hakurenshi: (Default)

Prompt: Age difference

Parole: 4558

Missione: M3
Fandom/pair: Hypnosis Mic (RioSabu)
Warning: omegaverse, underage character



 

 

 

 


Più del test di genere di Ichiro, lui ricorda quello di Jiro per una semplice questione di vicinanza di età; ha ancora in mente l’immagine del fratello tornato da scuola con aria di tutto tranne che di superiorità e senza sbandierare il foglio con il risultato. Quando Saburo gli aveva chiesto quale fosse, Jiro lo aveva scansato senza tante cerimonie e con una spallata, lo aveva oltrepassato urlandogli di farsi gli affari suoi ed era scappato a rifugiarsi in camera - come se poi fosse una vera via di fuga, dal momento che l’hanno condivisa per anni.

Ichiro era già l’alfa di casa e Jiro forse, nonostante tutto, avrebbe voluto essere come lui almeno in quello. Invece il pezzo di carta che decretava come avrebbe vissuto il resto della sua vita da quel momento in avanti recitava “beta”. Saburo ricorda di essersi chiesto se anche lui, due anni più tardi, sarebbe tornato a casa deluso dalla risposta senza voce di una visita medica.


Da quel giorno Saburo ha studiato diligentemente, ha imparato a far valere la sua testa più del fisico o di qualsiasi altra risorsa, e per un periodo è stato anche più che apprezzato in classe. Più maturo della sua età, diligente, con ottimi voti. Buona parte dei suoi compagni erano certi che dalla visita medica finale il simbolo “alfa” sarebbe stato lì, nero su bianco, a confermare una cosa ai loro occhi già scontata. Invece a Saburo quel certificato aveva detto l’esatto contrario, una percentuale ancora più bassa di quella che lo avrebbe visto crescere come Ichiro.
Non si è davvero stupito quando la sua classe ha preso le distanze, di quando alle medie lo hanno creduto un tipo di persona e sono poi rimasti delusi per conto loro nello scoprirlo diverso - non c’è voluto così tanto, considerato l’essersi assentato dalla prima volta che è andato in calore per periodi precisi e regolari. Peggio per gli altri, si è sempre detto: Jiro ha un carattere più debole sulle cose più assurde, e questo a Saburo è sempre stato chiaro. Una persona bisognosa di attenzioni, specialmente dagli affetti, ma soprattutto qualcuno che aveva visto il fallimento in se stesso prima che lo facesse chiunque altro, cucendoselo addosso anche quando i suoi fratelli lo vedevano in molti modi tranne che quello. Jiro, ecco, lui forse non l’avrebbe saputa gestire in quel modo quindi forse è un bene che sia toccato a lui; ogni tanto ci pensa, sebbene eviti di dirglielo. E d’altronde, sa di essere meglio di quasi tutti i beta che conosce, e di qualche alfa, anche.
Se proprio, la cosa che Saburo detesta della sua situazione è la consapevolezza che un giorno potrebbe arrivare il suo partner, quell’alfa destinato a lui e a lui il destino finora non ha dato niente che volesse davvero o verso cui abbia sviluppato un attaccamento di qualche tipo, a parte i suoi fratelli. E anche lì, il destino ha preteso che ci lavorasse, su quel rapporto, senza risparmiargli fraintendimenti e incomprensioni e qualche sentimento negativo di troppo. Saburo viene da una famiglia in cui Ichiro non si è piegato al fato, ma gli ha sbattuto in faccia quanto poco gli interessi scegliendo come suo partner un altro alfa. Ha Jiro, che può scegliere chiunque lui voglia nel mezzo della popolazione con il genere più numeroso e non deve temere di stare con qualcuno e, un giorno, venir arrivare un’altra persona a cui non sarà in grado di resistere nonostante tutto - e Jiro a volte gli dà la sensazione di essere l’unico che dal destino vorrebbe essere incatenato, ma Saburo no.
E poi ci sono i suoi genitori: due partner predestinati. Senza uno dei due, l’altro è impazzito al punto da togliersi la vita.
Cosa ci sia di romantico e desiderabile, in questo, Saburo non lo capirà mai.


