Mar. 4th, 2019

hakurenshi: (Default)
 

Prompt: “partire per un lungo viaggio”
Missione: M2
Parole: 17807
Warnings: au




Il ricordo più nitido che ha di suo padre è fra le mura di una casa in cui non torna da sei anni. Se potesse scegliere, vorrebbe rimpiazzarlo con una delle lunghe passeggiate con sua madre, quando la salute ancora glielo permetteva. Quella a cui è più legato, è stata una delle ultime: un lungo viale nascosto tra le fronde degli alberi come un sentiero segreto di cui l’unica a conoscenza era la donna più importante della sua vita. Si ricorda ancora il modo in cui quel percorso si snodava tra alberi e terriccio, lasciando che il sole filtrasse abbastanza solo in alcuni punti e lasciando nell’ombra il resto. Sua madre era affezionata a quel luogo come al momento più felice della propria vita; quando le giornate erano abbastanza calde si addentravano lì e lui raccoglieva fiori per lei quando la vedeva soffermarsi di fronte a uno in particolare.
Quella nella sua testa è un’immagine che sta sfuggendo: a grandi linee la figura di sua madre è quella di una donna non troppo alta, esile, cagionevole ma con un modo di fare e un carattere docili, gentili. Il suo viso, però, è un dettaglio poco chiaro. A volte gli sembra di ricordarsi il suo sorriso, altre invece è come se lo svegliassero da un sogno un istante prima che possa vederlo.
Lo preferirebbe senza alcun dubbio alla memoria di un se stesso nemmeno adolescente, con una spada in mano, fiero del primo complimento del proprio maestro e la voce di suo padre a fare ciò in cui è più bravo di qualsiasi altro uomo sulla faccia del pianeta: denigrare gli sforzi altrui - «Di questo passo sarai una disgrazia per il casato.»


Di quel sentiero nascosto non ha mai fatto parola, se non con una persona. Rivelarlo a suo padre sarebbe stato del tutto inutile e la convinzione per cui sua madre non sia mai stata felice con quell’uomo non lo ha certo bendisposto. Al contrario, ha raccontato di quel luogo molte volte al suo padrone, all’unico uomo per il quale sarebbe disposto a immolare tutto se stesso, compresa la sua vita.
L’immagine di un Erin molto giovane, lì a pendere dalle sue labbra lasciando alla fantasia il compito di dipingere quel luogo mai visto nella sua testa, è una di quelle a cui Orion è più affezionato. Non ha mai portato il principe su quel sentiero, per quanto glielo abbia descritto centinaia di volte; all’inizio come una favola per conciliare il suo sonno, poi come un piccolo scorcio di serenità nei momenti tristi, e infine come un segreto che si conosce a memoria ma al quale non si riesce a rinunciare, e lo si ripete ancora e ancora. Per quanto il principe creda di no, Orion è conscio di essere stato salvato. Non con le armi o con il perdono, ma con l’affetto sincero, in un modo di salvare le persone che impiega tanta forza e tanto tempo, a volte. Ha smesso di dirglielo, ma non significa abbia dimenticato quel bambino di appena dodici anni sgattaiolato nella sua stanza il primo giorno in cui Orion era stato fatto arrivare a palazzo; lo stesso bambino che nel cuore della notte aveva sorriso dichiarando la propria decisione di dormire con lui.
Così non ti sentirai solo!, gli aveva detto. E Orion aveva giurato a se stesso, ancora prima del giuramento al quale avrebbe presenziato il giorno dopo, che Erin sarebbe diventato la sua priorità assoluta.
Ogni tanto negli anni era stato più difficile del previsto: la grande fiducia che Erin aveva verso il mondo e la curiosità per qualsiasi cosa gli venisse piazzata davanti agli occhi lo portava a essere sconsiderato, se non imprudente. La loro fortuna era sempre stata l’affetto del popolo verso il suo futuro sovrano, ma Orion ha perso il conto di tutte le occasioni in cui Erin ha rischiato di farsi davvero male. La più grande difficoltà nel proteggere il principe era tenerlo al sicuro da se stesso e dalle sue - a volte - pessime idee per esplorare il mondo fuori dalle mura.
Posso farcela anche da solo! è la frase che Orion pensa di avergli sentito pronunciare di più da quando vive al suo fianco. Quasi gli sembra di sentirla riecheggiare nel lungo corridoio che percorre a passo svelto, i passi udibili sul pavimento in marmo chiaro, il vociare delle guardie a riempire di concitazione un luogo altrimenti tranquillo di quell’area del palazzo. Le finestre sul lato lasciano filtrare la luce di un tramonto ormai morente, ma con essa anche i suoni confusi della città bassa, dove il popolo ha sempre vissuto in pace fino a poco tempo fa.
Orion serra la mascella, affrettando il passo; alcuni uomini lo notano non appena girano l’angolo e si mettono sull’attenti. Un gesto veloce li invita ad abbandonare posizioni per le quali non hanno tempo, lui per primo.
«L’ala est?»
«Sotto controllo, signore. Anche la nord ha quasi finito i preparativi.»
«Mandate qualcuno dell’ala est a dare supporto nella parte bassa. Sarà la prima che proveranno a colpire.» dà disposizioni veloci, un motivo sufficiente ad accettare l’ordine senza dilungarsi in come si entri nella strategia del nemico a un certo punto della propria vita, dopo essere stati addestrati per quello scopo. Sta per voltare l’angolo da cui gli uomini sono venuti, quando un odore pungente gli arriva alle narici e lo porta d’istinto a voltarsi verso le finestre e a spostarsi. Raggiunge la più vicina, una delle poche ancora aperte fintanto che quella parte del palazzo non verrà chiusa secondo le indicazioni ricevute, e stringe gli occhi alla ricerca di qualcosa in lontananza. Non ci vuole troppo a vedere un fumo scuro.
Fa schioccare la lingua contro il palato, stizzito: puzza di incendio.
«Velocizzate la chiusura delle aree rimaste!» ordina con più urgenza e più fermezza, allontanandosi dalla finestra dopo averla chiusa lui stesso. I suoi sottoposti riconoscono la sfumatura nella sua voce e con un sull’attenti frettoloso abbandonano la posizione per rendersi utili altrove. Orion stesso non indugia oltre, proseguendo; alle scale, però, non sale né scende. Le oltrepassa, le colonne a giudicare il suo passaggio finché non si accosta al mezzo busto decorativo di un sovrano di almeno tre generazioni precedenti. Lo sguardo vuoto sembra di cattivo auspicio, a guardarlo. Orion allunga una mano, sfiora i contorni di quel viso al quale non riesce a ricondurre né Erin né il re, scende dagli zigomi alla linea della mascella, interrompendo il contatto lì e poggiando la mano sulla base.
Aziona il passaggio che lo porterà nella parte di sotterranei a cui pochi hanno accesso. Nella mano libera, stringe l’unica risorsa per fermare la guerra.


Il loro regno ha sempre rispecchiato l’intero pianeta da che Orion ricordi: immense distese verdi dove un tempo sorgevano gli edifici antichi, prima dell’epoca passata alla storia come quella de “il Rinnovo”; costruzioni venute alla luce con il tempo, le innovazioni e gli sforzi di molti; stretti cunicoli nascosti e dimenticati dai più, ancora utili per raggiungere gli edifici più importanti se si sapeva dare il giusto valore alle informazioni e approfittare del modo in cui costruzioni tanto diverse riuscivano a coesistere. Cynid non ha mai avuto niente da invidiare a nessun pianeta: molti degli altri vantano ancora l’utilizzo della magia, ma Cynid ha sopperito a una mancanza simile con una tecnologia in grado di progredire anno dopo anno, di rendere possibili molte cose che chiunque abituato al lusso delle arti magiche avrebbe reputato improponibile senza di esse. Quella stessa tecnologia si insinua in ogni parte del loro pianeta, nelle grandi città come in quelle piccole, intrecciandosi come una silenziosa rete sotterranea e invisibile ma onnipresente.
Orion ama il suo pianeta, il suo regno, il suo posto. Non è così sciocco da credere non ci sia un mondo fuori, ma reputa essenziale occuparsi prima di quello che può toccare e vedere, la cui esistenza è impressa in ogni poro della sua pelle. Se la guerra è giunta fino a loro, lui non ha intenzione di lasciarla a piede libero per i sentieri condivisi con sua madre quando era una ragazzino, né per le case di persone a cui deve protezione dopo il giuramento dei Cavalieri. Se soltanto ci fosse un modo diverso… se soltanto proteggere Cynid non cozzasse con la promessa di non lasciare mai il fianco della persona per cui Orion darebbe ogni cosa, quella sarebbe una decisione presa a cuor leggero, con la certezza di fare la cosa giusta.
Invece, mentre si muove tra i cunicoli e passaggi con la naturalezza di chi percorre luoghi d’infanzia, una parte di lui esita perché il pensiero di abbandonare chi ha sconvolto il suo mondo e influenzato la sua vita lo fa sentire male fisicamente.
I passi riecheggiano nel lungo, isolato corridoio che si apre nella sala sotterranea che è la sua meta. Non è grandissima, ma la sua funzione non lo richiede. Orion è stato lì dentro abbastanza da sapere come muoversi senza doversi assicurare di non inciampare nei cavi o danneggiare i macchinari all’interno, ma non così tanto da saper riconoscere la funzione di ognuno di essi. Ciò di cui necessita, però, è inconfondibile. Un congegno il cui costruttore si è preso la briga di spiegare in ogni particolare e ogni possibile utilizzo, senza tralasciarne i limiti.
Se anche la guerra fosse arrivata già alle porte del palazzo, Orion non la sentirebbe; lì sotto, isolato dal resto del mondo, il silenzio lo affianca come il più fedele dei compagni d’armi avuti negli anni, tra l’addestramento e la piccola, fidata cerchia di persone al servizio diretto della famiglia reale.
Pochi passi e copre ciò che resta della distanza tra l’ingresso della sala e l’ampia scrivania su cui una serie di fogli pieni di calcoli poco comprensibili si ammassano, senza un preciso ordine se non quello nella testa degli studiosi che vi lavorano. Orion lascia vagare lo sguardo su di essi distrattamente, concedendosi un ultimo momento di indecisione, di tentennamento. Allunga la mano verso le scartoffie, ma devia a metà strada verso il lato del tavolo; alla cieca, senza bisogno di guardare, cerca quella piccola sporgenza sotto il bordo e da lì bastano pochi centimetri a sinistra per far scattare il meccanismo nascosto di cui in pochi sono a conoscenza. Un clic spezza per un istante il silenzio, lasciando che uno scomparto invisibile in condizioni normali si apra, rivelando lo strumento di cui Orion ha bisogno e tutte le parti che occorre assemblare perché non si ritrovi catapultato nel mezzo del nulla.
Si perderebbe a osservarlo se il rumore di passi frettolosi non lo mettesse in allarme.

Un movimento veloce e il congegno è al sicuro, lontano da occhi indiscreti; un altro altrettanto fluido e la mano è sull’elsa della spada, i piedi ben piantati a terra e gli occhi fissi sull’unico ingresso disponibile.

I passi non rallentano: chiunque sia o ha molta fretta dettata dalla morte che gli corre dietro, oppure è molto stupido.

«Orion!» è l’esclamazione che riecheggia quando gli occhi del giovane appena rientrato nel suo campo visivo si posano su di lui «Stavi...» l’affanno è così evidente sul suo viso, e lascia così allucinato Orion, che la presa sull’elsa si indebolisce d'istinto «...andando via senza di me?»

Perché il suo principe deve sempre, sempre essere così.
Orion lascia che un sospiro gli sfugga tra le labbra, mentre le spalle si rilassano e la spada viene riposta in assenza di reali minacce. Erin gli sta davanti, a meno di venti passi di distanza, il petto ancora lì ad alzarsi e abbassarsi mentre il giovane riprende fiato. La prima cosa che porta Orion a porsi sulla difensiva è vedere gli abiti dell’erede al trono: i pantaloni neri a fasciargli le gambe, così come la giacca aperta sul davanti che lascia intravedere la casacca al di sotto, con i suoi bordi chiari e i richiami all’azzurro in alcuni risvolti e punti precisi di quella che sembra una divisa, sono tutte parti di un vestiario inconfondibile per Orion. E non soltanto perché ricalca di molto la divisa da lui stesso indossata. Quella è la mise con cui si va in guerra, rappresentativa di ogni singolo soldato del palazzo seppure diversa nei particolari a seconda del grado. Non è difficile per lui notare tutti i piccoli particolari che vorrebbe, invece, ignorare - la cintura, pratica e affatto impreziosita come si potrebbe pensare di un reale, non nasconde i diversi pugnali con cui Erin ha imparato a difendersi dalla tenera età, seguito da un istruttore privato; gli stivali comodi di chi deve percorrere lunghi tragitti senza la certezza di quando potrà tornare a casa; i guanti neri a lasciare libere e scoperte le dita, così da concedere una presa ancora più salda sulle armi.
Erin è vestito in un modo che suggerisce le sue intenzioni, a cui Orion stavolta non può e non deve cedere; poco importa quanto sia convinto che il posto più sicuro per la persona che gli ha cambiato la vita sia al proprio fianco. Non ha mai desiderato qualcosa, per la persona di fronte a lui, tanto quanto tenerla lontana da ogni male del mondo.
«Orion...»
«No.» lo interrompe ancora prima che inizi, perché conosce troppo bene lo sguardo sul viso di Erin. Sono cresciuti insieme, Orion lo ha osservato ogni giorno della propria vita negli ultimi sei anni. Conosce la testardaggine di Erin tanto quanto gli è cara la sua bontà d’animo, il modo in cui riesca a tirare fuori il meglio di chiunque - Orion sa di essere l’esempio vivente di questa convinzione. A sedici anni voleva solo dimostrare a suo padre quanto si sbagliasse, e poi mandare tutto e tutti al diavolo per sempre, rinunciare alla nobiltà della sua famiglia e non sentirne mai più parlare.
Un solo giorno con Erin è bastato per intraprendere una strada diversa.
«Non ho ancora detto nulla!»
«Da quanto pensate che vi conosca? So già cosa volete prima ancora che lo chiediate.» pronuncia stanco - il tempo stringe, ne è conscio. Deve dire qualcosa di definitivo, qualcosa che faccia demordere Erin o non gli lasci abbastanza tempo né lucidità per decidere come muoversi per averla vinta.
Alza lo sguardo su di lui e lo vede stringere i pugni, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo basso. Sa riconoscere quando Erin è deluso, amareggiato, e deve serrare la mascella per impedirsi di promettere qualcosa che non è sicuro di poter mantenere.
«Va bene.» gli sente pronunciare «Allora dimmi cos’è che voglio chiederti.»
Orion lo guarda, e per un istante vorrebbe allungare la mano e coprire la distanza tra loro, dargli una pacca sulla spalla come qualche anno fa, quando Erin di tanto in tanto si lasciava sopraffare dalle sconfitte negli allenamenti. Inspira ed espira, invece, silenzioso come se ne andasse della sua vita.
«Volete fare la vostra parte, o forse addirittura fare tutto da solo per il vostro regno.» lo sentenzia, quasi. Poi Erin si muove, copre la distanza tra loro e allunga una mano - Orion non sa bene come prendere il fatto che il principe in persona lo stia afferrando per il bavero della divisa quasi dovesse prenderlo a pugni.
«Voglio che non te ne vada da solo lasciandomi indietro senza sapere dove sei!»
Non è questo che Orion si aspettava; ma, d’altronde, Erin non gli ha mai permesso di adagiarsi nella propria convinzione di aver capito le persone con un solo sguardo.



