Checkmate (COWT14, week 3, M2)
Mar. 22nd, 2025 11:25 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Prompt: Singolarità
Missione: M2 (week 3)
Parole: 7677
Rating: teen up
Fandom: Bungou Stray Dogs
Warnings: spoiler Stormbringer!
Il vago rumore di dita a picchiettare sulla tastiera del computer era l'unico a riempire effettivamente la stanza, se si escludeva il canticchiare distratto e a mezza bocca che di tanto in tanto scivolava tra le labbra di uno dei fratelli su cui quell'organizzazione sembrava basare buona parte del suo lavoro o quantomeno dei suoi obiettivi. Dazai non era particolarmente amante del restare in quella stanza se non per il tempo necessario a raccogliere, silente, le informazioni di cui aveva bisogno. A quanto sembrava, tuttavia, quella era una delle diverse e bizzarre regole sotto cui bisognava sottostare per scelta di Deus ed era probabile che se a Jane fosse toccato un altro turno ferma nella stanza non sarebbe stato particolarmente costruttivo. Persino Jun era sembrato preoccupato abbastanza da decidere di seguire la ragazza quando quella aveva sbraitato di non avere intenzione di stare lì al posto di altri, per poi uscire sbattendo la porta.
Dazai non lo reputava così drammatico; tediante, forse, ma non drammatico, specie nella misura in cui per scelta non avrebbe condiviso lo spazio con nessuna delle persone con cui aveva finito con il ritrovarsi in quella convivenza forzata. Se poi avesse dovuto indicare un buon motivo per accettare di restare oggi, più che in altre occasioni, sarebbe stata la presenza dell'unica vera incognita in quel gruppo. A sentire Jane, diversi di loro lo erano, ma Dazai era di un'opinione ben diversa. Tra tutti quelli che aveva avuto modo di osservare finora, c'erano solo diversi livelli di mistero tra loro ma non avrebbe mai potuto dire credendoci che fossero addirittura delle incognite.
Per cominciare, Jun era in realtà piuttosto semplice da inquadrare e - per quanto a lei di certo non sarebbe piaciuto sentirselo dire - lo era anche Jane: entrambi avevano qualcosa che volevano a tutti i costi recuperare e questo li rendeva prede estremamente semplici e alla mercé di Deus, il cui mezzo di coercizione era il ricatto. Quanto più le persone mostravano cosa desideravano in maniera aperta e autentica o erano solo incapaci di nasconderlo abbastanza bene, tanto più per quell'uomo le cose si facevano a dir poco semplici. Cosa desiderassero, poi, per Dazai non era un mistero rilevante fin dall'inizio: non gli importava e ora come ora non gli serviva nemmeno a qualcosa conoscerlo.
I fratelli erano una curiosità, più che una vera incognita: non ci era voluto un genio a coglierne la co-dipendenza e quello aveva reso tutto abbastanza semplice. C'erano solo due possibilità, dopotutto, entrambe piuttosto banali dal suo punto di vista e da tenere in considerazione solo perché come tutte le situazioni in cui due persone legate erano nella stessa missione quello poteva sovvertirne le sorti da un momento all'altro a seconda di cosa potesse succedere all'uno o all'altro. Ma che si trattasse del desiderio di entrambi di riavere indietro qualcosa di importante per tutti e due o che fosse solo ottenere qualcosa per il bene di uno dei due, il risultato finale non cambiava poi di molto.
L'uomo seduto a un angolo della stanza, ecco, quella era l'incognita la cui osservazione da parte di Dazai non aveva ancora dato i frutti che sperava desse o che erano stati anche troppo semplici da raccogliere con gli altri. A vederlo era senza alcun dubbio il più grande di loro, sui quaranta, forse quasi cinquant'anni. Dazai non riusciva a dargli una collocazione anagrafica precisa perché quell'uomo si trascinava addosso senza alcun dubbio la stanchezza di chi ha vissuto una vita troppo lunga al punto da portare a chiedersi se fosse davvero giovane come i lineamenti suggerivano o se ci si dovesse invece basare sul carico emotivo che sembrava portarsi dietro. L'altro aspetto curioso era proprio che quel carico emotivo non veniva mai trasmesso dalle espressioni facciali ed era stata questa la prima cosa a interessare Dazai. Nell'ambito della Port Mafia non era così strano trovare persone capaci di mascherare le proprie emozioni al punto tale da sembrare incapaci di provarne: in alcuni casi era una scelta fatta per proteggersi, per mettere un muro tra la propria sensibilità e quello che il mondo racchiuso nel lato oscuro di Yokohama portava a fare. In altri, c'era un pizzico di follia - a volte, Dazai doveva ammetterlo, anche di psicopatia - nelle persone che si incontravano in quello stesso mondo e dunque non stupiva troppo che il loro modo di provare e mostrare qualcosa fosse piuttosto singolare. Quell'uomo, invece, sembrava solo un guscio vuoto e stanco a cui era stata tolta persino la personalità, almeno in apparenza. Ed era questo a incuriosire Dazai: perché l'istinto e la capacità di osservazione gli suggerivano con insistenza che non fosse una mancanza di personalità reale ma che servisse solo scavare.
Un verso a mezza bocca lo distrasse dalla figura dell'uomo per portarla su Wilhelm, intento a stiracchiarsi con le braccia verso l'alto e a brontolare qualcosa su quanto fosse tediante continuare a monitorare durante i momenti fermi come quello. Dazai lo vide alzarsi, dare un colpetto a suo fratello per svegliarlo e - una volta ottenuta la sua attenzione - proporgli di andare a mangiare qualcosa perché a stomaco vuoto era impossibile continuare a fare qualcosa di utile.
