hakurenshi: (Default)
 

Prompt: oscurità
Missione: M2
Parole: 8191
Warning: lime, fivesome, minor spoilers (Yumenosaki war)



L’aula del club di musica non è mai silenziosa quando Wataru decide di passare a trovarlo, abbandonando i suoi kohai - Mashiro nello specifico, non perché il tutto non ricada anche su Hidaka quanto perché il primo è di certo quello a soffrirne di più in termini di nervi - al loro destino perché il mondo ha bisogno della presenza del grande
magician delle Oddballs. O almeno, quello che un tempo era identificato come tale, sebbene abbia ceduto lo scettro e il trono a Sakasaki.
Sono rari i momenti in cui in presenza di Wataru ci si può lamentare del silenzio, tuttavia in quei rari casi persino Rei sopporta l’idea di abbandonare la sua bara con un’oretta o anche qualcosa in più di anticipo; molte volte parlano di sciocchezze di poco conto, altre - più rare - dei tempi che furono, piccoli frammenti di memoria che non osano scoprire del tutto per un vicendevole rispetto.
In alcune occasioni, però, ci sono anche discorsi di un certo peso capaci di scivolare inesorabili nella follia pura o in argomenti assolutamente non correlati.
«Ah, dunque è proprio da uno dei miei fratelli che sono stato tradito…!» si lamenta Wataru con fare melodrammatico, il dorso della mano contro la fronte e il capo leggermente piegato all’indietro per enfatizzare. Rei lo trova divertente, un sorrisetto a incurvargli le labbra senza interrompere la sua follia.
«Essere considerato il leader di un gruppo sexy...» lo dice adocchiando di sbieco la rivista da lui stesso portata e della quale Rei è già stato messo al corrente; non che gli dispiaccia la pubblicità e non che gli Undead siano mai stati il tipo di unit da poter attirare il pubblico più innocente come i Rab*its, d’altronde.
«Ah!» continua sospirando «E’ dunque la fine dell’era dell’eleganza?»
«Il tempo e le epoche dimostrano quanto facile sia ingannare gli umani e veicolare i loro gusti, Hibiki-kun. Tuttavia fanno ricerche e scoperte sugli argomenti più disparati, sai?» osserva, preparando il proprio succo di pomodoro per la “colazione”.
«Oh? Sono commosso all’idea che tu, Rei, stia condividendo questa informazione proprio con me! Io, Wataru Hibiki, sento che potrei lasciare libero sfogo alle lacrime per questo! E’ forse un segreto inconfessabile quello che sto per sentire?»
«Non propriamente, ma è il tipo di segreto che non si può pronunciare di fronte ai bambini.» ammette Rei, con l’aria di chi si è assicurato - prima di ogni cosa - che nessuno di questi “bambini” fosse presente nell’aula al momento della rivelazione «Secondo interessanti congetture degli umani,» prosegue il leader degli Undead, sulle labbra il sorriso di chi la sa lunga, come un vecchio saggio o un demone vissuto troppo a lungo ormai «pare che la privazione di un senso renda l’esperienza sessuale estremamente più appagante.»
Il luccichio nello sguardo di Wataru è proprio ciò che si aspettava.



Shu avrebbe dovuto sapere che ci sarebbe stato qualcosa di profondamente sbagliato nell’acconsentire a un’idea partorita dalla mente di Wataru e, peggio ancora, nata da qualcosa detto da Rei e comprendente il chiudersi tutti in una sola stanza dall’arredamento piuttosto… vario, al punto da infastidire il suo senso estetico - chi mai perpetrerebbe un tale crimine contro il buon gusto mettendo insieme un divano di quel tipo con un letto simile? Certo non in casa sua.
Nemmeno la sua più fervida immaginazione, tuttavia, avrebbe mai potuto concepire un’iniziativa di tale livello.
«Non!» esprime un rifiuto forte senza la minima preoccupazione di ferire i sentimenti altrui e no, non importa quanto Wataru mostri un’espressione abbattuta; non cadrà nella rete dell’uomo le cui doti di attore sono riconosciute, rispettate e quasi temute persino nel mondo dello spettacolo adulto. Wataru e Rei si scambiano un’occhiata che non promette granché di buono, e per Shu è istintivo andare alla ricerca delle altre due oddballs con lo sguardo: Kanata è seduto comodamente sul divano, del tutto interessato ai cuscini; Natsume sta osservando la stanza in generale, forse alla ricerca di qualcosa che gli suggerisca quale sia la fantomatica idea a cui Wataru per ora ha solo accennato di aver avuto. Le finestre della stanza sono state lasciate accostate, forse per permettere all’aria di circolare nonostante le persiane chiuse. Ne consegue una penombra che di norma non disturberebbe troppo Shu, ma che al momento non lo fa sentire particolarmente a suo agio. Stima artisticamente i suoi compagni, ma quanto a trovate vergognose Wataru è il portabandiera e lo è sempre stato.
«Shu-kun, sei un estimatore della bellezza e della perfezione, ma ti imponi dei limiti troppo stretti per un vero esteta.» gli rinfaccia Wataru, con un luccichio negli occhi che dovrebbe bastare a suggerire di non raccogliere la sua provocazione. Ma Itsuki Shu non lascia che qualcuno metta in dubbio il suo amore per l’arte, mai. Incrocia le braccia al petto, il cipiglio scettico rivolto alla figura di Wataru, ancora.
Non domanda, per non dargli la soddisfazione di vederlo interessato, ma confida nel fatto che mostrarsi vagamente interessato a quanto ha da dire sia sufficiente a esternare il suo tacito invito a proseguire con quell’affermazione.
«Ebbene!» riprende Hibiki con rinnovato entusiasmo - troppo, sempre troppo - facendo una piroetta inutile «Io e Rei, confrontandoci grazie a studi di recente portati avanti e resi noti al pubblico, abbiamo trovato qualcosa che potrebbe essere interessante provare. Invero,» prosegue con quel preambolo odioso «non eravamo certi fosse adatto per Natsume-kun, ma memori di quanto avrebbe potuto soffrirne se lasciato in disparte, abbiamo infine optato per lasciare che sia lui a decidere se condividere l’esperienza con noi o meno.»