I lunghi corridoi del palazzo reale sono un luogo ancora estraneo per Orion, non importa quante volte li abbia percorsi accompagnando suo padre. Abience ha fatto di tutto per rendere suo figlio lo stampo perfetto di un orgoglio di casata che morirà con lui: lo ha fatto istruire dai migliori, è stato severo nei suoi confronti e ha fatto sì che sua moglie non potesse mettere troppo bocca sull’educazione del primogenito e unico erede - lei voleva per suo figlio la capacità di piegarsi se necessario, di essere flessibile; lui sperava per Orion una schiena dritta pronta a spezzarsi pur di non concedere una debolezza.
Orion ricorda poco l’infanzia, un accenno della dolcezza di una madre il cui vuoto crede sarà per sempre incolmabile, e non apprezza l’adolescenza dove suo padre a sedici anni lo considera un uomo su cui scommettere tutto, ma verso il quale si aspetta di provare delusione. Ha la consapevolezza radicata in sé di come suo padre non esiterebbe un secondo a rinnegarlo, se l’alternativa fosse ammettere di aver fallito nel crescerlo. Non che Abience lo abbia davvero mai fatto.
«Da qui in avanti, prosegui da solo.» è tutto ciò che gli ha detto. Nessun abbraccio, nessuna pacca incoraggiante sulla spalla «Sii il migliore.» ha aggiunto prima di lasciarlo andare, lasciargli voltare l’angolo.
Forse la guardia che lo ha accompagnato avrà pensato con commozione al giorno in cui, in un passato chissà quanto lontano, gli siano state rivolte parole simili; Orion sa bene che suo padre è stato frainteso: Abience non gli ha augurato di avere successo e sentirsi orgoglioso per questo.
Lo ha ammonito perché non fallisca.
L’andatura della guardia rallenta e lui si adatta a essa. Ha tenuto a mente la strada fatta - lungo corridoio, svolta sulla sinistra, su per le scale - e l’ala in cui si trovano è silenziosa come se fosse disabitata. La sicurezza con cui la sua guida lo conduce a una porta precisa, tuttavia, racconta diversamente. L’uomo si volta verso di lui, immenso nella sua armatura e stazza di adulto fatto e finito rispetto al sedicenne, seppur allenato, che è Orion. Lo guarda come se lo studiasse e cercasse di capirne il valore senza dover incrociare la spada alla sua, poi la testa fa un cenno alla porta chiusa.
«Il tuo alloggio.» comunica, il tono burbero di chi è più una persona di fatti che non di parole. Orion annuisce, una mano già sulla maniglia in procinto di essere abbassata, quando altre parole - niente più di un’eco di quelle di suo padre - lo raggiungono al posto di un congedo: «Da domani il principe sarà l’unica persona di cui dovrai interessarti, ragazzo. Prenditi un’ultima notte per ricordare la tua famiglia.»
Orion chiude la porta senza dirgli quanto poco ci vorrà a far finta di non avere legami altrove - o almeno a convincersi che niente di suo padre lo abbia mai toccato, figurarsi plasmato. Non si aspetta l’attenzione con cui quella stanza è stata preparata per lui, ancora forse non del tutto conscio di cosa significhi essere diventato la guardia personale dell’erede al trono. Fatica a mettere a fuoco una camera che sarà la sua per il resto della vita ma nella quale non sa se si sentirà mai a proprio agio.
Di certo pensa alla guardia quando un bussare lieve raggiunge il suo orecchio, ma sulla soglia e a scivolare dentro è una figura ben diversa da un soldato: è un ragazzino senza dubbio più giovane di lui, abbastanza minuto e già vestito per la notte. Ha i piedi nudi, convinto forse di essere meno udibile se scalzo, e i capelli scompigliati; l’espressione sul suo viso tradisce ogni possibile futuro tentativo di negare la fuga dalle sue stanze, ovunque siano.
Quando incrocia lo sguardo di Orion, si apre in un sorriso enorme. Abbandona ogni prudenza, tanto che la porta nel venire chiusa fa più rumore di quanto ne abbia fatto aprendosi, e in poco macina la distanza tra loro due; deve alzare di un po’ il viso per poter guardare Orion negli occhi, ma la cosa non sembra scoraggiarlo.
«Tu sei Orion?» domanda, una punta di timidezza nella voce che a Orion ricorda il modo pacato di parlare di sua madre, anche se solo vagamente, quello dovuto più al suo essere cagionevole che non alla sola indole. Annuisce, continuando a guardarlo.
«Io sono Erin!» afferma pieno di entusiasmo, alzando la voce e portandosi subito le mani alla bocca, gli occhi a saettare verso la porta per controllare di non essere stato sentito, come se fosse fisicamente possibile essere scoperti per così poco.
Orion comunque non ha bisogno di farsi dire che “Erin” è proprio “il principe Erin” e non un caso di omonimia.
«Stasera sono venuto a prenderti.» afferma con una certa sicurezza nella voce. Orion deve avere un’espressione sufficientemente confusa in viso se persino un ragazzino coglie i suoi dubbi interiori. Erin quasi pare aspettarselo, mentre puntella le mani sui fianchi.
«Stasera andiamo a dormire nella mia stanza.» riprende infatti, senza farsi scoraggiare dal sopracciglio inarcato di Orion ma, anzi, ridacchiando piano come se non sapesse contenere l’entusiasmo e andando a prendere una mano di Orion con entrambe le proprie: «Ho pensato che possiamo dormire insieme!»
«Non credo sia—»
«Così non ti sentirai solo.»
Erin ha dodici anni, una salute che lo obbligherà spesso a faticare più di chiunque altro per ottenere dei risultati, un’infanzia passata più dentro che fuori dal castello e la meraviglia dei bambini nello sguardo. Orion ha sedici anni quando, risvegliandosi in un letto troppo grande con un dodicenne a dormirgli addosso tenendogli la mano, decide che il principe sarà davvero, per tutta la sua vita, la persona più importante di tutte.


Il silenzio innaturale di quel luogo, quasi la guerra che impazza fuori non lo sfiorasse nemmeno, lo rende nervoso. Orion negli anni ha imparato a gestire la maggior parte del situazioni, abituandosi all’idea di avere come priorità la salvezza di una vita che non sia la propria. Ogni istinto di sopravvivenza non deve essere mai rivolto a se stesso, ma alla persona di cui ha accettato di diventare lo scudo - per quanto quest’ultima non sia dello stesso avviso, e renda il suo lavoro esponenzialmente più complesso, seguendo l’assurda idea per cui dovrebbero proteggersi a vicenda e per cui le loro vite hanno lo stesso valore. Orion ha provato per anni a far desistere il giovane che ora lo guarda come se gli stesse facendo il torto più grande del mondo, come se lo stesse abbandonando in una condizione tale da significare morte certa. Erin, per quanto inconsapevolmente, lo guarda come se Orion lo stesse tradendo ed è qualcosa per cui lui non conosce difese, l’unica tacita accusa capace di renderlo debole. Poco conta la consapevolezza che, se chiedesse al principe se si sente tradito, quello gli risponderebbe di no quasi il solo pensiero di una cosa simile fosse un insulto troppo grande nei confronti di Orion per soppesare anche solo l’idea di rivolgerglielo.
Per quanto Orion sia conscio di avere la piena fiducia del giovane uomo che ha di fronte, il rapporto di sottile e implicita dipendenza che hanno sviluppato negli anni rende difficile discernere cosa Erin pensi davvero da cosa la coscienza di Orion decida di far pendere sulla sua testa al pari di una condanna a morte.
Lo sguardo sul viso di Erin senza guardarlo dritto negli occhi, si morde l’interno della guancia soppesando opzioni che non dovrebbe nemmeno prendere in considerazione; l’espressione contrita, gli occhi finiscono con lo scendere verso una delle proprie mani mentre lui sussulta, in modo quasi impercettibile, sentendola afferrare da quella del principe. La stretta di Erin è decisa, ma è anche la sua ultima risorsa e Orion sa, ancora prima di decidersi a concedergli un contatto visivo, di aver perso.
«...E’ pericoloso.» è l’obiezione che pronuncia, come se tanto bastasse a sistemare la situazione e a far desistere quel principe che invece si apre in un sorriso mesto, ormai deciso a non rivedere la propria posizione in alcun modo.
«Lo so. Per questo voglio venire con te.» replica «Il mio regno— il nostro regno è minacciato. Se lo abbandono morirà, Orion, e dopo tutti gli altri e alla fine non ci saranno vincitori. Non voglio che distruggano il nostro posto.» prosegue con più decisione, quella di un sovrano già portato a prendersi cura dei più deboli, a farsi carico di tutte le vite che sente dipendere da lui, non importa quante siano o quanto spaventoso possa essere prendersi una tale responsabilità. Orion non se ne stupisce. Lo conosce da troppo tempo per crederlo capace di anche solo un briciolo di umanità in meno - e al tempo stesso teme che quell’umanità sarà la sua rovina. Forse è la cosa da cui dovrebbe proteggerlo di più, invece di lasciarsi consolare dalla sua esistenza come se da sola bastasse a ridargli la speranza verso il mondo intero.
La terra trema, persino per loro, e Orion sa che non c’è più tempo per discutere. Fa scivolare la propria mano da quella di Erin con quanta più gentilezza possibile, e recupera il congegno nascosto in precedenza; non si prende la briga di nascondere lo scomparto segreto all’altro, montando le parti tra loro più celermente possibile. Sente lo sguardo di Erin su di sé, di certo a metà tra la curiosità per ciò che Orion ha tra le mani e l’attesa di una sua risposta.
Quando il congegno si accende, mostrando le prime opzioni disponibili di cui Orion - per fortuna - non fatica a ricordare le utilità, sospira alzando lo sguardo: «Dobbiamo sbrigarci. E mai, per nessun motivo, dovete allontanarvi dal sottoscritto.»
Erin sorride, affiancandolo in poche falcate.
«Sarò la tua ombra!» assicura come se fosse un gioco, e loro fossero ancora poco più che bambini.
«Il viaggio sarà lungo.» continua Orion, senza credere davvero che servirà a farlo desistere «Si parla di attraversare tutta il nostro Sistema, e poi di tornare indietro.» gli fa presente, occhieggiandolo, ma Erin annuisce solamente. Orion è quasi tentato di dirgli che non è nemmeno così scontato, riuscire a tornare indietro, ma sa già quale risposta gli verrebbe data. Ancora prima di poter aggiungere qualcosa per un ultimo tentativo di dissuaderlo, Erin lo precede: «Sarà un viaggio lungo, ma ne varrà la pena.»
Mentre lo schermo del loro strumento di viaggio gli rimanda indietro un conto alla rovescia troppo breve per qualsiasi lunga raccomandazione vorrebbe articolare, la mano stringe il polso di Erin, deciso a non lasciarlo andare.
Spariscono senza alcun rumore, un attimo prima che i passi degli invasori risuonino in corridoi diretti a una stanza segreta ormai vuota.