«Tanto finché Deus non ci porta altro materiale da J, c'è poco che possiamo fare.» borbottò Wilhelm infastidito, facendo schioccare la lingua contro il palato e lanciando un'occhiata proprio a Dazai quasi stesse vagliando se minacciarlo di non osare toccare il suo computer o evitare per questa volta. Alla fine, come era già capitato in un'altra occasione, fu il fratello Jacob a mediare dando un colpetto sulla spalla del fratello e indirizzandolo verso la porta. Dazai lo sentì persino rivolgergli un: «Vi portiamo da mangiare?» ignorando i borbottii del fratello che, Dazai poteva scommetterci, gli avrebbe portato volentieri qualcosa con almeno del lassativo dentro. Anche per questo si esibì nel proprio miglior sorriso da schiaffi, prima di replicare con un: «No, non vorrei mai che poi il povero Wilhelm rimanesse con il cibo sullo stomaco per avermi fatto una gentilezza.» tanto per versare benzina sul fuoco e irritarlo per il semplice gusto di farlo. Chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe ritrovato con la probabile versione venticinquenne - o poco più - di Nakahara e che sarebbe stato comunque così divertente e fastidioso al tempo stesso.
Un cenno di Jacob fu tutto ciò che ottenne prima che l'attenzione si spostasse brevemente sull'altro uomo, di cui dopo giorni Dazai sapeva ancora solo il nome - Antonio - e, una volta che i fratelli furono usciti, anche che forse non si fidava nemmeno lui a farsi portare del cibo non controllato da lui stesso. Oppure non era abbastanza affamato, ancora.
Rimasti soli, Dazai non perse particolare tempo a osservarlo più che in altre occasioni, se non in modo sommario e quasi annoiato: Antonio era un uomo dal modo di vestire piuttosto distinto, mai visto fino a ora senza giacca e cravatta, un modo di vestire che gli aveva ricordato vagamente quello di Mori per un'associazione mentale immediata e forse viziata dall'ambiente in cui si era sempre mosso. I capelli raccolti in una crocchia il cui senso estetico non era particolarmente spiccato - e, Dazai sospettava, non fosse in cima alle priorità dell'uomo - era la carnagione un poco più scura degli altri ad attirare forse di più l'attenzione in un luogo come il Giappone dove la diversità razziale non era esattamente all'ordine del giorno.
Dazai aveva notato, piuttosto, che i movimenti di Antonio erano sempre essenziali e tradivano, in alcuni aspetti, un'educazione di un certo tipo e adatta all'alta società o ad ambienti che dovevano esservi quantomeno collegati. Il modo in cui sedeva, per esempio, mostrava una compostezza particolare che sarebbe dovuta essere associabile alla rigidità e invece risultava fin troppo naturale nel linguaggio del corpo dell'uomo. Oppure anche quando era capitato di mangiare insieme nello stesso spazio, per quanto non necessariamente allo stesso tavolo, Dazai si era accorto di come i movimenti delle mani fossero sempre minimi, necessari e mai tanto per fare: anche una cosa semplice come tagliare della carne se il cibo era più occidentale o il modo di tenere le bacchette quando quanto offerto era tipicamente nipponico, avevano un'eleganza semplice.
Si era chiesto, Dazai, se quelle fossero le mani di un assassino esperto contro ogni possibile sospetto o se invece si trattasse di una natura diversa. Quello di cui era sicuro, invece, era che non gli fosse ancora chiaro al cento per cento quale fosse il ruolo di un uomo che non sembrava desiderare nulla e quindi non sarebbe dovuto essere particolarmente ricattabile.
«Cos'ha Deus su di te?» chiese quindi, perché tanto valeva capire quanto potesse spingere prima di rischiare di superare un limite pericoloso. Vide Antonio alzare lo sguardo su di lui, con la lentezza di una preda inconsapevole - o di un predatore pigro. Occhi dalla sfumatura carminia che, ancora una volta, sembravano incapaci di focalizzarsi davvero su ciò che vedevano e le labbra piegate in una linea di indifferenza. Dazai sapeva distinguere il disinteresse dall'insensibilità, di norma, ma con Antonio il confine sembrava talmente labile che l'ex - ex? - membro della Port Mafia non avrebbe saputo dire con esattezza da quale lato pendesse in quel momento e questo gli causò un vago moto di fastidio. Lo stesso che avrebbe provato nel cercare di trattenere la sabbia in un pungo e sentirsela comunque scivolare tra le dita, granello dopo granello.
«Nulla.» replicò l'altro, in modo piuttosto prevedibile. Dopotutto, Dazai non aveva mai pensato che avrebbe potuto avere da lui una risposta precisa solo per aver chiesto in modo educato in un momento in cui ingannare il tempo nell'assenza degli altri due. Inoltre, Antonio gli aveva dato la sensazione di una persona intelligente abbastanza da capire da solo che non fosse certo un caso che la domanda fosse stata posta solo quando si erano ritrovati da soli. Dazai gli dava almeno atto di sembrare parecchio più sveglio della media e se avesse dovuto scommettere su chi tra gli altri oltre lui avrebbe potuto cercare di mettere i bastoni tra le ruote a Deus... quello sarebbe stato Antonio, con molta probabilità.
«Apprezzo il tentativo» pronunciò Dazai, sistemandosi meglio sulla sedia, il gomito sul tavolo e il volto poggiato alla propria mano così da poterlo continuare a osservare in tutta comodità «ma spero non mi consideri il tipo di ingenuo capace di crederci.» insinuò senza farsi poi tanti problemi. Non era mai stato famoso nel suo ambito per rendersi amabile nemmeno alle persone a cui teneva - ed erano così poche da far sì che in un conteggio sulle dita di una mano ne avanzassero diverse -, perciò era pressoché impossibile si facesse remore in un contesto simile e con degli sconosciuti che era quasi scontato sarebbero stati nemici il giorno dopo. O che lo fossero già adesso.
Vide Antonio dedicargli un'occhiata più lunga, attenta. Nonostante la provocazione fosse lì alla luce del sole - o delle fastidiose lampade di quel posto - Dazai capì di non aver nemmeno scalfito la corazza in superficie. Il che lo rendeva particolarmente interessante e, al tempo stesso, fastidioso.