Quell’affermazione ha il potere di catturare l’attenzione di Natsume, un sopracciglio alzato in un’espressione perplessa, quasi non fosse sicuro di volersi addentrare in una spiegazione; Shu quasi lo spera, ma al tempo stesso è cosciente di come sia impossibile evitarla. E’ pur vero, però, che in quella stanza sono presenti quasi tutte le persone per le quali potrebbe scendere a patti - una cosa altrimenti inconcepibile per lui e il suo ego - e alle quali abbia mai concesso di vedere, della propria persona, molto più di quanto abbia mai mostrato al resto del mondo che un tempo lo idolatrava. Con quelle quattro persone ha condiviso una parte della propria anima; quando rimprovera a Wataru di non saper riconoscere l’amore e di renderlo troppo frivolo è questo che intende. Al tempo stesso, però, non può biasimarlo davvero: nella stanza ci sono cinque mostri per i quali è difficile comprendere appieno i sentimenti umani - Shu non sa se è solo per la loro natura o se perché il loro cuore è stato troppo a lungo intriso e intrappolato dall’oscurità. Forse è anche per questo che, lontani gli uni dagli altri, risultano un enigma per chiunque altro e finiscono per non essere compresi.
«Shu-niisan» lo richiama Natsume «non vedo Mado-neesan...»
«Perché Wataru ha detto che portarla sarebbe stato sconveniente» replica seccato «e sebbene io non apprezzi l’idea di lasciarla altrove, non vorrei mai che venisse contaminata da qualcosa di dubbia origine.» afferma con un cipiglio di chiara disapprovazione verso Wataru. E’ Rei, però, a dare una spiegazione al suo posto, mentre il ridacchiare leggero di Hibiki riempie l’aria - il che è già sorprendente, considerata l’alternativa della sua risata sguaiata e fin troppo rumorosa.
«In verità il consiglio di Hibiki-kun è un buon consiglio.» ammette Rei «Ci sono cose che una signorina per bene non dovrebbe vedere, né conoscere.» aggiunge con un’espressione quasi ferina che non può essere il preambolo di nulla di buono. Shu sbuffa, iniziando a spazientirsi per tutto quell’inutile mistero.
«Rei-niisan, vorrei che tu dicessi di cosa si tratta.» interrompe Natsume «Specialmente se ci si aspetta da me che decida cosa fare.»
«Prendere parte a un esperimento!» si intromette Wataru, con rinnovato entusiasmo e rivolto a tutti, mentre Rei si focalizza sul più giovane per aggiungere un «Puoi osservare e poi decidere cosa fare, Sakasaki-kun.» assicura, spostando l’attenzione su Kanata prima e su Shu poi «La cosa implica questa stanza e affidarsi del tutto alla completa oscurità.» è la sua premessa «Ma siamo stati considerati dei mostri per lungo tempo e, nel cuore di qualcuno, forse lo siamo ancora e lo saremo sempre.» è la stilettata che lancia a tutti loro, compreso se stesso.
«E i mostri non hanno alcun timore dell’oscurità, giusto? Che sia fuori o dentro di loro.»

Shu rimane in silenzio per un momento, ritirandosi dalla conversazione con la scusa di lasciare spazio a Natsume. In cuor suo però sa a cosa Rei si riferisce - tutti loro lo sanno fin troppo bene. Forse è proprio il più giovane di loro a non aver del tutto compreso come si sia arrivati a quella loro fama: sono come eroi caduti in disgrazia, amati dal popolo prima e detestati e perseguitati poi. Ci ha messo tanto tempo, Shu, a mettere a fuoco il dolore attraverso una lente di lucidità per poterlo analizzare, anziché continuare a farsi divorare da esso. Il tempo non ha guarito la ferita - non lo farà mai, il rancore e l’ego non gli concedono un lusso simile e forse lui non vuole farlo - ma ha permesso che riuscisse a capire dove si era annidato il male, con quale mezzo li aveva spinti giù per il baratro facendogli toccare il fondo. E’ abbastanza convinto che tutti loro siano stati in un certo senso rinchiusi nel fondo buio e umido di un pozzo, come creature mostruose capaci di divorare il cuore degli uomini solo mostrandosi a loro. Per mesi Shu non si è capacitato di come il mondo fosse stato ai loro piedi un istante prima e pronto a colpirli a morte quello dopo - per quanto in Tenshouin e i suoi tirapiedi veda la ragione principale, il meccanismo che ha permesso all’intera struttura chiamata inganno di muoversi, c’è qualcosa in più e gli è sfuggita per tutto questo tempo. Ha avvelenato la sua mente a lungo, tanto da farlo dubitare di Wataru che a Tenshouin si è avvicinato tanto da fare parte della sua unit, per esempio. Non è stato facile comprendere le motivazioni dietro la scelta dell’altro, ma alla fine in qualche modo sente di esserci riuscito.
Fa vagare lo sguardo sugli altri, soffermandosi su ognuno di loro senza però seguire davvero lo scambio che sta tenendo impegnati Rei e Natsume. Guarda Wataru, che sembra un bambino in attesa della decisione in merito a quale gioco provare per primo tra tanti a sua disposizione; Kanata, che li guarda tutti con un sorriso lieve e a suo modo imperscrutabile sul viso, senza aver ancora aperto bocca e con una bottiglietta d’acqua aperta e tra le mani, un vero miracolo non abbia ancora tentato di rovesciarsela addosso per non “seccarsi”. Rei, che non ha davvero bisogno dell’ascendente sempre avuto con il suo pubblico per portare Natsume dalla sua parte: sa che tra loro c’è un tipo di legame simile a quello che unisce tutte le oddballs ma, al tempo stesso, molto diverso e difficile da collocare. A dire di Wataru, si deve a quanto avvenuto durante la guerra, alla vicinanza di chi è stato costretto a rimanere a guardare - iperprotetto, assolutamente - e chi si è preso l’onere di tenerlo al sicuro, fino all’ultimo, anche rischiando di farsi odiare per questo e pronto a essere il muro tra quella creatura preziosa e il resto del mondo che ormai li vedeva come il male incarnato sulla Terra.
