Mar. 2nd, 2019
Prompt: warnings (au, angst, lemon)
Missione: M1
Parole: 1224
Warnings: pwp, major character death, shinigami!ramuda, ramujaku
Non è così che Ramuda se l’era immaginato. Anni da Shinigami - secoli come angelo della morte, anche se lui preferisce di gran lunga essere chiamato dio - gli hanno insegnato quasi tutti i segreti del mestiere: non affezionarsi all’umano che si segue, in primis; tenerli d’occhio una volta individuati dalla lista quelli di propria competenza di cui dovranno assistere la morte prima di poterne recuperare l’anima, essere osservatori super partes per i loro ultimi sette giorni di vita dopodiché attendere che siano lì a esalare l’ultimo respiro e via, prelevarne l’anima. Ramuda ha visto molte anime nere, pochissime bianche, la maggior parte grigie; la sfumatura di quella di Jakurai è una delle più strambe che lui abbia mai avuto modo di sbirciare prima di averla materialmente tra le proprie mani: un’anima di un grigio chiarissimo - la cosa più vicina a una bianca, di solito prerogativa quasi unicamente dei bambini - con un nucleo nero come la pece. La prima volta che l’ha vista, a Ramuda ha ricordato un buco nero e si è chiesto, divertito, se avrebbe continuato a espandersi fino a inglobare quanto di bianco era rimasto. Sono bastati due giorni a osservarla, però, per capire che non sarebbe successo; si è persino preso la briga di assumere forma umana per passare del tempo con la sua vittima, vedere di scatenare qualche reazione in lui, ma il medico non ha mai fatto nulla di eclatante. Il massimo è stato veder tremolare quel nucleo nero un paio di volte, senza poter però ricollegare la cosa a qualche ragione particolare.
Assolutamente noioso, ecco cos’era stato.
«Eeeeh, non ci sono leggi che ci vietano di divertirci con gli umani di cui aspettiamo la morte!» ha obiettato con Juto, l’unico collega che non ha ancora del tutto snervato - forse perché Juto è troppo stanco di tutto e tutti «L’importante» ha proseguito «è che io non gli faccia venire voglia di vivere o che non gli salvi la vita per sbaglio!» ha sottolineato divertito.
«Nessuno è così disperato da farsi venire voglia di vivere grazie a te, Amemura.»
Ramuda ha riso.
Il corpo di Jakurai sotto di lui è caldo e sudato e Ramuda lo sente tremare appena ogni volta che lo tocca. Rispetto a lui quel medico è un gigante - colpa sua, naturalmente, Ramuda non vuole sentire nemmeno ipotizzare da uno così che sia lui a essere troppo esile e minuto, anche se è vero. Soprattutto perché sa essere vero.
Gli dà un senso di infantile superiorità essere sopra a un uomo così tanto più grande di lui, sia come età apparente che come prestanza fisica e sentirlo sciogliersi ai suoi tocchi e alle sue attenzioni, mosso dall’istinto più vecchio del mondo che forse qualcuno si aspetterebbe sopito in un dio della morte e che invece Ramuda ricorda bene.
Spinge dentro Jakurai e lo sente quasi vibrare di piacere, i lunghi capelli ormai una matassa sparsa su tutto il letto in modo confuso, disordinato; Ramuda ne prende una ciocca tra le dita e tira, né troppo piano né troppo forte, mentre si spinge dentro di lui ancora, e ancora. Jakurai lo guarda in un modo che con gli amanti non ha nulla a che vedere: lo accusa, lo desidera, lo disprezza ma non lo allontana, come se tutto sommato si stesse sacrificando per qualcuno anche ora che è in punto di morte.
A Ramuda fa venire il voltastomaco ma, al tempo stesso, vedere quella macchia scura dell’anima di Jakurai allargarsi anche soltanto un poco, divorare quello che di buono è rimasto nell’uomo, lo esalta e lo eccita come solo la caccia alle anime riusciva a fare un tempo.