*


Selya sta analizzando i materiali posti sul bancone, con quel fare scettico di ogni buon mercante che si rispetti e la cui esperienza è tanta da far sì che un solo sguardo sia sufficiente a comprendere quanto il gioco valga la candela. Lui, di contro, se ne sta immobile a mezzo passo dal bancone, senza incalzarla in alcun modo - sa bene quanto lei poco sopporti i clienti frettolosi - ma mantenendo l’attenzione sulla sua figura, rubando con gli occhi la bravura di altri. Guarda le sua mani, piene dei calli di chi ha lavorato buona parte della sua vita, tastare i cristalli grezzi ridefinendone la forma, quasi potesse smussarne gli angoli; gli occhi carmini riflettono a tratti i giochi di luce che le pietre, con l’illuminazione diurna, fanno a seconda dell’inclinazione a cui sono sottoposte. Le labbra si incurvano quando qualcosa la soddisfa, e le sopracciglia subiscono una curvatura appena più pronunciata del normale quando qualcosa non la convince. Alla fine, però, posa l’ultimo cristallo preso in esame sul bancone e sembra più che ben disposta quando instaura di nuovo un contatto visivo con lui.
«Parola mia, tu un giorno finirai ammazzato, ragazzo mio.» è il suo commento, prima di allungarsi e dargli una pacca energica sulla spalla «Ma finché mi porti oggetti simili e riesci anche a salvare la pelle, ben venga!» aggiunge, picchiettando con l’indice sul cristallo posato per ultimo.
«Ti do dieci monete per ognuno, quindici per l’ultimo gioiellino.» conferma quella che è la prima e - Coda lo sa - l’unica offerta; non ci deve nemmeno pensare su, prima di annuire e sentirla esprimersi in un verso deliziato mentre mette mano alla sacca dove tiene il denaro che spilla ai clienti, specie i più sprovveduti.
Non che lui sia davvero nella posizione di giudicarla, comunque.
Selya sistema dapprima i materiali negli appositi cassetti in cui li tiene in perfetto ordine e poi, dopo averlo assicurato in un sacchetto, gli porge il suo compenso con un occhiolino complice: «Porta una ricompensa anche a Fang, senza di lui faresti la metà degli affari.» lo punzecchia, prima di agitare la mano come a scacciarlo, un fare rivolto solo agli amici (a suo dire).
Coda si limita a un cenno del capo e, mentre esce, a uno della mano senza voltarsi a guardare dentro il negozio; si infila invece nel reticolo di vie del mercato principale, muovendosi nel mare di gente che si riversa sempre lì a quell’ora del mattino, tra venditori e acquirenti. Chi visita le città di Masna per la prima volta senza averci mai messo piede prima tende a definirle tutte nello stesso modo: confusionarie e claustrofobiche. Coda non fatica a comprenderne il motivo ogni volta che si sposta tra i vicoli familiari per accorciare la strada tra le vie più importanti e la zona più appartata e fuori città dove vive. Costruzioni arroccate l’una sull’altra, come una montagna di corpi che tende al punto più alto del cielo, c’è poco di regolare sul pianeta di Masna così come irregolare è la vita di chi lo abita: nella routine dei mercanti non c’è mai una base più di quanto possa esserlo recarsi nei punti migliori della città per vendere quanto recuperato altrove o per acquistare ciò che gli altri hanno trovato per conto dei clienti. L’intero sistema si basa sullo sfruttamento di terzi - delle loro risorse, delle loro ricchezze o talvolta della loro sconsideratezza - e trova un equilibrio precario quanto quello degli edifici delle città principali a un primo sguardo. Masna sembrerebbe una macchina formata da ingranaggi perfetti se solo fosse un pianeta che punta sulla tecnologia; invece le vie si popolano di colori e di voci che richiamano l’attenzione, animando spazi che Coda a volte percorre in modo impersonale, come se andasse contro il flusso senza risentirne troppo, ma riuscendo anzi a sfruttarne comunque le correnti giuste.
Vivrebbe al centro di quel cuore pulsante se la persona con la quale condivide i guadagni e la casa non rischiasse di incendiare un’intera via con uno starnuto.
Qualcosa che, purtroppo, non ha bisogno di immaginare avendola già vista succedere.


Il cigolio lieve della porta d’ingresso non basta mai a svegliare Fang, così Coda ha smesso di preoccuparsene abbastanza in fretta dopo il primo mese di convivenza. La loro abitazione è modesta, nel suo aprirsi in una saletta che vede in fondo un angolo sufficiente a cucinare, sulla sinistra una porta che conduce alla stanza in cui dormono. Per quanto non sia una reggia, a Coda va più che bene: dal lato pratico sarebbe impossibile da tenere pulita - specie la porticina in fondo a destra che conduce al suo personalissimo studio per le pozioni -, in più non hanno davvero bisogno di una casa enorme quanto di una resistente e accogliente. Lì, non così distante da una radura di modeste dimensioni, sia lui che Fang si sentono a casa abbastanza da non avere ragione di lamentarsi.
Si richiude l’uscio alle spalle, gli occhi a vagare nella stanza in penombra prima che i passi lo conducano verso la stanza; non deve nemmeno aspettare di varcarne la soglia per sentire il respiro pesante ma regolare - intervallato da un lieve russare di tanto in tanto - che proviene dall’interno. Una volta dentro non vedere Fang sarebbe impossibile, lì steso sul letto a braccia aperte e pancia in su, le vesti abbandonate a terra e l’aria beata di chi sta finalmente riposando.
Coda fa appena in tempo a notare come Fang sia un po’ troppo in bilico quando lo vede annusare l’aria e aprire gli occhi, le iridi dorate su di sé e un sorriso ebete e insonnolito a incurvare le labbra dell’altro, prima che tra queste sfugga un «Coda...» destinato a morire quasi subito. Fang si sporge allungando un braccio verso di lui, invitandolo ad avvicinarsi, ma nel farlo sul bordo del letto ottiene solo di cadere rovinosamente sul pavimento.
E’ una fortuna che il suo risveglio sia così rumoroso, dando a Coda l’occasione di concedersi un accenno di risata senza farsi notare.

Quando Fang lo mette finalmente a fuoco Coda lo guarda con un sorrisetto sghembo, e riceve in cambio un incurvarsi di labbra un po’ assonnato e un po’ divertito. Fang si tira su a sedere, stiracchiandosi con le lunghe braccia verso l’alto.
«Com’è andata?» domanda, mettendosi in piedi e recuperando la maglia nera a collo alto, lasciando da parte la casacca rossiccia e tutti gli altri strati di abiti che, Coda lo sa, un po’ si tiene addosso mal volentieri e un po’ sono per l’altro come una seconda pelle irrinunciabile.
«Bene, e Selya ti manda i suoi saluti. Il mercato è pieno, oggi.» replica, togliendosi il copricapo e poggiandolo sul ripiano. Nel gergo di Masna nella sua globalità “mercato pieno” non indica la folla che, di per sé, anima il luogo tutti i giorni, quanto più le occasioni che presentano maggiore affluenza da parte delle persone provenienti dai pianeti vicini. In tutto l’anno, escluse le festività, la cosa si ripete una volta al mese. I mercanti di Masna andati a fare scambi su altri pianeti tornano con nuova merce e, in più , quelli che si potrebbero definire turisti a tutti gli effetti arrivano con le stesse navi.
Gli occhi di Fang brillano, avidi non tanto della folla che animerà ancora di più le vie della città, ma dei veri e propri tesori che talvolta si finisce col trovare. Senza preavviso le braccia circondano la vita di Coda, stringendolo quanto basta a tirarlo su senza troppa fatica; le proteste non servono né a farsi lasciar andare, né a smorzare l’entusiasmo con il quale Fang gli propone di scendere in città e mescolarsi tra le persone.
«Contavo di farlo comunque per vendere alcune pozioni!» rimbrotta Coda, un broncio ad arricciargli le labbra e che - nella sua testa, almeno - dovrebbe esprimere grande disapprovazione.
Fang libera una risata, tenendolo ancora in braccio e spostandosi nella stanza adiacente.
«Allora prepariamo tutto e andiamo. Possiamo mangiare al banco di Maylek mentre andiamo verso l’area bazar.» propone contento come un bambino, incurante dei pugni che Coda continua a battergli sulle spalle, quasi nemmeno li sentisse. L’unico momento in cui l'alchimista ha finalmente la sua attenzione è quando Fang si ferma e lo guarda, la punta del naso a strusciare amichevolmente contro la sua.
Coda vorrebbe abituarsi a quegli atteggiamenti di cui, fin da ragazzino, continua invece a stupirsi.
«C’è una cosa che voglio assolutamente.»


L’aspetto positivo è non essere apparsi tra i molti bazar che, una volta entrati in città, Orion ha notato praticamente su ogni metro quadrato libero o quasi. Avrebbero attirato l’attenzione nel peggior modo possibile ed è l’ultima delle cose che gli servono. Il lato negativo, invece, si rispecchia nell’aspetto tutt’altro che pulito suo e di Erin, dovuto all’essere quasi finiti faccia nel fango per uscire dalla radura in cui il congegno del teletrasporto li ha lanciati - quasi letteralmente. Se non altro, Erin sembra così preso da ogni cosa sulla quale posa lo sguardo che Orion non riesce davvero a considerare tutto quello un male, sebbene la folla spropositata dove perdere il principe sarebbe fin troppo facile non lo faccia impazzire.
«Orion» gli occhi gli brillano mentre si posano su di lui, dando le spalle al viale che hanno appena imboccato «sapevo che i mercati di Masna fossero affollati ma…!»
«E’ il giorno in cui i mercanti rientrano dalle trasferte, probabilmente. Non mi stupirei se trovassimo diversa merce di Cynid. Anzi, sarebbe un colpo di fortuna.» ammette, la mano destra al petto sentendo sotto la stoffa la forma del congegno che ha permesso loro la fuga dal pianeta e che, senza pezzo di ricambio, avrà già esaurito la sua utilità. Non vedeva l’ora di rendere un viaggio già lungo e difficile eterno e impossibile.
«Potremmo trovare anche qualcuno in grado di aiutarci.»
«Di quello non preoccupatevi, posti come Masna—» Orion si interrompe, l’espressione contrita di Erin si unisce alla mano che l’altro posa su un fianco, con il fare di chi è pronto a rivolgere un rimprovero «...cosa c’è?»
«Non darmi del voi» borbotta, accostandosi per farsi sentire solo dal cavaliere «ci scopriranno subito!»
Orion lo osserva, lasciandosi scappare un sospiro rassegnato. Questo va contro tutto ciò che gli è stato insegnato, ma il rischio è alto e a malincuore non può che dar ragione al giovane davanti a lui.
«Av- hai ragione.» pronuncia, sentendosi a metà tra imbarazzo e disagio nel rivolgersi a lui in maniera così amichevole. Il sorriso luminoso rivoltogli da Erin, però, lo fa sentire un po’ meno in colpa forse, per quanto cerchi di fare finta di nulla, tossicchiando e spostando lo sguardo altrove con la scusa di scegliere la direzione da prendere.
«Sarà meglio iniziare a dare un'occhiata in giro.» decide di dissimulare così, abbracciando con lo sguardo i dintorni. Di priorità ne hanno fondamentalmente due, e Orion non è sicuro nemmeno di quale potrebbe essere il giusto ordine: cercare di assoldare dei mercenari, che per i mercati di Masna non mancano mai, senza avere un mezzo di trasporto assicurato non li fa apparire come dei committenti degni di fiducia da cui aspettarsi un compenso assicurato. Di contro, cercare di riparare il loro mezzo di trasporto senza aver risolto il problema di essere due contro un potenziale esercito non si rivelerebbe meno saggio. Certo, potrebbero poi cambiare pianeta e cercare altrove, ma Masna è stato scelto come primo posto da cui passare per un motivo e—

«Orion!» il richiamo di Erin lo porta ad abbandonare le elucubrazioni in favore della direzione che il più giovane sta indicando. Non è difficile intuire cosa abbia attirato la sua attenzione, ora che sono nei pressi - probabilmente - del cuore del mercato: bazar su bazar si affiancano con le loro tende e merci colorate, i banchi con pietre preziose o presunte tali lì a fare da tentazioni luccicanti, con il sole a infrangersi sulle superfici dei minerali. In alcuni casi un gioco di luci illusorie s'infrange e balugina contro una parte dei bazar, attirando gli sguardi dei curiosi e dei bambini. Orion sospira, i lineamenti che si ammorbidiscono: da qualche parte dovranno pur cominciare, e forse questa sarà una delle poche occasioni a loro disposizione per concedersi qualcosa di così vicino allo svago. Non ha cuore di impedire a Erin di muoversi in avanti, rapito da quelle luci, e si limita dunque a seguirlo, il passo rallentato anche dal grande numero di persone presenti.

Il principe d'altronde non va troppo in là prima di essere fermato dalla sua sbadataggine e da una figura parecchio più alta di lui, nonché di Orion stesso. Quello si gira, abbassando lo sguardo con la naturalezza di chi di rado incontra qualcuno della propria statura. La prima cosa che Orion nota sono gli occhi ambrati, mai visti in tutta la propria vita; la seconda, il sorriso bonario che dipinge le labbra del giovane.

«Tutto bene? Non sei di queste parti, vero?» lo sente incalzare Erin, che di suo è probabile non dubiterebbe di uno sconosciuto a meno che quest'ultimo non gli stesse puntando un'arma alla gola.

«Si vede tanto?»

«Nessuna persona del posto girerebbe il giorno del mercato pieno con una pietra preziosa in bella vista, tenendola alla portata di chiunque a cui basterebbe fingere di urtarlo per rubargliela.» si intromette una terza voce quando Orion è ormai alle spalle di Erin. Al fianco del giovane dagli occhi ambrati, un secondo fa capolino. La bellezza dei suoi lineamenti non bilancia l'espressione poco amichevole e le parole taglienti, purtroppo per lui. Erin di suo lascia che sul viso gli passi ogni pensiero - come al solito -, dalla sorpresa alla presa di coscienza e finendo poi con un corrugarsi della fronte, che è il massimo del suo sentirsi contrariato di fronte a un'offesa delle cui basi è però cosciente e senza sapere quindi come ribattere.

«Dai Coda, non lo spaventare. I turisti sono i nostri migliori clienti!» cerca di rimediare l'altro, piantando la mano libera - dal momento che con l'altra sta tenendo sulla spalla, senza apparente fatica, un sacco dall'aria fin troppo pesante - quasi sotto il naso di Erin: «Girate la zona dei bazar con calma, i mercanti sono quasi tutti amichevoli come il sottoscritto.»

