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Fandom: touken ranbu
Prompt: Historical!AU (m2)
Parole: 877
Warnings: Yoshiwara!au, accenno di rapporti noncon, prosituzione 



Yoshiwara attira uomini come le lanterne attirano le falene: luci calde, l’illusione di un mondo eterno ed etereo che non si infrange mai e ti acceca fin quando non ti brucia completamente. Yoshiwara è il fiore di una Edo che si è appena affacciata al diciassettesimo secolo, è la forma di un decreto imposto da Tokugawa, è il sogno di una notte fatta di mille colori sgargianti che non hanno nulla da spartire con la sobrietà di un popolo di modesta indole e rigoroso tenore di vita.

Durante il giorno Yoshiwara non sa di quasi nulla, somiglia all’ombra di una città incapace di vivere al ritmo giusto e poi, mentre il crepuscolo sfuma il cielo, una forza invisibile sembra pompare il sangue del quartiere per le vie, animando tutto quanto. Kashuu di solito osserva il cambiamento dalla sua stanza, ancora pronto per metà: ecco, Yoshiwara mentre si trasforma è proprio come una qualsiasi cortigiana chiusa nelle sue stanze in una delle tante case di piacere di cui il quartiere si vanta come una donna fa con i fermagli pregiati. In mutamento, un attore nell’atto di indossare una maschera fatta di trucco studiato, di stoffe sgargianti, di capelli tirati su perché la base del collo sia visibile e sensuale agli occhi dei clienti, degli spettatori.

Tra le porte scorrevoli in carta di riso ci sono uomini e donne che maledicono il fato avverso che li ha portati lì, a vendere l’arte e l’illusione di un amore della durata di una notte, ma Kashuu a volte li osserva e pensa che non ci sia molto da maledire - lui viene da una famiglia povera abbastanza da averlo venduto così presto da impedirgli di ricordare i volti di chi lo ha messo al mondo, è stato “Kashuu del letto del fiume” finché non è divenuto “Kashuu di Yoshiwara” e almeno nel secondo caso ha un tetto sopra la testa e non è così male, dopotutto. Vivono la fortuna della loro epoca, fatta di sospiri, di sakè versato, di kimono meravigliosi che in qualche parte del mondo fuori (ma esiste, poi, un mondo fuori?) qualcuno con ignoranza e ingenuità accosta agli abiti delle principesse di paesi lontani. 

A Kashuu viene da ridere: quale popolo mai vede le sue principesse e le sue future regine come pezzi d’arte da vendere giorno dopo giorno? Eppure lui e le sue oneesan mandano avanti quella piccola porzione di esistenza che pulsa ai ritmi di un paese chiuso all’esterno, e chiuso all’interno, che ribolle con più passione di chiunque altro ma solo tra la carta di riso.

Fuori, Yoshiwara all’alba si spegne e gli uomini che si muovono tra gambe candide e bacini avvolti in pregiate stoffe durante la notte diventano piccole copie intente a camminare in fila per tornare alla leggerezza di un’esistenza austera.

Kashuu sospira con fare infantile, studiato, mentre finisce di applicare la polvere bianca al viso e ripone gli strumenti con cui dovrà poi colorarsi di rosso le labbra; le dita si intrecciano ai capelli corvini, passano tra di essi come un pettine, li tirano su in una crocchia perfetta data dall’abitudine, da gesti appresi prima ancora delle parole. Dietro di lui, una piccola ancora troppo giovane per interfacciarsi con i clienti gli sta sistemando il fiocco dell’obi come se fosse la sua bambola più preziosa da tenere sempre con cura maniacale.

«Kashuu-oneesan» lo chiama «posso vedere il tuo nuovo fermaglio?»

Kashuu la osserva dal piccolo specchio che usa per rendersi perfetto come il mondo lo richiede di notte e le rivolge un sorriso accondiscendente - ci sarà tempo per spiegare a quella bambina che Yoshiwara è una favola solo per chi viene da fuori, non per chi ci abita dentro, ma anche per insegnarle a benedire un fato che poteva essere migliore ma anche infinitamente peggiore di quello stretto tra le sue piccole mani, ora, sotto forma di obi.

«Puoi, ma non spostarlo da lì.»
«Non lo vuoi indossare?»

Kashuu posa lo sguardo sull’oggetto incriminato: è un fermaglio semplice, di poco valore sul mercato senza dubbio; gli sono stati fatti doni molto più preziosi, molto più costosi da uomini che apprezzano la sua compagnia artistica e vorrebbero non fosse solo quella. Qualcuno di quei regali è di squisita fattura, bilancia perfettamente la lavorazione dei metalli con l’incastonatura - in alcuni casi - di pietre preziose o motivi floreali eleganti. Farfalle per la sua grazia, boccioli per la sua beltà ancora non del tutto sbocciata - non lo sanno, nel quartiere di Yoshiwara, che chiunque conosce i riti per accettare dei doni è quasi sempre già sfiorito - e pietre per dirgli che è il loro gioiello, il loro tesoro.