«Tu daresti a me la stessa informazione?» sentì domandare all'uomo, il tono profondo di qualcuno dava la buffa idea di aver parlato a bassa voce per tutta la sua vita, senza sentire il bisogno di farsi notare o forse avvertendo quello opposto: passare inosservato, lasciare che il mondo si dimenticasse di poterlo vedere. La mente di Dazai correva veloce, assimilando tutte le informazioni che gli arrivavano ora dalle risposte verbali di quel mistero chiamato Antonio e associandole a quanto aveva solo avuto modo di osservare.
Sorrise, seppure non con il fare allegro di un ragazzino di sedici anni incuriosito da qualche strano meccanismo incomprensibile. Era il sorriso di chi aveva davanti un enigma e aveva tutte le intenzioni di risolverlo, senza che farlo implicasse necessariamente delle soluzioni "pulite". O moralmente accettabili: «Oh-oh, touché.» commentò, alzando solo la mano libera in falso segno di resa senza scomodare l'altra, rimanendo quindi nella nella stessa posizione di osservazione. Un'ennesima provocazione, forse. Quello sarebbe dipeso dalla percezione dell'uomo ma in ogni caso Dazai avrebbe avuto - da quella stessa reazione - una risposta in più su di lui.
«Ah, forse dovremmo cominciare dalle presentazioni per bene?» pronunciò con un pizzico di falsa innocenza, quasi ci avesse pensato solo ora e avesse collegato in automatico la reticenza altrui alla mancanza di un dettaglio inutile come nome e cognome: «Dazai Osamu.» aggiunge, facendo un gesto verso di lui per invitarlo a condividere a propria volta. L'iniziale silenzio gli fece ipotizzare che forse non avrebbe avuto alcuna risposta neanche a questo, ma alla fine lo vide sospirare leggermente e poi tornare ad abbassare lo sguardo sul blocco che aveva avuto davanti agli occhi da quando Dazai era entrato nella stanza.
«Antonio Salieri.»
Salieri, si ripeté mentalmente Dazai, assaporando quel cognome quasi già così potesse ricavarne qualcosa. Europeo, senza dubbio. Del tutto sconosciuto nell'ambito della mafia e questo da un lato allargava il campo - perché se fosse stato un nome conosciuto nel suo ambiente Dazai era certo che non sarebbe stato possibile non risultasse in nemmeno un file della Port Mafia - ma dall'altra lo rendeva ancora più caotico. Insensato, quasi. Era evidente che Deus si fosse circondato di persone con abilità speciali di soli due tipi: quelli facili da controllare per qualcosa di cui avevano bisogno, come Jane e Jun, oltre presumibilmente a Dazai stesso; oppure quelli che al di là di cosa desideravano, erano anche persone dalla morale dubbia. Capaci di cose che altri avrebbero considerato terribili pur di raggiungere il loro scopo e il cui peso delle proprie azioni non era grande abbastanza - né lo sarebbe stato - tanto da distoglierli dall'obiettivo. Se Antonio Salieri non rientrava in questa casistica e non aveva nemmeno qualcosa con cui Deus poteva ricattarlo... per quale motivo era lì?
Dazai si alzò, muovendosi senza troppe cerimonie per avvicinarsi al tavolo su cui si trovava seduto l'altro, una delle scrivanie vuote di quell'ufficio che sembrava più il quartier generale e operativo di un'organizzazione improvvisata come in fondo era quella di Deus. Non ebbe il dubbio neanche per un attimo, sul fatto che Antonio avesse subito inquadrato il suo movimento con la coda dell'occhio, ma il fatto che non si stesse spostando o che il suo linguaggio del corpo non comunicasse alcun intento di impedirgli di avvicinarsi incuriosì Dazai ancora di più. Lo rese anche attento abbastanza da decidere, tacitamente, di non osare più del necessario e di considerare la persona davanti a sé come avrebbe considerato una bestia ferita nell'infilarsi in una gabbia dello zoo. Nessuno poteva dire quale gesto lo avrebbe fatto sentire minacciato, scatenando una reazione inaspettata.
Una volta accanto a lui, posando lo sguardo su quel blocco, Dazai dovette ammettere di essere stupito: aveva ipotizzato diverse possibilità, alcune meno fattibili di altro o che quantomeno gli sarebbero suonate molto strane. A cominciare dalle probabilità che si trattasse di un documento ufficiale lasciato da Deus per qualche incarico, non così strano di per sé ma di certo poco intelligente da tenere dove chiunque avrebbe potuto spiare anche solo qualche parola. Poteva essere un documento personale, ma dato quanto riservato sembrasse essere quell'uomo, Dazai aveva escluso la questione quasi subito dopo averla presa in considerazione. Qualcosa per passare il tempo era sembrata quella più esatta, per il semplice fatto che fino a quel momento non aveva mai visto Antonio Salieri muoversi senza che Deus gli desse un preciso ordine o lasciasse intendere che ce ne fosse stato uno dato in privato.
Per essere "personale", quel blocco doveva esserlo, solo non nel modo scontato che chiunque - compreso lui - si sarebbe aspettato: benché i fogli non fossero pentagrammati, Antonio aveva disegnato il pentagramma da solo e lo stava riempiendo di note. Non c'era alcun titolo e Dazai non avrebbe saputo leggerlo correttamente, quindi non aveva idea se si trattasse di un brano già esistente o di qualcosa che l'altro stesse componendo in quel momento a tempo perso. Di sicuro era peculiare pensare che un potenziale assassino, o qualunque cosa facesse per conto di Deus quando spariva, avesse anche la sensibilità artistica di un compositore.
Dazai aveva appena deciso di non punzecchiarlo sulla cosa, o almeno di non farlo per il momento, quando fu proprio Antonio ad alzare lo sguardo e puntarlo su di lui pronunciando un: «Quale risposta ti sei dato, Dazai?» sottintendendo, forse provocatoriamente per la prima volta, di aspettarsi ci fosse stata una domanda alla base di quello sguardo prolungato al foglio e alle note musicali che ospitava. Nonostante il tono fosse privo di inflessioni particolari, Dazai era certo che in quella richiesta ci fossero così tanti sottotesti che sarebbe stato divertente segnarli tutti proprio su un foglio come se fosse un compito in classe e chiedere poi al diretto interessato di controllare di averli azzeccati tutti. Invece Dazai si limitò a sostenere il suo sguardo, rivolgendogli un sorriso sbieco, tra il divertito e l'infastidito - piuttosto consapevole di saper rendere la prima emozione preponderante al punto da nascondere molto bene la seconda.