«Abbastanza per essere dei buoni mercanti. Se ci si possa fidare non è altrettanto scontato.» obietta Orion, una mano a posarsi sulla spalla di Erin, pronto a tirarlo indietro se necessario. Non si cura nemmeno di ricambiare l'occhiataccia che il giovane chiamato Coda gli lancia, e di cui coglie appena un guizzo, decidendo di voler controllare più la reazione di quello che sembra tutto sorrisi.

«Dipende quanto il mercante si fida di voi.» è il commento di Fang, fatto con una leggerezza in cui Orion, negli anni a corte, ha imparato a leggere un sottile avvertimento che non viene mai ripetuto una seconda volta.

C'è un lungo momento di silenzio tra di loro, quasi fossero un piccolo nucleo isolato e invisibile al resto del mondo che gli vortica intorno in un vociare vivace. Alla fine Erin sembra decidere di avere qualcosa da dire: «La pietra è solo un simbolo di riconoscimento. Non averla non mi renderebbe meno di quello che so di essere.» decreta come se, una volta focalizzato il pensiero, questo sia così scontato da non avere bisogno di spiegazioni. La sorpresa che sente dentro di sé, Orion la legge anche negli occhi di Fang - un po' più difficile è carpire qualcosa dall'espressione di Coda, ma la risata sentita del suo compare distrae Orion abbastanza perché il momento passi.

«Mi piace come pensi!» esclama, con un paio di pacche ben assestate sulla spalla di Erin «Dimmi cosa cerchi, vediamo se ti posso aiutare a orientarti.» aggiunge poi, sistemandosi il sacco in spalla senza tradire un qualche tipo di fatica. Erin si apre in un sorriso grato, già dimentico di tutto il resto.

«Stiamo cercando un riparatore per un oggetto del nostro pianeta.» afferma e Orion è quasi certo che se Fang sta annuendo per incalzarlo ad aggiungere altri dettagli, Coda ha già formulato a se stesso la domanda più pericolosa - perché non ripararlo nel loro pianeta ma spostarsi fino a Masna? - e la cosa non gli piace.

«Potete provare fuori dalla zona dei bazar.» taglia corto, intromettendosi tra Fang ed Erin «Qui non ci sono venditori in grado di aiutarvi.» aggiunge, subodorando forse più problemi di quanti ne voglia affrontare per aver aiutato degli sconosciuti con i quali non pare desideroso di avere a che fare.

«E venditori disposti a lavori con un discreto compenso? Di quelli ce ne sono?» lo blocca Orion prima che il ragazzo possa lasciarsi entrambi alle spalle e tirarsi dietro il compagno. Coda lo guarda prima di sottecchi, poi lo studia e Orion sa riconoscere la sfiducia negli occhi di chi ha visto troppe cose per la sua giovane età. E' la stessa che aveva da giovane anche lui.

Coda e Fang si scambiano un'occhiata impossibile da decifrare; poi, Fang lascia vagare lo sguardo nei dintorni per un tempo fin troppo breve prima di tornare su loro due e fargli un cenno con la testa.

Orion non fatica a immaginare che un luogo affollato non sia il posto migliore per proporre un lavoro pericoloso; li segue, tenendo Erin dietro di lui e una mano sull'elsa per tutto il tragitto.


Per un momento Orion ha preso in considerazione di creare un diversivo, far perdere le tracce sue e di Erin, e defilarsi un attimo prima di addentrarsi nella periferia della città e ancora più pressante è stato l'istinto di mettere in atto la cosa quando anche la periferia se la sono lasciata alle spalle. Ha invece continuato a camminare sul sentiero dietro i due mercanti, cercando di restare vigile e al tempo stesso individuare i punti di riferimento per non smarrire la strada.

La sensazione di fronte a un'abitazione quasi incastrata nell'irregolarità di una radura non ha certo aiutato a calmare i nervi in tensione; persino Erin, dietro di lui, non ha mai abbassato la guardia fin quando Coda non ha aperto la porta, mettendosi di lato per lasciarli entrare subito dopo Fang.

Passandogli accanto, Orion ha notato che anziché controllarli, Coda ha guardato dietro di loro per tutto il tempo necessario a chiudersi la porta alle spalle.

Fang abbandona il sacco per terra, accompagnandolo per evitare probabili danni alla merce al suo interno, e con un ampio gesto del braccio fa segno loro di sedersi:  «Qui possiamo parlare di affari.» assicura con un sorriso un po' più furbo, mentre Coda si dirige nell'angolo adibito alla cucina per aprire uno degli sportelli di un mobiletto e tirarne fuori un paio di ampolle. Contrariamente alla convinzione di Orion che si tratti di qualche strano intruglio da propinare a loro, Coda ne vuota due parti uguali in una terza, la chiude e la muove in senso circolare per mescolarne il contenuto. Quando la versa, è appena fuori dalla porta, come se stesse svuotando acqua sporca di cui non sa cosa farsene.

Orion decide di non domandare nulla, perché è abbastanza sicuro che nelle risposte ci sia di mezzo la magia. In ogni caso Coda, quando torna dentro, non si prende la briga di dare spiegazioni e lascia che la voce di Fang metta fine ai taciti convenevoli con la praticità di chi è abituato a fare affari e a rompere il ghiaccio.

«Di quale lavoro avete bisogno?» domanda, senza troppi preamboli, senza guardare Coda nemmeno quando questi gli si siede di fianco, trovandosi così di fronte a Erin. E' difficile capire se i due siano opposti che hanno imparato a coesistere perché era la cosa più conveniente per entrambi, o se tra loro intercorra un rapporto di fiducia talmente cieca e totale da non aver bisogno nemmeno di consultarsi per sapere le intenzioni l'uno dell'altro. Orion spera nella prima, perché la seconda si rivelerebbe una seccatura nel caso la trattativa non andasse a buon fine.

«Ci servono dei guerrieri.» inizia, cercando di essere più diretto possibile e, allo stesso tempo, di non rivelare dettagli scomodi nell'ottica di un loro rifiuto. Nessuno dei due mercanti parla, e Orion si sente legittimato a proseguire: «Contiamo di radunarne diversi e non tutti da Masna. Noi rappresentiamo Cynid.» prosegue con cautela «Il compito da svolgere è delicato. Non possiamo permetterci di circondarci di persone che abbandonino la nave all'ultimo secondo» chiarisce, occhieggiando entrambi «non che convenga a qualcuno farlo, comunque.»

«Una minaccia non è il modo migliore di contrattare.»

«Non era una minaccia, era una constatazione. Il nostro fallimento interessa tutti pianeti del nostro Sistema, quindi non so quanto convenga a tutti gli altri.» chiarisce Orion, gli occhi chiari fermi in quelli scuri di Coda. Per la prima volta lo vede aggrottare le sopracciglia, ma prima che possa dire qualcosa Fang lo precede allungando una mano sul tavolo che li divide, il palmo verso l'alto in attesa di qualcosa.

«E questo gruppo chi dovrebbe combattere?»

«Lo saprete se accetterete il lavoro.»

«Non accettiamo lavori dove si rischia la pelle senza sapere contro chi andare.» ribatte Fang, più guardingo di quanto Orion lo abbia mai visto fino a questo momento. Ne capisce le motivazioni - forse lui stesso al suo posto porterebbe avanti la trattativa nel medesimo modo - ma non può permettersi di fare il comprensivo.

«Non rivelo i dettegli di un piano di questa portata a qualcuno che non so nemmeno se accetterà e che potrebbe rivendersi l'informazione.» fa notare, un lieve incurvarsi di labbra. Se i mercanti vogliono giocare una partita di trattative, e sono abituati a vendere, Orion è abituato alla diplomazia dei nobili. Non è poi così diversa, e di sicuro non è più semplice dello scambio di merci.

«Una garanzia sarebbe accettabile?» li interrompe Coda, una voce quasi annoiata nella proposta mentre lo sguardo tradisce una concentrazione quasi inquietante. Orion annuisce lentamente, senza farsi sfuggire lo scambio di occhiate dei mercanti. Coda fa solo un cenno del capo, prima che Fang allunghi una mano sul tavolo tra loro, il palmo verso l'alto e in attesa.

«Quella pietra.» chiarisce con lo sguardo sul gioiello azzurro che penzola dalla giacca di Erin, appuntato all'altezza del petto e ciondolante pochi centimetri più in basso, una catenella fina e dorata a tenerlo. Orion, d'istinto, porta una mano vicina al petto di Erin, in un implicito rifiuto: non importa quanto il principe sostenga coraggiosamente il contrario, o quanto sia vero che anche senza il gioiello della famiglia reale la sua posizione di principe non verrebbe meno. Quella pietra, così rara su Cynid da essere lavorata solo dai più capaci e la cui esportazione è stata proibita da almeno vent'anni, è un simbolo più importante di quello dell'alto lignaggio. Viene passato come tesoro di famiglia: così come le due pietre che Orion porta a impreziosire le spalle della sua divisa sono state il dono di sua madre e di suo padre, quella di Erin è un vecchio e prezioso ricordo di sua madre; quella del padre, il Re, sarà sua quando Erin prenderà il suo posto. Orion sa meglio di chiunque altro come il rapporto con i loro genitori sia estremamente diverso, come Erin sia legato a entrambi i suoi. Per questo non vuole che si separi dal gioiello.

«Hai la mia parola che se non accetterò il lavoro, non ne farò parola con nessuno. In cambio, se accetto voglio quella pietra come pegno.» spiega meglio Fang, guardandoli in attesa. Prima che Orion possa replicare, Coda aggiunge un: «E io sarò la tua garanzia sul nostro silenzio.»

L'allarmismo negli occhi di Fang per Orion è già una prova sufficiente di quanto una vita apparentemente di poco conto, per lui, sia una delle merci di scambio più preziose per l'altro mercante.

«Coda, non c'è bisogno di—»

«Lo scambio equo di una merce è la base per noi mercanti. Ma se accettiamo il lavoro e poi in corso d'opera si rivela qualcosa di diverso da quello che ci avevi detto, o se il compenso non sarà quello pattuito, saremo liberi di ottenerlo nel modo che preferiamo o di tirarci indietro in qualsiasi momento.» prosegue Coda, ignorando Fang e lo sguardo che l'altro gli sta rivolgendo. La mano aperta sul tavolo ora si stringe in un pugno, al punto da far credere a Orion che di quel passo Fang si conficcherà a sangue le unghie nel palmo.

«Le condizioni vi vanno bene?» li incalza, puntando gli occhi in quelli di Orion. Lui esita un istante, per poi annuire lentamente: «Solo se la pietra da dare può essere una delle mie.»

Fang lo osserva, stringendo gli occhi e focalizzandosi sui gioielli identici; annuisce, infine, per quanto la mascella risulti più rigida e serrata di prima. E' chiaro che per lui non ci sia molto di equo in quegli accordi.

«Affare fatto, allora.»


Spiegare il piano non si rivela complesso. Purtroppo la realtà è semplice: riunire le persone più forti, o almeno in grado di combattere discretamente, per risparmiare a tutto il loro Sistema una dittatura i cui semi sono stati piantati senza loro se ne accorgessero per sradicarli sul nascere. Una missione contro il tempo, ma anche contro un buon numero di possibilità, contro un esercito formato da guerrieri legati al loro capo dall'ambizione e dalla sete di potere, due motivazioni immortali. Orion non ha difficoltà a illustrare i movimenti che intendono fare, le informazioni in loro possesso o il tipo di gruppo che sarebbe ideale riunire e fino a quel punto Coda e Fang dimostrano la professionalità di chi ascolta seriamente tutti gli aspetti di un potenziale lavoro.

Il problema inizia quando Orion ritiene corretto, in virtù dell'accordo, fare non soltanto una prima offerta di compenso ma anche chiarire chi si ritroveranno ad affrontare.

«Purtroppo Preta è uno stratega e l'uomo con cui collabora, Chimera, non è da meno.» dice con gravità, non aspettandosi l'allarmismo negli occhi di Coda e soprattutto la reazione di Fang. Un ringhio basso risuona nella sua gola, i denti stretti e lo sguardo ferino; i pugni sul tavolo si stringono e Orion fa appena in tempo a notarlo prima che uno di essi si abbatta sul mobile.

L'istante dopo il tavolo è piegato in due, spaccato a metà e inutilizzabile. Le mani di Coda sono in un attimo sulle spalle di Fang, mentre un secco: «Fuori!» rivolto a loro due esprime un imperativo assoluto. Orion non se lo fa ripetere due volte, afferrando alla cieca il braccio di Erin e tirandolo fino alla porta, aprendola e uscendo con l'altro. Fa appena in tempo a notare Coda fare lo stesso che una delle cose più violente in natura che gli sia mai capitato di vedere succede proprio davanti ai suoi occhi: il petto di Fang si gonfia, come se dovesse esplodere. L'istante dopo un'onda d'urto obbliga Orion a finire con un ginocchio a terra; Erin di fianco a lui finisce sedere a terra mentre Coda, l'unico che se l'aspettava, riesce in qualche modo a mantenere l'equilibrio anche se per un pelo.

L'interno della casa, al contrario, non se la cava tanto bene. Quando rientrano, l'intero salotto è sottosopra e Orion è sicuro che se la maggior parte del mobilio non fosse in pietra, la casa sarebbe del tutto distrutta.

Coda di fianco a lui sospira, facendo loro cenno di aspettare e guardando Fang, in attesa. Il compagno ha lo sguardo basso, fa grandi respiri in cui Orion riconosce il tentativo di ritrovare la calma a dispetto di ogni istinto primordiale.

«Cosa diavolo è stato?!» sbotta Orion, raggiungendo Coda con due falcate, ritrovandosi a ricambiare il gelo nello sguardo di quel ragazzo così giovane; Coda lo guarda con lo stesso distaccato disprezzo che si potrebbe riservare alle persone che non meritano nemmeno la pietà: «Andatevene. L'accordo è saltato, non vogliamo avere niente a che fare con quella persona. Avreste dovuto dirlo subito, non avremmo perso tempo.» pronuncia, il tono quasi monocorde, senza ammettere repliche.

