizie di fine attività del club. Il tramonto si intravede senza difficoltà grazie allo spazio aperto, tinge il cielo senza nuvole di un arancione carico. Il turno comprendeva anche Nanao, ma Seiya non ha saputo dirgli di no quando l'altro lo ha pregato di fare cambio per un impegno improvviso; a essere sinceri non è che Seiya non abbia subodorato che dietro la parola "impegno improvviso" ci potesse essere "ragazza", ma con Minato da attendere per tornare a casa insieme, ora che è in sala professori insieme a Takigawa, e il fatto che Nanao non gli ha mai chiesto un favore prima di oggi, non si è sentito di dire di no nonostante quella consapevolezza.

Il problema è un altro e ha la forma di una conversazione con Minato a cui Seiya non vuole ripensare affatto. In primo luogo perché Minato ha sempre avuto una sensibilità tutta sua, ma mai Seiya avrebbe pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui il suo migliore amico gli avrebbe fatto notare che qualcuno lo guardava con interesse senza che Seiya stesso se ne fosse accorto. Secondo, mai si sarebbe aspettato che il qualcuno soggetto della loro conversazione si sarebbe rivelato essere Onogi Kaito: non importa quanto tempo Seiya abbia passato a elencare tutte le buone ragioni per cui Minato debba per forza esserselo sognato e tutte quelle, invece, per cui la cosa non fosse da prendere nemmeno in considerazione; alla fine, si è persino premurato di dirgli ogni singolo motivo per cui Seiya non vorrebbe mai, mai che si venisse a creare la situazione per cui una cosa simile vada a sbilanciare il perfetto equilibrio che sembrano aver finalmente trovato come squadra. Non importa che Minato abbia abbandonato la battaglia, Seiya lo conosce bene abbastanza da sapere che non ha comunque rinunciato alla guerra.

Terzo problema: Seiya si era già accorto degli sguardi di Onogi, lanciati nel tentativo di farli passare per un'occhiata disinteressata e distolti quando colto in flagrante - e lui, Seiya, si è impegnato a fingere di non notarli, di non darci peso, di non decifrarli. Di non avergliene rivolti altrettanti e per, probabilmente, lo stesso motivo.

Come si gestisce, d'altronde, una persona come Onogi in una conversazione simile? E' il tipo che se preso di petto con la questione, potrebbe solo negare con ferocia oppure ammettere tutto in modo blando, mettendo a nudo i suoi sentimenti e per uno come Seiya non esiste cosa più spaventosa di una persona mossa dal puro istinto come Onogi. Perché quelli come lui poi pretendono lo stesso dagli altri, sono incapaci di accettare le risposte enigmatiche che sembrano dire tutto e niente al tempo stesso; Onogi non sarebbe mai in grado di accettare di lasciar perdere, se iniziassero a parlarne, ma se ci fosse stato un errore da parte di uno dei due, se non si stessero guardando con il desiderio e l'interesse con cui di solito si guardano un uomo e una donna, un ragazzo e una ragazza, finirebbe male. Con un litigio, con il disagio, con l'imbarazzo.

Seiya non si vuole ritrovare questo tipo di sentimenti tra le mani, non vuole sulle spalle il senso di colpa di un team incapace di lavorare perfettamente come invece riescono a fare ora. Perciò ha tutte le intenzioni di evitare la questione.

Ma non è facile quando si è in due, nel silenzio, a muoversi nello spazio e a sfiorarsi mentre ci si passa accanto attenti a non toccarsi, come se farlo potesse fulminare sul posto entrambi.

«Ohi.» Onogi lo chiama, attaccabrighe «Che problema hai?»

Era proprio questo che temeva. Inspira, poggia l'attrezzatura nell'apposito spazio, si volta a guardarlo tenendo su la sua migliore espressione neutra: «Niente.»

«Stronzate.» ribatte Onogi senza nemmeno darsi un secondo per prendere in considerazione che Seiya possa essere sincero «Continui a guardare senza dire niente, se hai qualcosa che non ti sta bene dilla e basta.»

