hakurenshi: (Default)
[personal profile] hakurenshi

Fandom: originali
Prompt: Immagine 1 (m2)
Parole: 2570
Rating: pg13
Warnings: stupidità a palate. Humor, nonsense. Jerrica be strong.



Jerrica sapeva che il suo era un lavoro duro, ma sapeva anche di essere vitale per tante persone nel suo luogo di origine. Certo, a volte era un mestiere ingrato, consegnare la felicità: quando non ci si riusciva, infatti, le persone tendevano ad abbandonarsi alla disperazione e alla rabbia e alla delusione, quindi se la prendevano con Jerrica e i suoi colleghi. Per fortuna il fatto di non parlare faccia a faceva sì che si riuscissero a evitare spiacevoli incidenti, ma gli insulti, le ingiurie erano spesso all’ordine del giorno. Rimanere felici, e soprattutto con il desiderio di continuare a far sì che la felicità raggiungesse tutti in egual misura, non era semplice ma Jerrica teneva duro.

C’erano giorni più semplici e giorni più duri, ma la cosa davvero importante era non arrendersi.

Il telefono squillò e Jerrica lo guardò per un momento; quando arrivava una chiamata dietro l’altra era ancora più difficile, ma lei mise in moto la sua piccola routine: prima di tutto, si sedette ben dritta sulla sedia. Poi, subito dopo, si assicurò di avere la sua tisana calda e appena recuperata dalla cucina - perché, in periodo di quarantena, si era costretti a lavorare da casa quando si poteva - e infine, poco prima di spingere il pulsante che le avrebbe fatto prendere la chiamata, allungò una mano per accarezzare il morbido pancino del furetto di peluche che teneva vicino allo schermo del computer.

Quasi rischiò di perdersi nella meravigliosa sensazione di soffice sotto la sua mano, ma grazie alla tanta esperienza maturata, riuscì a non perdere la chiamata.

«Salve sono Jerrica della linea di supporto “Felicità è a un passo da te”, in cosa posso esserle utile?»
Dall’altra parte il silenzio l’accolse per un attimo; non era raro che qualche chiamata cadesse nonostante lei o i suoi colleghi riuscissero a connettersi, ma le sembrava di sentire un respiro dall’altra parte. Di lì a poco, infatti, una voce spezzata gli parlò.

«Signorina...»

Sembrava così disperato! Era la voce di un maschio, senza dubbio, forse nemmeno molto grande. Così a naso non avrebbe azzardato a dargli più di ventitré, ventiquattro anni.

«Sì, mi dica…?» cercò di suonare ancora più cortese, sorridendo per abitudine anche se era ben conscia di come l’altro non potesse vederla. Un sospiro sconsolato la raggiunse prima della risposta.

«Chiamo perché… avevo fatto un ordine.» comincia lentamente a spiegare e Jerrica, con pazienza, lascia che prenda il suo tempo «Si trattava dell’ultima cosa che mi mancava per realizzare qualcosa di… di molto importante. Signorina, lei ha mai desiderato di essere diversa da come è?»

La domanda la colse alla sprovvista, sia perché molto di rado le rivolgevano domande personali, sia perché non sapeva bene cosa rispondere o se rispondere. Non si sentiva a suo agio a parlare di sé con gli sconosciuti, specie senza poterli guardare negli occhi, ma alla fine decise che avrebbe potuto inventare qualsiasi cosa e il cliente non l’avrebbe mai saputo. Poteva sembrare sleale ma, in fondo, quando chiedevano queste cose era per cercare di avvicinarsi in qualche modo, di instaurare un contatto empatico; non gli interessava davvero sapere gli affari suoi.

«Non lo abbiamo forse sognato tutti?» disse quindi, anni di fanfiction piene di cliché a venire in suo soccorso. Non di rado l’avevano salvata, anche in passato. Era sempre così, con quelli che non bazzicavano l’ambiente fandomico: usavi una qualsiasi cosa che chiunque del giro avrebbe smascherato in un secondo, e loro non sospettavano niente.

Comunque, come volevasi dimostrare, all’altro bastò sapere che in teoria lei poteva capirlo.