«Nessuna interessante, per il momento.» replicò, spostando la sedia opposta a quella di Antonio senza chiedere il permesso e prendendovi posto, facendo aderire la schiena alla seduta e incrociando mollemente le braccia al petto. L'occhio non coperto dalla benda non avrebbe abbandonato la figura di Salieri, ora come ora, nemmeno se glielo avessero imposto con una pistola puntata alla tempia - non che sarebbe stata la prima volta che qualcuno lo minacciava con un'arma, in ogni caso.
Salieri sostenne il suo sguardo per un po' e poi, decidendo che non ne sarebbe venuto fuori nulla fin quando Dazai non si fosse deciso a parlare di nuovo, lo portò ancora una volta sul blocco; Dazai lo vide impugnare la penna - il che gli suggerì, vista anche l'assenza di cancellature sul foglio, che l'altro si sentisse sicuro abbastanza delle sue conoscenze musicali da non temere di sbagliare e dover correggere - e riprendere a scrivere.
Una, due, tre note. O almeno gli sembravano tre, ma il punto ora non era imparare a leggere un pentagramma: era imparare a leggere Antonio Salieri.
«E' un peccato che Deus non ci abbia lasciato almeno un mazzo di carte: sono curioso di vedere come giochi, Salieri-san.» buttò lì, osservando l'uomo tenere lo sguardo basso per finire la sequenza che stava scrivendo. Dazai non era certo se fosse più corretto considerare quel tipo di atteggiamento come il disinteresse che in parte gli aveva già associato oppure se fosse un aspetto ancora più contorto nella sua semplicità: il non sentirsi affatto minacciato né fisicamente, né psicologicamente. Per l'esperienza di Dazai, se quell'ultima opzione fosse stata il caso di Salieri, avrebbe significato che la persona di fronte a lui era così al di sopra delle capacità di chiunque nella stanza - non solo ora che erano soltanto in due, ma anche quando erano tutti lì insieme - da non essere facile per lui considerare degno di attenzione chiunque altro.
Proprio mentre questo pensiero affondava le radici nella sua mente, Dazai lo vide alzare lo sguardo e puntare gli occhi su di lui: «Mi aspettavo più che proponessi gli scacchi, Dazai-kun.» pronunciò Salieri e per la prima volta da quando lo aveva incontrato, Dazai poté osservare le labbra dell'uomo incurvarsi nell'accenno di un sorrisetto. Notò subito che non si estendeva affatto agli occhi, risultando l'espressione di un divertimento vuoto, quasi di riflesso. Quasi non fosse in grado di provarlo davvero.
Sentì un brivido percorrergli la schiena, in maniera non così diversa da quando - raramente - trovava di fronte a sé qualcuno di abbastanza interessante o che potesse essere un degno avversario. Aveva la sensazione di aver provato la medesima sensazione in un momento specifico e in una situazione particolare, eppure ancora non riusciva a mettere insieme tutti i pezzi al punto da capire con precisione chi gli ricordasse quell'uomo. Aveva però tutto il tempo per capirlo, se necessario.
«Perché no?» lo incalzò, osservandolo con tutta l'intenzione di lanciargli una sfida.
Se Antonio Salieri voleva una partita a scacchi per passare il tempo, chi era lui per non concedergliela?
*
Trovare una scacchiera non era stato difficile né lo aveva sorpreso scoprire che fosse il tipo di oggetto che fosse quasi scontato trovare in un luogo voluto e arredato da un uomo come Deus. Salieri, nel vederlo tornare con quella tra le mani, aveva sospirato piano spostando di lato il blocco e chiudendolo, così da non lasciare più alla mercé di chiunque quelle note musicali annotate lì sopra fino a poco prima. Dazai gli aveva lasciato scegliere se muovere i bianchi o i neri e Antonio non aveva fatto altro che rispondere con totale disinteresse che non gli importava; così Dazai gli aveva lasciato i bianchi, perché potesse muovere per primo e per vedere in che modo un uomo simile dava inizio a una partita.
Non c'era stata la fretta delle partite professionistiche, né Dazai aveva cercato qualcosa che potesse sostituire l'orologio utilizzato nei tornei ufficiali. Avevano continuato a fare le mosse con i propri tempi, a volte dilatati da qualche chiacchiera, perché per lui gli scacchi erano come bere qualcosa con qualcuno: c'erano infiniti dettagli che si potevano cogliere e lui non aveva intenzione di farsene sfuggire nemmeno uno. Sebbene, doveva ammetterlo, Salieri era un uomo complesso da inquadrare. Talmente silenzioso da rendere un'impresa titanica più il tirargli fuori le parole che interpretarle o leggervi davvero qualcosa più del semplice significato linguistico.
«Tutti sembrano essere arrivati qui in coppia, a parte il famigerato J.» pronunciò Dazai dopo aver mosso un pedone sulla parte laterale della scacchiera, in un gesto di poche pretese «Jane e Jun. I due fratelli. Tutti tranne te.» sottolineò.
«E te.» fu la replica di Salieri, mentre gli occhi si spostavano pigramente sulla scacchiera per decidere la propria mossa successiva. Dazai sbuffò appena: «Forse questo ci accomuna, ma non credo ci renda uguali.» sottolineò, osservandolo muovere un pedone dalla parte opposta rispetto a quello della propria ultima mossa. Di nuovo, Salieri non alzò subito lo sguardo ma rimase in silenzio per qualche istante prima di restituire il contatto visivo a Dazai.
«Non lo siamo, infatti. Sarebbe strano se un adolescente fosse sullo stesso piano di uno come me.» osservò l'aspetto più scontato, eppure l'executive della Port Mafia capì che non era casuale o tanto per porre l'attenzione sulla differenza di età. Comprese che nelle parole altrui non ci fosse un significato superficiale dal modo in cui Salieri lo guardò. Per questo attese qualche istante a rispondergli, soppesando la cosa: «Su quale piano è uno come te, quindi?»