«Avrete comunque a che fare con lui se porta avanti quello che ha in mente!»

«Scapperemo se necessario, se volete fare gli eroi potete farlo da soli!»

«Bene!» ribatte Orion, guardandolo dall'alto in basso «Evidentemente scappare è l'unica cosa che può riusci—»

«Non un'altra parola, cavaliere.» la voce rauca di Fang lo raggiunge mettendogli quasi i brividi, spingendo sull'istinto di sopravvivenza di Orion contro la sua volontà di mantenere una facciata imperturbabile. Quando lo guarda, lo sguardo di Fang è quello di una bestia, non di un uomo.

«Giurami che avrò la testa di Chimera, e sarò il tuo miglior soldato.»     



Nonostante fosse dipeso da lui non sarebbe mai successo, Coda si ritrova tra le mani un accordo preso e l'impossibilità di far desistere Fang, il che significa farsi coinvolgere. Nel momento in cui ha compreso che la discussione e il tempo delle contrattazioni era finito, si è almeno imposto per fare le cose a modo suo; così ha ottenuto di attendere i giorni necessari a partire organizzati e non in una completa missione suicida - come se non lo fosse già.

Ha cercato per i suoi committenti un alloggio discreto, escludendo categoricamente che potessero dormire da loro: in primis, non li conosce e non ce li vuole. Secondo, non c'è spazio. Terzo, sarebbe stato sospetto. Così la città ha offerto loro una soluzione alternativa, e si sono rivisti la mattina di buon'ora. Coda ha messo subito in chiaro che la scelta del loro itinerario per i prossimi spostamenti sarebbe stato operato da lui, guidato dalle esigenze del piano di Orion - lasciare la direzione in mano vostra ci garantirà la morte appena metteremo piede fuori da Masna, gli ha detto quando ha notato un tentativo di ribattere. Ha personalmente fatto un elenco di ciò che è necessario portare, da cosa sarebbe meglio far viaggiare con loro ma che potrebbe comunque essere lasciato indietro, e ciò che invece sarebbe solo un peso inutile. Dopodiché ha indagato sul mezzo migliore, l'orario meno sospetto per partire e ha preso accordi per il giorno seguente, comunicando ai suoi compagni di viaggio la notizia senza trasporto - si parte domani all'ora di pranzo, quando il traffico delle navi mercantili è al picco per i turisti che tornano ai loro pianeti.

Non ha rivolto la parola a Fang se non per dirgli di accompagnarli a cercare il riparatore di cui Orion e Erin hanno parlato il primo giorno, ignorandolo per il resto del tempo e assicurandosi che non fosse per gli impegni e le cose da programmare. Altre volte hanno discusso, quindi Coda sa bene che Fang ha capito di essere in quella situazione in cui andare a insistere per fargli vedere le cose nel modo in cui le vede lui significherebbe avere un proprio e vero litigio. Ne hanno avuto pochissimi da quando convivono, e hanno imparato a proprie spese di non volerli; così quando sono in disaccordo, come ora, o quando non approvano le scelte l’uno dell’altro coesistono distanti, lasciando che il silenzio della casa assorba tutto ciò che di negativo potrebbe far scattare la scintilla. E ora si ritrovano alla vigilia della partenza, nella stessa stanza dove hanno dormito insieme negli ultimi quattro anni, avvolti da quello stesso silenzio un po’ teso, un po’ no.

Coda si libera dell'ultimo indumento, mettendolo con cura sulla sedia dove si trova il resto di ciò che indosserà il giorno seguente e, in silenzio, si siede sul materasso. E' ben cosciente del corpo dietro di lui, dello sguardo di Fang sulla sua schiena; lo combatte senza nemmeno voltarsi, stendendosi su un fianco in modo da dargli le spalle. Lo sente lasciarsi sfuggire tra le labbra un sospiro lento e rassegnato, ma un attimo dopo un braccio sta scivolando sul suo fianco, stringendogli la vita e guidando il suo corpo contro uno più compatto, solido.

«Coda» lo chiama piano, senza aspettarsi una risposta «non possiamo stare in silenzio per sempre.»

«Non ci scommetterei.»

«Coda...»

Si gira con un movimento veloce, senza preoccuparsi di mettere distanza tra di loro ma puntando gli occhi in quelli ambrati di Fang, senza ammorbidire la propria espressione ma anzi con l'intento di fargli capire anche solo così quanto sia ancora nervoso e arrabbiato.

«Chimera? Il tuo miglior soldato? Sei serio? In quattro anni che ti conosco non hai mai accettato un lavoro con troppi rischi per la tua o la mia vita, ed è il motivo per cui abbiamo sempre collaborato e ottenuto il massimo profitto dai migliori lavori senza finire uccisi. E ora ti bastano due stranieri di un altro pianeta a parlare di Chimera per andare a farti ammazzare per la causa di qualcuno che non sei tu.»

«Coda è proprio perché si tratta di Chimera. Sai cos'ha fatto.» pronuncia Fang, una durezza nel tono che raramente si può sentire nella sua voce.

Coda si morde l'interno della guancia, consapevole delle implicazioni - sa anche, in fondo, che di modi per evitare quella situazione una volta ascoltata la storia di quei viaggiatori non ce n'erano. Forse è questo a fargli più rabbia, aver fatto di tutto per quattro anni e ora vedere un pericolo immenso a un passo da loro e sentirsi impotente.

«Ho bisogno di fare questa cosa. Se non ci andassi... lo sai che non me lo perdonerei.» lo sente mormorare, lo sguardo concentrato su un punto casuale della sua maglia nera senza realmente vederla «Lo sai che non me lo perdono già ora.»

«...» non può ribattere a questo, sapendo la storia. E non può impedirgli di avere la sua vendetta, perché lui farebbe la stessa cosa al suo posto - perché la vendetta di Fang è, in fondo, un po' anche la sua. Un broncio gli si forma sul viso senza che Coda nemmeno se ne accorga, e si lascia distrarre solo dalla pietra che Orion ha dato a Fang quando questa gli penzola davanti al viso: è stata lavorata, l'aspetto diverso. Più fina e piccola, di sicuro solo una parte di quella con cui il cavaliere si è guadagnato i loro servigi. Il colore azzurro è meraviglioso. Coda non fatica a credere che sia tanto rara persino sul pianeta di origine.

Fang la tiene da un'estremità e solo in un secondo momento Coda capisce che si tratta di un orecchino; forse Fang glielo legge nello sguardo, perché incurva finalmente le labbra in uno dei suoi soliti sorrisi.

«E' per te.» rivela, aspettando che Coda prenda l'oggetto; quando lo fa, gli posa un bacio sulla fronte, uno sfiorare leggero di labbra sulla pelle.

«Andrà bene.» promette, e sembra davvero possibile con la sicurezza nella voce che ha «E poi tu mi coprirai le spalle come al solito, vero?»

Coda lo fissa, il broncio di nuovo presente mentre prende l'orecchino e si gira di nuovo, dandogli le spalle: «Non sopravvivresti un secondo senza di me.» afferma, l'ultima parola sulla questione senza ammettere altre repliche, con l'atteggiamento che fa ridere Fang e lo porta a stringere l'abbraccio e affondare parte del viso contro i suoi capelli.

Coda stringe l'orecchino, conscio che quella frase è come un boomerang.


*


Coda odia gli ingredienti che si trovano nelle paludi: l'aria è irrespirabile, la vegetazione è solo un fastidio mentre si cerca di avanzare senza dare nell'occhio, e alla fine quello che trova è sempre in mezzo a fanghiglia e altre schifezze con le quali non si è ancora abituato ad avere a che fare. Seyla sostiene che è ancora troppo piccolo per maneggiare le pozioni da solo - in verità il termine usato da lei è "moccioso", ma sono dettagli del tutto trascurabili - così gli tocca farsi sfruttare in giro come ricercatore di ingredienti su cui nessuno vuole davvero mettere le mani se non in senso lato.

Non che abbia molta scelta. Sa di essere stato più che fortunato a essere preso sotto l'ala protettiva di una delle migliori mercanti della capitale di Masna, e che fin troppi orfani non possono vantare la stessa buona sorte. Ritrovarsi con una storta al terzo scivolone della mattinata è, tutto sommato, accettabile - se non fosse che gli fa così male da non riuscire a fare più di due passi senza doversi fermare, a Coda non interesserebbe nemmeno. Ha tredici anni, è grande abbastanza per non piangere su una cosa come questa.

La mano va a frugare nella sacchetta legata in vita, trovando senza troppe difficoltà la boccetta con l'unguento per le contusioni, uno dei tre che si porta sempre dietro quando va in esplorazione. Sta imparando, e l'effetto non è lo stesso di quello di un alchimista esperto, ma dovrebbe alleviare il dolore abbastanza da non farlo restare bloccato lì fino a notte fonda. Lo spalma sulla caviglia offesa, mordendosi il labbro inferiore sentendo pulsare sotto il tallone. Un brutto segno, di sicuro. La caviglia gli sembra già più gonfia.

Il frusciare delle foglie e uno scricchiolio che passerebbe inosservato, se non fosse immobile e nel completo silenzio, attira la sua attenzione; la testa scatta nella direzione dalla quale gli sembra sia arrivato il suono, strizza gli occhi per mettere meglio a fuoco il punto imprecisato in cui non sembra esserci granché, a parte la vegetazione.

Poi, del fumo, appena un filo, come il principio o la fine di un incendio di minuscole dimensioni. Coda ha tredici anni ma sono abbastanza per sapere che le paludi non prendono fuoco da sole.

L'unguento viene chiuso velocemente e riposto nella sacca, prima che la mano ora libera si serri attorno al piccolo pugnale che di solito usa per tagliare le radici, ma il cui utilizzo all'occorrenza può essere ben diverso; puntato verso il leggero fumo che si sta già dissolvendo, cerca di mantenere un tono più fermo possibile mentre esclama un: «Chi c'è?!»

Il silenzio è la risposta che ottiene in un primo momento. Se fosse più esperto e più grande, saprebbe quanto inutile sia chiedere a un malintenzionato di palesarsi - lo sa già, a dire il vero, ma una punta di panico si annida dentro di lui e per quanto lo nasconda nel tono di voce, nella sua mente quell'accenno lo tradisce.

Per sua fortuna, anche il suo presunto aggressore non ha ancora raggiunto la completa maturità; forse per questo, con un movimento più deciso tra i cespugli e con il fumo ormai sparito, una figura fa la sua comparsa di lì a poco rivelandosi completamente. E' più grande di lui sia fisicamente che di età, a Coda basta uno sguardo per intuirlo: parecchio più alto di lui, ben piazzato ma con nelle gambe l'agilità di un corpo non appesantito eccessivamente dalla sua stazza. Gli abiti hanno l'aria vissuta tipica di chi non ha sempre l'occasione di cambiarsi e di chi, soprattutto, non ha chi si occupa delle sue cose ma deve badarci da solo. Coda ne sa qualcosa perché ha imparato a badare ai propri vestiti e ai propri pasti già da qualche anno, nonostante Seyla debba spesso cucinare anche per sé e sarebbe probabilmente incline a farlo per due.

I vestiti del giovane che ha davanti non sono così particolari, ma in qualche modo diversi dalle persone della città: nella loro semplicità i pantaloni neri gli fasciano le gambe come una seconda pelle, rendendo chiaro come i muscoli siano sviluppati - non c'è dubbio che in una gara fisica di qualsiasi tipo Coda fallirebbe clamorosamente -, sparendo sotto la casacca bordeaux che copre fino a metà della coscia, rimanendo in parte aperta sul davanti e quindi sul petto, coperto anch'esso da una stoffa scura. A vederla non sembra troppo pesante, ma non è sicuro. I dettagli più curiosi di quel ragazzo, però, sono due: l'anello al medio della mano sinistra, del tutto fuori posto rispetto al suo abbigliamento, e gli occhi ambrati. Coda è sicuro di non aver mai visto un colore simile se non nelle pietre pregiate.

«Cosa vuoi.» lo accusa, più che chiederglielo, guardingo mentre i suoi occhi scuri non abbandonano la figura altrui nemmeno per un secondo, attento a qualsiasi movimento che possa tradire delle cattive intenzioni «Se sei un brigante non ho soldi e non sono ricco, quindi te ne puoi anda— cosa stai facendo?!» esclama, il pugnale puntato contro di lui con più decisione quando lo nota avvicinarsi, l'espressione poco turbata da quell'arma. Coda deglutisce quando quello gli si ferma davanti, si piega sulle ginocchia perché i loro sguardi siano quasi allo stesso livello, e si sporge in avanti, incurante della punta del pugnale che gli sfiora la casacca. La mano di Coda trema appena, per nulla sicuro di essere in grado di conficcare la lama nel corpo di una persona.

«V-Vattene, guarda che non ho paura di usare un coltello!»

L'altro lo studia, inclinando appena la testa... e poi lo annusa, sporgendosi ancora un poco, chiudendo gli occhi quasi lo aiutasse a concentrarsi solo sull'odore. Coda lo vede storcere appena il naso.

«Ricco di sicuro non lo sei» commenta «non hai l'odore dell'oro addosso.» conferma con assoluta sicurezza nella voce, piegandosi ancora un po' al punto che Coda ritrae d'istinto la mano con il pugnale, rimpiangendolo quando sente la punta del naso altrui sfiorargli il collo. Sobbalza, spingendolo con la mano libera; quello dondola un po' per ritrovare l'equilibrio, ma non cade.