«Bene.» sembrò prendere il coraggio necessario a proseguire con la sua confessione inconfessabile «Avevo ordinato questa cosa… ed è arrivata oggi. Non sa la gioia, era l’ultimo giorno utile, se fosse arrivata domani avrei dovuto aspettare almeno un altro mese.» disse sofferente alla sola idea. Jerrica rimase ad ascoltare.
«Ho aperto il pacco felice, come non sono mai stato, e quando ho visto il contenuto… orrore
«Non era quello che ha ordinato?»
«Era diverso.» rispose, senza riuscire a celare la delusione nella voce, quanto si sentisse tradito. Capitava di rado, ma Jerrica riusciva anche a mettersi nei panni altrui a volte: chi avrebbe mai voluto ordinare la felicità e non vederla arrivare come l’aveva scelta, modellata, immaginata?

«Però» sentì riprendere il ragazzo, a fatica, forse per nulla aiutato da quello che sembrava il principio di un nodo in gola «l’ho aperto. E l’ho provato, sa, perché mi sono detto: puoi lasciar andare tutto così? Senza tentare? Lo avrei rimpianto per tutta la vita.»

Jerrica aggrottò la fronte. Se davvero lo aveva provato e nonostante questo non andava bene… era impossibile prenderlo indietro. Non potevano consegnare poi in futuro, a un’altra persona, la felicità usata di un altro a prescindere dalla forma che questa avesse al momento e da quanto fosse simile a quella che un giorno questa fantomatica altra persona avrebbe potuto chiedere.

«E alla fine… andava bene?» tentò, pur sapendo bene la risposta ancora prima di udirla.

«No!» l’altro replicò con più enfasi. Jerrica comprese che era vicino al crollo e, dunque, comprese di dover fare la domanda scomoda preparandosi a tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

«Signore, devo chiederglielo a questo punto.» fu la premessa, cortese ma decisa «Cosa ha ordinato, aperto e provato?»

Un breve silenzio preannunciò la tragedia. Lo sentì scoppiare in lacrime subito dopo aver ululato - mentalmente una scelta lessicale molto discutibile - un «LENTI PER LICANTROPI.»

Jerrica dovette fermarsi. La sua mano si avvicinò al furetto, ma senza ancora toccarlo. Forse poteva farcela anche da sola.

«Mi perdoni» si schiarì un poco la voce «cosa intende precisamente per lenti da licantropo?»
«Lenti a contatto per vestirmi da licantropo!» ribadì lui, ormai un pianto disperato dall’altra parte della cornetta digitale che erano in realtà le cuffie di Jerrica «Avevo preso queste lenti, erano perfette, il design che volevo. Desidero essere un licantropo da tutta la vita, capisce, tutta la vita!» lo sentì tirare su con il naso, un rumore un po’ disgustoso, ma non era il caso di farglielo notare e soprattutto, se anche avesse potuto farlo, non adesso. 

«Il venditore era affidabile, così le ho ordinate. Ho fatto dei calcoli matematici, sa? Contato i chilometri tra me e il venditore dopo averlo cercato in internet, simulato che il pacco si potesse muovere con un furgone e dunque quanto avrebbe potuto macinare mantenendo una velocità costante, togliendo il tempo perso ai caselli, e le fermate obbligatorie. Mi ero tenuto un buon margine, ben cinque pause autogrill in una giornata mi sembrano anche troppe e poi i pasti e magari qualche ora di sonno ipotizzando che non avesse un co-pilota come nei film! Capisce, signorina Jerrica, cosa le sto dicendo? IO IN MATEMATICA E FISICA HO AVUTO IL DEBITO PER CINQUE ANNI EPPURE HO FATTO TUTTO QUESTO DA SOLO.» e via, lacrime su lacrime, la disperazione sempre più grande. Quella era il tipo di chiamata che un novellino non avrebbe non solo mai saputo o potuto gestire, ma che lo avrebbe annientato. 

Prendere coscienza di non essere infallibili era una cosa, ma capire di poter distruggere una persona senza essere in grado di fare niente per rimediare… quello ti spezzava. A volte per sempre.

«Ed era andato tutto bene, tutto bene… poi le ho aperte. Ho guardato la bottiglietta, ed erano secche, ma lei mi capisce vero? Cosa avrebbe fatto lei se avesse dovuto scegliere tra rinunciare al sogno senza nemmeno tentare o soffrire, sacrificarsi un po’ per farcela?»

Jerrica avrebbe voluto dirgli che mai nella vita avrebbe messo nei propri occhi, peraltro molto sensibili, delle lenti palesemente troppo secche. Ma evitò, perché avrebbe potuto fare qualche gesto sconsiderato al telefono con lei e non era così che voleva finire il suo turno di lavoro - e la sua carriera, se i capi avessero scoperto che aveva spinto (volontariamente o meno) una persona a un gesto sconsiderato.