Natsume, infine. Shu non ha inquadrato subito quel giovane, quando ha sentito per la prima volta che era considerato speciale esattamente come loro, e aveva poco interesse nel conoscerlo all’inizio; ai suoi occhi era un estraneo in procinto di entrare nella bolla di perfetto equilibrio a cui Shu tanto teneva e dove non ha mai ammesso nemmeno il minimo sbilanciarsi. Loro quattro erano perfetti nel modo in cui un peso è equamente diviso a metà, o nella linearità per cui quattro direzioni diverse riuscissero a proseguire parallelamente senza toccarsi o incrociarsi mai, ma avendo come ultima meta il medesimo luogo. Natsume ai suoi occhi avrebbe potuto rovinare tutto - eppure, prima che potesse rendersene conto, Shu ha compreso quanto gli fosse diventato caro. Forse perché, da subito, è stato lo specchio di una realtà che tutti loro avevano avuto già modo di conoscere, vivere e dalla quale hanno fortemente desiderato di tenerlo lontano, di preservarlo. Illusi, come gli eroi dei romanzi, troppo accecati dal loro senso del dovere e dal loro credere nel bene per rendersi conto di quanto sia impossibile salvare sempre tutti.
E forse Natsume non ha nemmeno mai desiderato di essere salvato dall’oscurità.


Una stanza completamente buia era troppo per iniziare, Rei ne ha la conferma mentre grazie alla poca penombra mantenuta riesce a osservare la grande conquista di aver convinto Shu a privarsi almeno della giacca della divisa scolastica, un risultato quasi incredibile. Lui e Wataru hanno ponderato a lungo quando hanno preso in considerazione quell’idea, quando la curiosità ha stuzzicato le loro menti e i loro sensi: Shu è una persona che a stento sta ritrovando una tranquillità interiore adesso, e già questa cosa di per sé minaccia di privarlo di almeno una parte di essa… essere lui a guidarlo è sembrata la scelta più ovvia, sebbene qualcosa nel profondo lo infastidisca al pensiero di aver così lasciato Natsume agli altri due - se non fossero proprio Kanata e Wataru, Rei è certo non vivrebbe con altrettanta calma l’idea di non essere al loro posto. Non che Shu non sia ugualmente importante, è chiaro: ritiene molto più complesso avvicinare all’intimità tra due persone una che ha sempre rifiutato anche solo un semplice abbraccio, piuttosto di una frenata unicamente dalla giovane età.
Shu ha sul viso il cipiglio di chi non è ancora per nulla convinto di ciò a cui si sta più o meno prestando. Guarda Rei di sbieco, poi punta lo sguardo davanti a sé ma quando inquadra gli altri tre sembra decidere (saggiamente?) di tornare altrove con la propria attenzione. Le braccia incrociate al petto sono un segnale difficile da interpretare, per quanto Rei si pregi di essere piuttosto bravo in cose simili; vuole, tuttavia, essere certo di comprenderlo bene, di cogliere la corretta sfumatura di una posizione che in genere tende a proteggere chi la assume dal resto che lo circonda. L’approccio intimo, d’altronde, varia da persona a persona - non potrebbe essere diversamente in fondo - dunque non c’è una vera e propria prassi che sia possibile seguire. Decide, a ogni modo, che con una persona come Shu la parola d’ordine non possa essere altra se non “lentezza”. La fretta sarebbe non soltanto una cattiva consigliera, ma una pessima alleata.
«Non è una cosa così grave.» inizia a dire, occhieggiandolo e notando che almeno l’altro ricambia il suo sguardo. Nell’accenno di corazza che Shu gli sta mostrando deve esserci una parte di ciò a cui tutto il mondo si ferma e poi, solo poi, un barlume di ciò che solo le oddballs possono dire di aver vissuto e conosciuto in modo vivido. Sembra indeciso sul credere o meno alle sue parole, ma infine pare decidersi per il sì - qualunque cosa esso implichi - sciogliendo, non senza una certa titubanza, l’intreccio delle proprie braccia. Rei sorride, una scintilla di soddisfazione nello sguardo. Nota che quello di Shu vaga di nuovo verso gli altri tre, perciò Rei si accosta al suo orecchio: «Non è così male come lo fai sembrare, ma possiamo iniziare piano e tu puoi dirmi cosa ti è gradito e cosa no.» assicura, spiando dalla sua espressione un qualche assenso o diniego. Finalmente Shu focalizza l’attenzione su di lui: è chiaro come non sia ancora convinto dalla cosa, tuttavia si prende il rischio di un azzardo e offre il palmo della mano a Rei. L’altro gliela prende nella propria, sapendo quanto quel gesto sia molto più di quanto potrebbe sembrare a un occhio esterno.
C’è una manciata di secondi di stallo, senza davvero guardarsi e senza muoversi; Rei si limita a lasciare qualche carezza sul dorso della mano di Shu, abituandolo a una presenza che lo tocca, sebbene in un punto generalmente non considerato poi così intimo. Dapprima lo sente irrigidirsi e stringere in maniera involontaria la presa, poi si rilassa pian piano, allentandola di nuovo e lasciando la mano alla sua mercé. Rei muove le dita con accortezza, sfiora il palmo della mano di Itsuki e continua a carezzarne il dorso; quando sente di poter provare, porta il pollice a salire verso il polso in una carezza vagamente più audace. Nel dargli il tempo di abituarsi a quello, intanto, gli occhi di Rei vagano sulle altre tre oddballs: sull’altro divano che occupa la stanza, Wataru è seduto e tiene Kanata tra le sue gambe; Natsume, invece, è vicino a entrambi ma per ora sembra più osservare che partecipare attivamente alla cosa. Nella quasi totale oscurità non è facile distinguere ogni singolo movimento, ma non ci vuole nemmeno troppa immaginazione per notare che la camicia di Kanata è del tutto aperta, che la cravatta è abbandonata al fianco libero di Wataru e che una mano di quest’ultimo sta sfiorando il torace del giovane che ha pressoché in braccio. Non riesce a distinguere l’espressione di Kanata, ma il linguaggio del corpo non suggerisce né disagio né fastidio, ma anzi il principio di un abbandono piuttosto naturale, quello che arriva sempre e solo accompagnato da un’immensa dose di fiducia nel proprio partner. Quella stessa rilassatezza sembra contagiare persino Shu, per quanto non si possa dire che sono allo stesso livello, ma è comprensibile e prevedibile, Rei non si sente meno ben disposto per questo né deluso in alcun modo.