«Mmmh, puzzi di medicina.» conferma con se stesso, occhieggiando velocemente la caviglia un po' più gonfia di prima. Coda, d'istinto, la tira indietro pentendosene quasi subito.

«Okay.» decreta infine, senza che Coda capisca nemmeno la metà di cosa stia passando per la sua mente, sentendo poco dopo un braccio passare sotto le sue gambe e uno dietro la schiena. L'attimo dopo, quello sconosciuto lo sta tirando su senza il minimo sforzo, l'espressione contenta.

«Mettimi giù!» esclama, il pugnale abbandonato d'istinto, agitandosi fra le braccia del più grande «Lasciami andare!» la mano punta contro la guancia altrui, in un tentativo di portarlo a mollare la presa «Lasciami ho detto!»

«Certo che ti agiti un sacco per uno ferito. Comunque non ti devi preoccupare, ti sto portando alla mia tana.»

«Perché questo non mi dovrebbe preoccupare?!»

«Perché la mia tana è sicura, che domande.»

«Quale persona normale chiama "tana" una casa! E non ti conosco, perché mi porti a casa tua?!»

Il giovane ferma i propri passi, guardandolo per un istante, quasi indeciso se rispondere o meno; poi si apre in un sorriso, come se non avesse una sola preoccupazione al mondo, e di sicuro non il fatto che il ragazzino tra le sue braccia non sembri apprezzare le sue attenzioni.

«Come perché?» dice divertito «Perché i tesori che troviamo, ce li teniamo. Per i draghi funziona così.»


Orion non sa perché non si siano incontrati nella casa dei due mercanti, ma non ne è dispiaciuto. La capitale di Masna è comunque un territorio più favorevole a loro che a lui e Erin, ma sempre meglio di una casa con un utilizzatore di intrugli magici e uno con problemi di controllo della rabbia. Sono seduti al tavolo da dieci minuti, l'orecchino ricavato dalla pietra di Orion in mostra all'orecchio sinistro di Coda, la cui attenzione è del tutto rivolta a una mappa stellare del loro Sistema, ben spiegata sul tavolo così da essere visibile per tutti loro.

Le tazze fumanti sono state appena portate al loro tavolo quando, finalmente, Coda alza lo sguardo e li osserva; Fang, di fianco a lui, sembra molto più rilassato sebbene non del tutto disteso mentre occhieggia la mappa.

«Il primo pianeta sul quale ci sposteremo sarà Awyr.» inizia l'alchimista, spiando le loro espressioni in cerca di un disaccordo di qualche tipo «Per le poche informazioni che ci avete dato, Ser dovrebbe essere il pianeta più vicino a Preta e la sua gente.» spiega con il tono pratico di una persona più che abituata a pianificare, l'indice che si sposta avanti e indietro tra i pianeti man mano che il discorso prosegue. Orion alterna lo sguardo tra quel dito e il viso del giovane, ancora  in fase di valutazione di quelle due persone che - in teoria - sono già parte della loro squadra.

«Quindi è il caso di arrivarci con un gruppo molto più numeroso, non potendo escludere che Preta nel frattempo potrebbe avvicinarlo. Io al suo posto non lo farei, ma non si sa mai.»

«Perché non lo faresti?» lo interrompe Erin, avido di informazioni, attento come Orion lo ricorda da ragazzino durante gli allenamenti con la spada. Coda, dopo un momento di pausa, pare decidersi a concedergli una spiegazione.

«Sai qual è la particolarità di Ser?»

«E' la stella con più concentrazione di magia del nostro Sistema.» replica Erin prontamente, annuendo. Coda sembra in qualche modo soddisfatto dalla risposta: «Esatto. Io non lo sceglierei mai come primo obiettivo, visti anche i cambiamenti climatici degli ultimi anni che hanno reso piuttosto ostico l'approccio alla superficie. Almeno a quanto dicono i mercanti che fanno affari con loro.» conclude Coda con un'alzata di spalle lieve, tornando a guardare la mappa.

«Awyr non solo è il più vicino, ma è il pianeta più pacifico del sistema per antonomasia. Hanno un'organizzazione interna che li ha portati a un equilibrio perfetto per cui non ci sono guerre interne da almeno due secoli. Siamo un gruppo ancora scarno, e il rischio è praticamente zero su un pianeta del genere. Potremmo reclutare qualcuno, sempre che una stella come questa offra qualche combattente. Nella peggiore delle ipotesi, ne verremo via a mani vuote ma senza aver subito aggressioni.» conclude, spostando l'indice verso il basso, anziché proseguire in linea quasi retta sul pianeta successivo.

«Tywod subito dopo. Innanzitutto perché perderemmo tempo a proseguire dritti e poi tornare indietro, se facessimo il contrario e lasciando Ser per ultimo come d'accordo. In più, tra Tywod e Ser c'è una rotta che sarebbe preferibile evitare, mi aspetto dei controlli dalla fazione di Preta oltre alle tempeste. Anche le navi mercantili tendono a evitare quella rotta, se possono evitarla, preferendo un giro lungo. Ultimo, ma non meno importante, Tywod è chiamato anche "la Stella della Conoscenza". Se esiste la possibilità di avere più informazioni di quante se ne potrebbero trovare qui su Masna, quella è su Tywod e non soltanto nella capitale. Tutte le maggiori città hanno biblioteche e reti di informazioni che farebbero impallidire la maggior parte delle spie.» si interrompe, abbandonando con il dito la mappa e recuperando la propria tazza, prendendo un generoso sorso della bevanda, lasciando agli altri il tempo di assorbire le informazioni, forse.

Orion deve dargli atto di essere un grande stratega almeno per gli spostamenti, e che le informazioni in suo possesso - o forse generosa offerta della capitale di Masna e dei suoi mercati - siano più di quanto Orion avrebbe mai osato sperare una volta deciso di lasciare Cynid.

Erin, di fianco a lui, è così preso dalla spiegazione da aver abbassato un poco il volto, il naso quasi a contatto con la carta della mappa stellare. Posata la tazza, Coda li guarda entrambi: «Domande, fin qui?»

«Tywod è così famoso per gli studiosi che non si sa granché del loro stato interno. Dalle informazioni che ho raccolto, non sono né un pianeta particolarmente pacifico, né distrutto dalle guerre. Ci possiamo aspettare che abbiano qualcuno da reclutare?»

«Di sicuro. Si vocifera che abbiano dei documenti così antichi e sugli argomenti più disparati tanto che molti ci metterebbero volentieri le mani sopra. Non posso credere che un luogo del genere non abbia delle ottime difese. E a quel punto, se saremo stati abbastanza fortunati da reclutare qualcuno sia su Awyr che su Tywod...» prosegue Coda, la mano di nuovo sulla mappa, l'indice a puntare l'ultimo pianeta d'interesse prima di Ser «potremo sperare di raggiungere Rhyfel e non farci uccidere prima ancora di perorare la vostra causa.» conclude.

«La nostra causa.» lo corregge Orion, piccato, gli occhi grigi su di lui. Coda lo osserva come se stesse facendo fatica a trattenere una replica piccata, ma alla fine sospira e lascia perdere.

«Rhyfel è il pianeta diviso dalle guerre civili, vero?» li interrompe Erin, il viso ancora vicino alla mappa ma lo sguardo su Orion. Lui annuisce, sebbene sia Coda a riprendere la parola: «Direi che sono molto oltre l'essere divisi. Poche navi ci vanno, e solo perché la parte controllata dall'aristocrazia paga bene le merci importate.» concede brevemente, poggiandosi quindi contro lo schienale della sedia e sospirando. Il silenzio, interrotto solo dal vociare degli altri clienti del locale in cui si sono incontrati, cala sul loro tavolo. Fang non ha aperto bocca per tutto il tempo, e Orion non sa come dovrebbe interpretarlo; di certo gli è parso il più motivato dei due, ma il fatto che tanta motivazione lo abbia quasi fatto implodere in casa sua non è proprio un aspetto che abbia messo addosso a Orion molta voglia di fidarsi ciecamente.
«E per il mezzo di trasporto?» decide di interrompere quello stallo scomodo, cercando lo sguardo dell’alchimista. Coda non glielo concede subito, deciso forse a prendersi il suo tempo per fare mente locale, o riposarsi prima di un’altra spiegazione importante.
«Con qualunque cosa siate arrivati, è fuori discussione. Di sicuro non passerebbe inosservata, e se c’è una cosa di cui non abbiamo bisogno è attenzione indesiderata.» commenta infine, concedendogli anche un’occhiata: «Useremo una nave. Andrò a negoziare io dopo mangiato, voi due sarà meglio che restiate in casa con Fang. Meno girate a fare domande e meglio è.»
Orion vorrebbe controbattere, ma la dura realtà è che non esiste nel loro piccolo gruppo improvvisato un negoziatore migliore di quel ragazzino insolente. Sbuffa, dunque, ma non aggiunge altro.


La nave mercantile li ha accolti con piacere, ben felice del compenso offerto da Coda per il disturbo. Orion odia ammetterlo, ma se avesse cercato lui un passaggio, il prezzo da pagare sarebbe stato almeno il doppio. Invece Coda e il mancato ritrovamento di un pezzo di ricambio per il loro teletrasportatore ha permesso un risparmio che Orion è certo potrà e dovrà sfruttare presto per convincere qualcuno a unirsi a loro.
Il capitano della nave ha concesso loro due piccoli giacigli in un’unica stanza sotto coperta, il cui odore è discutibile ma sopportabile; Coda ha affermato che sarebbe rimasto a bere con il capitano, per tenerselo buono più che per reale desiderio di affogare negli alcolici. Così Fang è rimasto a occupare la loro parte di stanza, steso sul loro giaciglio con il viso verso il muro e dando loro le spalle.
Orion si è steso lasciando che Erin fosse fra sé e il muro - per abitudine a metterlo al sicuro, sempre, anche quando sembra non servire - e ha semplicemente chiuso gli occhi, in attesa che il sonno lo raggiungesse. La veglia però gli ha permesso di sentire Fang alzarsi e lasciare la stanza, e Erin seguirlo poco dopo, facendo attenzione a muoversi piano senza notare che Orion non si è mai addormentato. Li ha seguiti, abbastanza sicuro di essere stato notato da Fang, ma rimanendo fermo dietro l’unico angolo che lo cela alla loro vista, le braccia incrociate contro il petto, in ascolto.
Erin si è appena seduto vicino a Fang dopo aver chiesto il permesso di farlo, e ora sono così, l’uno accanto all’altro come amici di vecchia data quando a stento si conoscono.
«Dovresti riposare, quando puoi.» pronuncia Fang senza voltarsi a guardare l’altro.
Orion prova quasi pena per lui: come se dire a Erin che è il caso di fare qualcosa fosse mai servito a fargli cambiare idea.
«Non ho sonno,» replica lui infatti «non ho mai viaggiato su una nave mercantile...» ammette, il tono ammirato di chi non vedeva l’ora di provare l’esperienza.
«Mai?» domanda Fang, incredulo. Orion, dalla sua posizione, non fatica a comprenderlo: non hanno rivelato per scelta l'identità di Erin, ed è difficile immaginare che una persona normale e senza obblighi non abbia mai avuto la possibilità di spostarsi da un pianeta come Cynid, dove anche i trasporti sono di molto facilitati con la tecnologia. Da dove si trova Orion non può vedere l'espressione di Erin, ma non ha bisogno di farlo: lo conosce troppo bene per non sapere che deve aver assunto quel sorriso di scuse tipico di lui quando deve mentire oppure omettere qualcosa, incapace di farlo perché troppo onesto con se stesso e con gli altri.

«Mh. Stavo spesso male da bambino, quindi...» butta lì, una mezza verità dopotutto; lo sguardo di Fang si fa più morbido, quasi affettuoso. Con pochi gesti fluidi si libera della casacca, rimanendo con la maglia nera smanicata e posando l'indumento sulle spalle di Erin. All'occhiata interrogativa e al tempo stesso sorpresa del più giovane, Fang ridacchia dandogli una pacca sulla spalla.

«Meglio se non ti ammali anche stavolta, allora.» assicura, tornando a guardare davanti a sé. Il silenzio che si forma tra loro dopo il ringraziamento da parte di Erin quasi fa pensare, a Orion, che non si scambieranno altre parole limitandosi ad andare a dormire ognuno con i propri tempi. E' già lì a muovere un primo passo per tornare nella stanza condivisa quando la voce di Erin attira la sua attenzione.

«Tu e Orion vi somigliate un po'.» confessa, un sorriso leggero sulle labbra, andando a ricambiare l'occhiata di Fangu quando percepisce il suo sguardo su di sé «Anche lui, quando ero più piccolo, faceva cose simili. E' come essere cresciuto con un fratello maggiore.»

«Si vede che sei un fratello minore.» commenta Fang, con una mezza risata sbuffata «Mi ricordi il mio.» confessa, e a Orion il suo tono basta per capire che non si tratta di una storia felice, né di una raccontata spesso. Forse anche Erin lo intuisce, perché rimane in religioso silenzio.

«Eravamo quattro fratelli, prima.»

«Prima...?»

«Prima che Chimera attaccasse i mercati di Masna anni fa.» replica lui, il tono duro e lo sguardo che non è rivolto a niente che sia materialmente davanti a loro. Gli occhi ambrati vedono qualcosa di già successo, e somigliano a quelli dei soldati tornati dalla guerra. Orion i soldati li ha formati, quando ha raggiunto un livello tale da guadagnare il grado più alto della Guardia Reale, e purtroppo - ma meno di molti altri luoghi e pianeti - ne ha visti alcuni raccontare le guerre del passato, o prepararsi a guerre del futuro a volte solo sfiorate e ora tangibili. Ha visto gli occhi di chi in combattimento ha perso l'amico, il compagno d'armi, il fratello, il figlio, il padre. Ha visto mascelle serrate per non concedersi un urlo di dolore e per questo il viso di Fang è famigliare in un modo di cui Orion farebbe volentieri a meno. Non ha bisogno di chiedere per immaginare quale orrore abbia visto per colpa di Chimera.