Salieri sbuffò piano, di nuovo un'espressione che non si estese allo sguardo. Dazai trovava quel particolare interessante e più degno di attenzione di quanto forse lo avrebbero considerato altri. Il fatto che qualche emozione ogni tanto stesse iniziando a riflettersi almeno nel modo di parlare, significava che l'altro non era una persona anaffettiva o incapace di provare le cose; il modo in cui però non si appropriasse neanche una volta di tutto il viso, invece, dava a Dazai segnali contrastanti. Era abbastanza sicuro che non fossero emozioni simulate, quindi doveva esserci qualcosa di più profondo. Cosa o se fosse un aspetto che sarebbe riuscito a svelare con un'unica partita a scacchi, questo Dazai non avrebbe ancora saputo dirlo.
«Pensavo ti piacessero gli enigmi, Dazai-kun. E' l'idea che mi hai dato finora.»
«Dipende, alcuni sono tremendamente noiosi e io mi annoio molto facilmente.» rimbeccò, consapevole di suonare arrogante e non che gli interessasse nemmeno troppo l'opinione di gente che sembrava essere stata messa insieme solo perché erano un gruppo di disadattati - lui compreso, a seconda dei punti di vista. Era ancora piuttosto convinto che Deus avesse preso un grosso abbaglio con lui, sebbene si fosse ben guardato dal farglielo notare visto che era tutto a proprio vantaggio, ma almeno a uno sguardo superficiale non aveva alcun dubbio su come quel gruppo costruito dal nulla e senza quasi nessuna base solida potesse apparire.
Comprendendo che non avrebbe avuto subito una replica, Dazai si concentrò sulla mossa da fare. Un'occhiata alla scacchiera gli suggerì che per quanto avessero già fatto più di qualche azione a testa, non ci fosse ancora troppo per evincere della personalità di Salieri. Era come se in fondo si stessero studiando alla lontana, per decidere come colpire più forte possibile. Con un sorrisetto, decise di muovere il cavallo portandolo leggermente verso il centro della scacchiera rispetto alla posizione di partenza.
L'uomo sembrò in qualche modo colpito dalla cosa, per quanto fosse una reazione più tiepida di quella che avrebbe avuto una persona normale. Lo vide soppesare la cosa, con un pizzico di interesse in più rispetto a quanto mostrato finora; Dazai stesso riportò lo sguardo sul gioco, chiedendosi quale filo di pensieri potesse star seguendo l'altro per aver trovato proprio quella mossa - e nessuna delle altre precedenti - degna di qualcosa di più di un volto impassibile. Forse l'aggressività? Eppure Dazai era ben consapevole di essersi trattenuto.
«Dobbiamo davvero farci domande da chiacchiere in un bar?» lo punzecchiò, attirando la sua attenzione e vedendolo distoglierla dal gioco. Capì quasi subito che stavolta non lo stava studiando come si sarebbe potuto fare con un avversario, né lo stava studiando in generale - non come stava facendo Dazai, di sicuro. Era più come se Salieri avesse davanti un bambino in cui vedeva qualcosa, ma non una minaccia, né un mistero da svelare, solo una giovane mente che per ovvie ragioni poteva solo approcciare e pensare in modo del tutto diverso dalla sua. Per quanto Dazai non amasse particolarmente l'idea di essere sottovalutato per l'età, dal momento che era abituato proprio al contrario, si astenne da commenti di sorta per non troncare a metà una eventuale risposta dall'altro. Una che impiegò un po' ad arrivare, ma senza diventare assente ingiustificata in una conversazione che per quanto fosse bravo non poteva continuare a portare avanti da solo.
«Qual è il tuo più grande talento, Dazai?» chiese Salieri, non senza colpirlo un poco. Non aveva chiesto "pensi di avere un grande talento" o "quale credi possa essere un tuo talento". Aveva posto quella domanda dando per scontato che dovesse per forza essercene uno e Dazai sospettava non fosse solo una questione di associazione al suo essere stato scelto da Deus. In una certa misura era ovvio che ognuno di loro fosse utile alla causa di quell'uomo, ma quello era da ricercarsi nelle loro abilità speciali. Non era un caso, dopotutto, che ne avessero tutti una. Salieri tuttavia l'aveva posta in un modo che a Dazai era suonato leggermente diverso, uno che esulava da quel tipo di capacità. Lo portò a chiedersi, forse per la prima volta, se avesse il tipo di talento che Salieri andava cercando in lui in questo momento tanto da sembrare dimentico di dover fare la propria mossa. O forse l'aveva appena fatta con quella domanda.
«Nessuno degno di una persona decente.» replicò «Tutti piuttosto affini a chi ha fatto scelte che molti non farebbero.» aggiunse, osservandolo. Salieri non sembrava colpito: la totale assenza di rifiuto per qualcosa che andava contro la morale diceva già tutto. Era una persona che, come avrebbero amato dire i più romantici, aveva guardato l'Abisso in fondo abbastanza da aver rischiato di perdersi dentro di esso e di non poter raccontare di essere stato fissato di rimando.
Salieri si limitò a un «Mh.» iniziale, decidendosi finalmente a fare la propria mossa - un ulteriore avanzare di uno dei pedoni, mangiandone uno dei suoi - per poi riportare lo sguardo sulla figura di Dazai: «Quindi non hai nessun interesse oltre quello che fai per sopravvivere.» decretò, ma non c'era giudizio nel suo tono di voce. Suonava solo come un'osservazione, una deduzione logica da quanto ascoltato fino a quel momento e Dazai non sentiva di potergliene fare un torto. Se l'uomo davanti a lui sembrava più che capace di celare le emozioni, Dazai era sicuro di essere bravo quanto lui a lasciare nascosto ciò che voleva restasse celato. Perciò non avendo fatto altro che dirgli e mostrargli solo ciò che sarebbe stato deducibile per chiunque, non era una sorpresa che fosse giunto a quella conclusione - non era nemmeno sbagliata, oltretutto.