«Inutile che mi guardi così.» gli rimbecca con soddisfazione, fermandosi per un istante con il solo scopo di dargli un unico momento di falsa pausa, di artificiale respiro, per poi affondare all’improvviso più di quanto non abbia fatto fino a quel momento. Jakurai si tende sotto di lui, lo sente allargare le gambe per un istante e poi stringerle di nuovo attorno ai fianchi del dio della morte, forse per provocarlo volutamente o magari solo d’istinto, senza potersi controllare.
«Odio gli umani come te.» sibila «Volete sempre, sempre redimervi quando siete vicini alla morte e cominciate ad avere paura di aver avuto una vita inutile, o che non finirete in paradiso. Troppo comodo, no?» lamenta - lui non ci ha provato nemmeno quando è toccato a lui, e anche se lo avesse fatto lo sa che non sarebbe mai stato perdonato. E dopotutto, non sentiva di doversi far perdonare nulla.
«Siete così ipocriti e patetici.» sibila ancora, tirando appena di più i capelli e vedendo il volto di Jakurai sfigurato da un misto di accenno di dolore e di piacere quando si spinge in lui con un’angolazione leggermente diversa e, è chiaro, tocca il suo punto erogeno. Jakurai si tende, ancora, mentre l’orgasmo lo coglie ma il gemito si perde nella bocca di Ramuda.
Non c’è nemmeno un vago accenno di amore in quello scambio - e come potrebbe? Ramuda non ha amato in vita, non comincerà certo ora e con quello che è poco più di un divertente quanto momentaneo passatempo. Ciò che il dio della morte vuole sentire è solo il sapore dell’anima che entro qualche ora avrà, letteralmente, tra le mani.
Gli occhi chiari vagano sullo specchio dal quale è possibile, per loro, spiare nel mondo umano alla ricerca di una serie di volti da associare ai nomi di una lista i cui numeri sono sempre fin troppo elevati. L’espressione annoiata, mentre dondola infantilmente i piedi avanti e indietro, non può che scattare quando un rumore di passi tradisce l’arrivo di qualcuno. Impiega una manciata di secondi irrisoria a inquadrare Juto, l’aria appena seccata nel sistemarsi gli occhiali da vista sul naso e nel passo quasi marziale che ha nell’avvicinarlo. Ramuda gli rivolge un sorriso divertito e impertinente, ma senza una sfumatura più precisa di quella - non sa perché è lì, ma è divertente di default vedere Juto così visto che non succede spesso.
«Brutta giornata?» lo vezzeggia, quasi canzonatorio, vedendo gli occhi dell’altro focalizzarsi su di lui con lo stesso impeto che avrebbero se Juto avesse la certezza di potergli dare fuoco solo così.
Ops.
«Sarebbe brutta anche la tua, se il capo ti avesse tenuto due ore in ufficio per lamentarsi delle condizioni disastrate delle ultime anime arrivate.»
«Oh, la neesan era così arrabbiata?» canticchia, fiele dolciastro nel suo tono quanto sulle sue labbra, incontrando il disappunto - nascosto bene, ma non abbastanza - sul viso di Juto.
«L’anima del tuo medico, comunque, l’ho trovata e l’ho vista.» cambia discorso l’altro, guardandolo di sottecchi. Ramuda non riesce a trattenere un verso disgustato.
«Non chiamarla così, mi disturbi.» si lamenta con un tono così infantile da non poter essere altro che falso «E quindi?» lo incalza, però. Non riesce ad attendere troppo di sapere le sorti di quell’anima.
«Dannata.» pronuncia quell’unica parola, Juto, come una sentenza «Negli ultimi istanti di vita la sua parte oscura sembra aver preso il sopravvento. Strano visto l’andamento degli ultimi anni, ma pare che possa succedere.» taglia corto con una spiegazione diretta e impersonale, tornando alle sue scartoffie con l’espressione che è già la noia che sempre lo contraddistingue.