Lascia anzi che Shu guardi, che studi con gli occhi prima di dare un consenso e percepire con il corpo; continua solo ad accarezzargli la mano, con la pazienza di chi ha tutto il tempo del mondo e l’esperienza dalla sua parte. Kanata sta inclinando la testa indietro, abbandonandola senza troppe cerimonie contro la spalla di Wataru. Hibiki, dal canto suo, ridacchia e forse dice qualcosa che da lì Rei non riesce a sentire, prima di chinarsi sull’orecchio di Kanata - è difficile, da lì, vedere se gli stia mordicchiando l’orecchio con fare quasi scherzoso o se gli stia sussurrando qualcosa in modo che solo Shinkai possa sentirlo.
Al proprio fianco, Rei sente Shu sussultare in un modo che non sarebbe percettibile, se non fossero così vicini. Nel riportare l’attenzione su di lui, Sakuma non può fare a meno di notare che lo sguardo del leader dei Valkyrie è stato spostato di lato - quasi se lo immagina, a distogliere gli occhi dal gesto intimo di Kanata come se fosse un peccato mortale assistere - e a Rei scappa da ridere, senza poterlo nascondere al giovane di fianco a lui. Shu sciocca la lingua contro il palato in quella che è pura stizza, offeso, e Rei sa di dover ricorrere ai ripari per quanto la cosa lo diverta immensamente. Si accosta di più, senza lasciargli la mano, fino ad arrivare con le labbra vicino al suo viso abbastanza da poter parlare sfiorandogli la guancia.
Anche nel suo caso si tratta di poco più di un sussurro, di una domanda provocatoria nella sua semplicità; Shu tace, immobile e stoico nel tentativo di non dargli la soddisfazione che Rei cerca, ma in verità anche il suo tacere fa la propria parte. Rei muove appena il viso, e basta poco per sfiorare l’angolo della bocca altrui. Quasi gli sembra di sentirlo vibrare, ma non si scosta bruscamente né lascia la sua mano, e per Rei è una risposta sufficiente. Con le persone come Shu bisogna saper interpretare, tanto i gesti quanto le parole; è sempre stato una persona facilmente fraintendibile e lui - loro - meglio di chiunque altro ne è cosciente.
Sarebbe facile ora spostarsi di pochissimo per baciarlo sulle labbra, ma decide di allontanarsi invece dalla sua bocca e lasciare baci brevi e innocenti sulla guancia prima, sulla linea della mascella poi, scendendo piano verso il collo. Non accenna mai a spostare il colletto della camicia di Shu, nonostante i fronzoli della sua non aiutino il suo lavoro, ma lavora solo sulle porzioni di pelle già scoperta, senza forzare troppo la mano. Sente i muscoli del collo di Itsuki tendersi e lo sente trattenere il respiro per un istante - di sicuro, appena se ne è reso conto Shu si deve essere imposto di sembrare naturale e imperturbabile. Rei non ha cuore di dirgli che il corpo umano è troppo debole per non tradire le sue buone intenzioni; d’altronde, non è nemmeno così strano che un marionettista finisca con il dimenticare come funzioni un corpo vero, specialmente il proprio.
Solo dopo aver lasciato diversi baci, tutti con la totale assenza di malizia, ed essersi assicurato di non sentire Shu sgusciare via da sotto di sé, azzarda un poco di più. La linea dei denti sfiora la pelle, senza mordere davvero. D’altra parte è un vampiro da abbastanza anni da potersi concedere un più che discreto autocontrollo. Come c’era da aspettarsi, la mano libera di Shu si pianta con tutto il palmo contro il suo torace, spingendo quanto serve a far capire che Rei stia sfiorando un limite non ancora processato mentalmente dall’altro, ma non così forte da risultare violento.
Rei si ritira, quanto sufficiente a dargli l’idea di star vedendo restituito il proprio spazio vitale, ma non così tanto come forse Shu crede.
E’ ben conscio di come per Itsuki sia più difficile che per tutti gli altri: la sua psiche è fragile - per quanto vada molto meglio dell’anno precedente - e per tutti loro ci sono così tante questioni in sospeso, nel rapporto con le altre persone, che tradurle in un rapporto fisico è molto più complesso di quanto sembri. Al tempo stesso, però, a Rei riesce molto difficile immaginare Shu nella stessa situazione con una qualsiasi altra persona. Forse, con il ragazzo a cui tiene tanto, l’altro membro dei Valkyrie, se soltanto riuscissero a comunicare meglio di quanto fanno… se riuscissero a vedersi entrambi sullo stesso piano, a comprendersi in profondità, ecco, Rei allora accetterebbe senza battere ciglio l’idea di affidare Itsuki a lui perché sarebbe certo che una persona per lui - e gli altri - così preziosa sarebbe trattata a dovere, compresa e amata come merita.
Per il momento, però, nessuno fuori dalla stanza in cui sono è in grado di fare una cosa simile e forse, dentro di loro, tutti sono scesi a patti con questa cosa. Sono ancora nella fase in cui qualche raro umano ha bussato alla loro porta, si è addentrato nella loro oscurità e sta riuscendo a farsi strada in essa, ma non ci è ancora riuscito del tutto - Rei vorrebbe spiegare loro di avere pazienza, che quando due oscurità si scontrano ci vuole più tempo perché la luce possa penetrare in modo efficace tra di esse. Crede che Kanata, e forse in parte Wataru lo abbiano già compreso, ma quanto a Shu e al giovane Sakasaki…
«Che c’è.» lo accusa Shu, seccato, guardandolo quasi accusatorio. Rei scuote appena la testa, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, e gli prende entrambe le mani ora; non smette di carezzare il dorso di entrambe, accennando però con il capo ai tre compagni non troppo distanti. La penombra iniziale, con il calare del sole all’esterno e il diminuire della poca luce che filtrava tra le persiane, li ingloba sempre di più.
