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[personal profile] hakurenshi

Prompt: La mano tesa

Missione: M2 (week 4)
Parole: 5210
Rating: teen up
Fandom: Bungou Stray Dogs

Warnings: //





Di norma Dazai non avrebbe sprecato le proprie energie solo per una sensazione o un gioco di luci, ma in questo caso sarebbe stato quasi scortese ignorare un gatto con il quale si erano condivise interminabili ore. Evidentemente il felino gli aveva portato fortuna: era bastato seguirlo rimanendo a pochi passi di distanza per uscire finalmente da quel vicolo. Dopodiché l’animale se ne era andato per la sua strada. Piuttosto anticlimatico, dopo ore di prigionia.


Le vie di Yokohama erano sempre state capaci di trasmettere un conforto distorto, come l’illusione di una coperta scura sotto la quale nascondersi, finendo col rendersi conto troppo tardi che era quella stessa coperta a soffocarti. Prendere le misure era stata la prima cosa che Dazai aveva fatto - e poi l’aveva applicato a tutto il resto, Port Mafia compresa. Per questo l’accoglienza fatta di pistole puntate alla sua testa lo stupì poco e nulla, se non per lo sciocco atto di coraggio di subordinati a cui di solito non sarebbe mai venuto in mente di puntargli contro un’arma, se non su esplicito ordine del boss.


Dazai li osservò uno per uno, tenendo a mente quali e quanti volti non fossero per lui del tutto estranei; si soffermò su uno in particolare solo quando vi riconobbe incredulità e confusione. Non perché non fossero ben celate - se non si fosse trattato di Dazai, l’uomo avrebbe fatto uno splendido lavoro nel mascherare le emozioni -, ma perché si trattava di Hirotsu. Un mafioso con la sua esperienza era difficile da stupire e, ancor di più, da smuovere come se avesse appena visto uno di quei fantasmi del passato dai quali molti uomini vengono perseguitati.


Non era mai stato amante delle situazioni di stallo, se non erano espressamente volute e create da lui, per un semplice motivo: significava che erano molto più complicate di come apparivano. Le guardie della Port Mafia, senza contare Hirotsu, non avrebbero mai indugiato nel puntare la pistola contro qualcuno che avrebbero dovuto riconoscere. Nella migliore delle ipotesi, un avvertimento era tutto ciò che si poteva ottenere da loro prima che sparassero. Nella peggiore, non c’era bisogno di confermare l’identità di nessuno. Hirotsu, Dazai poteva vederlo nel suo sguardo, stava cercando di capire se lui fosse un motivo sufficiente per chiedere ordini a Mori Ougai.


«Hirotsu-san,» chiamò uno degli altri mafiosi alla sinistra di Dazai in un’esortazione ad avere ordini, la presa troppo stretta sulla pistola - sembrò più desideroso di lui di tirarsi fuori da quella situazione. Forse sperava di incalzare la decisione di Hirotsu, mancando di riconoscere il motivo di quella pausa forzata. Se Dazai avesse dovuto scommettere riguardo chi potesse interrompere il momento prima del previsto, lo avrebbe fatto sul mafioso che aveva parlato e senza nemmeno pensarci due volte. Azzardando poi la causa scatenante dell’interruzione, un colpo di pistola partito per errore. Qualche possibile variabile, certo, tranne tutti i presenti cadere a terra privi di conoscenza come fantocci.


«Giusto un paio, come no. Me lo sentivo che finiva così.» sentì sbottare alla propria destra, senza che la padrona della voce facesse molto per non farsi notare. Dazai si ritrovò quasi subito a incrociare un paio di occhi azzurri da cui dedusse quanto poco l’altra persona volesse trattenersi lì. Non lo stupì, quindi, vederla rivolgersi sbrigativamente al ragazzo pochi passi dietro di lei con un: «Ripuliamo e andiamocene, Jun.»


Lui non se lo fece ripetere, limitandosi a lanciare uno sguardo furtivo in direzione di Dazai prima di chinarsi sul mafioso più vicino. Dazai avrebbe volentieri osservato in che modo ci si aspettava “ripulisse” la scena, ma la ragazza che gli aveva impartito l’ordine si parò davanti a lui, bloccandogli buona parte della visuale. La cosa più curiosa era che, a giudicare dal linguaggio del corpo, quel movimento sembrava più dettato dall’indole che non dall’intenzione di nascondere qualunque cosa l’altro stesse facendo.