«Immagino tu intenda cose come la musica» pronunciò Dazai con un cenno del capo verso il blocco spostato di lato in precedenza, fissando Salieri con l'insistenza di chi non aveva alcuna intenzione di perdersi una reazione, soprattutto quando era certo ne avrebbe avuta una «quindi no, non ne ho.» aggiunse più blandamente, come se fosse un in più poco importante rispetto al resto. Salieri non sobbalzò di sorpresa, non si mise sulla difensiva, non lo guardò con l'astio di qualcuno colto in flagrante e in fondo non aveva fatto nulla per nascondere quel blocco pentagrammato a mano fin dall'inizio. Eppure quel che Dazai vide formarsi sul viso dell'uomo lo lasciò più confuso di quanto avrebbe fatto qualsiasi di quelle altre reazioni prevedibili. Per la prima volta e proprio quando non pensava nemmeno di essersi sforzato particolarmente per ottenerlo, Salieri mostrò un vero cambio di espressione: i suoi lineamenti adulti si piegarono fino a mostrare un'espressione sulla quale Dazai non avrebbe mai scommesso.
Quella era un'espressione di pura adorazione. Dazai non avrebbe saputo se accostarla più alla devozione di un fedele per il suo Dio o a quella di un uomo per l'unica persona che reputi degna tra tutte quelle di cui ha incrociato il cammino. In entrambi i casi, comprese che Salieri era più pericoloso di quanto chiunque potesse aver pensato e forse anche più di quanto lo stesso Deus avesse immaginato: perché un uomo con quella devozione avrebbe fatto qualsiasi cosa per l'oggetto della sua adorazione. Anche tradire chi gli aveva promesso ciò che desiderava di più, salvo che quel desiderio non fosse la persona stessa.
Perché di quello Dazai era certo al cento per cento, ora: non poteva essere solo la musica. Doveva essere un mezzo, un tramite, qualcosa che gli ricordasse la persona in questione o la rappresentasse in un modo che Dazai avrebbe potuto solo cercare di indovinare - ma le possibilità erano molte più di quanto potesse sembrare a una prima analisi.
Non poté fare a meno di offrire un piccolo vantaggio su di sé anche lui, mostrando a Salieri un'espressione molto meno pura: quella di una persona che aveva appena visto qualcosa di estremamente sgradevole ma anche esilarante. Dopodiché, senza apparente senso, scoppiò a ridere.
Anche Salieri dovette esserne sorpreso, perché la sua espressione tornò più simile a quella di sempre - una da cui non si tirava fuori un solo pensiero dell'uomo - ma con una vaga sfumatura di confusione o curiosità. Era difficile distinguerli.
«Non è la risata di una persona sinceramente divertita.» gli sentì sottolineare, seppur senza astio o accusa di alcun tipo. Dazai, che si era portato una mano al viso per celare un poco la risata pur senza preoccuparsi di farlo completamente, abbassò la mano per avere di nuovo completa visione dell'uomo: «Oh, ma io sono divertito!» assicurò «E' solo così inaspettato che proprio tu abbia una cosa del genere!»
Salieri fece un'altra cosa che non aveva mai fatto prima: sospirò, ma con al rassegnazione più sostenuta di un adulto con un bambino, consapevole di non poter pretendere un atteggiamento diverso da quello a cui sta assistendo ma senza davvero condannarlo. Diede a Dazai l'idea che fosse abituato a essere con persone più giovani o che forse lo fosse stato fino a prima di unirsi al gruppo di Deus: «Tocca a te.» pronunciò invece, accennando alla scacchiera.
Dazai, senza nemmeno degnare più di qualche secondo di attenzione l'oggetto, allungò una mano spostando un alfiere in una mossa ancora più aggressiva della precedente senza che questa decretasse ancora alcuno scacco. La partita non poteva né doveva essere così corta, dopotutto.
«Non mi domandi cosa intendo?»
«So bene cosa intendi.» replicò Salieri senza farlo attendere, benché gli occhi stessero analizzando come procedere dopo quell'attacco da parte dell'alfiere «Aspetto solo che tu pronunci un'affermazione diretta. Supponendo tu ne sia più che capace, quando la persona davanti a te non ti sta privando delle risposte, il che significa non avere alcun bisogno di indagare come fai con tutti gli altri.» chiarì l'uomo e Dazai non poté che inclinare le labbra in un sorriso ferino. Quindi il signor Salieri non era così disattento, proprio come aveva supposto dall'inizio. Se si sentisse a suo agio con uno come Dazai perché abituato o perché si sentisse al di sopra non gli era ancora del tutto chiaro ma, mentre la sensazione di aver già avuto a che fare con qualcuno del genere si faceva ancora più pressante, aveva intenzione di scoprirlo entro la fine di quella partita.
Fischiò con ammirazione, quasi a complimentarsi per averlo notato: «E pensare che cercavo di essere sensibile e avere tatto» mentì, senza alcuna pretesa di essere creduto visto quanto poco si stesse impegnando a risultare credibile «mi domando come mai nessuno lo apprezzi mai, considerando quanto sia raro io lo faccia.» commentò, senza che fosse davvero importante e Salieri sembrò non farsi distrarre da quel breve, inutile sproloquio.
Dazai puntò l'unico occhio non coperto dalla benda in quelli dell'uomo, sorridendogli di un'affabilità piuttosto falsa; era più la voracità di chi aveva davanti la preda perfetta e l'unico motivo per cui non la divorava era che fosse fin troppo divertente continuare a giocarci per privarsene così in fretta: «Quale persona si merita la devozione di un uomo che non mostra la minima emozione di fronte a nulla? Non di fronte a ragazzini che sono stati portati qui contro la propria volontà» iniziò a elencare, facendo un cenno vago verso la scrivania più vicina alla porta d'ingresso, quella dove in genere si fermavano Jane e Jun durante i loro "turni" «non di fronte a due fratelli con evidenti problemi di connessione con la realtà che di sicuro non fanno nulla di sano tra il sonno di uno e la veglia dell'altro» continuò, con un cenno stavolta verso i computer dai quali si erano allontanati Wilhelm e Jacob «senza menzionare il misterioso J, a cui basta passare vicino una volta per sentire quanto puzzi di cadaveri.» concluse, osservandolo e sicuro del fatto che Salieri non avrebbe frainteso la frase sui cadaveri come una semplice offesa per il cattivo odore di qualcuno, ma come la precisa indicazione di come Dazai stesso sapesse che qualunque cosa facesse quel dottore non era su persone vive. O che sarebbero rimaste vive alla fine del trattamento.