Ed Erin, con meno esperienza, riesce comunque a comprendere quel qualcosa di nascosto, di a stento controllato, che ha portato Fang a perdere il controllo in casa sua. Di contro, a Fang bastano poche parole per racchiudere un'intera storia.

«Lo ammazzerò con le mie mani e gli strapperò gli arti uno per uno.»

Orion guarda lui, e poi Erin; vede nelle spalle di un principe giovane l'incertezza di fronte a una crudeltà che gli è sconosciuta, a un desiderio di vendetta che per lui è difficile anche solo immaginare e, infine, vede il dispiacere di una persona buona. Poi, quella schiena si raddrizza appena e Orion sa, ancora prima che Erin dia voce ai suoi pensieri, che per quanto sia impossibile per degli sconosciuti come loro fidarsi l'uno dell'altro, Erin ha sempre avuto e sempre avrà quel qualcosa capace di guidare gli altri.

«Troveremo Chimera. Lo troverò per te, se servirà, e lascerò che sia la tua battaglia.» promette.

Fang annuisce soltanto e Orion, con un mezzo sorriso, si allontana in silenzio lasciandoli da soli nel silenzio notturno.


L'urto con la nave è così forte da svegliare tutti. Orion ha una vaga percezione della voce di Erin che confuso chiede cosa stia succedendo, e il clangore della spada appena cozzata contro la parete. Fang è già in piedi quando lui mette a fuoco la stanza, mentre Coda arriva poco dopo spalancando la porta - in effetti, pensa Orion distrattamente, non lo ha sentito rientrare prima di addormentarsi.

Poco dopo sono tutti sul ponte della nave mercantile, il paesaggio di Awyr già abbastanza nitido sotto di loro, un'altra nave anonima a torreggiare sulla loro, speronandoli una seconda volta, o forse una terza, Orion non ne ha idea.

La confusione è sovrastata solo a volte dalla voce del capitano, in ordini che cercano di ripristinare la calma e far fronte alla situazione; la velocità della nave è sostenuta, in un tentativo di seminare chi li sta attaccando e al tempo stesso di assicurarsi un atterraggio sicuro pur nell'emergenza.

In un angolo della sua mente, mentre vede Fang arpionare il braccio di Coda e Erin quasi sfugge dal suo campo visivo, Orion ricorda le parole dell'alchimista riguardo quel pianeta.

Awyr non solo è il più vicino, ma è il pianeta più pacifico del sistema per antonomasia.

Nella peggiore delle ipotesi, ne verremo via a mani vuote ma senza aver subito aggressioni.

La mano di Erin scivola via dalla sua.


Le vie della cittadina di Awyr sono ancora agitate dal vociare per la nave attraccata al porto minore, in uno stato di emergenza; gli abitanti parlano con il sollievo nella voce di come, per fortuna, nessuno sia rimasto ferito e di come bisognerebbe adoperarsi per avvisare nelle locande più vicine perché si possa preparare il possibile per aiutare i mercanti rimasti magari scossi dall'atterraggio di fortuna. I colori sono vivi, e in condizioni normali Orion si godrebbe un posto simile e le bellezze della natura che circondano quel luogo, se non sentisse il panico puro montargli dentro a ogni passo. A poco dall'atterraggio ha lasciato andare la mano di Erin a un ennesimo scossone, lo ha visto precipitare e lo ha perso di vista. Ora gli occhi cercano febbrili nelle strade, i suoi piedi si muovono quasi animati da vita propria - nella sua testa una voce ripete incessantemente il nome di Erin, nella speranza di vederlo comparire, di non averlo perso.

E invece non c'è, non è da nessuna parte, le persone parlano come se non fosse importante (non lo è, non sanno nemmeno chi sia), Fang lo trattiene (gli trancerebbe quelle braccia con la spada se potesse muoversi), Coda sta dicendo qualcosa e somiglia una ramanzina e Orion non ha tempo di ascoltarlo.

«Possiamo cercarlo insieme, eravamo quasi a terra!» sta urlando Coda per sovrastare la sua agitazione, forse. A Orion non interessa.

«Siamo sul pianeta più pacifico dell'intero Sistema—»

Orion sente uno strappo da qualche parte all'altezza della spalla, ma si preoccuperà dopo di controllare se sia solo la stoffa o uno strappo di qualche muscolo che implora pietà contro la forza con cui Fang lo sta tirando; gli interessa solo arrivare a pochi centimetri dal viso di Coda: «Lo hai detto anche prima che venissimo dirottati.» sibila «Se Erin ha solo un graffio perché mi stai trattenendo ti giuro che né le tue ampolle né lui a tenermi fermo ti risparmieranno.»

Coda lo guarda, e Orion prova una sottile soddisfazione nel vedere finalmente la sorpresa sfigurare la maschera di perfetta consapevolezza di quello che è un ragazzino persino più giovane di Erin. La presa di Fang non si allenta finché non è Coda a fargli un cenno, facendosi da parte, pronunciando un «Andiamo a cercare insieme.» quasi troncato a metà quando Orion si rimette dritto e prende a marciare, urtando con la spalla quella dell'alchimista.

Sente i passi degli altri due seguirlo ma non si volta a guardare in loro direzione nemmeno un momento. Macina passi e vie sconosciute, lasciandosi guidare dalle voci delle persone, cercando di orientarsi verso gli angoli della città più abitati nella speranza che qualcuno abbia visto Erin - svolta un angolo, poi un altro ancora e una musica cattura la sua attenzione. Erin, se sta bene, potrebbe facilmente farsi attirare da un'esibizione in una piazza come quelle che cercava di andare a vedere sgattaiolando fuori dal palazzo della capitale.

Volta la testa da un lato e dall'altro e lo vede, anche se a stento tra diversi corpi di persone che stanno assistendo a uno spettacolo per cui Orion perde interesse: lineamenti che conosce bene, osservati per anni, adorati da altrettanto tempo, cari come poche cose al mondo. Riprende a muoversi, ignorando i richiami alle sue spalle; si fa largo tra le persone, allunga una mano e stringe le dita intorno a un polso esile.

Alza lo sguardo, e si sente morire dentro: non è Erin, quello che lo sta guardando.


*


Quando l'alba è appena agli inizi, l'aria di Awyr è così pulita da farlo sentire in pace con se stesso, un lusso che gli è concesso e si concede solo in quel momento della giornata o nel cuore della notte, quando a volte fatica a prendere sonno. Shinkai, in quei minuti, siede sulla balconata della piccola casa in cui sta e guarda in quel piccolo spazio tra alcuni edifici oppure esce quando è ancora buio, cammina per le strade deserte e si abbandona sotto qualche albero con lo sguardo verso l'orizzonte. Aspetta che l'alba arrivi, beandosi del silenzio e dell'assenza di persone, dell'illusione di essere l'unico al mondo prima che i cittadini si riversino nelle strade e nella piazza principale. In tanti pensano che a lui le persone piacciano, e non sbagliano: le persone, il pubblico nello specifico, sono la ragione per cui ha un pasto caldo la sera quando torna a casa e un tetto sopra la testa. Ma altri pensano che sia distante dagli altri, e non sbagliano neppure loro: Shinkai non ama particolarmente chi gli sta intorno, né si cura troppo di qualcuno nello specifico. Apprezza la compagnia se ha la certezza di potersi rintanare nella sua solitudine quando più lo aggrada.
L'alba è quell'esatto momento, la sua dimensione ideale: consapevole della presenza di altri eppure con la possibilità di tenerli fisicamente - e psicologicamente - lontani.
Ogni mattina Shinkai ha questa routine a cui, poi, segue tutto il resto: torna sui suoi passi se ha scelto di camminare per le strade vuote, oppure scende semplicemente al piano inferiore. Il suo coinquilino si alza prima o dopo, a volte lo trova già lì altre scende mentre Shinkai ha quasi finito di preparare una colazione per due che conosce a memoria; mangiano per lo più in silenzio, perché quello è un momento di risveglio e perché entrambi non sono tipi da sprecare parole se non è necessario. Quando entrambi sono pronti, escono per scegliere un posto - una via, una piazza, non è mai lo stesso ma alla fine si ripetono per forza di cose - e si esibiscono. In genere sono ben accolti, applauditi, nulla li disturba perché Awyr è così, il pianeta ideale per chi vuole vivere tranquillo.
In genere nessuno straniero si intromette nell'esibizione, con l'aria di chi ha appena visto cose che la maggior parte dei pacifici di Awyr non saprebbero nemmeno immaginare, chiamando un nome che Shinkai non ha mai sentito - e la loro cittadina è l'esempio di come tutti conoscano tutti, che lo vogliano oppure no.
La musica che stava suonando s'interrompe, ma la prima cosa a cui Shinkai fa caso è come la speranza negli occhi dello straniero si sia spenta nel riconoscere un viso diverso, una persona sconosciuta. Sardinia, con cui Shinkai convive da troppi anni per non notare certe cose, lo guarda prima con la freddezza dettata dalla prudenza, poi da quella che lo contraddistingue soprattutto all'indirizzo di chi non conosce bene e in qualche modo - molto complesso da capire persino per Shinkai - lo destabilizza. Una cosa che Sardinia detesta.
Il pubblico è ammutolito, sorpreso da quell'interruzione quanto loro; Shinkai abbassa lo strumento e fa un passo verso lo sconosciuto, occhieggiandolo e aprendo la bocca per chiedergli di lasciar andare Sardinia. Ovviamente il suo coinquilino ha altri piani.

«I clienti che allungano le mani non sono graditi.» pronuncia infatti «Forse nel tuo paese si può fare.» aggiunge, una provocazione palese. Lo sconosciuto lo lascia subito, quasi fosse stato scottato da quelle parole. Nello stesso momento, Shinkai nota due persone raggiungerlo: il più alto mette una mano sulla spalla dello sconosciuto, tirandolo leggermente indietro e pronunciando qualche parola per calmarlo. La prima cosa a cui Shinkai fa caso è che tra loro non stanno parlando in una lingua specifica di un altro pianeta, ma nel linguaggio comune, quello universalmente riconosciuto come lingua ufficiale del Sistema, adottata per le comunicazioni tra i pianeti. Ne deduce, o almeno ipotizza, che o il ragazzo più alto stia cercando di essere cortese nei loro confronti facendo capire di cosa stanno parlando, o che tra loro non abbiano altra lingua con cui parlare.

Il terzo sconosciuto si sta invece rivolgendo a Sardinia. A Shinkai sembrano in qualche modo simili e, al tempo stesso, molto diversi.

«Scusate, stiamo cercando un compagno di viaggio da cui ci siamo divisi durante un atterraggio di fortuna.» sta dicendo il giovane, alzando la voce abbastanza da farsi comprendere anche dalla parte di pubblico più vicina e facendo in modo di sovrastare il vociare che inizia a formarsi: «Avete dei lineamenti molto simili, ci dispiace avervi interrotti.» aggiunge, dando una breve descrizione, spostando l'attenzione da Sardinia alla piccola folla. Ci vuole poco perché qualcuno tra i più vicini si prenda a cuore la situazione, alcuni già al corrente dell'atterraggio di cui parlano e altri semplicemente solidali, empatici. Awyr è così, Shinkai non se ne stupisce: una pace che dura da tanti secoli comporta per la grande maggioranza del popolo un'assenza di malizia e un grande senso del dovere nei confronti di quella stessa pace faticosamente guadagnata e mantenuta grazie agli sforzi di molti. In parte, Shinkai li capisce. Se guarda il volto dello sconosciuto che li ha interrotti, non fatica a immaginare quanto importante sia per lui la persona dispersa; in compenso lo invidia, e al tempo stesso lo compatisce: deve essere tremendo, essere influenzati in questo modo dall'esistenza di un altro.

La cosa difficile in un pianeta come il loro è ignorare chi ha bisogno di aiuto. I popoli abituati a supportarsi gli uni con gli altri non conoscono l’odio che in genere anima le relazioni di quelle persone che hanno conosciuto la difficoltà di salvare la propria dignità o la propria casa o, nei casi peggiori, la propria vita. Così gli sconosciuti passano dall’essere persone mai viste che hanno interrotto un’esibizione in maniera brusca a persone che hanno bisogno di essere supportate, guidate per la città e per gli isolotti che la compongono, aiutate nella ricerca di un compagno disperso. Quando succede questo anche le persone come Shinkai, tendenti al tenersi lontano dagli affari che non lo riguardano, hanno grandi difficoltà a restare in disparte senza apparire dei mostri senza cuore.
La fama non sarebbe un problema, se non gli permettesse di portare il pane in tavola e se non gli facesse guadagnare rimproveri anche dai bambini del posto, bronci e voci infantili a sottolineare che “il fratellone deve essere bravo, o il Patrono lo metterà in punizione” - una credenza per metà leggenda di una pace di cui non esistono fonti storiche perfette, e un po’ la favoletta per quegli stessi bambini che la usano come arma contro di lui.
Ed è per evitare tutto questo che si è prestato, alla fine. Perché Orion (lo sconosciuto agitato) si è calmato per il tempo sufficiente perché Fang (lo sconosciuto alto) lo allontanasse da Sardinia evitandogli - ma Orion non lo sa - un doloroso primo approccio, nonché ultimo probabilmente. Per quanto Coda (lo sconosciuto giovane) abbia reso piuttosto chiara la propria certezza di potercela fare da solo, Shinkai sa bene quanto gli isolotti di Awyr possano sembrare tutti uguali e quanto labirintica, a modo suo, possa essere quella città. Senza contare quanto sia palese che Orion potrebbe davvero uscire di senno se non ritrovano quel loro compagno perduto, Erin (lo sconosciuto che, al momento, continua a essere uno sconosciuto e basta).
Un po’ rimpiange la sua decisione vedendo come hanno scelto di dividersi - parlare di scelta è molto discutibile, però: nell’istante in cui Orion ha dichiarato il proprio rifiuto all’idea di starsene fermo ad aspettare dei risultati, e Sardinia ha pensato fosse una buona idea lanciare una frecciatina a proposito di come l’altro sarebbe stato in grado di perdersi anche solo per fare il giro di un edificio, Shinkai ha compreso che per nessun motivo al mondo avrebbe dovuto lasciarli da soli. Per la sua pace personale, più che per altro. Così ora cammina fra Sardinia, che lo precede, e Orion che se ne sta non più di un paio di passi dietro di lui.