«Non ho niente.» ribatte, già con fin troppo trasporto rispetto a quello che vorrebbe trasmettere.

«Se non volevi restare a fare le pulizie con il sottoscritto potevi dire di no a Nanao.»

«Non mi pesa fare le pulizie con te più di quanto non mi pesi con chiunque altro.» replica mantenendo una maggiore neutralità - si dice, nella sua testa che ecco, così va bene, così suona molto meglio.

Peccato Onogi sia incapace di accettare la neutralità di qualcuno nei suoi confronti, evidentemente.

«Senti» comincia, sul piede di guerra, mentre uno stomp stomp sul pavimento in legno segna le falcate che fa per raggiungerlo; Seiya si volta completamente verso di lui, si mette ben dritto con la schiena, quasi a sfidarlo a non fermarsi e a investirlo in pieno con tutto il peso del suo corpo. Onogi invece si blocca a mezzo passo da lui, la faccia davanti alla sua, per sfidarlo di rimando. Sono così vicini che a Seiya dà quasi fastidio guardarlo negli occhi e sente il suo respiro su di sé.

«Odio questa faccia che fai come se non ti toccasse mai niente.»

«Cosa ti interessa di come mi toccano le cose?»

Lo vede corrucciare lo sguardo, quasi sente la rabbia che gli monta dentro di fronte a una risposta che percepisce - a ragione - come falsa; in un attimo la mano di Onogi gli ha preso la parte davanti della divisa da kyuudo, senza avvicinarlo di molto ma con un significato chiaro ed esplicativo senza bisogno di parole.

«E tu invece cos'hai da guardare?» gli scappa tra le labbra. Ma tanto, a questo punto, stanno comunque per litigare e distruggere l'equilibrio tanto faticosamente stabilito. Cosa importa, se è Seiya a incrinare il vetro per primo?

Onogi sembra stupito, quasi spaesato; forse pensava davvero di averlo nascosto bene, o forse non si aspettava che Seiya gli facesse una domanda così diretta per i suoi standard. Apre la bocca per dire qualcosa, poi la chiude, confuso alla ricerca di parole che non sono il suo punto forte, poco ma sicuro.

«Non ti sto guardando così tan-»

«Mi guardi di continuo e pensi che non me ne accorga. Se hai qualcosa da dire, dilla e basta. Giusto?» lo scimmiotta in un atteggiamento per niente adulto perché è questo che Seiya fa quando è alle strette ed è stanco di essere quello ragionevole, maturo, accomodante: trova subito dove colpire e affonda, con tutte le sue armi.

Onogi ha l'espressione indignata, quasi non potesse accettare di sentirsi ritorcere contro le proprie parole; di certo deve essere un atteggiamento inaccettabile per chi è dritto come le frecce che scocca, tiri puliti e secchi, con unico obiettivo il bersaglio senza perdersi in altri dettagli inutili. Il kyuudo di Onogi è davvero la dimostrazione di come tirare con l'arco sia lo specchio di chi pratica quella disciplina, perciò Seiya non si stupisce del fatto che l'altro possa sentirsi più offeso dalle parole usate che non dal tono o dalla situazione di per sé.

Seiya sospira, rilassa le spalle. E' inutile aspettarsi una spiegazione, di qualsiasi tipo, conferma o negazione che sia. Alza una mano e gliela poggia contro la spalla sinistra per fare una pressione sufficiente a lanciargli il messaggio di lasciarlo andare, di tornare a sistemare le poche cose mancanti per andarsene poi ognuno per la sua strada. Nemmeno lo avesse attaccato a mani nude con tutta la sua forza, quel semplice gesto sembra risvegliare Onogi da pensieri fin troppo intricati per lui - Seiya si aspetta persino un pugno, tutto tranne l'intero corpo di Onogi a spingerlo indietro fino a farlo finire contro la parete di legno, ad aderire petto contro petto, a baciarlo in un modo che non fa nemmeno somigliare la cosa a un bacio quanto più a uno sbattere accidentale uno contro l'altro. Non gli ha ancora lasciato la divisa, ancora lo tiene quasi a impedirgli di scappare; in un primo istante gli viene spontaneo spingere con la mano contro il corpo di Onogi, ma quasi subito abbandona quel pensiero, la mente gli si svuota quasi completamente se non per l'impulso di baciarlo di rimando, come si deve. 