«Dazai, giusto?» lo incalzò lei, le mani nelle tasche del cappotto verde scuro. Dazai non poteva vedere se nascondesse qualcosa sotto, ma intuì dall’abbigliamento comodo di lei che doveva essere più da prima linea che da retrovie. Gli ricordò fastidiosamente Nakahara; anche nella scarsa pazienza di fronte a una mancata risposta.


«Va bene, non importa.» tagliò corto, occhieggiando il ragazzo alle sue spalle da sopra la propria spalle. Quello, per tutta risposta, annuì. Difficile dire se fosse per confermare l’identità di Dazai o di aver fatto la sua parte, ma a quella ragazza sembrò bastare il cenno che vide per tornare a guardare lui: «Una persona ti vuole vedere. Suona come un cattivo poco credibile di un libro scritto male, ma è un lavoro e lo dobbiamo fare. Dice che farai una resistenza irritante,» lo anticipò senza neanche impegnarsi a far sembrare quelle parole frutto di una sua ricerca o un suo ragionamento «e che posso risparmiare tempo se ti dico di tirare fuori il cellulare e ti mostro questo.» pronunciò, portando una mano nella tasca del giacchetto. Ne estrasse un foglio di giornale ripiegato con cura; a Dazai bastò un’occhiata per capire che non si trattava di un vecchio quotidiano e che fare domande a chi era stato scelto come niente più di un messaggero sarebbe stato inutile. 


Se anche la ragazza di fronte a lui non gli avesse suggerito «Guarda la data.» Dazai lo avrebbe notato comunque: secondo quel foglio di giornale, rispetto alla schermata del suo telefono, c’era una differenza di cinque anni.


***


In genere Dazai avrebbe sfruttato il tragitto per parlare fino a sfinire il suo interlocutore, estrapolando le informazioni anche da risposte stizzite apparentemente inutili. Aveva intenzione di farlo, ma ben prima che fossero a metà strada capì che sarebbe stato inutile: non solo perché il ragazzo chiamato Jun non aveva detto una sola parola - nemmeno alla sua compagna -, ma anche perché la ragazza lo liquidò con un brusco: «Inutile che mi riempi di domande, io so soltanto dove ti devo portare.»


Il resto del tragitto era stato fatto, prevedibilmente, in silenzio. Questo, però, non significava non aver avuto informazioni sulle sue due improvvisate guardie del corpo - o i suoi rapitori. Dal punto di vista organizzativo di un team, Dazai aveva compreso subito che erano un buon assortimento con un potenziale non indifferente per essere perfetti. Era chiaro come il sole che fosse lei in prima linea e lui nelle retrovie e tutto della loro postura sembrava voler essere uno specchio della loro indole. La ragazza, il cui nome a quanto pareva era Jane, era più facile da inquadrare essendo quella che camminava davanti a lui: schiena dritta e mento alto nell’atteggiamento di chi non si piegava per principio; passo veloce di chi era incline agli approcci razionali e pragmatici, pur nell’impulsività generale e - sospettava Dazai - preponderante. Camminava poggiando il peso sul tallone, senza compiere con tutta la pianta del piede il movimento e gli diede l’impressione di chi non aveva tempo di soffermarsi inutilmente sulle cose - o di chi stava scappando.


Jun non era stato altrettanto semplice da osservare, camminando dietro di loro, almeno fin quando non avevano raggiunto un quartiere poco abitato per gli standard di Yokohama, anche se non per questo poco trafficato. Dava l’idea di un quartiere fantasma solo perché chi si muoveva tra i suoi vicoli era bravo a sembrare invisibile, Dazai lo sapeva. Fu solo quando Jane si fermò davanti all’ingresso di un edificio tenendo la porta aperta perché entrassero per primi che, finalmente, Jun rientrò del tutto nel campo visivo di Dazai e ci rimase per tutte le rampe di scale che salirono. Per quale motivo sembrassero voler evitare l’ascensore più che funzionante decise di lasciarlo da parte.


