Prompt: warnings (au, angst, lemon)
Missione: M1
Parole: 1224
Warnings: pwp, major character death, shinigami!ramuda, ramujaku
Non è così che Ramuda se l’era immaginato. Anni da Shinigami - secoli come angelo della morte, anche se lui preferisce di gran lunga essere chiamato dio - gli hanno insegnato quasi tutti i segreti del mestiere: non affezionarsi all’umano che si segue, in primis; tenerli d’occhio una volta individuati dalla lista quelli di propria competenza di cui dovranno assistere la morte prima di poterne recuperare l’anima, essere osservatori super partes per i loro ultimi sette giorni di vita dopodiché attendere che siano lì a esalare l’ultimo respiro e via, prelevarne l’anima. Ramuda ha visto molte anime nere, pochissime bianche, la maggior parte grigie; la sfumatura di quella di Jakurai è una delle più strambe che lui abbia mai avuto modo di sbirciare prima di averla materialmente tra le proprie mani: un’anima di un grigio chiarissimo - la cosa più vicina a una bianca, di solito prerogativa quasi unicamente dei bambini - con un nucleo nero come la pece. La prima volta che l’ha vista, a Ramuda ha ricordato un buco nero e si è chiesto, divertito, se avrebbe continuato a espandersi fino a inglobare quanto di bianco era rimasto. Sono bastati due giorni a osservarla, però, per capire che non sarebbe successo; si è persino preso la briga di assumere forma umana per passare del tempo con la sua vittima, vedere di scatenare qualche reazione in lui, ma il medico non ha mai fatto nulla di eclatante. Il massimo è stato veder tremolare quel nucleo nero un paio di volte, senza poter però ricollegare la cosa a qualche ragione particolare.
Assolutamente noioso, ecco cos’era stato.
«Eeeeh, non ci sono leggi che ci vietano di divertirci con gli umani di cui aspettiamo la morte!» ha obiettato con Juto, l’unico collega che non ha ancora del tutto snervato - forse perché Juto è troppo stanco di tutto e tutti «L’importante» ha proseguito «è che io non gli faccia venire voglia di vivere o che non gli salvi la vita per sbaglio!» ha sottolineato divertito.
«Nessuno è così disperato da farsi venire voglia di vivere grazie a te, Amemura.»
Ramuda ha riso.
Il corpo di Jakurai sotto di lui è caldo e sudato e Ramuda lo sente tremare appena ogni volta che lo tocca. Rispetto a lui quel medico è un gigante - colpa sua, naturalmente, Ramuda non vuole sentire nemmeno ipotizzare da uno così che sia lui a essere troppo esile e minuto, anche se è vero. Soprattutto perché sa essere vero.
Gli dà un senso di infantile superiorità essere sopra a un uomo così tanto più grande di lui, sia come età apparente che come prestanza fisica e sentirlo sciogliersi ai suoi tocchi e alle sue attenzioni, mosso dall’istinto più vecchio del mondo che forse qualcuno si aspetterebbe sopito in un dio della morte e che invece Ramuda ricorda bene.
Spinge dentro Jakurai e lo sente quasi vibrare di piacere, i lunghi capelli ormai una matassa sparsa su tutto il letto in modo confuso, disordinato; Ramuda ne prende una ciocca tra le dita e tira, né troppo piano né troppo forte, mentre si spinge dentro di lui ancora, e ancora. Jakurai lo guarda in un modo che con gli amanti non ha nulla a che vedere: lo accusa, lo desidera, lo disprezza ma non lo allontana, come se tutto sommato si stesse sacrificando per qualcuno anche ora che è in punto di morte.
A Ramuda fa venire il voltastomaco ma, al tempo stesso, vedere quella macchia scura dell’anima di Jakurai allargarsi anche soltanto un poco, divorare quello che di buono è rimasto nell’uomo, lo esalta e lo eccita come solo la caccia alle anime riusciva a fare un tempo.