L'irruenza di Onogi sembra placarsi quando percepisce che Seiya non lo sta scacciando, la pressione leggermente inferiore contro la sua bocca, rendendo il bacio più morbido - ma è comunque goffo come cerca di approfondirlo, come infila la lingua nella bocca di Seiya e nonostante Seiya non lo rifiuti, nonostante lo imiti, gli sembra ci sia una punta di incertezza dietro l'aggressività di base che rimane in quel bacio. Una parte di Seiya sta cercando di mantenere la concentrazione su eventuali rumori a segnalare l'arrivo di qualcuno, Minato o Takigawa, o le ragazze che si sono spostate a utilizzare lo spogliatoio dopo aver finito la loro parte di pulizie, ma non è facile quando l'altra mano di Onogi lo distrae perché il suo padrone non sa dove poggiarla.

A un certo punto Seiya ne è quasi snervato: una mano va a prendere il polso di Onogi, un po' a tentoni, e gli piazza la sua sul proprio fianco mentre l'altra invece si allontana dal suo corpo solo per salire, posizionarsi sulla base del collo altrui e spingerlo verso di sé per approfondire ancora di più il bacio o semplicemente fargli capire che ormai a danno fatto non ha senso tirarsi indietro.

Si allontanano perché una risatina dallo spogliatoio delle ragazze gli fa temere siano uscite senza che loro due se ne accorgessero, e per quanto si riveli quasi subito un falso allarme, ora sono lì in silenzio con il respiro velocizzato e i volti arrossati, in quell'imbarazzo tremendo che Seiya voleva evitare fin dall'inizio.

La mano di Onogi ha ormai una presa blanda sulla sua divisa da kyuudo, così come quella sul fianco di Seiya è poggiata morbidamente, quasi stesse cercando di trovare il momento esatto in cui toglierla da lì. Seiya lo scosta da sé quando sente la porta dello spogliatoio aprirsi, recupera uno dei guanti utilizzati durante l'allenamento per avere qualcosa tra le mani quando Hanazawa si affaccia e saluta entrambi con un allegro «Onogi-kun, Takehaya-kun, a domani!» prima di sparire di nuovo e ricongiungersi alle due compagne.

Quando la porta del dojo si chiude dietro di loro, il silenzio cade di nuovo tra lui e Onogi.

Sospira, voltandosi e trovandolo con il viso pieno di un imbarazzo evidente - inaspettato, forse? Seiya non sa cosa si aspettasse, a dire il vero - e gli scappa un sorriso. Poggia il guanto nel ripiano dove si trovano anche gli altri, tornando quindi sui suoi passi; si sofferma sulla soglia che li collega agli spogliatoi.

«Onogi.» chiama, aspettando che l'altro alzi lo sguardo su di lui. Onogi invece, quasi messo in moto dalla sua voce, si muove con passi pesanti nemmeno dovesse marciare; gli passa accanto, senza fare nulla se non grugnire. 

Quando lo oltrepassa, Seiya nota che persino le sue orecchie sono dello stesso colore dei suoi capelli. 

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Il suono che fa una corda d'arco che si spezza è riconoscibile tanto quanto quello di un tiro perfetto; si sente ancora prima che colpisca il bersaglio e, allo stesso modo, ancora prima di vedere la corda perdere tutta la sua tensione nel momento in cui è rotta l'orecchio ha già registrato l'accaduto, lo sguardo cerca subito l'arco dal quale il suono è arrivato. Quando ciò avviene in un dojo con più di una persona presente a tirare con l'arco, esiste un istante lungo una manciata di secondi in cui si cerca febbrilmente la persona a cui la corda si è rotta, quasi in una trepidante attesa - è come sentire lo sgretolarsi della colonna portante del mondo con la consapevolezza che sia un qualcosa di inarrestabile e destinato a scuotere fin nel profondo, perché l'arco non è il mezzo ma la completezza, e una corda spezzata è un cuore incapace di battere ancora. Subito dopo, poi, si conosce cosa potrebbe arrivare: un infortunio.