Johnny, il suo collega, aveva fatto una battuta con un cliente che sembrava in ripresa e quello aveva mangiato dieci chili di yogurt fino a finire dal medico per problemi intestinali. Una brutta storia, e Johnny? Sparito, dall’oggi al domani.

C’era chi diceva che adesso spalava letame in campagna dai suoi.

«Però, vede-»
«E alla fine le ho messe, quindi, ma mi si sono subito arrossati gli occhi e ho dovuto toglierle.» proseguì tra i singhiozzi «Io non lo so, signorina Jerrica. Ormai un altro paio non arriverà mai in tempo» quasi poteva sentire le sue lacrime infrangersi contro l’impietosa superficie del tavolo «ma devo almeno liberarmi di queste restituendole. Quel venditore ha infranto il mio sogno, capisce? La prossima Luna Piena è così lontana...»

Jerrica tacque. La situazione era grave e, dopo molti anni dal suo apprendistato, non era sicura di saperla gestire al meglio o di avere tutte le risorse per farlo. La decisione, la scelta delle parole era già di norma un processo molto delicato ma a questo punto lo era ancora più di prima. 

«Ascolti» disse mentre con la mano arrivava, infine, a toccare la pancia morbida del furetto di peluche. Ne avrebbe avuto molto bisogno. «purtroppo, vede… io capisco la sua perdita» cominciò con cautela «tuttavia, il suo acquisto… è un tipo di prodotto che, una volta aperto e utilizzato, non si può riconsegnare. Capisce… nessuno potrebbe mai ordinarlo o metterlo.» proseguì, attenta a pesare ogni singola sillaba che stava uscendo dalla propria bocca. Inspirò, sentendo il silenzio dall’altra parte.

Poi, all’improvviso, il pianto disperato che si era chetato da poco esplose di nuovo in tutta la sua forza.

«NON PUO’ ESSERE» esclamò il giovane dall’altra parte, riuscendo miracolosamente a essere ancora comprensibile tra il pianto e i singhiozzi e il respiro affannato «Lei deve aiutarmi, signorina Jerrica! Io-- io devo riconsegnarlo! Capisce cosa significherebbe per me tenerlo in casa? Ogni giorno, fino alla prossima Luna Piena, lo vedrei qui e penserei a questo momento, alla delusione, alle sconforto… non penso di farcela, signorina Jerrica. Siamo in quarantena, non posso uscire, non posso far venire nessuno a sostenermi… non sono così forte. Già questa chiamata-»

«Un momento, un momento» lo interruppe cercando di mantenere un tono confortante «non sia precipitoso. Pensi, invece, a quale fortuna ha avuto seppure nella tragedia.»

Lo sentì calmarsi, almeno un poco, pian piano; sembrava confuso, lo sarebbe stata anche lei, specie perché a questo punto l’unica cosa che le era rimasta da fare era sfruttare ciò che l’esperienza le aveva insegnato in tanti anni, una tecnica che però - come ci si poteva aspettare, essendo l’ultima spiaggia in situazioni come quella - era complessa e necessitava di tanta pratica alle spalle. Bisognava farla con convinzione, però. Gli inglesi dicevano go big or go home, e Jerrica lo capiva.

Non potevi cominciare a usare la tattica della supercazzola e non portarla a compimento contro tutto e contro tutti.

«Cosa… cosa intende dire?» gli sentì chiedere e sospirò. Forse aveva una possibilità.

«Mi perdoni, innanzitutto, posso chiederle come si chiama?»
«Gianfredo.»
«Bene, signor Gianfredo.» riprese «Mi dica, di che colore sono i suoi occhi?»
«Azzurri...» replicò quello confuso. Andava bene: più si confondevano, più la supercazzola funzionava.

«Quindi un colore chiaro, occhi  molto delicati.» disse Jerrica «Capisce, signor Gianfredo? Se lei non avesse notato il rossore, non si sarebbe accorto che la rigidità di quelle lenti non andava bene. Le avrebbe messe, tenute tutta la notte mentre ululava alla luna.»
«Beh, sì, ma-»
«Avrebbe scoperto troppo tardi che forse quelle lenti potevano provocarle danni agli occhi. E alla prossima Luna Piena...» assunse un tono più grave «si sarebbe davvero potuto godere la prossima Luna Piena, a quel punto?» concluse, rimanendo in attesa.

Se questa non funzionava… sarebbero stati grossi guai. Sentendolo incerto, diede un’ultima spintarella. Go big or go home, si disse.