«Yamada-kun, ho finito.» pronuncia la capoclasse, allungando verso di lui il registro da riconsegnare insieme al materiale che il responsabile di classe ha espressamente richiesto a lui. Sono rimasti d’accordo perché Saburo portasse tutto insieme in sala professori, a compito concluso, dunque recupera l’oggetto dalle mani di lei con uno sguardo veloce per assicurarsi di avere tutto prima di muoversi per guadagnare l’uscita dall’aula.
«Okay, a domani.» replica senza perdersi in troppi convenevoli a parte un lieve chinare il capo, varcando la soglia e percorrendo il corridoio. Sono in pochi a essersi trattenuti a scuola, al di fuori di chi partecipa ai club scolastici ed è già nelle palestre o nelle rispettive aule, perciò Saburo non ha nemmeno bisogno di badare più del solito alla strada percorsa. Al suo ultimo anno delle medie il massimo che può accadere è che qualche studente più giovane gli rivolga un saluto per educazione, ma di certo dubita di venire trattenuto a lungo e così è fino al corridoio in cui intravede la targa che indica l’ubicazione della sala docenti. Saranno quanti, sei metri appena tra lui e la porta, quando un profumo che non ha mai sentito prima gli invade le narici con prepotenza e lo gela sul posto? E’ in qualche modo così violento che Saburo ha la sensazione delle gambe che si piegano sotto il suo peso anche senza che questo avvenga, e un calore che si propaga in tutto il corpo. A stento si accorge di poggiarsi contro la parete e del registro di classe che gli cade tra le mani, mentre gli occhi vengono alzati d’istinto quando la porta della sala professori si apre bruscamente e la voce del suo responsabile di classe richiama la figura che oltrepassa la soglia.
E’ un uomo adulto ed è immediatamente chiaro che si tratti di uno straniero: supera Saburo di quasi venti centimetri, piazzato e con addosso una tuta mimetica che lo fa sembrare uno delle forze speciali che non si capisce per quale motivo dovrebbe essere lì. Ma a Saburo in quel momento non interessa - indipendentemente dalla sua volontà l’unica cosa che percepisce è l’odore sempre più forte e inebriante, un peso enorme sulle spalle e al tempo stesso qualcosa che lo fa sentire leggero e gli annebbia la mente, portandolo a muovere un passo dopo l’altro in direzione dello straniero senza una reale ragione per farlo. Se Saburo fosse più debole a livello mentale, se non avesse previsto fin dal suo test medico che questo sarebbe potuto succedere, è certo che sarebbe a stento in grado di riconoscere cosa stia avvenendo.
«Deve farsi indietro…!» esclama il suo responsabile di classe, una mano a poggiarsi sul braccio dell’uomo in mimetica; Saburo non ha una lucidità sufficiente a notare - o meglio, a registrare mentalmente - la quantità di feromoni che sta emanando e come questi influenzino persino il docente, un beta dichiarato. Il soldato invece è rigido, fermo sul posto quasi ci si stesse inchiodando da solo e per scelta, e una parte di Saburo lo odia: perché non gli va vicino? Perché non mette fine a quella sensazione di calore inebriante? Lo sa che può, lo sente in ogni muscolo del proprio corpo, ma quello se ne sta lì e basta, gli occhi puntati su di lui e la mascella contratta, il peso ben puntato a terra. Dietro di lui Saburo nota un’altra figura, e poi un’altra ancora, ma prima che possa registrare altri due docenti - due alfa, se lo ricorderebbe se non fosse del tutto in balia delle sensazioni del suo corpo come non è mai stato prima di oggi - un pugno si abbatte contro la porta mezza aperta.
Sobbalza lui, e così fanno tutti gli altri mentre il soldato gli dà le spalle per fronteggiare gli altri tre; non dice nulla, ma Saburo sente nei brividi sulla pelle che l’altro sta emettendo volutamente un’aura di possessività e di pronta aggressione ai danni del primo di loro che farà un passo verso di lui. Riconosce, nel potere intangibile che lo schiaccia, la differenza tra un alfa e un omega.


