Impasse (week 2, m1)
Feb. 25th, 2022 11:36 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Prompt: punto di non ritorno
Missione: M1 (week 2)
Parole: 2171
Rating: gen
Warnings: spoiler manga (personaggi), confession
Se anni fa gli avessero chiesto se pensava avrebbe frequentato l’università, Sigma avrebbe risposto che era stato già abbastanza fortunato da avere un tetto sopra la testa per poter pretendere una cosa simile. D’altra parte è sempre stato abbastanza convinto che sarebbe potuta andare molto peggio a qualcuno che, come lui, è stato figlio di nessuno da quando ha memoria. Poi, come se un orfanotrofio con una direttrice pronta a tutto per i suoi ragazzi non fosse stato abbastanza, Sigma ha esaurito tutta la sua fortuna - o almeno lui crede - quando Atsushi è entrato nella sua vita.
Si ricorda bene quando Atsushi è arrivato, un corpo minuto di neanche nove anni che si portava dentro più terrore di quanto avrebbe dovuto. Sarebbe dovuto essere difficile per entrambi fidarsi a sufficienza da potersi avvicinare, senza passato uno, con anni di abusi alle spalle l’altro - invece si sono ritrovati con una naturalezza inaspettata a condividere un letto prima, una stanza poi e ogni più piccolo segreto senza accorgersi di quel miracolo.
Sigma ha impiegato cinque anni a capire di provare un sentimento romantico per lui. A Gogol sono bastati cinque minuti. A volte è grato di averlo conosciuto non appena iniziata l’università; altre pensa sia un tentativo dell’universo di ricalibrare il suo flusso karmico.
«Ah, Sigma, Sigma. Mio adorabile amico.» pronuncia Gogol scuotendo la testa nell’apprendere che no, Sigma non si è dichiarato. Non ancora. Ma se è per quello Sigma crede di non aver nemmeno deciso se voglia davvero farlo.
Gogol gli ha dato appuntamento alla caffetteria meno affollata delle tre che gravitano intorno all’università. E’ un posto carino e accogliente, luminoso e ben arredato, un locale in cui persone come Gogol sembrano essere sempre e immancabilmente a loro agio, come se fossero nate per stare in una sala a sorseggiare tè. La treccia gli scivola morbida sulla spalla sinistra e l’abbigliamento è impeccabile. Irradia una sicurezza nei suoi mezzi che per uno come Sigma è impensabile.
Da quando Gogol lo ha avvicinato senza che Sigma potesse davvero impedirglielo hanno avuto diverso tempo per conoscersi e, arrivati a questo punto. Sigma crede di essere quantomeno riuscito a individuare delle implicite regole di sopravvivenza fondamentali.
Primo: è del tutto normale, a volte, avere la sensazione che Gogol voglia ucciderti nel sonno. A dispetto di ciò, non si sporcherebbe mai i vestiti e, se volesse commettere un crimine, forse cercherebbe di nasconderlo. Spera. In questo caso restare in posti mediamente affolati dovrebbe essere sufficiente.
Secondo: Gogol si infastidisce e irrita facilmente. Un momento prima sembra entusiasta di qualcosa che, l’attimo dopo, lo ha già annoiato ed è una ragione di irritazione. In quelle fasi Sigma ha imparato a modellarsi sull’umore di Gogol perché stare dal suo lato buono è decisamente meglio che stare da quello cattivo. La vendetta di una persona può avere conseguenze negative, ma quella di Gogol teme potrebbe essere terrificante.
Terzo: a discapito del punto due, Gogol ha fissazioni che possono durare mesi interi. Ad esempio, il suo interesse per la presunta situazione romantica di Sigma. Da quando se ne è accorto non c’è stato un giorno in cui non si sia informato riguardo quella dichiarazione che Gogol pensa essere imminente e che, invece, Sigma vorrebbe avere la forza di dirgli che non avverrà mai.
«Allora?» lo incalza Gogol dopo aver abbassato la tazza di tè da cui ha sorseggiato la bevanda calda fino a ora «Quali novità hai da raccontarmi?»
Lo guarda con il malcelato entusiasmo di chi sta evitando di tempestarlo di domande solo per fingere di avere una decenza. Sigma vorrebbe poter evaporare sul posto, ignorando l’imbarazzo che prova e il profondo disagio di fronte al pensiero che Gogol sia il suo… confidente sentimentale. Abbassa lo sguardo sul piattino con la fetta di torta ordinata poco prima, la forchettina nella sua mano che pungola la punta sporcandosi di crema di cioccolato.
