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[personal profile] hakurenshi

Prompt: Hall/corridoio di albergo a tarda notte
Missione: M3 (week 7)
Parole: 1097
Rating: PG13
Warnings: //



E’ notte fonda quando sente bussare alla porta della propria stanza di albergo e il suo primo istinto, nel sentirsi strappare con tanta violenza al sonno che stava finalmente per coglierlo, è di tirare un qualsiasi oggetto contro la porta e far così desistere chiunque sia il bifolco dall’altra parte. Per sua enorme sfortuna le uniche due cose sul comodino della stanza dell’hotel in cui sta alloggiando sono il suo cellulare in carica e il telefono per chiamare la reception. Nel caso del secondo oggetto, non è un rozzo plebeo incapace di rispettare i beni altrui; nel primo, ha ancora bisogno dello smartphone perché la globalizzazione ha distrutto l’estetica in tanti modi tra cui anche piegare l’essere umano alla schiavitù di stupide notifiche luminose. 


Con un verso interpretabile in molti modi tranne che come un benvenuto, scalcia le coperte con poca grazia - il mondo glielo perdonerà per questa volta - e si trascina in piedi, lui e le sue due ore scarse di sonno a causa di un’ultima commissione da portare a termine. Sta per chiedere chi sia quando, oltre la porta, sente biascicare con tono insopportabilmente divertito uno «Shuuuu» da cui purtroppo riconosce Tsukinaga. Dio deve odiarlo davvero tanto.


Per una manciata di secondi la tentazione di fingere di non averlo sentito e ignorarlo per tornare al piacevole abbraccio delle coperte è forte; non lo fa solo perché in anni di conoscenza ha imparato che Leo, quando pensa di non essersi fatto sentire non demorde. Urla più forte. E Shu non ha intenzione di insozzare il proprio nome con un reclamo per disturbo della quiete pubblica in un albergo dove dovrà restare per altri due giorni. Inspira e sa già che non sarà sufficiente. 


Gli basta aprire di poco la porta per pentirsene subito e sentire qualcosa colpire il muro e la risata di Leo. Un’occhiata gli basta a rendersi conto che l’idiota a cui si accompagna ha appena dato una testata al muro perché non si regge in piedi. Puzza pure. 


Il corridoio del piano dove si trova la sua stanza è ancora deserto, per fortuna, illuminato dalla luce automatica che rimane accesa fin quando qualcuno occupa lo spazio comune. Leo sembra trovarlo esilarante, vestito come se si fosse cosparso di colla e si fosse buttato a caso dentro un armadio lasciandosi addosso i primi indumenti che gli si sono appiccicati al corpo. Shu occhieggia il proprio pigiama, di una stoffa più pregiata di tutti i vestiti indossati da Tsukinaga messi insieme, e decide di non infierire; tanto il compositore non riesce a seguire i suoi discorsi sul buon gusto nemmeno quando è lucido, figurarsi. 


«Shuuu»
«Tsukinaga sono le tre e quarantasei del mattino.» puntualizza con un’occhiataccia. Sono due mesi che non si incontrano per gli impegni lavorativi ed è già surreale che sia Berlino ad accoglierli in contemporanea per due cose diverse, lasciandogli comunque il tempo di incrociarsi per più di cinque minuti. Motivo per cui erano d’accordo per incontrarsi a mezzogiorno. Evidentemente il fuso orario biologico di Tsukinaga è l’ennesima cosa di lui a funzionare in modi discutibili. 


Leo lo guarda per qualche istante, cercando forse di definire l’arcano celato dietro le sue parole - Shu vorrebbe quasi suggerirgli il messaggio poco subliminale: “torna nella tua stanza e lasciami dormire”. Ma Tsukinaga comincia a ridacchiare quasi Shu avesse raccontato la barzelletta del secolo. Come se lui ne avesse mai raccontata una da quando si conoscono, poi.


«Tsukinaga» lo richiama di nuovo, la pazienza lasciata sotto le coperte mentre gli occhi si spostano da un lato all’altro per assicurarsi che nel corridoio non stia facendo capolino nessuno degli altri ospiti per intimare loro di fare silenzio, prima di tornare a focalizzarsi sul compositore «abbassa la voce.» gli sibila, un po’ un monito e un po’ una richiesta. Leo ridacchia, alzando persino il volume per una manciata di secondi mentre si stacca dal muro e gli si avvicina deambulando un poco. Shu è quasi arreso all’idea di farlo entrare perché smetta di fare casino e metterlo in imbarazzo quando Leo gli afferra il polso e lo tira un po’, facendolo inciampare nei propri stessi piedi. Questo lo porta a varcare la soglia e a ritrovarsi un paio di passi in là, ormai del tutto nel corridoio anche lui.


«Tsukinaga—» comincia, nella sua testa una filippica di almeno cinque minuti in cui gli spiega che ha passato i vent’anni e deve smettere di comportarsi come un rozzo ragazzino di dieci, ma Leo gli sta addosso di peso prima - abbastanza da far mezzo cozzare Shu con la schiena nell’odioso punto a metà tra la porta e lo stipite. Non aveva proprio bisogno di avercelo tra le scapole, tra parentesi. 


Prima che possa dirgli qualcosa, Leo lo sta baciando in modo goffo perché ha abbastanza alcol in corpo da essere brillo, sebbene Shu sia sicuro che lo stia almeno baciando volontariamente e non perché è così ubriaco da non distinguere la destra dalla sinistra. Di sicuro è il risultato di qualche cena con chi gli ha commissionato il lavoro di Berlino. Le braccia del compositore gli cingono le spalle quasi il loro fosse un bacio da manuale per un film romantico, ambientazione nel corridoio in piena notte compresa, perfetto stile amanti che si sono ritrovati dopo le avversità.


Onestamente gli unici ostacoli sono agende troppo piene e il retrogusto amaro nella bocca del compositore, mentre quello non si priva di fare di testa sua come sempre, dimenticandosi di quante volte Shu gli abbia detto che certe cose è cattivo gusto farle dove chiunque può stare a guardarli. Ma no, Tsukinaga Leo il prodigio deve fare costantemente quello che vuole. Shu lo detesta. Se non stessero insieme da tre anni lo avrebbe già bucato con i suoi spilli da sarto fino a ucciderlo.


«Itsuki, Itsuki» lo richiama cantilenando quando si stacca abbastanza da biascicarglielo sulla bocca, con quell’aria felice da scemo del villaggio «ti ero mancato, vero? Certo che ti ero mancato. Così tanto che mi hai aperto la porta anche alle tre e quarat… quarans… oh, le quattro! Le quattro, ti dico!» comincia la follia, sì, lo straparlare che non cambia mai perché Tsukinaga vive in una costante condizione di ubriacatura nei confronti della vita. Almeno ha una forza pari a quella di un infante, in momenti come questo, perciò persino Shu riesce a districarsi dal suo abbraccio per cercare di portarselo in camera.


«Quando ti vedo mi ricordo che non mi manchi affatto.» gli fa presente, spingendolo dentro la stanza. Lo sente ridere, mentre lo segue e si richiude finalmente la porta alle spalle.

 

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