«Inutile che mi guardi così.» gli rimbecca con soddisfazione, fermandosi per un istante con il solo scopo di dargli un unico momento di falsa pausa, di artificiale respiro, per poi affondare all’improvviso più di quanto non abbia fatto fino a quel momento. Jakurai si tende sotto di lui, lo sente allargare le gambe per un istante e poi stringerle di nuovo attorno ai fianchi del dio della morte, forse per provocarlo volutamente o magari solo d’istinto, senza potersi controllare.
«Odio gli umani come te.» sibila «Volete sempre, sempre redimervi quando siete vicini alla morte e cominciate ad avere paura di aver avuto una vita inutile, o che non finirete in paradiso. Troppo comodo, no?» lamenta - lui non ci ha provato nemmeno quando è toccato a lui, e anche se lo avesse fatto lo sa che non sarebbe mai stato perdonato. E dopotutto, non sentiva di doversi far perdonare nulla.
«Siete così ipocriti e patetici.» sibila ancora, tirando appena di più i capelli e vedendo il volto di Jakurai sfigurato da un misto di accenno di dolore e di piacere quando si spinge in lui con un’angolazione leggermente diversa e, è chiaro, tocca il suo punto erogeno. Jakurai si tende, ancora, mentre l’orgasmo lo coglie ma il gemito si perde nella bocca di Ramuda.
Non c’è nemmeno un vago accenno di amore in quello scambio - e come potrebbe? Ramuda non ha amato in vita, non comincerà certo ora e con quello che è poco più di un divertente quanto momentaneo passatempo. Ciò che il dio della morte vuole sentire è solo il sapore dell’anima che entro qualche ora avrà, letteralmente, tra le mani.
Gli occhi chiari vagano sullo specchio dal quale è possibile, per loro, spiare nel mondo umano alla ricerca di una serie di volti da associare ai nomi di una lista i cui numeri sono sempre fin troppo elevati. L’espressione annoiata, mentre dondola infantilmente i piedi avanti e indietro, non può che scattare quando un rumore di passi tradisce l’arrivo di qualcuno. Impiega una manciata di secondi irrisoria a inquadrare Juto, l’aria appena seccata nel sistemarsi gli occhiali da vista sul naso e nel passo quasi marziale che ha nell’avvicinarlo. Ramuda gli rivolge un sorriso divertito e impertinente, ma senza una sfumatura più precisa di quella - non sa perché è lì, ma è divertente di default vedere Juto così visto che non succede spesso.
«Brutta giornata?» lo vezzeggia, quasi canzonatorio, vedendo gli occhi dell’altro focalizzarsi su di lui con lo stesso impeto che avrebbero se Juto avesse la certezza di potergli dare fuoco solo così.
Ops.
«Sarebbe brutta anche la tua, se il capo ti avesse tenuto due ore in ufficio per lamentarsi delle condizioni disastrate delle ultime anime arrivate.»
«Oh, la neesan era così arrabbiata?» canticchia, fiele dolciastro nel suo tono quanto sulle sue labbra, incontrando il disappunto - nascosto bene, ma non abbastanza - sul viso di Juto.
«L’anima del tuo medico, comunque, l’ho trovata e l’ho vista.» cambia discorso l’altro, guardandolo di sottecchi. Ramuda non riesce a trattenere un verso disgustato.
«Non chiamarla così, mi disturbi.» si lamenta con un tono così infantile da non poter essere altro che falso «E quindi?» lo incalza, però. Non riesce ad attendere troppo di sapere le sorti di quell’anima.
«Dannata.» pronuncia quell’unica parola, Juto, come una sentenza «Negli ultimi istanti di vita la sua parte oscura sembra aver preso il sopravvento. Strano visto l’andamento degli ultimi anni, ma pare che possa succedere.» taglia corto con una spiegazione diretta e impersonale, tornando alle sue scartoffie con l’espressione che è già la noia che sempre lo contraddistingue.
Non visto, il volto di Ramuda si deforma in un’espressione di puro piacere ed euforica vittoria.