Lascia andare quelle stesse mani, alzandosi per poter cambiare posizione: per un momento vede nello sguardo di Shu la confusione - non azzarderebbe a definirlo abbandono, ma di certo non si aspettava di vedere Rei lasciare il suo fianco così presto - e questo gli suggerisce che forzare un poco la mano emotivamente potrebbe rivelarsi la scelta giusta. Non si allontana come Itsuki potrebbe aver pensato, né lo lascia indietro in favore degli altri tre. Si inginocchia a terra, invece, posando entrambe le mani sulle ginocchia di Shu senza alcuna pressione né per reale bisogno di appoggio: le muove piano, risalendo sulle cosce e andando su ancora fino al bacino, a metà tra una carezza e un marcare il territorio. Non distoglie mai lo sguardo da quello di Shu, un po’ per vederne le reazioni e un po’ per assicurarsi che ci sia, da parte dell’altro, il consenso per ogni suo gesto. Shu ha in viso un mix divertente dell’indignazione superficiale con cui sembra rapportarsi a tutti, disapprovando le loro sciocchezze, e di accennata curiosità. Rei fa scivolare con lentezza le mani via dalle gambe altrui, lateralmente, fino a poggiarsi sul divano; sente le ginocchia di Shu sfiorargli il corpo involontariamente quando le allarga di pochissimo, di certo senza rendersene davvero conto. E’ allora che Rei fa perno e si tira su, il proprio corpo a incastrarsi tra le gambe di Itsuki mentre lui gli rimane appena sopra, il viso portato vicino al suo. E’ come un animale che sta lentamente intrappolando la preda ma, al tempo stesso, Rei gli lascia una via di fuga nella lentezza con cui si muove - come a sottolineare il fatto che Shu potrebbe fermarlo in qualsiasi momento e molto prima che sia troppo tardi. Non sa perché Shu non lo faccia e, in verità, una piccola parte del leader degli Undead crede di comprenderlo: il mostro che è in lui non è così dissimile da quello annidato nel cuore del marionettista: c’è in loro l’innata curiosità per l’umanità. Forse è ciò che Shu, nonostante tutto, riesce a scorgere in lui.
«Non è carino tenere gli occhi aperti in momenti come questo, Itsuki-kun.» lo prende bonariamente in giro, prima di posare infine le labbra sulle sue.
Fuori il sole ha finito di nascondersi oltre l’orizzonte, e loro sono di nuovo nell’elemento in cui l’Imperatore si è divertito a rinchiuderli con una favola crudele e ben articolata.
C’è, di nuovo, solo oscurità intorno a loro.


Natsume non sa come sia finito in quella posizione, a essere completamente sincero: fino a poco prima era Kanata a stare seduto tra le gambe di Wataru, la schiena contro il petto dell’attore prodigio. Natsume li stava osservando non senza curiosità, quando Kanata ha posato lo sguardo su di lui, un sorriso che Natsume non ha saputo decifrare - e il buio quasi totale non aiutava - finché non lo ha sentito rivolgersi a lui: «Nacchan.» lo ha chiamato, allungano una mano verso di lui fino ad accarezzargli una guancia. Kanata, tra di loro, è sempre stato il più enigmatico: Natsume è convinto che tra tutti loro ci siano momenti di totale e imprescindibile comprensione e altri brevi istanti, fugaci attimi, in cui si sentono del tutto estranei. D’altronde, ha compreso solo con molto ritardo le motivazioni dietro i gesti di quelli che chiama “fratelli” ma che, a voler essere del tutto precisi e introspettivi, NAtsume crede che potrebbe tranquillamente definire parti della propria anima. Anche per questo, quale motivo aveva di rifiutare la mano di Kanata? Così ora si trova al suo posto, gli occhi per nulla abituati all’oscurità totale in cui la stanza è piombata dopo il calar del sole.
Il corpo di Wataru è una presenza solida e sicura sotto il proprio, sebbene in diversi punti i vestiti (di Hibiki) facciano ancora da barriera tra di loro. Una delle sue mani è sul suo fianco, il palmo caldo a totale contatto con la sua pelle; l’altra gli lascia diverse carezze a partire dal centro del petto e scendendo, lenta e imprevedibile fino all’ombelico per poi risalire su, in un percorso irregolare e immaginario - e all’immaginazione di Hibiki Wataru non c’è mai stato limite.
E’ quando è ormai concentrato su quest’ultimo che vede la testa di Kanata fare capolino, chinarsi sulla patta dei suoi pantaloni; si aiuta senza troppe cerimonie con la mano, per aprire la zip, e con entrambe poi per calargli l’indumento. Non c’è né fretta né prepotenza nei suoi gesti, ma una naturalezza quasi sconcertante, se non fosse che si tratta di Kanata e che lui è il tipo di persona che sarebbe capace di fare davvero qualsiasi cosa sembrando del tutto abituato. Natsume non si impone, non chiude le gambe per impedirgli di spogliarsi: lo muove la curiosità ma un grande ruolo è anche affidato alla totale fiducia che ripone nell’altro, la certezza quasi assoluta che Kanata potrebbe fare miliardi di cose ma non ferire gratuitamente nessuno di loro - Natsume ha sempre pensato che la loro sia la forma più alta di quel confine labile esistente tra la più potente magia e la più grande maledizione. Li unisce in un modo impossibile da spiegare anche con tutte le parole del mondo. Perciò non lo disturba essere toccato in modo intimo, essere spogliato; forse molto aiuta anche il fatto che per quanto abbia precisa percezione della presenza di altre persone, due delle quali molto vicine, il non poterle vedere e il non riuscire a definire con assoluta chiarezza dove si trovino, in quale posizione o cosa siano in procinto di fare aggiunge non solo un brivido di sorpresa ogni volta che si sente sfiorare, ma anche l’aspettativa. Sa che qualcosa sta arrivando, ma la registra comunque con un istante di ritardo, senza poterla anticipare in alcun modo come potrebbe invece fare in una situazione normale.
I capelli di Kanata gli sfiorano l’interno coscia e un attimo dopo la bocca di Shinkai è sul suo sesso. Natsume sobbalza, sentendo lo sbuffo divertito di Wataru contro il suo orecchio e la sua mano soffermarsi poco distante dall’ombelico, stringendo impercettibilmente l’abbraccio, quasi a dargli un appoggio più solido senza farlo sentire in trappola. Natsume sarebbe ben lieto di guardarlo in viso ed esprimere tutta la sua disapprovazione per quello sbuffo che è di certo una presa in giro ai suoi danni, ma per ovvi motivi sarebbe inutile farlo ora come ora; senza contare la distrazione non indifferente che sono le sensazioni, del tutto sconosciute prima di questo momento, causate dalla bocca di Kanata che per ora si limita a stuzzicarlo in maniera leggera.