Inquadrò quasi subito Jun come un insicuro: spalle curve, tendenza ad accostarsi alle pareti, quasi totale mancanza di contatto visivo persino con quella che si supponeva fosse la sua compagna. Mentre si fermavano davanti a una porta - nonostante le scale salissero almeno per un altro piano -, Dazai realizzò con certezza che quei due probabilmente non avevano mai lavorato insieme prima di quel giorno.


Jane lo superò per aprire, senza bussare, entrando per prima e voltandosi a guardarli entrambi. Dazai la imitò, contro ogni buon senso agli occhi di una persona normale. Ad accoglierlo fu una stanza che, in modo del tutto anticlimatico, gli ricordò un noioso ufficio con qualche sporadico impiegato. L’illuminazione, per lo più artificiale, era data da un paio di lampade e dagli schermi di un computer. Notò subito che la schermata riportava dati numerici e, sebbene a una sola occhiata fosse difficile indovinarne la corretta lettura, Dazai comprese che dovevano comunque essere dati abbastanza sensibili. La vera domanda, quindi, era: perché nessuno nella stanza si preoccupava che lui potesse vederli?


«Finalmente!» sentì esclamare in tono gioviale alla propria sinistra. Portò lo sguardo lì, inquadrando la figura di un uomo sui cinquant’anni; del tutto a suo agio come solo un padrone di casa che si muoveva con naturalezza nei propri spazi poteva essere, lo vide fermarsi a quella che sembrava una distanza calcolata. Jane e Jun, ora in disparte, si erano addossati a una scrivania vuota. Lui seduto e lei in piedi, poggiata contro il bordo del tavolo, le braccia incrociate al petto. Nessuno dei due gli sembrò entusiasta.


«Dazai-kun, è un piacere averti qui. Spero che i miei ragazzi ti abbiano fatto sentire il benvenuto e che tu non sia troppo stanco per una breve spiegazione del perché siamo qui.» pronunciò l’uomo, mascherando con l’affabilità il fatto di non sembrare per nulla intenzionato a ritardare la spiegazione se anche Dazai si fosse detto sfinito. Non rispose, dunque - doveva raccogliere più informazioni di quante fosse riuscito a dedurne dalla passeggiata di piacere nel quasi completo mutismo. L’uomo parve apprezzare il silenzio. 


«Sono certo che la situazione in cui Jane e Jun ti hanno trovato debba essere stata molto traumatica: colleghi e sottoposti che improvvisamente ti puntano contro la pistola…» commentò, con un’empatia così forzata che a Dazai venne quasi da sorridere «solo pensare a questa nostra piccola famiglia nella stessa situazione… non ho potuto ignorare la cosa, sono certo tu lo capisca.» continuò, muovendosi per sedersi ad un’altra scrivania vuota. Dazai capì che quell’uomo aveva la totale certezza di non doversi preoccupare di essere aggredito, data la rilassatezza della sua postura. Questo non rendeva le cose facili, ma Dazai era anche certo dell’assenza di aggressività in lui; se c’era una cosa fra tutte che sarebbe stato capace di riconoscere anche a occhi chiusi, dopotutto, era l’istinto omicida di qualcuno.


«Vedi, qui accogliamo le persone rimaste sole. Chi non sa a chi appoggiarsi.» proseguì, neanche fossero in un centro di riabilitazione e l’uomo incarnasse la figura del povero, magnanimo volontario «Chi ha perso qualcosa e vuole cercare di… come potremmo dire?» l’interrogativo non aveva niente di sincero, non c’era alcuna ricerca di un suggerimento. Dazai lo vide spostare l’attenzione su Jane e Jun. Quel breve scambio di sguardi gli disse molto più di quanto fosse riuscito a cogliere fino ad allora: sul viso dell’uomo c’era un sorriso sgradevole, un affetto marcio e falso, lo stesso che per circostanza si sarebbe potuto rivolgere a qualcosa che invece generava ribrezzo. Jun aveva abbassato il proprio quasi subito, sottraendosi a quello scambio, ma la ragazza - Jane - aveva gli occhi di chi avrebbe potuto uccidere a mani nude se solo gliene avessero dato l’occasione.