Salieri lo osservava, forse aspettandosi qualcosa; Dazai lo apprezzò, perché non aveva finito: «Ma soprattutto perché la persona a cui sei devoto non è abbastanza da evitarti di sottostare a qualsiasi cosa Deus abbia in mente, va oltre la mia comprensione per il momento.» una specifica necessaria, anche solo per principio «Sono indeciso: ti ha promesso di fartela incontrare di nuovo e per questo gli fai da cagnolino, oppure ti ha minacciato di farle qualcosa se tu non avessi fatto da cagnolino? Illuminami, Salieri-san. Spero la risposta mi intrattenga più della partita a scacchi che stiamo facendo.» concluse, lasciando la mossa a lui proprio come nella partita che dubitava avrebbero finito.
L'uomo non aveva ancora battuto ciglio da quando Dazai aveva cominciato a parlare con affermazioni ben più decise e pressanti di prima. Eppure, si concesse uno sbuffo divertito e uno scuotere lieve della testa - ma quel divertimento non era dato dall'ilarità. Era il divertimento arido di un disperato.
«Nessuna delle due cose, Dazai.» replicò in un primo momento «Non ho nulla da guadagnare, come non ho nulla da perdere. Nulla che abbia a che fare con la mia devozione, come la definisci tu.» precisò, abbassando gli occhi sulla scacchiera e muovendo la torre. Dazai occhieggiò la mossa con interesse, perché era come aver appena visto un coniglio togliersi di dosso il costume e rivelarsi una volpe. Non mosse a propria volta, preferendo tornare a scrutare il volto di Salieri.
«Quelli come me, dopotutto, sono raramente fortunati abbastanza da avere quello che tu definisci "una possibilità". Poco importa questa sia di rivedere qualcuno di perduto o di evitare di perderlo in prima battuta.» disse Salieri, spostando gli occhi cremisi verso il blocco pentagrammato.
Dazai tacque. Sapeva riconoscere un indizio quando gliene presentavano uno e sapeva anche che poteva essere la chiave di svolta per individuare quella fastidiosa sensazione di avere di fronte qualcuno di già visto, già conosciuto. Continuava a sfuggirgli in modo a dir poco irritante, perciò se Salieri gli stava offrendo una soluzione più o meno su un piatto d'argento, Dazai non aveva intenzione di farsela sfuggire.
Passò mentalmente in rassegna le persone con cui aveva avuto modo di interagire, escludendo da principio chiunque avesse incrociato il suo cammino prima della Port Mafia e, subito dopo, tutti quelli che non avevano lasciato questa grande impressione al punto da ricordarne almeno il nome senza uno sforzo di memoria. A rimanere erano ben pochi individui e di sicuro sentì di poter tenere fuori anche i pochi che aveva conosciuto al di fuori del proprio ambiente, certo che la "fortuna" di cui l'altro parlava non sorridesse a chi faceva scelte di vita capaci di portare qualcuno ben lontano da un cammino "nella luce" anziché nell'ombra.
Il suo primo pensiero andò a Mori Ougai. Un uomo che aveva mostrato un cinismo che si discostava poco dalla follia eppure rimaneva appigliato alla genialità senza mai sfociare in modo definitivo nell'alternativa. Salieri però non aveva granché di ciò che distingueva Mori, a cominciare dal fatto che la sua devozione aveva una connotazione incredibilmente pura di cui dubitava il suo ex boss sarebbe mai stato capace. Subito dopo, ebbe una veloce immagine di Nakahara e per quanto ci fosse qualcosa che glielo ricordava molto vagamente, era come il sentore che Salieri potesse essere stato simile a lui in qualcosa... ma almeno vent'anni, forse trent'anni prima addirittura. Era l'ombra di una gioventù che non c'era più, di una inconscienza tipica di una persona senza esperienza e senza granché da perdere - per quanto lo stesso Salieri si fosse definito come qualcuno a cui Deus non poteva togliere chissà cosa, Dazai aveva il sentore che non fosse proprio la stessa cosa. Nakahara era il più grande concentrato di rabbia e istinto che avesse avuto la sventura di incontrare sul proprio cammino, mentre Salieri sembrava tutto tranne che in grado di lasciarsi andare alle proprie emozioni o di sicuro non con quella frequenza e facilità. Sembrava anzi estremamente equilibrato, persino più di un normale adulto.
Dazai, osservandolo, aveva avuto in un paio di occasioni la percezione che l'equilibrio raggiunto da Salieri fosse uno artificiale, ossia uno guadagnato con le esperienze e piegando un carattere altrimenti diverso. E per quanto spesso si preferisse pensare il contrario, Dazai era piuttosto certo ci fossero poche esperienze davvero capaci di piegare un'indole al punto da renderla quasi l'opposto di ciò che era in principio: qualcosa di così totalizzante da rendere inermi, quasi paralizzati. La perdita, aveva imparato guardando morire più persone di quante potesse ricordarne, era l'emozione che insieme al terrore aveva reso più immobili i suoi avversari e i nemici della Port Mafia. Non importava quante cose si fossero fatte, quanti combattimenti o scontri si fossero affrontati, qualsiasi uomo di fronte alla giusta perdita o al giusto moto di paura diventava semplice da uccidere come un bambino. Quel tipo di emozione divorava qualsiasi altra cosa - il coraggio, la forza, persino la crudeltà.
Salieri doveva aver subito qualcosa del genere. Anni prima, molti anni prima, perché sembrava al tempo stesso ammantato della rassegnazione che solo chi ha già fatto tutto quanto in suo potere senza ottenere risultati poteva accogliere senza opporsi alla ricerca di un'ultima, vana speranza.