«Non molto…» mormora, percependo lo sguardo di Gogol su di lui tanto quanto il suo giudizio. Il sospiro che sente uscire dalle labbra del suo interlocutore preannuncia già qualcosa di molto specifico, ossia lo scatenare quella parte di Gogol che a volte fa venire voglia a Sigma di nascondersi. La sua unica certezza è che alla fine della giornata gli saranno stati dati almeno dieci consigli e lui non avrà la forza di seguirne neanche uno.
«Lascia che ti spieghi come uscire da questo fastidioso impasse, Sigma.»
*
Non vuole credere di aver ceduto ed essersi lanciato in questa situazione senza un paracadute che lo salvaguardi un minimo dal fallimento totale a cui è destinato. Lui e Atsushi hanno l’abitudine di vedersi quando gli orari glielo concedono, ossia principalmente quando Sigma non ha lezioni e Atsushi è libero dal lavoro che ha scelto di fare al posto dell’università. Ne hanno parlato tanto, mentre Sigma intimamente sperava di poter condividere anche quello con Atsushi, come una piccola scialuppa di salvataggio da avere sempre al proprio fianco - ma ha capito, alla fine, che non sarebbe stato il percorso giusto per Atsushi e che era stato fortunato a trovare qualcosa di interessante e stimolante da fare, oltre a un datore di lavoro corretto e onesto come Fukuzawa.
Sigma ha anche pensato che, dopotutto, lo strappo sentito al pensiero di non percorrere lo stesso percorso di Atsushi sebbene solo in parte potrebbe essere stato solo suo. Un malessere emotivo non condiviso, perché in fondo Atsushi non ha bisogno di lui quanto è invece vero il contrario.
Si vedono spesso, quando possono, e forse per questo Sigma ha quasi l’assoluta certezza che se non dirà niente questa potrà passare come un’uscita tra le tante, un incontro non così diverso da qualsiasi altro. Atsushi lo raggiunge con qualche minuto di ritardo e a Sigma non potrebbe importare meno, quando il nodo del nervosismo si scioglie con una facilità imbarazzante al vedere l’altro. Atsushi lo fa sentire a suo agio, lo fa sentire giusto, un pezzo perfetto che non è mai stato. E’ come avere un posto assicurato, un’origine a cui appartenere e non c’è cosa più difficile da trovare per chi è senza radici e senza nessun ricordo ad aiutare a cercarne da qualche parte, fosse anche per tutta la vita.
Lui e Atsushi hanno superato da diversi anni lo scoglio di un contatto fisico più presente di quanto di norma potrebbe esserlo tra due amici. Forse perché il loro avvicinamento è avvenuto da giovani, è risultato naturale e ora non c’è nessuna forma di fastidio o di disagio nel toccarsi in modo casuale, nel far sentire all’altro la propria presenza non solo con le parole. Sarebbe perfetto se Sigma non avesse una piccola voce nella testa che urla e si agita ogni volta che la mano di Atsushi sfiora la sua mentre camminano fianco a fianco, come ora. Gogol dice che è bastato vederli insieme una volta per capire subito di non star guardando due amici d’infanzia. Il pensiero di essere così facile da capire, di lasciare i propri sentimenti così privati e preziosi alla mercé di chiunque è qualcosa che invece spaventa Sigma da morire.
La mano di Atsushi si posa sul suo avambraccio mentre i suoi piedi si fermano e una leggera pressione lo obbliga a fare lo stesso. Quando alza lo sguardo su di lui, confuso e sorpreso, Sigma trova la traccia evidente della preoccupazione e il senso di colpa gli serpeggia in corpo da subito, da prima ancora che Atsushi pronunci quel «Cosa c’è che non va?» di chi non deve chiedere se c’è qualcosa, perché sono oltre la fase in cui hanno bisogno di parlare per capirsi. Gli fa venire in mente quando i primi anni insieme in orfanotrofio hanno imparato a fidarsi l’uno dell’altro, ciecamente, tanto da potersi promettere di esserci sempre. Di voler far parte della vita altrui, non importa in quale forma. Se Sigma fosse più coraggioso si aggrapperebbe a queste parole e le renderebbe la propria armatura, indossandola così da poter dire ad Atsushi la verità senza paura di oltrepassare un limite, di raggiungere un punto di non ritorno oltre il quale esiste solo il rischio di perdere la persona più importante di tutte.
Lo sa bene di essere un codardo, Gogol glielo ha detto senza mezzi termini e senza alcun riguardo per il tatto: preferisce trincerarsi dietro l’amicizia di una vita pur di non rischiare il tutto per tutto e provare a ottenere quello che in cuor suo non ha smesso di desiderare da anni. Ma la figura di Atsushi è qualcosa a cui non sa se sarebbe mai in grado di rinunciare senza perdersi completamente, senza tornare a quando era una presenza casuale a cui nessuno sapeva spiegare perché fosse lì.