Dazai vide l’uomo tornare a focalizzarsi su di lui: «Rimediare.» lo sentì infine completare la frase, senza che nessuno dei presenti aggiungesse nulla o desse l’idea di volerlo fare. Questo diceva a Dazai fin troppe cose, ma la domanda più pressante era: sceglievano di non esprimersi al riguardo o erano impossibilitati a farlo?


*


Rispetto a quanto si sarebbe aspettato, Dazai dovette ammettere che Deus aveva offerto molte meno informazioni di quanto credeva avrebbe fatto. Specie alla luce di come fosse evidente anche senza essere particolarmente bravi a osservare gli altri - e lui lo era - che il livello di narcisismo in quell’uomo era fin troppo alto. Era stata sufficiente la sua spiegazione su come il loro piccolo gruppo fosse affiatato e pronto a sposare la grande causa dell’aiutare chi era in difficoltà per capire non solo quanto non ci fosse una sola verità nelle sue parole, ma anche come non ci fosse nulla di disinteressato. Quell’aiuto, quella mano tesa che Deus sembrava voler rivolgere a tutti loro… Dazai dubitava fortemente fosse soltanto questo. 


Il punto era che Deus, a parte quelle generiche informazioni da propaganda per una grande causa, non aveva davvero dato altre informazioni utili, assicurandogli che avrebbe saputo tutto a tempo debito e che per il resto Jane e Jun sarebbero stati perfettamente in grado di aiutarlo ad ambientarsi. Dazai non avrebbe saputo dire quale dei due fosse meno propenso a fargli da guida: dal momento in cui Deus aveva detto di dover parlare con gli altri presenti nella stanza rendendo ben chiaro come loro tre non fossero invitati, Jane si era distaccata dalla scrivania cui era stata appoggiata per tutto il tempo ed era uscita senza tante cerimonie, sbattendo la porta. Jun si era alzato più lentamente e, se non altro, aveva fatto un piccolissimo cenno a Dazai aspettando che uscisse per primo così da chiudersi poi lui la porta alle spalle. Una volta fuori lo aveva anticipato per le scale, facendogli cenno di scendere con lui; due piani sotto rispetto all’ufficio di Deus, Jun aveva aperto una porta che dava su un corridoio decisamente meno spoglio in termini di arredamento. Nulla di troppo elaborato, considerato come Deus avesse dato a Dazai l’idea - come ogni buon narcisista, almeno per la sua esperienza - di poter dare il peggio del proprio discutibile estro nell'arredare qualcosa. Almeno, però, non sembrava un condominio che aveva visto tempi migliori.


Dazai aveva continuato a seguire Jun, lasciando a lui l’incombenza di guidarlo fino a una delle diverse porte che si affacciavano sul corridoio così da potersi guardare intorno e memorizzare quanto più possibile, almeno tra quello che poteva rivelarsi utile. Dovette interrompersi quando un rumore improvviso li raggiunse, proveniente da qualche porta più indietro rispetto a dove erano. Il fatto che Jun non ne fosse per nulla sconvolto gli fece intuire che fosse qualcosa di non così inusuale - e avrebbe scommesso si trattasse di Jane. L’altro giapponese, nel richiamare la sua attenzione con un colpetto di tosse imbarazzato, era chiaro non avesse alcuna intenzione di soffermarsi su quel dettaglio. Gli indicò, invece, una porta che aveva solo socchiuso.


«Puoi stare qui,» pronunciò, il tono non troppo alto ma udibile «è una delle poche stanze libere a essere stata sistemata.» aggiunse. Dazai gli lanciò un’occhiata valutativa, prima di avanzare e aprire la porta del tutto così da poter guardare all’interno prima di varcare la soglia. Aveva l’aspetto di una stanza degli ospiti, accogliente ma più neutrale possibile, con il chiaro intento di essere adatta a chiunque e a nessuno al tempo stesso. Di dimensioni modeste, ospitava un letto, un armadio, una scrivania vicino a una finestra e poco altro. Dazai notò subito che le vie di fuga non erano bloccate in nessun modo, il che dimostrava per l’ennesima volta da quando era entrato in quell’edificio che Deus avesse - o fosse certo di avere - un controllo totale sulla situazione. Dava per scontato che nessuno sarebbe scappato da lì neppure avendone l’occasione. Questo era un aspetto che non gli piaceva particolarmente perché significava che lì dentro chi non si era unito per scelta lo aveva fatto per disperazione e la disperazione non era un sentimento che Dazai apprezzasse particolarmente. Era un motore irrazionale che creava solo problemi nell’imprevedibilità delle sue espressioni. Una persona disperata avrebbe fatto di tutto, anche quello che normalmente sarebbe stato impensabile.