Se solo Dazai avesse avuto un ultimo indizio, quell'ultimo ma imprescindibile pezzo di puzzle...
«Dazai» lo richiamò Salieri, nonostante non fosse davvero necessario visto che non aveva mai smesso di guardarlo dalla sua frase precedente. Fu certo, già solo guardandolo, che non fosse un richiamare la sua attenzione come se avesse il dubbio di averlo perso tra mille ragionamenti. Salieri lo esortava a osare, a pronunciare un verdetto che Dazai sentiva di avere ma non nella sua totalità «eppure tu, più di tutti, non sei stato altro che circondato da quelli come me nell'ultimo anno. Così diceva Deus.»
Qualcosa lo gelò, per quanto non lo diede a vedere, imponendosi di mostrare solo uno sguardo indagatore. Non il fatto che Deus potesse avere informazioni su di lui al punto da dire a qualcuno con chi avesse avuto a che fare, perché era una cosa piuttosto scontata: nessuno avrebbe riunito persone che non si conoscevano tra loro e che non avevano una storia comune, per renderli parte del proprio grande piano, senza prima conoscerli nella misura necessaria a controllarli o almeno a farlo più possibile. Se poi Deus si fidava di Salieri al punto da rivelare alcuni dettagli, la cosa rientrava ancora nella misura di ciò che Dazai aveva se non dato per assodato, almeno previsto o ipotizzato. No, il gelo di Dazai in quel momento fu dovuto alla comprensione. A quel tipo di illuminazione che i saggi dicono di raggiungere a un certo punto della loro vita, quella capace di cambiare intere esistenze come un'apparizione.
L'ultimo anno, era un'indicazione temporale incredibilmente specifica e purtroppo per lui non lasciava spazio a molti dubbi. Nell'istante in cui se ne rese conto, fu come se uno specchio buttato a terra con rabbia e spaccato in miliardi di schegge di vetro impossibile da rimettere insieme si fosse appena riformato sotto i suoi occhi come per magia, rimandandogli indietro un'immagine perfetta con la propria superficie riflettente. Purtroppo l'immagine che gli rimandava indietro non era la propria e meno ancora quella di qualcuno di gradito - non era nemmeno quella di qualcuno, ma di qualcosa. Una creatura che chiunque avrebbe definito mostro anche solo guardandola, una potenza al pari di un cataclisma naturale che era quasi impensabile fosse racchiusa anche solo per un secondo nel corpo di un unico uomo.
Dazai non poté ricacciare indietro abbastanza veloce le parole che aveva sentito pronunciare una volta come se venissero pronunciate dalle viscere della terra stessa - lascia che mostri loro l'odio di una creatura non umana, il vuoto di un essere nato senza la benedizione di Dio. Gli mostrerò l'inferno assopito nel profondo del mio vero essere, nella mia stessa essenza-- e nel profondo della mia anima.
Lunghi capelli biondi in una treccia a poggiare morbida sulla spalla, occhi chiari come il cielo e un fetore putrido al proprio interno, ormai rinchiuso in un luogo simile alle segrete di un castello e che altro non era che la prigione autoimposta di un sotterraneo.
«Paul Verlaine.» pronunciò Dazai, fissandolo. Salieri non sorrise soddisfatto, non storse il naso, non mostrò il piacere di sentir pronunciare un nome che per forza di cose doveva essergli almeno un minimo familiare. Eppure quel silenzio fu comunque una conferma.
Dazai capì che la sensazione avuta fino a quel momento era quel brivido vago di chi si rende conto a livello inconscio di avere vicino una bomba pronta a esplodere, l'esperimento proibito che nessuno dovrebbe mai compiere e che a quanto sembrava non era stato portato avanti una volta, non due, ma ben tre.
Di fronte a lui, c'era la terza Singolarità che il mondo non sapeva nemmeno cosa fosse e che se anche lo avesse saputo, non avrebbe potuto contrastare in alcun modo. E lui, Dazai, non poteva far altro che chiedersi quanto folle e studiato fosse il piano di Deus o il suo obiettivo se teneva un uomo che da solo avrebbe potuto distruggere il mondo intero anche solo per capriccio come se fosse un innocua compagnia per i momenti di noia.
«E' uno dei nomi con cui so essere stato conosciuto uno come me.» confermò Salieri, facendo grattare la sedia indietro e alzandosi. Dazai non degnò di uno sguardo la scacchiera, comprendendo che la partita non era mai stata destinata a essere conclusa fin dall'inizio e che forse era stato oggetto di studio più di quanto pensasse quando si era seduto per propria scelta di fronte all'uomo. Lo vide recuperare il blocco e la penna, capendo che cercare di trattenerlo al momento sarebbe stato inutile e forse andava bene così: aveva bisogno di raccogliere le informazioni, per capire cosa farne e soprattutto come considerarle singolarmente e nella loro interezza.
Lo osservò allontanarsi, senza alcuna parola di congedo.
Proprio quando pensava che avrebbe semplicemente sentito la porta aprirsi e richiudersi, Salieri lo richiamò con un ennesimo «Dazai?» che gli fece alzare lo sguardo. Finì per incontrare quello duro di chi avrebbe potuto distruggere chiunque e qualunque cosa sul suo cammino in quel preciso istante e comprese che l'unica cosa a muovere quell'entità che gli stava di fronte era una disperazione così cupa da aver fatto più che logorarlo.
Aveva divorato qualsiasi briciola di umanità una cosiddetta Singolarità potesse avere.
«Il cammino che percorri ha solo una fine. Da quella non si torna indietro e tutti quelli come me l'hanno già percorso.» fu l'unica cosa che Salieri pronunciò prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle lasciandolo solo. Del vociare all'esterno gli suggerì che i fratelli stessero tornando.
Abbassò lo sguardo sulla scacchiera e pensandoci, Dazai comprese che c'era molto di più del piano di Deus.
Se la distruzione indiscriminata avesse avuto un volto, quello sarebbe stato senza dubbio il volto di una Singolarità e il suo nome sarebbe stato Antonio Salieri.