«Wataru-niisan...» borbotta, sperando che nel tono la sua offesa si senta tutta. Forse sì, perché Wataru gli mormora delle scuse assolutamente non sentite all’orecchio, e Kanata benché non parli porta una mano a lasciare qualche lenta carezza sull’interno coscia opposto a quello contro cui Natsume può ancora sentire i suoi capelli. Non è molto sicuro di cosa vada fatto, ma d’istinto porta una mano tra quelli stessi capelli, senza fare pressione né per avvicinare Kanata al proprio corpo, né per allontanarlo. Distrattamente sente, dal lato della stanza dove suppone si trovino Shu e Rei, un gemito di quelli che sembrano senza dubbio essere scappati contro la volontà di qualcuno; nella sua testa è abbastanza facile sovrapporre la propria posizione a quella di Shu, di cui ha riconosciuto la voce - ma eviterà di dirglielo - e Rei a Wataru, oppure a Kanata… forse il primo, si dice con un barlume di lucidità. Dubita che Shu permetterebbe mai un’attenzione intima come quella di Kanata, anche se in questa situazione non è poi detto.
Non può permettersi il lusso di preoccuparsi troppo degli altri, però. Kanata sembra del tutto intenzionato a non dargli modo di farlo, quantomeno, così prima di rendersene davvero conto Natsume sente la sua lingua sulla propria erezione ormai fin troppo ovvia e porta d’istinto la testa indietro, incontrando quasi subito la spalla di Wataru. Si accorge in modo molto vago di come una delle mani altrui abbia abbandonato il suo corpo e non fa in tempo a domandarsi o domandare a lui stesso perché o dove sia finita, che quando si volta senza alcuna idea precisa della distanza tra i loro visi, ecco che le dita di Wataru incontrano le sue labbra, nello stesso modo in cui si potrebbe zittire un bambino un istante prima che riveli un segreto troppo importante per essere svelato. Natsume ne rimane sorpreso, inizialmente, confuso; poi Wataru allontana le dita sebbene di poco - le sente ancora sfiorargli le labbra quando le socchiude appena per inspirare, Kanata che continua imperterrito e indisturbato, seguendo un ritmo tutto proprio come in quasi ogni cosa della sua intera esistenza.
Wataru inclina appena la testa e gli posa un bacio leggero sulla tempia che lo stupisce più del gesto precedente: «Non posso essere io a baciarti, Natsume-kun.» pronuncia come una battuta a effetto nel climax della prima di uno spettacolo di importanza mondiale. Natsume inarca un sopracciglio, senza il minimo indizio a cui rifarsi per carpire i significati nascosti che Wataru è capace di sottintendere persino nei saluti di ogni giorno.
«Nacchan» lo richiama Kanata, lontano abbastanza da dargli un momento di tregua ma non così tanto da evitare che il suo respiro gli solletichi la pelle sensibile, proprio mentre Wataru gli lascia una scia di baci leggeri fino al collo, senza però spingersi oltre. Riesce a essere un insieme di contraddizioni viventi anche in questo aspetto, è il pensiero che riesce a formulare mentre Wataru lo sorregge per accompagnarlo nel movimento e farlo alzare, sostenuto anche dalle mani di Kanata che si sono spostate su entrambi i suoi fianchi. Wataru dà tutto, sempre, ma ci sono momenti in cui viene da chiedersi se smetterà di dare, dare, dare e prenderà o pretenderà qualcosa indietro. La verità è che Natsume è abbastanza sicuro non sia nel suo carattere: Wataru ha evitato - insieme agli altri - che la guerra lo toccasse, e ora sta al fianco dell’Imperatore in attesa di una rivelazione che Natsume non solo non capirà mai, ma che non saprà mai vedere come un motivo sufficiente a restare al fianco di una persona come Eichi Tenshouin. Dal proprio punto di vista, non capisce come sia possibile che nessuno si sia mai accorto della profonda umanità di Wataru, ma il diretto interessato non sembra volergli dare modo di cullarsi in pensieri che lo distraggono: scivola via da sotto il corpo di Natsume - non è, Hibiki, il più inafferrabile di tutti loro, d’altronde? Più di Kanata, che nell’acqua sembra sempre nel suo perfetto elemento? - e così lo abbandona, in favore di un punto imprecisato delle tenebre in cui Natsume non riesce più a distinguere le sagome muoversi o dove, dunque, non lo può raggiungere.
Non sarebbe la prima volta, in fondo. Non sarà di certo l’ultima, vero?


Rei lo ha baciato a lungo e non conta dire che ci voleva poco a raggiungere un livello di intimità maggiore rispetto a chiunque altro, visti i suoi personalissimi livelli al limite del disadattato sociale - lui ama definirsi intransigente e selettivo.
Ciò che conta è avergli permesso più di quanto pensava avrebbe mai concesso a chiunque, sebbene ora Rei si sia allontanato pur mantenendo una vicinanza sufficiente a fargli percepire di essere ancora lì. La camicia è aperta, ma non gliel’ha tolta, forse rispettando quello che pensava essere un suo desiderio; lo stesso per i pantaloni, che sono stati sì e no sfiorati per errore. Rei lo ha davvero solo e unicamente avvicinato in termini di baci e forse qualche carezza un poco più audace del limite imposto da lui stesso e ora tace, come se fosse divertente lasciarlo lì in attesa dell’ignoto, divertendosi di certo alle sue spalle.
Sente dei passi, Shu, ma non gli sembra siano quelli di definitivo allontanamento del leader degli Undead; al contrario sono impronte che si avvicinano a entrambi loro, fermandosi in un punto imprecisato. Solo quando sente parlare riconosce la voce di Wataru, ma non è abbastanza per non sorprendersi all’improvvisa vicinanza con lui; questa si traduce in una mano che con invidiabile nonchalance gli si insinua tra la camicia e il fianco, andando a toccargli la pelle nuda con una familiarità che Shu non pensa gli sarebbe mai possibile nemmeno se per dieci anni si comportasse come Wataru ogni giorno - Dio non voglia.
Quella stessa mano scivola verso la base della sua schiena in quello che diviene, poi, un chiaro abbraccio quando Wataru lo attira verso di sé fino a far toccare i loro corpi. E’ un approccio del tutto diverso da quello di Rei, lento e attento alle sue necessità e ai suoi tempi. Wataru è indomabile, con un ritmo proprio, e sebbene Shu colga in lui il tentativo di mantenere comunque una forma di tatto nei suoi confronti, di non sovrastarlo completamente, capisce meglio di molti quanto per Wataru sia difficile riuscirci del tutto. A infastidirlo ancora di più, portandolo a un verso di (falsa) stizza è il trovare piacevole, in un certo senso, quel modo di fare e quel contatto.