Dazai decise di lasciare da parte la questione, almeno per il momento: aveva tutto il tempo di cercare altri dettagli in quello che lo circondava, ma tirarne fuori ai due con cui sembrava dovesse fare squadra gli appariva ben più difficile. Richiedeva capacità umane che non erano il suo punto di forza in termini strettamente empatici - ma, dopotutto, bastava non trattarli come persone. Se Dazai li avesse resi niente più di utili sostegni per arrivare dove voleva arrivare, sarebbero diventati di certo più semplici da gestire. Tanto valeva iniziare dal più debole del duo.


«Quindi cos’è questo, un dormitorio? Faremo un interessante saggio scolastico alla fine?» domandò con un sorrisetto, poggiandosi allo stipite della porta e dopo aver incrociato le braccia al petto. Jun distolse lo sguardo quasi subito, ma non sembrò troppo in difficoltà sulla domanda, quanto più rispetto all’atteggiamento di chi aveva di fronte. Dazai lo notò sfregare appena le mani contro i pantaloni, prima che la sua voce rompesse il silenzio: «E’ un alloggio che Deus ci mette a disposizione.» replicò soltanto con una leggera alzata di spalle. 


Deus, si ripeté mentalmente Dazai: era interessante che Jun non avesse usato un onorifico accanto al nome di una persona più grande. Specialmente se, come il suo nome suggeriva, le origini nipponiche avrebbero dovuto renderlo quasi scontato in aggiunta a un’indole sottomessa evidente. 


«Certo» replicò Dazai con scarso interesse «per il suo buon cuore, mi è parso evidente dal discorso motivazionale con cui mi ha dato il benvenuto. Anche se la tua compagna» disse, con un cenno della testa in direzione della stanza da cui avevano sentito arrivare rumori poco prima e da cui adesso giungeva solo silenzio «non sembrava proprio entusiasta.» insinuò, lasciando a Jun la scelta se interpretarlo in riferimento a qualsiasi grande disegno avesse Deus o alla sua aggiunta al duo. Jun spostò per la prima volta lo sguardo da un qualsiasi punto randomico intorno a lui, portandolo non solo su Dazai ma sul suo viso. Un contatto visivo che sorprese piacevolmente Dazai e sul quale non avrebbe scommesso; bisognava solo capire quale fosse stato il tasto che doveva aver appena premuto senza neanche provarci.


«Jane non è la mia compagna.» pronunciò - di nuovo, nessun onorifico - come se fosse l’unico dettaglio importante. Dazai lo soppesò qualche istante, per decidere cosa farsene. 


«A cosa ti riferisci con questa negazione? Non è una tua compagna qui o non è una tua compagna nella vita, Jun-kun?» 


Così come era arrivato, il contatto visivo fu interrotto bruscamente e Jun tornò a posare le iridi ovunque tranne che su Dazai, se non in sguardi veloci e fugaci come quelli che gli aveva rivolto finora. Qualunque fosse l’insinuazione che lo aveva fatto regredire, era chiaro a Dazai che per il momento non avrebbe ricavato altra informazione. Era evidente che Jun andasse maneggiato con una certa attenzione se si sperava fosse utile a qualcosa, almeno per lui. Fece per oltrepassare la soglia della camera, deciso per il momento a lasciarsi l’altro ragazzo alle spalle e a darsi il tempo di riordinare quanto scoperto finora, quando il rumore di una porta che si apriva con poca grazia attirò l’attenzione di entrambi nella direzione da cui erano venuti. Una mano sulla maniglia e l’altra poggiata contro lo stipite, la figura di Jane apparve confusa per un istante fin quando nel voltare la testa non li inquadrò entrambi. 