Attorno a sé percepisce il vociare più ovattato, quasi una barriera tra lui e il resto del mondo stesse cercando di proteggerlo dall’esterno. Ci riesce, con le voci meno familiari, ma è difficile quando tra queste spicca quella di tuo fratello maggiore che riconosceresti ovunque. Il tono di Ichiro gli ricorda vagamente la parentesi incerta del loro rapporto, quegli anni in cui sembrava arrabbiato con tutti e non era ancora il perfetto sostituto dei loro genitori che voleva invece essere, e finiva con l’arrabbiarsi ancora di più con se stesso. Saburo gli sente nella voce una severità che a lui e a Jiro non rivolge quasi mai, non con quella durezza nel tono e con quel distacco. Pronuncia poche parole ma lapidarie, e il suo interlocutore deve essere o troppo intimidito per spiccicare parola o conscio di essere del tutto in torto - non se ne stupisce, è di Ichiro che si parla. Poi, all’improvviso, è il proprio nome che sente.
«Saburo è il mio fratellino» sta dicendo «ed è all’ultimo anno delle medie. Quanti anni avresti, tu?»
«Ventotto.» replica una voce profonda che Saburo non riconosce ma che, al tempo stesso, gli fa attorcigliare lo stomaco in un modo che non saprebbe definire se piacevole o spiacevole. Non c’è molto del romanticismo di cui parlano le ragazze (e qualche ragazzo) della sua età, ma non è nemmeno tremendo come se lo è sempre immaginato; la consapevolezza di star focalizzando di cosa si tratta sembra risvegliare la voce della ragione dentro di lui al solo scopo di dirgli di ricacciare indietro tutto, e fingere di non aver capito. Per sua sfortuna, Saburo sa di essere più intelligente della media.
«Quindi non ho bisogno di dirti di stare lontano da lui, vero?»
C’è un lungo momento di silenzio, o almeno a Saburo sembra che duri molto mentre si chiede se dovrebbe continuare a fingere di essere incosciente o se non sarebbe il caso, invece, di far notare di essere in ascolto.
«E’ il mio partner.»
Quasi lo sente, il ringhio bloccato nella gola di suo fratello.
«E’ un ragazzino, cosa ne sai.»
«Un soldato sa quanti colpi ci sono ancora in canna senza bisogno di contarli. Lo sa e basta.» pronuncia l’altra voce, serissima «Io lo sento.»
Quella dichiarazione è come una bomba che esplode: Saburo sobbalza non solo per il rumore delle gambe della sedia che all’improvviso grattano per terra, ma anche perché quelle tre parole lo rendono più schiavo di quanto sia sopportabile per il suo orgoglio - si ritrova ad aprire gli occhi prima ancora di aver deciso se voglia continuare a origliare o meno, cercando d’istinto la figura dell’uomo di cui non conosce nemmeno il nome.
Ichiro lo sta tenendo per il bavero, il viso a pochi respiri da lui, mentre l’altro sta seduto e fermo, come se non sentisse provenire da Ichiro un istinto violento sufficiente da doversi preoccupare e difendere.
«Ichi-nii!» esclama prima ancora di rendersene conto, una punta di allarme nella voce che non riconosce, ma soprattutto che non sa come giustificare; si limita a guardare suo fratello quando questi lo fa per primo, e cerca disperatamente l’assenza di un rifiuto, del giudizio e della delusione negli occhi di Ichiro. Ci trova, dopo interminabili secondi, la rassegnazione giocosa che ha accompagnato ogni suo litigio infantile con Jiro nel corso degli anni, e un piccolo nodo all’altezza del petto si scioglie mentre le spalle si rilassano.
«Voglio prima sapere chi sei.» ricomincia ignorando la pausa che c’è stata e tornando con lo sguardo fisso sul viso del soldato «Tutto. Non verrai alla scuola di Saburo, non ti ci avvicinerai nemmeno. Solo se deciderò che mi posso fidare, potrai vederlo e in luoghi pubblici.» dichiara, le braccia incrociate al petto e in attesa di una conferma da parte dell’altro. Il soldato lo guarda per un attimo, poi gli occhi vagano fino a posarsi su Saburo, alla ricerca di una reazione che gli indichi in quale modo rispondere, forse; Saburo non dice nulla, ma deglutisce - non si fida ad aprire bocca, ha il sospetto che potrebbe dire l’esatto contrario di cosa la ragione gli suggerirebbe in qualsiasi altra occasione.
«Busujima» pronuncia quello, tornando su Ichiro «Il mio nome. Rio Mason Busujima.»