Ma Hibiki è pieno di contraddizioni, è mille maschere su un unico volto e questo si rispecchia in ogni cosa che fa, anche nel modo in cui il suo corpo tradisce un interesse sessuale nei suoi confronti mentre lui, mosso dalla ragione invece, sfrega il naso contro quello di Shu. Un gesto inaspettato, infantile, quasi stonato. Ma ha il pregio di distrarlo abbastanza dal resto, per un istante appena, più che sufficiente perché Wataru si appropri delle sue labbra quando sono ancora schiuse e lo coinvolga in un bacio ben oltre il casto senza se e senza ma, né prenderla alla larga come fatto da Rei. Shu si lascia scappare un verso di gola, tra disapprovazione e sorpresa, ma non lo allontana - la mano di Wataru sulla sua schiena è sorprendentemente calda e piacevole, mentre i polpastrelli gli sfiorano diversi punti della schiena, ora seguendo la colonna vertebrale e ora vagando in maniera del tutto casuale.
Per Shu è difficile concentrarsi su così tanti stimoli fisici allo stesso tempo, lui che è abituato a focalizzarsi soltanto su quelli psicologici o a tutto ciò che di bello e perfetto può essere creato con attenzione e perseveranza. Così il bacio di Wataru lo confonde e lo inebria, forse, perché si rende conto solo in un secondo momento di come la mano dell’altro che finora era rimasta inerme a non fare nulla si sia spinta sul suo petto, toccandolo, e sia scesa fino a sfiorare la cintura. Lo sente maneggiare con essa, liberarsene alla meno peggio senza troppe difficoltà e passare a far uscire il bottone dall’asola, e ad abbassare la zip. I pantaloni gli si allentano sui fianchi, ora che non sono più abbottonati, e tendono a scivolare leggermente verso il basso; ma la mano di Wataru li ignora, toccando vicino all’elastico dell’intimo di Shu, facendolo tremare appena. Lo sta provocando, persino Shu che è estraneo a dinamiche simili se ne rende conto, e la sua razionalità gli imporrebbe di non farsi abbindolare dai baci che Wataru continua a dargli - deve essere un tremendo piano per distrarlo, senza dubbio - ma quella stessa razionalità è morta. Sepolta, chissà dove. Perché se così non fosse Shu dovrebbe ammettere a se stesso che il proprio corpo lo sta tradendo nel modo in cui spinge il bacino verso quello di Hibiki, o nella voce che gli scappa tra le labbra e tra un bacio e l’altro.
Wataru sembra cogliere - o avere pietà di lui, meglio non pensarci - e le dita si infilano sotto l’elastico, scendendo fino a incontrare la peluria del pube e scendendo ancora; le dita si chiudono attorno al sesso di Shu e lui boccheggia, trattenendo l’aria senza quasi accorgersene. E’ in quel momento che Wataru lo bacia di nuovo, ma prima di farlo gli sorride sulle labbra e ci lascia un «Shu-kun?» che può non sembrare sensato, lì per lì, ma poi assume la probabile e implicita richiesta di ricambiare quelle attenzioni. Solo allora Shu si rende conto che le proprie mani, da quando Wataru lo ha toccato la prima volta, non si sono mai mosse; le schioda dai propri fianchi, dove sono rimaste finora, rimanendo nell’impaccio di non avere la minima idea di dove vadano messe. Da una parte l’idea di toccare l’eccitazione di un’altra persona non lo entusiasma, ma d’altro canto si rende conto di aver fatto almeno una decina di cose in quella stanza che non avrebbe mai nemmeno preso in considerazione fino a quella mattina. Senza contare quanto il favore dell’oscurità sia l’occasione migliore in cui possa sperare per fare ciò che altrimenti non farebbe mai - e la persona aiuta, perché se già così sta esplorando un territorio completamente sconosciuto, pensare di farlo con chiunque altro gli risulta assurdo e insopportabile. Un legame emotivo come quello che ha con gli altri occupanti della stanza è qualcosa che è convinto non saprà mai eguagliare con nessun altro - non con Nito, verso il quale il suo amore è di quella purezza di chi ama la perfezione fine a se stessa, cieco ai suoi difetti, né con Mika, con il quale definire un rapporto è ancora un passo troppo importante e che nessuno dei due è in grado di fare.
Anche tra le oddballs, benché si senta vicino a tutti loro, c’è una diversità a volte così piccola da essere quasi invisibile. Wataru è il suo esatto contrario, per quanto poi a unirli ci sia una natura di fondo e forse nessuno degli altri potrebbe spingersi a quello stesso punto con lui. Troppo premuroso uno, troppo giovane l’altro, quasi intangibile l’ultimo.
Incerto, allunga una mano verso il primo bottone della camicia di Wataru e sbottona, non senza una discreta difficoltà, tutto l’indumento; nel farlo le sue dita entrano accidentalmente a contatto con la pelle di Hibiki, ma cerca di ignorarlo. Il bacio di Wataru si fa più profondo, se possibile, e le carezze all’eccitazione di Shu più veloci; Shu si ferma, esitante sul limite imposto dal bordo dei pantaloni, ma a sorpresa è Wataru a guidarlo fino a che entrambi non si stanno toccando e dando piacere. Almeno questo Shu pensa di saperlo fare, di sapere come si debba toccare qualcuno per dargli sensazioni positive, e Wataru gli viene in soccorso ancora quando si allontana dalle sue labbra e gli sussurra cosa desidera, e come. C’è un  momento in cui Shu non sa nemmeno bene su quali sensazioni si stia concentrando e quali invece lo stiano investendo in pieno - ma la mano di Hibiki è calda e il piacere che gli sta inondando il basso ventre anche.
Non c’è nulla di perfetto in quell’istante eppure, Shu lo avverte, non c’è un istante migliore di quello in cui - gli occhi ormai abituati al buio - gli sembra di riuscire a scorgere vagamente il viso di Wataru mentre l’orgasmo lo coglie all’improvviso, in modo quasi violento, con Hibiki che riversa il suo nome sulle sue labbra.


L’arrivo di Rei non è ciò che si era aspettato. Ha sentito Wataru allontanarsi e Kanata sorreggerlo; anche mentre era in piedi, Kanata ha continuato a lasciare qualche bacio e qualche morso leggero, gioco, nei punti più sensibili delle sue gambe. Non è mai tornato al suo sesso, nel breve frangente in cui sono rimasti solo, Natsume non sa perché né riesce a immaginarlo - entrare nella mente di Kanata è la cosa più difficile che potrebbe mai cercare di fare, ne è piuttosto sicuro.