«Voi due, venite dentro.» li chiamò entrambi in quello che, con toni diversi, sarebbe suonato come un invito più che come un consiglio dato in maniera sbrigativa. Con la coda dell’occhio Dazai notò Jun muoversi quasi fosse cosa dovuta, ma Jane non sembrava intenzionata a dargli tempo per chissà quale psicanalisi: «Cos’è, ti devo fare un invito scritto? Forza.» lo incalzò, guadagnandosi un’occhiata più penetrante che non sembrò né stupirla né preoccuparla. Il massimo che Dazai ottenne fu di vederla guardarsi intorno quasi si aspettasse telecamere o occhi indiscreti, per poi fare un cenno con la testa verso l’interno della propria stanza.


«Non abbiamo tutto il giorno per parlare, prima che Deus decida di fare una cena di famiglia e ci mandi a chiamare.»


*


La stanza di Jane non era affatto diversa dalla propria, se non per qualche piccolo dettaglio più vissuto. Non doveva comunque essere lì da molto, oppure non utilizzava la stanza se non per dormire, perché Dazai notò che non c’era un grande numero di vestiti di ricambio né valigie o altro che potesse lasciar intendere ci fosse stato uno spostamento voluto e pianificato. L’unico dettaglio ad aver davvero attirato la sua attenzione appena entrati, era stato che se il resto della stanza presentava cose rovesciate a terra - a cui Dazai associò senza difficoltà il rumore sentito prima dal corridoio - la scrivania era non solo intonsa, ma con l’aria di essere stata usata e messa poi meticolosamente in ordine. 


A Dazai ricordò un altare per defunti.


Una volta chiusa la porta, Jane aveva fatto loro cenno di sedersi indicando il letto, mentre lei si era mossa senza esitazione proprio verso la scrivania per appropriarsi dell’unica sedia presente. Dazai non aveva fatto troppi complimenti, prendendosi il bordo ai piedi del letto, ma Jun sembrava deciso a rimanere in piedi a pochi passi da Jane e appena appoggiato alla scrivania stessa. Il fatto che lei non glielo avesse impedito, considerato come teneva quella parte di stanza rispetto al resto, aveva instillato una serie di considerazioni in lui che decise però di rimandare a un secondo  momento. Ora come ora erano in una fase in cui Dazai suppose che gli altri due stessero valutando se e quanto fidarsi di lui, mossi quasi solo dal fatto di non avere delle alternative più allettanti. O così l’aveva letta lui.


«Quanto sei stato bloccato?» chiese Jane a bruciapelo, guardandolo dritto negli occhi. Dazai capì subito a cosa si riferiva e comprese anche di non essere stato l’unico ad aver subito la cosa - di qualunque fenomeno si trattasse.


«Ore, tra le dieci e le dodici.» decise di dargli quell’informazione perché non era davvero nulla che valesse la pena nascondere. L’assenza di sorpresa sul viso di Jane parlava già da sola, così come l’occhiata in tralice che lanciò a Jun: «Hai qualche teoria?»


«Questo dovreste dirlo voi a me, non credi?»
«Perché mai?»
«Perché siete qui da più tempo di me, anche se non da molto.» replicò Dazai quasi annoiato «Perché non ti fidi di Deus, il che mi fa pensare non siate qui per scelta e se non lo siete ma avete accettato di venirmi a prendere significa che vi servo più di quanto serviate voi a me, almeno per adesso.»


Vide Jane accigliarsi, ma non se ne stupì. Quando aveva avuto la sensazione a pelle che in qualche modo la ragazza gli ricordasse Nakahara, non era stato solo a livello superficiale. Era chiaro che possedesse tutte le qualità che rendevano il suo ex partner in crime estremamente umano e per questo fallibile: prima tra tutte, non era in grado di trattenere le sue emozioni né di mascherarle. Il che la rendeva la persona nella stanza che lo avrebbe detestato di più, senza alcun dubbio. 


«La mia teoria è che c’è una sola cosa ovvia: anche se non lo ammette e non lo ammetterà mai, forse, qualsiasi stranezza sia successa è colpa sua.» commentò aspra la ragazza, senza mascherare affatto il suo disprezzo per l’uomo che tanto ci aveva tenuto a sembrare un perfetto e misericordioso padrone di casa. Dazai dovette riconoscerle che se non altro non la si sarebbe mai potuta considerare una codarda, se quel modo di porsi era la sua norma; se fosse abbastanza furba da non dire sempre quello che pensava anche quando sarebbe stato meglio e più conveniente non farlo, non era una certezza invece. Non la interruppe comunque, rimanendo semplicemente in attesa di un resto che gli sembrava abbastanza ovvio ci fosse.