Non visto, il volto di Ramuda si deforma in un’espressione di puro piacere ed euforica vittoria.
Prompt: warnings (au, angst, lemon)
Missione: M1
Parole: 1221
Warnings: angel!Romani, demon!Merlin, pwp
Le dita di Merlino gli sfiorano hanno sfiorato il corpo innumerevoli volte ma mai così. Romani si è controllato in ogni singola occasione, gli è sfuggito come acqua che non si può contenere e aria impossibile da imprigionare eppure Merlino non ha mai desistito, e ha lasciato che lui potesse illudersi di poter sfuggire in eterno o, in ultimo, di poter vedere l’alba del giorno in cui Merlino si sarebbe arreso.
Così non è stato. Quando Romani sente le sue dita affusolate scendere lungo la linea della mascella al collo e giù, sfiorando da sopra i vestiti da angelo fino a toccargli il ventre, capisce che è finita.
Non si sarebbe dovuto illudere: mille leggende raccontano della caduta degli angeli e lui, Romani, un archivista tra tutti i suoi fratelli ha letto quelle storie miliardi di volte. Cosa gli ha fatto pensare che improvvisamente la Storia avrebbe fatto delle preferenze risparmiandogli un errore simile?
Dio lo ha amato profondamente e lui, invece, lo ha tradito.
La bocca di Merlino scende sul suo corpo nudo, saggiandolo per quello che a Romani sembra un esplorare centimetro per centimetro. E’ quasi frustrante il modo in cui le labbra del demone sembrano esplorarlo e conoscerlo alla perfezione al tempo stesso, mentre nella sua mente lui riesce a stento a mantenere quella lucidità che è sempre stata per lui un motivo di vanto.
Se lo volesse, forse avrebbe una forza sufficiente non a sopraffarlo del tutto ma almeno a sfuggire alla sua presa, alla sua trappola; ma i demoni sono esattamente quello, creature capaci di rinchiuderti nella gabbia peggiore, nella fortezza più inespugnabile che è il piacere dei sensi. Quando lo si prova per la prima volta, poi, è ancora peggio. Romani ha sentito parlare solo per caso della cosa, di sfuggita - non è argomento comune, tra gli angeli, il modo in cui gli uomini sfogano il desiderio carnale e ne diventano schiavi, al punto che molto spesso si trasformano nelle prede perfette di alcuni dei demoni che maggiormente sfruttano le inclinazioni sessuali di quelle deboli e fragili creature. Nel poco che ha colto, però, e nei pochissimi scritti in qualche modo sopravvissuti al tempo e alle ferree regole della casa di Dio, Romani ha appreso quanto le vittime più frequenti nella storia degli uomini siano sempre state due: chi era già schiavo delle pulsioni prima di incontrare un demone sulla propria strada e chi, invece, da quelle pulsioni non era mai stato toccato.
Merlino si sofferma sul suo ventre, la lingua che tocca l’ombelico, ci si infila dentro; Romani sobbalza e trattiene un mugolio, spingendo con la mano contro la bocca nel testardo tentativo - anche un po’ disperato - di rimanere in silenzio e conservare una dignità che potrebbe presto essere la sua unica compagna per l’eternità, insieme alla dannazione. Il demone lo occhieggia, Romani lo vede perché non ha mai chiuso gli occhi finora: quelli ametista della creatura sembrano quasi provocarlo e, al tempo stesso, accettare una tacita sfida - sembra volergli dire: non costringermi a impedirti di trattenerti - e poi scende ancora sul suo corpo ormai spoglio dei vestiti da fin troppo tempo per preoccuparsi ancora della pudicizia e della vergogna. Le mani di Merlino si muovono di pari passo alla sua bocca, accompagnando il suo viaggio e sorreggendo il corpo di Romani: scivolano giù e si bloccano all’altezza dei suoi fianchi quando la bocca di Merlino accoglie l’erezione di Romani nella bocca calda e umida.