Per questo quando un rumore stridente rispetto alla gamma di suoni a cui sono abituati arriva al suo orecchio come a quello di tutti gli altri membri del club, Seiya perde la concentrazione e rilascia la freccia troppo tardi, le spalle tese e la freccia che si conficca di parecchio sopra al suo bersaglio. Ma a quel punto i suoi occhi non sono già più sul cerchio lontano e cercano prima Minato, per puro istinto, trovandolo però con l'arco ancora nemmeno teso e perfettamente integro, confuso quanto lui. Alle sue spalle, la voce di Nanao chiama il nome di Kaito e per quanto non ci sia l'urgenza in risposta a qualcosa di grave nella sua voce, Seiya non può evitare di spostare la propria attenzione su Onogi con fare allarmato e una punta di panico a chiudergli lo stomaco, specie quando nell'inquadrare la figura del compagno di squadra nota subito che si sta tenendo la mano e l'arco - la cui corda è inequivocabilmente spezzata - è stato recuperato da Seo accorsa al suo fianco perché più vicina.

L'espressione di Kaito ha la stizza a cercare di mascherare un accenno di dolore; mentre Ryohei è già a chiamare Takigawa, andando contro le proteste di Onogi, Seiya gli sta già di fianco e gli sta prendendo il braccio per forzare Kaito a mostrargli la mano. Incontra qualche resistenza e una mezza imprecazione a denti stretti, ma forse in questo caso lo sguardo che Seiya gli lancia è eloquente abbastanza da far sì che Onogi per una volta smetta di fare il testardo quanto sufficiente a giudicare la serietà dell'accaduto.

Seiya non è un esperto, ma ha visto qualche brutto infortunio nel loro ambiente al punto da sapere che non dovrebbe essere niente di troppo grave, a dispetto dell'evidente segno lasciato dal colpo inferto dalla corda dell'arco. Non osa toccarlo, ma non lascia il braccio di Kaito nemmeno quando Takigawa si avvicina e si premura di controllare a sua volta per giudicare anche lui l'entità dell'avvenuto.

«Mh» mormora in un primo momento, annuendo «meglio lasciar controllare in infermeria. Takehaya, puoi-»

«Lo accompagno.» lo anticipa Seiya, scambiandosi un'occhiata con l'uomo. Entrambi sanno che, lasciando andare Onogi da solo, la visita in infermeria potrebbe non avvenire mai. 


«Non è nulla di grave, ma per sicurezza domani tienila a riposo e se noti qualcosa di diverso o il dolore aumenta, potrebbe essere una buona idea andare sul sicuro e fare una visita da uno specialista. Non credo ti servirà, in ogni caso.» comunica l'infermiere dell'istituto con un sorriso rassicurante mentre si alza dal suo sgabello e raggiunge la porta: «Devo passare a consegnare del nuovo ghiaccio spray al club di atletica. Restate pure finché il ghiaccio secco non si è sciolto, poi tornate alle attività. Io per allora dovrei già essere tornato, ma in caso contrario chiudete e consegnate la chiave in sala professori, intesi?»

Seiya annuisce, mentre Onogi - seduto su un altro sgabello e con il ghiaccio sulla mano - borbotta qualcosa di poco definito.

Quando la porta si chiude, Seiya sposta lo sguardo sull'altro, andandosi a sedere al posto dell'infermiere e quindi di fronte a Kaito; non dice niente ma, come se gli avesse appena fatto una ramanzina, Onogi lo guarda con espressione corrucciata: «Non si è spezzata perché cercavo di far girare l'arco, okay.»