Jane lo squadrò per qualche attimo, poi proseguì: «Non abbiamo ancora un’idea precisa di quale sia il suo piano» ammise e si sentiva nel suo tono di voce quanto questo le pesasse «ma siamo abbastanza sicuri che ci sia un motivo per cui non ci abbia ancora rivelato granché. Quel motivo pensiamo fosse che mancava ancora qualcuno» proseguì, facendo un cenno del mento proprio verso di lui «ossia tu.»


Dazai ponderò la questione per qualche secondo, senza dare conferma - non che avrebbe potuto, se non a livello puramente teorico. 


«Questo» riprese lei «perché non ci ha mai fatto uscire fin quando non si è trattato di venire a recuperarti prima che quelli ti facessero diventare il nuovo tiro al bersaglio.»
«Jane…» pronunciò piano Jun, senza sciogliere l’incrocio delle braccia al petto in cui sembrava essersi rifugiato finora, ma limitandosi a guardarla. Non era il tono di un rimprovero, né quello di un ammonimento; non aveva in sé né la sicurezza di chi ha le redini di un rapporto - ma questo Dazai lo aveva già capito - né l’incertezza di qualcuno che ignorava una gerarchia. Era difficile capire se fossero davvero sullo stesso piano e se quindi la loro apparente dipendenza fosse solo una questione di indole, o se ci fosse qualche dettaglio di cui non era a conoscenza e che gli avrebbe permesso di avere un quadro completo e di conseguenza una strategia su come trattarli. 


Per ora, tuttavia, la domanda a cui trovare risposta era quella riguardante Deus: aveva aspettato a farli muovere perché lui, Dazai, era la chiave o perché insieme agli altri due lo sarebbe stato?


Vedendo che Jane non aggiungeva altro, Dazai accavallò le gambe come se fossero tutti lì insieme per prendere un caffè e parlare delle ultime novità delle rispettive vite, incalzandola con un: «Perciò qual è il tuo piano?» dando per scontato ce ne fosse uno. O, se non altro, che ci fosse l’idea di pensarne uno.


«Il piano è capire perché ti vuole e perché abbia voluto noi.» replicò Jane, più decisa «Non so se io e Jun siamo stati solo un mezzo per te, anche se credo di no.» ammise, seppure con una sfumatura di dubbio nella voce nel pronunciarlo. Dazai spostò lo sguardo sul ragazzo vicino a lei ma, ancora una volta, non sembrava intenzionato ad assumersi il ruolo del protagonista. Eppure un ruolo doveva pur averlo, sia a giudicare dalle parole di Jane e sia perché - almeno dalle informazioni raccolte finora - Deus non sembrava incline a circondarsi di persone che non avessero uno scopo. Seppur piccolo, Jun doveva essere un anello di congiunzione tra cosa Deus voleva ottenere e il riuscire a farlo. Dazai doveva solo capire quale nello specifico.


Jane gli sventolò la mano davanti al viso, seppur a distanza da dove sedeva: «Mi ascolti, sì?» lo richiamò, senza aspettare la risposta «Dicevo, la cosa che so per certo è che Deus ci ha promesso una ricompensa. Sono sicura che la prometterà anche a te.» pronunciò e per la prima volta Dazai non vide in lei la corazza dura o un certo disprezzo per la situazione e le persone coinvolte, com’era stato nell’ufficio, ma il pizzico di preoccupazione di chi forse non era davvero capace di distaccarsi dalla sorte del suo prossimo se ritenuta ingiusta.


Empatia, pensò Dazai. Non poteva quasi andare peggio di così e, al tempo stesso, forse si sarebbe rivelata almeno una carta da giocare prima o poi. 


