Free at least (COWT10, week 4, m1)
Feb. 26th, 2020 11:53 pmFandom: Kaze ga tsuyoku fuiteiru (Run with the wind!)
Prompt: spokon (m1)
Parole: 750
Warnings: //
La sensazione della corsa è qualcosa a cui Kakeru non è mai riuscito a dare una connotazione precisa, ma allo stesso tempo riusciva sempre in qualche modo a comprendere quasi tutto ciò che altri vi associavano mentre non capiva come, invece, tante cose non fossero mai nemmeno nominate. Con il tempo aveva compreso che forse non erano citate perché spiacevoli.
Della corsa si diceva spesso che era come "sentirsi liberi", oppure che "sembrava di avere le ali ai piedi"; faceva "sentire leggeri", oppure "era naturale come respirare", o anche "aiutava a non pensare". Qualche volta aveva letto, in un'intervista a qualche atleta di livello mondiale, che "correre era la massima espressione di sé" e si era chiesto, la sua corsa era come lui? Lui correva sempre dritto, regolando il respiro, conscio di movimenti corretti e ideali per esprimere il massimo del suo potenziale, ma se guardava poi a se stesso come persona si rendeva dolorosamente conto che non c'era quasi niente di questo in lui. Non limava il suo carattere al pari dei movimenti della corsa, per far sì di non avere eccedenze nella propria indole o impedimenti nei rapporti con gli altri - anzi, lui era una parete rocciosa piena di spuntoni mai levigati, quasi sperasse di tenere lontano tutto ciò che non poteva sopravvivere alle ferite profonde.
Kakeru corre, corre, a volte contro ogni routine corre così veloce da sentire dolore al fianco, da percepire i polmoni bruciare e quando si ferma le gambe gli tremano così forte da fargli temere di crollare a terra; il gelo dell'aria contro il viso sudato sembra quasi ferirlo, tante piccole schegge di ghiaccio contro la sua pelle. A volte correre è come punirsi e darsi l'assoluzione insieme. E quando questo succede, quando si ritrova steso sul manto erboso dello spiazzo dove fanno spesso pausa con il club, quando è lì da solo a riprendere fiato mentre guarda un cielo sempre diverso, Kakeru non sa come le persone non riescano a vedere che correre non può essere solo "libertà", solo "essere leggeri".
E' "essere pesanti". E' "non farcela più". E' "scappare più veloce che si può da tutto e da tutti". E' un sacrificio immenso, è lasciare indietro gli altri - è ferire e ferirsi, lui lo sa meglio di chiunque - e a volte, nei casi peggiori, è correre così forte da sentire di voler vomitare una volta fermi, mentre la testa gira e ci si sente disorientati perché non c'è più ossigeno, da nessuna parte, in nessuna cellula del proprio corpo. E' quando hai dato tutto, sei fermo oltre una meta immaginaria che non arriva mai davvero nemmeno nelle gare quando si taglia un traguardo fisico, e si finisce col pensare: cos'ho vinto? Niente. Niente.
«Kakeru?» la voce di Haiji lo strappa con violenza da quei pensieri, ironico considerato che il suo tono è basso come se temesse di svegliare un bambino addormentatosi da poco. Quando Kakeru si gira a guardarlo, il respiro ormai quasi del tutto regolarizzato e l'erba a solleticargli la guancia, Haiji lo sta guardando con quel suo modo di fare che sembra scrutarti l'anima. Kakeru lo odia, perché si sente spiato. Lo ama, perché Haiji vede anche le cose brutte, non solo quelle da intervista sul giornale.
«A che stai pensando?» gli chiede. Non "tutto a posto?", perché sa già la risposta e non si perde in domande inutili.
Kakeru deglutisce, inspira dal naso, ci riflette un attimo. Cerca le parole perfette, ma lui non è di tante parole in generale e quello dei discorsi motivazionali è Kiyoshi. Per questo abbandona quella ricerca mentale quasi subito, chiude gli occhi e butta fuori l'aria.
Quasi in risposta, sente la punta delle dita di Haiji sfiorare le sue; quando porta lo sguardo su di lui Kiyoshi non lo sta più guardando, ma i suoi occhi castani sono tutti presi dalle dita che si toccano, quasi fosse un infantile gioco da bambini, il timido sfiorarsi di due fidanzatini delle medie. Polpastrelli contro polpastrelli, carezze leggere e innocenti che finiscono con il distrarre anche lui.
Finché, poi, le dita si intrecciano con morbidezza, senza stringere troppo; è allora che Haiji cerca di nuovo il suo sguardo e gli rivolge un sorriso leggero, un incurvarsi di labbra che sembrerebbe timido se non si parlasse di Haiji. Con quel gesto pare volerlo convincere a instaurare un contatto visivo e, quando ci riesce, è come aver rimesso tutto in ordine.
«Torniamo a casa camminando.» gli propone.
Kakeru gli stringe di rimando la mano.