«Ah. Quindi stavi cercando di far-»

«Ti ho detto di no!» sbraita, voltandosi dall'altra parte. Seiya sospira, già stanco in partenza, lasciando cadere il discorso e il silenzio li avvolge. Nessuno dei due parla per diverso tempo e a dare il via di nuovo alla conversazione - uno scambio, in effetti, più che una vera conversazione - è il rumore del ghiaccio secco che viene girato dal lato più fresco dallo stesso Onogi.

«Kaito.» lo chiama Seiya, lo chiama per nome ed è una cosa iniziata da poco, a cui entrambi non sono abituati e che ancora li imbarazza, ma lo fa di proposito e non si stupisce di vedere Onogi sussultare appena e fissarlo a bocca aperta come un pesce, pronto forse a sbraitargli dietro qualcosa senza però davvero riuscirci. Specie quando Seiya aggiunge, senza guardarlo, un «Non sforzarlo almeno per domani, okay?»

Onogi grugnisce, stringe appena la presa sul ghiaccio contro la mano offesa, ma non dice nulla.

Seiya sbircia in sua direzione, riconosce il broncio impacciato sul suo viso e gli scappa da ridere, piano, in uno sbuffo appena accennato.

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Warnings: post canon, established relationship, shonen-ai.



Masaki apre la porta del bagno, uscendone e muovendosi per salire le scale di casa e raggiungere la stanza al piano di sopra; spegne le luci al suo passaggio, lasciando che pian piano la casa cada nel buio a eccezione della sua camera, da cui intravede provenire la luce dalla porta aperta anche quando spegne quella del corridoio su cui la stanza si affaccia. Nell'entrarci ci trova Minato, esattamente dove lo ha lasciato, seduto sul bordo del letto intento a scorrere qualche notifica sul suo telefono cellulare - probabile stia cercando di ingannare il tempo, come fa spesso quando lo aspetta mentre Masaki si assicura di aver chiuso a chiave o di aver spento tutto al piano inferiore.

Quando lo sente arrivare Minato si volta e, nel vederlo, Masaki nota che blocca subito la tastiera del telefono; è una piccola abitudine che aveva notato già quando erano studente e insegnante, nelle rare occasioni in cui si sono ritrovati soli quando la loro frequentazione doveva essere ancora del tutto casta, alla luce del giorno perché non fosse sconveniente in più di un modo - insegnante e studente, adulto e minorenne, senza dimenticare uomo e uomo. Già allora Minato lasciava il telefono da parte, quasi dimenticato, e Masaki ha capito subito che era il suo modo di focalizzarsi solo di lui e far sì che il tempo insieme fosse speso al meglio ogni secondo e senza distrazioni, oltre a essere la dimostrazione di una buona educazione di fondo. Gli ha sempre fatto una immensa tenerezza vedere quel piccolo sforzo, quella minuscola attenzione così pregna di significato e ne ha sorriso più di una volta, anche se non sempre forse Minato ne ha compreso la motivazione.

Ora quello accanto al quale si sta andando a sdraiare è un uomo quasi maggiorenne, con vent'anni da compiere tra una manciata di giorni che rispetto agli anni attesi sembra una sciocchezza: c'è più maturità nel suo sguardo e nei suoi lineamenti meno morbidi, meno infantili; il fisico è tonico, ormai formato, non ha niente della rotondità di ragazzino. I capelli sono appena più lunghi di come Minato li portava al liceo, ma tenuti comunque in ordine e senza coprire gli occhi verdi da cui Masaki è stato colpito fin dalla prima volta, nonostante ad animarli ci fosse uno sguardo sconfitto a differenza di adesso.