«Quindi forse, se anche avesse il pacco in casa» lasciò perdere di consigliargli di buttarlo, era chiaro che ora, sconvolto e in lacrime e spezzato dal dolore non riuscisse a ragionare con lucidità «le ricorderebbe di una piccola delusione che è un prezzo da pagare per la gioia di domani. Delle prossime Lune che verranno.»

Aveva dato tutto. Jerrica sapeva che se Gianfredo avesse rifiutato questa sua spiegazione, non ci sarebbe stato più nulla di adatto per convincerlo.

Per lunghi, interminabili istanti, Jerrica pensò di avercela fatta; quando però la voce di Gianfredo risuonò nel suo auricolare, capì dal suo pianto che no: non c’era speranza.

«Signorina Jerrica!!!» esclamò, la cornetta del telefono tra le mani, la disperazione a colorare il suo tono di mille sfumature diverse, oscure «Senza queste lenti non posso essere me stesso! Lei lo capisce, vero? Lei non voleva fare la centralinista di gente stupida da piccola, vero? Aveva un sogno! Ne sono certo! Aiuti me a coronare il mio sogno! Cominci con il liberarmi di questo oggetto, mi lasci vivere nella speranza e non nel rimpianto! La prego!»

La povera Jerrica stava per gettare la spugna quando un “dlin” che lei poteva sentire, ma Gianfredo no, attirò la sua attenzione; era la notifica della messaggistica della piattaforma lavorativa, dove gli operatori una volta vicini e ora costretti alla distanza dalla quarantena che li vedeva lavorare ognuno a casa sua utilizzavano per aiutarsi. 

Aprì con un veloce clic di mouse la finestra di dialogo e vide il nome di Pancrazio digitare un ulteriore messaggio oltre quello mandato.


Pancrazio scrive: come va? Appena chiuso una chiamata felice!


Digitò velocemente, mentre lacrime e disperazione si consumavano dall’altra parte della sua chiamata.


Jerrica scrive: solo disperazione.
Pancrazio scrive: davvero? Che è succ? Tutto appost’?
Jerrica scrive: ma che ne so, Pancrà. ‘na follia. C’ho sto disperato che voleva fa’ il licantropo stasera e mo non può e giù, saranno cinque minuti che piagne in ‘sta cazzo di chiamata, ma perché a me.
Pancrazio scrive: ma serio dici? E la supercazzola?
Jerrica scrive: lascia sta’. Ti scrivo dopo.


«Quindi la prego, signorina Jerrica! LA PREGO.» supplicò ormai distrutto nel corpo e nello spirito il povero Gianfredo.

Jerrica non poteva fare altro. Sapeva che sarebbe stato inutile inoltrare la richiesta al venditore, ma a questo punto… e poi mancavano tre minuti alla chiusura del turno, e sì lei aiutava gli altri a vedersi consegnata la felicità ma voleva essere felice anche lei, e questo significava staccare dal lavoro, spegnere la postazione improvvisata fino al giorno seguente, mangiare cose grasse e guardare il nuovo drama BL in tv.

E poi, a essere sincera… era stata colpita dalle sue parole. Poche, ma c’erano state, ora non si ricordava dove e quando. 

«La prego... » ripeté ancora una volta, mesto, Gianfredo «Non mi costringa a rimanere in chiamata finché non sarò certo di non fare una sciocchezza se lasciato da solo...»

Jerrica tacque, un nodo alla gola a impedirle di rispondere - professionale e cortese come la sua azienda la voleva - a quella sincerità disarmante, a quel fuoco in lei ormai spento da tempo, ma soprattutto all’idea di ore e ore di smocciolata in viva voce anziché della gayness che meritava.

«Ebbene, io l'aiuterò. Le sue parole mi hanno convinta.» disse - bugiarda! - al giovane sperando di fermare le sue lacrime e soprattutto quel delirio.

«Tuttavia,» si concesse quella piccola, microscopica libertà «con i tempi che corrono, credo comunque che la parola CORONARE - anche se riferito a un sogno - sia una scelta del lessico infelice.»

Avrebbe avuto i suoi maledetti gay. Magari se li sarebbe pure sognati furry e che ululavano alla luna, dopo questa storia del licantropo. 

Profile

hakurenshi: (Default)
hakurenshi

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
6789101112
1314151617 1819
20212223242526
27282930   

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jun. 28th, 2025 07:47 am
Powered by Dreamwidth Studios