«Non so nemmeno tu da dove venga di preciso o cosa facessi prima, però…» riprese Jane, indugiando per qualche istante. Attimi in cui cercò lo sguardo di Jun, vedendolo scuotere la testa. Dazai la sentì sospirare di nuovo, più rassegnata, oltre a notare come stesse iniziando a picchiettare con l’indice contro la scrivania. Capì che se le avesse messo fretta ora forse l’avrebbe indispettita abbastanza da farle scegliere di non essere sincera - ma in questo momento aveva bisogno, invece, proprio che lei lo fosse. 


Jane impiegò solo qualche altro secondo a smettere con quei colpetti sul legno e ad alzare gli occhi azzurri di nuovo su Dazai, più decisa: «Però» riprese da dove si era interrotta «quello che ti prometterà sarà qualcosa a cui non potrai rinunciare. Perché è quello che ha fatto con noi: ci ha messo di fronte a una scelta che non era davvero una scelta.» pronunciò, con la rabbia malcelata di chi forse non avrebbe voluto essere così debole da cedere ma al tempo stesso anche con l’aria di una che sfidava chiunque a dirle di aver sbagliato a piegarsi. Era la sicurezza che soltanto qualcuno con un “bene superiore” - in qualunque modo si declinasse questo bene - poteva avere pur quando consapevole di fare qualcosa che agli occhi di chiunque altro sarebbe stata sbagliata.


Dazai non reputò utile farle presente adesso che dubitava fortemente Deus potesse offrirgli qualcosa di così allettante da farne il suo ennesimo burattino. D’altronde, non c’era alcun presupposto per cui Dazai dovesse raccontare loro qualcosa della propria vita. 


«Questo non è il momento in cui mi dici di venire a raccontarvi di cosa si tratti quando lo farà, immagino.» pronunciò invece all’indirizzo di entrambi. Gli sembravano così riluttanti anche solo a pensare di condividerlo, da farlo quasi ridere nel pronunciare quelle parole; quel che gli interessava davvero erano le reazioni all’idea di doverlo rivelare a degli sconosciuti con cui erano chiamati a collaborare. Jun si irrigidì subito, tanto da far pensare a Dazai “troppo facile”. Jane, al contrario, sembrò studiarlo con maggiore attenzione e Dazai la lasciò fare; non era facile da leggere neanche per chi lo conosceva da anni, non si preoccupava all’idea che potesse farlo chi lo conosceva da due ore. 


«No,» dichiarò infine la ragazza «nemmeno io e Jun ce lo siamo detti. Io non avrei grandi problemi, ma rispetto il fatto che lui voglia tenerlo per sé.» chiarì subito, con un sottotesto che sembrava suggerire che avrebbe fatto bene a rispettarlo anche lui: «Voglio però proporti un’alleanza.»


Questo era interessante, oltre che inaspettato, considerata l’idea che si era fatto di Jane almeno per quanto era stato possibile cogliere fino a ora. Si aspettava una collaborazione, certo, ma non la proposta di un’alleanza; una parola dal sapore del tutto diverso, oltre che dalle implicazioni differenti. Le rivolse un sorriso e un gesto della mano, invitandola a continuare.


«E’ chiaro che l’obiettivo di Deus sia uno e che gli serviamo per arrivarci. Quindi penso che la ricompensa sia rispetto alla stessa richiesta uguale per tutti.» analizzò, dimostrandosi un po’ più acuta di quanto Dazai credesse, a essere sincero «Perciò a noi non cambia molto collaborare, non rischiamo che i compiti singoli si mettano i bastoni tra le ruote tra loro. Perciò se lavoriamo insieme abbiamo tutto da guadagnarci, no?» chiese, aspettandosi una risposta da Dazai, un’opinione. Lui si limitò ad annuire, senza darle la propria visione delle cose, preferendo aspettare di capire dove stesse andando a parare con quel discorso.


Si sarebbe aspettato diverse cose, ma non di vederla alzarsi per pararsi di fronte a lui né - tantomeno - di ritrovarsi la sua mano tesa in avanti, offerta.


«Ti guarderemo le spalle, se tu guarderai le nostre.» 


Dazai avrebbe voluto ridere. Invece, per il puro divertimento nell’osservare quanto autodistruttive potessero essere a volte le scelte delle persone, tese la mano a sua volta e strinse quella della ragazza.

 

Jun, ancora fermo vicino alla scrivania, incrociò il suo sguardo ma non disse nulla.

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