Quanta ingenuità deve portare un guerriero abile ma ancora lontano dalla fortuna vera e propria a fargli scegliere qualcosa di tanto semplice e inadatto come un fermaglio di legno appena lavorato e con, come ornamento, un fiore di ciliegio? 

Chi mai donerebbe a qualcuno appartenente a una casa di piacere del quartiere che passerà alla storia - ma chi la storia non la conosce ancora, perché ne è parte, non può saperlo - il fiore più puro di tutti?

Posso rivederti, Kashuu-san?

«Non oggi, mia piccola sorella.» pronuncia Kashuu, distogliendo lo sguardo «Aspetto che un nessuno torni e mi chieda di indossarlo.»

 
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Prompt: scontro
Missione: M1
Parole: 712




Quando Horikawa raggiunge il dojo insieme a Kanesada, la situazione è molto peggio di quanto si aspettasse quando i piccoli Toushirou sono andati a cercarlo, trafelati, chiedendogli di correre al dojo perché Kashuu e Yasusada stavano litigando. Tuttavia quello davanti ai suoi occhi non è solo più di un litigio, ma anche molto più di uno scontro con la spada, sebbene vederli incrociare le armi di legno minimizzi molto la cosa a un occhio esterno e poco allenato.
Innanzitutto, sono silenziosi. Una cosa che ha sempre caratterizzato le spade di Okita Souji è che entrambi, nella loro forma umana, hanno mantenuto il modo di combattere del proprio padrone. Okita Souji non è mai stato un uomo o un guerriero di poche parole come era invece Hijikata, quindi il fatto che né dalle labbra di Kashuu né da quelle di Yasusada esca un solo verso è già indice che qualcosa non va.
Horikawa assottiglia lo sguardo e nota quasi subito un altro dettaglio preoccupante quando le spade di legno si scontrano di nuovo: non solo c’è molta più forza di quanta entrambi mettano in genere in un fendente - Horikawa li ha visti allenarsi troppe volte per non sapere che lo stile di entrambi non è massaccio o pesante come quello di Nagasone o Tonbokiri, solida roccia quasi impossibile da spostare, ma agile, veloce e preciso. Al momento quei due non stanno combattendo né per migliorarsi a vicenda, né per un incontro amichevole. C’è in loro l’intento di prevalere l’uno sull’altro fisicamente, niente di più.
Horikawa fa un passo avanti quando vede Kashuu caricare a piena forza e scagliarsi su Yasusada, ma si blocca quando a livello inconscio prima ancora che conscio si rende conto del perché tutto gli risulta almeno vagamente familiare - è un ricordo vago nel contesto in cui si è svolto ma più che nitido nell’avvenimento di per sé e nella causa scatenante: Kashuu e Yamato hanno avuto scontri violenti ma sono sempre, sempre stati riguardo Okita.
La mano di Kanesada si posa sulla sua spalla e stringe appena, per attirare la sua attenzione; quando Horikawa gliela rivolge Kanesada si limita a guardarlo e a scuotere la testa.
Nel dojo il rumore delle spade che cozzano l’una contro l’altra più volte riecheggia nel silenzio. Un mormorio sommesso di chi si chiede cosa debba fare si alterna all’ingenuo tentativo dei più giovani di richiamare ora Kashuu, ora Yasusada nella speranza di fermarli, senza alcun successo. Horikawa non se ne stupisce.
A volte, guardandoli, si rende conto che entrambi insieme riescono a mostrare una copia perfetta e a tutto tondo di Okita: Yasusada ha la freddezza nel combattimento, Kashuu il divertimento quasi arrogante dell’incrociare la spada con qualcuno; Yamatonokami ha quella placidità che, per quanto di rado, Okita tirava fuori - spesso gelida, spesso distante - mentre Kiyomitsu è il fuoco delle emozioni che Souji ha tirato fuori prima di morire, per paura della vita che gli scivolava fra le mani senza che lui potesse farci nulla, pur con tutta la voglia di vivere del mondo.
Questi dettagli gli tornano alla mente sempre quando li vede litigare, scontrarsi per un amore viscerale nei confronti di un padrone che non sapranno mai sostituire del tutto nei loro cuori, una figura che è stata troppo per entrambi ma in modo così diverso che non riescono a farlo combaciare per accettarsi a vicenda.
Così si scontrano, irrimediabilmente: Kashuu con l’impeto della disperazione che non lo ha mai lasciato da quando si è spezzato - non materialmente, no, ad averlo spezzato è stata la perdita - e Yasusada con la calma che è solo la parentesi illusoria prima della tempesta.
Le spade cozzano di nuovo una contro l’altra, e Kashuu si lascia finalmente sfuggire di bocca un verso frustrato, arrabbiato e di sfogo. Yasusada forse non se lo aspetta, ma si fa sbilanciare e finisce a terra.
Torreggiando sopra di lui, Kashuu lo guarda mentre il petto si alza e si abbassa per il respiro affannato e la punta della spada di legno quasi sfiora la gola di Yasusada; un silenzio innaturale di fiati sospesi resta a fare da cornice a un’immagine immensamente triste.
Horikawa guarda Yasusada. Come possono loro, dai sentimenti così simili, essere quelli meno in grado di comprendersi e salvarsi a vicenda?

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