«Quali altre zone volete controllare?» domanda Orion, il tono impaziente a nascondere solo in parte una preoccupazione sincera che non è in grado di gestire. Shinkai non ha fatto domande su chi sia questo Erin per quei tre stranieri venuti fuori dal nulla, né ha chiesto da quale pianeta provengano. Non ha intenzione di ficcanasare più del necessario, se può evitarlo.
Sente Sardinia sbuffare, poco più avanti, per cui lo anticipa con un: «La zona di attracco delle navi. Stavate facendo un atterraggio di fortuna, avete detto. Potrebbe star cercando anche lui.» spiega in poche parole, voltando un angolo. Davanti a loro si estende una lunga passerella in pietra, sospesa nel vuoto, uno dei tanti ponti a collegare gli isolotti nel cielo; prima di riprendere a camminare - e dato un colpetto sulla spalla a Sardinia per segnalargli la sosta - decide di spiegare una volta per tutte la zona in cui si stanno dirigendo, poco sicuro di riuscire a sedare le battute piccate del proprio coinquilino.
«Passato questo ponte, ci infiliamo in quella galleria.» inizia, indicando davanti a sé un edificio di medie dimensioni, se si considerano molti altri tra quelli che li circondano «Potremmo salire per scrupolo, ma è improbabile sia andato fin lassù: c’è soltanto una piazza minore, mentre per i vari piani ci sono la maggior parte dei magazzini delle attività commerciali della città.» spiega, iniziando a muovere i primi passi. Mentre attraversano il ponte, largo abbastanza da far passare insieme le persone dirette in entrambe le possibili direzioni, Shinkai allunga una mano per indicargli un isolotto molto più grande e la costruzione assai più imponente che esso ospita. Come la maggior parte delle zone galleggianti di Awyr, anche quella si sviluppa in verticale; tra di loro gli abitanti hanno finito con il definire le zone come “giù” e “su” in base alla parte di edificio di cui si parla rispetto ai ponti, che sembrano pugnalare le costruzioni al cuore, sorreggendole e dividendole al tempo stesso. Quell’isolotto in particolare, per quanto non si distingua dagli altri nelle pietre color avorio alternate alle tegole arancio dei tetti, è chiaramente uno dei più importanti della loro città. La parte inferiore a Shinkai è sempre parsa come un monotono ripetersi di piani circolari tutti uguali nella forma e nell’organizzazione, diversi solo per misura - tanto più piccoli quanto più si spingono verso il basso, perdendosi a tratti tra le nuvole passeggere. La parte superiore, invece, è quella ad aver attirato la sua attenzione fin da bambino: sviluppata in verticale in modo irregolare, ora con piccole case di non più di due piani, ora con lunghe torri che sembrano quasi arroccate l’una sull’altra, dando un senso di instabilità e, allo stesso tempo, rendendo chiara l’idea di come anche elementi così diversi riescano a sorreggersi a vicenda alla perfezione, senza crollare su se stessi. Dalla metà esatta dell’isolotto, che loro chiamano “base” perché dove i ponti fanno da collegamento, si diramano in almeno cinque direzioni delle pedane in pietra: «Ognuna di quelle» continua Shinkai quando ormai stanno per entrare nella galleria, perdendo di vista l’oggetto della loro attenzione finché non usciranno dall’altro lato «è per l’accoglienza di navi provenienti dagli altri pianeti. Puoi considerare questa zona una sorta di porto sospeso nell’aria.» conclude, semplificando di molto, cosciente che non si tratti di una descrizione così d’aiuto quando tutte le loro città sono pressoché identiche.
Un intero mondo sospeso che a molti del Sistema è sempre parso fittizio.

Nell’ombra della galleria risuonano i passi di chi l’attraversa. Di solito a quell’ora il via vai è limitato, ed è per questo che Shinkai nota con facilità la fretta con cui gli abitanti si muovono, tutti nella stessa direzione, verso il porto. Affretta il passo, consapevole di come Orion stia adattando il proprio al suo alle sue spalle; anche Sardinia, quando si vede superare fa lo stesso, e in poco tempo sono fuori dalla galleria, di nuovo sotto la luce del sole. La pedana sulla sinistra è libera, la nave che deve essersi appoggiata lì ormai abbastanza lontana e diretta alle mura circolari che delimitano la città; a destra, invece, Shinkai intravede non solo un’altra nave ma anche diverse persone affollarsi. Il vociare è alto, e quando sono ormai vicini, Shinkai ne capisce la ragione: un piccolo gruppo vicino alla passerella per salire a bordo sta discutendo ed è sufficiente notare che due di loro - dell’equipaggio, probabilmente - stanno puntando delle armi contro altre due persone per capire cosa crea la confusione e il perché dell’assenza di qualcuno che intervenga.
Awyr è un pianeta pacifico, dove la maggior parte di chi attracca non ha altri intenti se non scambiare le merci trasportate, fermarsi qualche giorno per riposare e poi partire di nuovo. La loro pace è rispettata dagli altri pianeti, ma il lato negativo purtroppo c’è sempre stato: nei rari casi in cui i guerrafondai li approcciano, convinti di poter fare il proprio comodo, la totale assenza di guerre del loro pianeta si riflette nell’assenza di guardie e guerrieri in grado di sedare senza troppe difficoltà azioni come quella a cui stanno assistendo ora.
Shinkai fa cenno a Sardinia e Orion di rimanere dietro di lui e si sposta, con discrezione, cercando di crearsi uno spazio sufficiente a passare senza dare nell’occhio; quando è a portata d’orecchio e di occhi, non gli risulta difficile riconoscere uno dei due ostaggi. L’altro, invece, gli è del tutto sconosciuto. Gli basta sentire Orion irrigidirsi subito dietro di lui, e sibilare una parola incomprensibile che Shinkai è abbastanza sicuro sia un’imprecazione, per intuire che il giovane ostaggio deve essere il compagno disperso. Con una mano, Shinkai cerca il braccio di Orion, stringendo le dita attorno al suo polso come un monito.
Ovviamente Sardinia ha un’idea del tutto diversa su come approcciare la situazione. Oltrepassa sia lui che Orion, schiena dritta e sguardo puntato sui due che sbraitano sulla folla di non fare mosse azzardate. Shinkai non allunga la mano per fermarlo solo perché attirerebbe ancora di più quella stessa attenzione che in breve tempo è tutta su Sardinia. I due mercanti - o mercenari, Shinkai non ne è sicuro - sembrano confusi: se dalla somiglianza tra Sardinia e il ragazzo dai capelli rossi, o dalla figura di Sardinia che risulta spesso tutto fuorché minacciosa, non è chiaro.
Uno dei due abbassa di poco l’arma, ma non abbastanza da far sospirare di sollievo la folla, e si sposta di un passo verso Sardinia; sul viso l’espressione quasi trionfante tradisce la totale assenza di prudenza. Non percepisce minaccia, si vede da come i muscoli sono appena più rilassati all’altezza delle spalle.
Sardinia lo guarda, fermo. Sembra studiarlo, le braccia lungo il corpo; anche l’uomo, di una spanna abbondante più alto di lui, lo osserva con l’aria di chi sta vagliando la possibilità di avere ben tre prigionieri per uno scambio da mercato nero.
«Potreste smettere di dare spettacolo e lasciare il porto?» domanda Sardinia con la pacatezza di chi ha pieno diritto su ogni singola tegola di ogni edificio della città. Come c’è da aspettarsi, l’uomo di fronte a lui scoppia a ridergli in faccia - Shinkai ha quasi pena per lui, un po’ perché sembra il cattivo cliché di una delle ballate che ha studiato da ragazzino e un po’ perché Sardinia è l’opposto di quello che sembra. Specialmente l’aspetto angelico.
«E lasciar andare i due ostaggi.» aggiunge, quasi la risata non l’avesse nemmeno sentita. Shinkai - purtroppo - conosce il modo di fare di quel ragazzino più giovane di lui, sa bene cosa si prova a sentire i nervi cedere di fronte alla pedante, arrogante dimostrazione di piena sicurezza nei propri mezzi che è la facciata che Sardinia preferisce di sé. E’ difficile, quindi, sorprendersi del cambio repentino di espressione nel mercante: non più divertito, ma seccato. I muscoli delle spalle sono di nuovo tesi, l'arma di nuovo più vicina al collo del ragazzo. Dietro di sé, Shinkai sente il metallo della spada di Orion fare un lieve rumore, segno di una lama che sta venendo estratta dal fodero.
Sardinia lo precede. In un attimo si piega sulle gambe agili, chiude la mano in un mezzo pugno - le nocche piegate e il palmo libero, il polso rigido - e in un attimo assesta un colpo sotto il mento del mercante. Quello, colto di sorpresa lascia andare l’arma portandosi la mano alla bocca, l’espressione dolorante e un verso gutturale di lamento. Sardinia allunga la mano, afferrando il giovane e tirandolo verso di sé, quasi portandoselo alle spalle mentre l’altro mercante ha ormai lasciato andare il suo ostaggio e quasi torreggia sul “ragazzino insolente” con cui lo apostrofa mentre alza il braccio muscoloso con il chiaro intento di caricare il colpo, per poterlo abbassare con violenza sul viso di Sardinia. Shinkai stringe la mano sullo strumento musicale riposto nel fodero finora, ma Orion è già scattato in avanti e la sua spada passa sopra la spalla di Sardinia, finendo col fermarsi a sì e no un paio di centimetri dalla gola del malvivente. Shinkai è quasi certo che anche senza la minaccia della spada, l’espressione sul viso di Orion debba essere terrificante se riflette il gelo che sente nelle poche parole che pronuncia.
«Giù l’arma.» sibila. Il modo in cui si tiene vicino il ragazzo dai capelli rossi liberato da Sardinia, suggerisce a Shinkai tutto ciò che avrebbe potuto scoprire chiedendogli che rapporto ci fosse tra loro. Il mercante abbandona l’arma, lasciandola cadere a terra con un suono metallico che si infrange contro la pietra.
«Sulla nave. Fatti rivedere qui e ti spedirò personalmente giù dal ponte.»

Quello non se lo fa ripetere due volte - Shinkai ringrazia che, in fondo, i mercanti siano creature furbe e che la loro priorità sia la propria pelle -, recupera il compare alla meno peggio e se lo trascina su; tolgono la pedana e si adoperano per andarsene.  Mentre la folla che si era radunata esulta e si rallegra per gli ostaggi liberati, Shinkai vede Orion rinfoderare la spada e rilassare finalmente i lineamenti, sollevato, le mani entrambe portate sulle spalle del ragazzo più giovane che abbozza un sorriso, e gli assicura che è tutto a posto, non è ferito.
Sardinia li guarda entrambi, per una manciata di secondi. Poi passa oltre, per tornare sui suoi passi e degna Orion di poche parole: «Potevo farcela da solo.»

La stanza è vuota a eccezione di lui. Il lungo tavolo al centro è libero, tranne per un oggetto; la finestra sul lato sinistro è aperta, lasciando entrare la leggera brezza notturna, e l’unica fonte d’illuminazione è il modello del Sistema poggiato sulla superficie in legno. I sei pianeti più importanti galleggiano a mezz’aria, sostenuti da una semplice magia che rende più verosimile quel modello; il satellite dove lui si trova è un punto che quasi passa inosservato. Lo guarda sorridendo come si farebbe nell’osservare il proprio più grande tesoro.
Specialmente quando la luce di uno dei pianeti si affievolisce un po’ di più.
La porta si apre, lasciando entrare l’unica persona con abbastanza coraggio da varcare la soglia senza annunciarsi - l’unica nella posizione di farlo. Non ha bisogno di alzare lo sguardo e controllare di chi si tratti, perciò i suoi occhi rimangono su quella stella che perde luce, perde vita. Una gioia crudele gli riempie il petto, raschiando la gola con una risata che soffoca, così che il retrogusto gli rimanga impresso, perché possa assaporarlo più possibile.
Dall’esterno, l’eco di alcune urla arriva così fievole da sembrare un gioco del vento.
«E’ stata una serata proficua.» afferma, con l’assoluta certezza non soltanto di essere compreso dal suo interlocutore, ma di aver ragione. Il modello del Sistema che cura con la stessa amorevolezza di una madre con il proprio bambino è lo specchio di tutto ciò che nel Sistema accade. Il “pianeta delle Stelle” ha la luce più potente di tutte e, per questo, vederla affievolirsi lo riempie di un piacere che pochi potrebbero ottenere, quasi nessuno comprendere.
«I pilastri sono forti, e questo è più ostico degli altri.» commenta con una nota seccata l’altro, fermo vicino l’ingresso, quasi rifuggendo quel Sistema in miniatura ancora troppo luminoso, per lui. Non si preoccupa del silenzio che segue, riconoscendo una frase in attesa, un sospiro quasi impercettibile ma soddisfatto.
«Ma cadrà.» aggiunge infatti l’uomo. E’ come sentire Dio pronunciare un giudizio assoluto.
«Cadono tutti, prima o poi.»

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