La lingua va a stuzzicarlo quasi subito, senza troppi complimenti, e a quel punto Romani non può trattenere un gemito che gli risale dalla gola e si perde nell’aria, spezzando il silenzio con quella che alle sue orecchie suona come una violenza inaudita - è quello il suono che ricorderà e finirà con l’associare per l’eternità al tradimento verso Dio?
Merlino lo spia, senza vergogna per la loro posizione o ciò che stanno facendo e come potrebbe, quando rispetta perfettamente la sua natura? Lì l’unico a essere sbagliato è Romani, che porta una delle mani a scendere tra i capelli chiari dell’altro, stringendo d’istinto una ciocca quando Merlino succhia la sua erezione con più vigore e il chiaro intento di farlo impazzire, di far sì che Romani si tradisca ancora di più e cada sempre più in basso, fino al punto di non ritorno. Ma forse quello lo ha raggiunto nel momento in cui lo ha baciato, in cui gli ha permesso di macchiare anche solo una piccola parte della sua anima facendo sbocciare in lui il desiderio nello stesso modo in cui una spora velenosa diventa il parassita perfetto di una pianta altrimenti sana e forte.
Romani percepisce a stento una delle mani del demone lasciargli il fianco; la ritrova quando sente una delle sue dita premere contro la sua apertura e insinuarsi dentro, scivolando con un po’ di forzatura. Inarca la schiena e boccheggia, sentendo il respiro mancare - e la lingua di Merlino si fa più insistente, più lasciva contro la sua pelle sensibile.
Per puro caso gli occhi verdi guardando verso l’alto, abbandonando la testa di Merlino tra le sue gambe; il cielo è di un fastidioso azzurro brillante.
Non sa più da quanto tempo sono lì, uniti nell’unico modo completo che gli umani conoscono e nell’unico che lui, Romani, non avrebbe dovuto conoscere mai.
Merlino si spinge dentro di lui, provocandogli un piacere immenso che la sua mente a stento riesce a registrare, momento dopo momento. Non è la prima volta che Romani sente la sensazione di stare per venire, di star raggiungendo l’orgasmo, al punto da saperla riconoscere almeno vagamente. Tutto il suo corpo e la sua mente sembrano in grado di concentrarsi solo sul basso ventre e sul punto che il sesso di Merlino continua a stimolare, una spinta dopo l’altra, affondando nel suo corpo quasi volesse far in modo di fondersi con Romani a un livello del tutto diverso di quello spirituale che un tempo l’angelo conosceva.
Romani ha le braccia allacciate al collo del demone, la bocca impegnata ad accoglierne i baci e le carezze lascive della sua lingua, insieme a qualche frase provocatoria di tanto in tanto e una di apprezzamento, di complimento - ma ogni spinta di Merlino, ogni ondata di piacere che gli annebbia la mente, risuona in una piccola parte della sua testa e del suo cuore come un pugnale affilato e di ghiaccio che gli affonda nel petto, ferendolo senza possibilità di ripresa.
Romani ha sentito parlare diverse volte di angeli caduti, di traditori di Dio che hanno avuto la dannazione eterna e la consapevolezza che non avrebbero mai più potuto godere della luce del regno dei cieli, del favore del loro amato Creatore, ma non è mai stato in grado di comprendere appieno cosa si potesse provare nel sentire la presenza di Dio scivolare via dalla propria, come se fossero sempre state in qualche modo complementari e poi, all’improvviso, fosse impossibile anche solo pensare di farle coesistere.
E’ come morire, pensa. Mentre raggiunge l’orgasmo e un gemito alto soffoca nella bocca di Merlino, che si spinge dentro di lui ancora un paio di volte prima di raggiungere l’apice a sua volta, Romani sente il piacere riempirlo e qualcosa dentro di lui spezzarsi.
Non può ancora vederlo, ma la base delle sue ali è macchiata.
Presto gliele spezzeranno per sempre.