Sigma non è abituato a essere voluto, desiderato. E questo gli impedisce di capire come potrebbe essere mai possibile che qualcuno - che Atsushi - possa avere per lui sentimenti del genere.
«Gogol dice–» prova a cominciare, sorprendendo se stesso e non perdendosi l’espressione infastidita, anche se fugace, che si forma sul volto di Atsushi. Non vanno molto d’accordo lui e Gogol, sebbene si siano incontrati non più di una manciata scarsa di volte. Sigma non ha mai indagato e Atsushi non gli ha mai detto nulla, perciò ha sempre considerato potesse essere qualcosa di impatto, senza una spiegazione logica. Ora come ora vorrebbe poter ingoiare quel nome appena pronunciato e tornare sui suoi passi.
«Mh, insomma» tenta di nuovo, portando entrambe le mani a lisciarsi il cappotto addosso, lungo i fianchi, senza che ce ne sia davvero bisogno. Un gesto di nervosismo che spera Atsushi non noterà e, al tempo stesso, è consapevole sia impossibile da non notare quando tra loro non ci sono nemmeno tre passi di distanza «questa cosa è così stupida…» mugugna infine, decidendo di ritirarsi ancora prima di aver perso la battaglia o di aver scorto sul viso dell’altro un singolo segno di fastidio, di rifiuto. Però Atsushi è un animo troppo buono, sensibile alla sofferenza degli altri più di quanto lo sia verso la propria, per lasciarlo lì ad affogare nei suoi pensieri bui.
Le sue mani raggiungono quelle di Sigma, per fermarle in quel vagare frenetico e solitario sulla stoffa del cappotto; lo fa con un gesto gentile, quasi conciliante, come quando erano ragazzini e non facevano altro che cercare di raccogliere i cocci delle proprie esistenze perché l’altro non ne perdesse neanche uno e, volta dopo volta (delusione dopo delusione), riuscisse a rimetterli insieme e perdersi sempre un po’ meno. Sigma ricorda vagamente - perché proprio adesso non lo saprebbe spiegare - di quando di notte faticavano a prendere sonno, e si raccontavano piccoli dettagli a vicenda. Sigma aveva insistito per cominciare e quando Atsushi gli aveva chiesto perché, aveva risposto l’unica verità che conosceva: “la direttrice dice che anche se non so da dove vengo e non ricordo chi sono, se qualcuno lo fa al posto mio non dovrò mai avere paura di perdermi ancora. E io non voglio che ti perda, Atsushi.”
«Non c’è niente di stupido nei tuoi pensieri o nei tuoi sentimenti, Sigma.» gli dice Atsushi, perché lo salva continuamente, più di quanto Sigma pensi di meritare «Qualunque cosa sia, me la puoi dire.» aggiunge, incoraggiante, offrendogli un sorriso che conosce a memoria e di cui saprebbe tracciare i contorni anche a occhi chiusi. Gli è così caro da volerglielo dire con tutte le parole del mondo. Eppure è ancora la sua paura più grande, dire quella parola di troppo.
«Sarebbe… così brutto se uno come me, che non ha niente, volesse» volesse, che parola sbagliata. Può sperare, forse, chiedere ma non volere «sperasse di poter almeno… se io potessi almeno avere per te qualcosa che– sei ancora la persona più importante che ho, solo non…»
E’ così difficile. E’ il limitare di un burrone dove non c’è risalita né modo di salvarsi una volta caduti. Ammettere di avere un sentimento potenzialmente sgradito per qualcuno - per Atsushi - è terribile.
«Solo non come un amico. Non come un fratello.» mormora nella vergogna, nel disprezzo per aver appena preso una cosa delicata, fragile e preziosa e averla calpestata con tutta la forza di cui è capace un corpo. Lo fa sentire fisicamente la persona peggiore della terra. In un istante è di nuovo un nessuno che non è stato voluto mai, forse.
Però la mano di Atsushi è ancora lì. E’ ancora sulla sua, gliela stringe piano, la prende meglio e un dito ne accarezza il dorso. Non sono più amici, non sono più fratelli, Sigma quasi lo percepisce nell’aria - ma non sa cosa sono, per scoprirlo dovrebbe alzare lo sguardo, capire se questo punto oltre il quale si è spinto contro ogni sua stessa previsione o precauzione presa anno dopo anno abbia fatto un danno irreparabile o meno.
Atsushi non lo lascia andare. Nel silenzio di un’assenza di risposta Sigma alza lo sguardo, incapace di sopportare oltre la pressione, quasi sentendo la voce di Gogol rimproverarlo nelle orecchie perché sarebbe dovuto essere diverso - conta l’atmosfera, e lo stile, dovresti scegliere un posto speciale e a quel punto…!
Incontra lo sguardo di Atsushi e, timidamente, gli stringe la mano anche lui.