Nello stendersi Masaki si sistema su un fianco, non tirando del tutto su la coperta e invitando Minato a fare lo stesso, un paio di pacche leggere sul materasso a sottolineare la cosa. Il più giovane posa il telefono di lato, collegandolo al caricatore, e poi si infila sotto le coperte a sua volta facendo sì di stare di fronte a lui e poterlo guardare direttamente. Solo allora Masaki copre entrambi; in risposta, Minato gli si accosta di più, come se fosse ancora un ragazzino - lo vede sorridere, divertito da chissà quale pensiero, e ancor prima di chiederglielo Masaki sente i propri muscoli facciali imitarlo come gli succede spesso. E' stato incredibile scoprire quanto riesca a essere contagiosa la felicità di chi si porta nel cuore, in un modo o nell'altro, e da quando lui e Minato hanno potuto (e voluto) definire il loro rapporto seriamente Masaki lo ha provato sulla sua pelle ogni giorno.

Gli passa un braccio sul fianco, cingendolo morbidamente, senza stringerlo troppo a sé o con un fare possessivo raro e limitato solo ad alcuni momenti della loro intimità.

Minato non si sottrae e anzi ricambia, avvicinando anche il viso al punto che i loro nasi si sfiorano in maniera quasi giocosa. Masaki sbuffa divertito, ritrovandosi sotto lo sguardo di Minato che chiede ancor prima del ragazzo un tacito - ma subito dopo anche vocale -  «Cosa c'è?»

«Niente, ma è una cosa che fai spesso.» gli fa notare, il tono di chi lo trova adorabile anziché esserne infastidito. Vede Minato distogliere lo sguardo, una punta di imbarazzo percepibile nel suo atteggiamento che per Masaki è ormai così familiare, e scioglie la presa blanda sul suo fianco per portare la mano sotto il mento del più giovane, facendo una pressione minima solo per far sì che Minato torni a guardarlo.

Quando lo fa, Masaki si limita a sorridergli prima di posare le labbra sulle sue in un bacio leggero, un momento di tenerezza come ne condividono tanti quando sono soli in quella casa in cui presto vivranno insieme e dove Minato smetterà di essere un semplice ospite. Sente Minato rilassarsi lentamente, la sua mano salire a sfiorargli la guancia con dolcezza; Masaki sta per allontanarsi quanto basta a sussurrargli qualcosa quando sente la punta della lingua di Minato sfiorargli il labbro inferiore e - con un piccolo accenno di piacevole sorpresa, a dirla tutta - schiude la bocca per lasciare all'altro la possibilità di approfondire il contatto.

E' un bacio lento, senza fretta, un poco languido forse sebbene non si trasformi mai in qualcosa di febbrile o di così eccitato da portarli a baciarsi con maggiore foga. Non è l'assenza di desiderio, ma il voler condividere una vicinanza maggiore del semplice abbraccio. Minato muove la lingua con lentezza nella bocca di Masaki, accarezza la sua e quando si allontana - di pochissimo - gli mordicchia appena il labbro. E' a metà tra una lieve provocazione e un gesto d'amore, quasi, pregno di quella certezza di potersi permettere una certa intimità con lui senza dover chiedere il permesso di farlo.

La mano che era salita a sorreggere il mento del più giovane scende di nuovo, gli cinge una seconda volta il fianco ma solo per arrivare a poggiarsi sulla schiena; la tiene aperta, quasi volesse toccare più pelle possibile nel momento in cui si insinua sotto la maglia che Minato usa per dormire. Lo sente inarcarsi leggermente e stavolta è Masaki a baciarlo, con lo stesso trasporto privo di urgenza. A un certo punto gli sfiora il palato con la punta della lingua, un po' involontariamente e un po' no, mentre con le dita sale e scende lungo la spina dorsale dell'altro. Lo sente mugolare piano, nella sua bocca, e se ne allontana di nuovo.

Minato ha lo sguardo perso per qualche istante e quando finalmente riesce a focalizzarsi di nuovo su Masaki avvicina il volto al suo, ma solo per deviare a nascondere il proprio contro il suo collo e sospirare sulla sua pelle. 

«Masa-san, sei sleale.» mormora piano.

Masaki ridacchia e lo stringe a sé, i corpi vicini, e gli posa un bacio tra i capelli. 

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hakurenshi

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