Non si aspetta per nulla quando due mani si posano sulle sue spalle, facendolo sobbalzare. Uno sbuffo divertito alle sue spalle tradisce la presenza di Rei, mentre le sue mani guidano la camicia e la giacca della divisa scolastica giù per le spalle e via per le braccia, fino a lasciar cadere entrambe a terra. Le lunghe dita gli toccano le spalle e scendono di nuovo lungo il suo corpo, in una carezza voluta, mentre sente le labbra di Rei posarsi sul suo collo: un bacio, due, tre, poi un morso nell’incavo tra collo e spalla. Non è un mordere forte, non come ci si aspetterebbe da un mostro che vive solo di notte; ma scatena un brivido di piacere che gli attraversa il corpo, e che è un mix letale con le labbra di Kanata che decidono di fermarsi con un ultimo bacio leggero sul pube. C’è un che di infantile nel suo modo di fare, tale che è quasi difficile associarlo a un contesto sessuale; non poter vedere che espressione abbia Kanata al momento non aiuta nemmeno a indovinare cosa possa passargli per la testa.
Natsume sente le ginocchia cedergli un poco, ma Rei lo sorregge senza grosse difficoltà, quasi se lo fosse aspettato. Si lascia guidare e ci vuole poco per toccare di nuovo il divano, ma stavolta non c’è il corpo di Wataru sotto di lui né c’è un corpo in generale contro il quale finire. La schiena nuda incontra uno dei cuscini del divano, e per una manciata di secondi Natsume non ha più coscienza di dove si trovi o di dove sia rispetto agli altri due, finché una mano non guida le sue gambe perché possa divaricarle un poco. Subito dopo sente il peso di un ginocchio puntato tra di esse e percepisce un corpo sopra di sé, nonostante l’assenza di contatto. Una mano si posa contro lo schienale, poco sopra la sua spalla, e l’altra di punto in bianco gli sta sfiorando la guancia, andando a scostare la ciocca più lunga di capelli rossi.
Non sa perché si senta sicuro del fatto che è di Rei e non di Kanata che si tratti, ma tira su entrambe le braccia, andando un po’ a tentoni per potergli allacciare le braccia al collo; quando dei capelli lunghi gli solleticano l’avambraccio ne ha la conferma, giusto in tempo perché Rei lo baci. E’ a suo modo sorprendente come la cosa gli appaia del tutto naturale, al pari di altri gesti sempre stati presenti tra loro, benché in una sfera molto più innocente.
Le labbra di Rei sono morbide contro le sue, anche se il bacio rimane semplice davvero per pochi attimi; quasi subito Natsume si sente prima mordicchiare e poi succhiare il labbro inferiore, e prima che possa davvero realizzarlo il bacio è diverso da quello mancato con Wataru - era a questo che si riferiva l’altro? Non lo ha baciato perché potesse essere Rei il primo a farlo, o per un altro motivo che non saprà mai?
«Rei… niisan…?» mormora, sentendo il respiro del più grande mescolarsi con il proprio e le labbra sfiorarsi, nonostante al suo richiamo Sakuma si sia allontanato - per quanto la distanza sia davvero misera, troppo per essere definita davvero tale.
Rimane in silenzio, tanto che Natsume razionalizza anche come abbia del tutto perso la consapevolezza di dove si trovi Kanata; nel frattempo però, all’orecchio, un gemito piuttosto alto gli arriva all’orecchio da un punto imprecisato alla sua sinistra. Non prova nemmeno ad assottigliare lo sguardo per mettere a fuoco, visto come a stento riesca a inquadrare la sagoma di Rei lì al buio. La voce però non è difficile da riconoscere: sarebbe in grado di distinguere le voci di tutte le persone definite “oddballs della Yumenosaki” a occhi chiusi, e la situazione attuale non è poi così dissimile dall’essere bendati, in fondo.
E’ sicuro che la voce sentita sia quella di Shu, il che è sorprendente in un punto remoto della sua testa che al momento non è proprio quello al quale stia rivolgendo maggiore attenzione.
Una mano di Rei gli sta scivolando con fare provocatorio lungo il torace, ma contro ogni aspettativa devia di lato sul fianco, tocca con delicatezza la parte bassa della sua schiena e poi arriva a sfiorare l’inizio dei glutei. Lì si ferma, in sosta, quasi in attesa di una concessione o forse solo della sua reazione; è come se non gli servisse vederla, ma gli fosse sufficiente fiutarla per godersela comunque appieno.
«Ni--»
«Mh-mh.» lo riprende con quel diniego appena sillabato, un richiamo all’ordine impossibile da percepire come un vero monito.
Natsume tace, deglutisce a vuoto - e poi, alla fine, d’istinto abbandona quell’appellativo che gli rivolge sempre e che tornerà a rivolgergli quando saranno alla luce del sole. Per ora, nel comodo nascondiglio di una stanza buia, stringe un poco l’abbraccio così da costringere Rei quasi ad azzerare di nuovo la distanza tra le loro bocche.
«Rei.» lo chiama, appena un sussurro che Rei accoglie direttamente e più che volentieri, la mano che si infila nei pantaloni così come nei boxer del giovane magician.
La gamba tra quelle di Natsume sfrega contro la sua erezione già sveglia e lo stuzzica, con il preciso intento di scatenare in lui quante più reazioni possibili - privato della vista, perché quello è sempre stato il punto focale di quanto lui e Wataru hanno proposto, ogni istante di eccitazione sembra raddoppiato in una stanza buia in cui non hanno bisogno di vedersi per sentirsi presenti.
All’orecchio un secondo gemito da parte di Shu - e, Rei lo sente, uno più basso ma per lui più che udibile di Wataru - gli arriva, facendolo sorridere.
«Sakasaki-kun» soffia, divertito mentre Natsume cerca di figurarsi la sua espressione e, sì, stavolta si sforza di mettere a fuoco dettagli che non sarà mai possibile distinguere con esattezza fin quando non accenderanno di nuovo la luce «cos’hai deciso?»
Per un momento, Natsume non riesce a focalizzare. Poi comprende e non replica, ma la sua mano guida quella di Rei, spostandola da dove si trova e lasciandola libera solo una volta che le sue dita stanno toccando il proprio sesso.
Non visto, nell’oscurità, Rei sorride.

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