E’ strana la sensazione che ha nei mesi successivi; all’inizio lui e Rio non si vedono per nulla. Forse il soldato ha fiutato, in qualche modo, che a Ichiro basta volerlo per venire a conoscenza di un qualsiasi sgarro alla promessa che si sono fatti riguardo il suo vedere Saburo solo in determinati contesti. O forse Rio è solo il tipo di persona così stupidamente nobile da mantenere la parola data nonostante tutto.
Nelle occasioni in cui si vedono, parlano. Per meglio dire, ci provano: Rio non è una persona di molte parole, se non punzecchiata con i giusti argomenti e le domande più dirette alle quali si possa pensare. Saburo, di suo, è aiutato dall’avere una maturità media superiore alla sua età, ma resta quello che è fisicamente e lo percepisce ancora di più di fronte a un uomo fatto e finito, con esperienze forti come l’esercito alle spalle, per cui non ha avuto subito grande interesse psicologicamente ma verso il quale ha sentito un’attrazione e un legame tali da rendergli insopportabile stargli lontano fisicamente.
Non è una cosa che Saburo è felice di dover gestire, nemmeno ora che con le medicine riesce a normalizzare le sue reazioni in presenza dell’altro. A onor del vero, Rio ha dimostrato un autocontrollo invidiabile, forse dovuto alla sua formazione ma anche al suo carattere; a volte Saburo si chiede se esista qualcosa capace di fargli perdere il controllo per davvero e avrebbe quasi la tentazione di provare, ma alla fine si frena finché ha ancora potere decisionale sul proprio istinto.
Così passano incontro dopo incontro a conoscersi in un modo forzato e naturale insieme - Rio sembra del tutto a suo agio nella situazione, come se avesse preso per oro colato quello che il suo essere alfa gli suggerisce, senza porsi domande su quanto lui come individuo lo voglia. Tutti quei dubbi che dovrebbe farsi venire animano la mente di Saburo come una serie di fantasmi, invece. I quattordici anni di differenza che hanno racchiudono tutto ciò che non gli permette di trovare naturale fino in fondo quanto stanno cercando di costruire così goffamente: quando Rio aveva la sua età, Saburo nasceva. Quando lui era nell’esercito, chissà dove nel mondo, Saburo forse imparava a leggere e a scrivere. Nonostante non abbia avuto un partner predestinato è inverosimile credere non ne abbia avuti in generale - lui, Saburo, se ne è ben guardato anche quando tra i suoi compagni si è formata qualche timida, prima coppia e in ogni caso non è mai stato circondato da persone esattamente stimolanti.

A volte Rio lo guarda e Saburo finge di non accorgersene perché non sa come guardarlo a sua volta. Quando si ritrova quel pensiero stupido nella testa sente anche montare l’irritazione e la lascia uscire fuori con qualche commento tagliente, in alcuni casi. Rio assorbe tutto, nulla lo fa tentennare, niente lo sposta dal suo perfetto equilibrio. Al primo periodo in calore dopo l’incontro con Rio, Saburo si rigira nel letto con il respiro affannoso e l’unica cosa a cui riesce a pensare è che vorrebbe Busujima fosse lì, nel letto con lui, vorrebbe che lo toccasse e invece non può, forse non lo vuole davvero, forse non sono predestinati - ma poi lui al destino voleva solo urlare in faccia di non averne bisogno.

Il desiderio lo nausea.


Non sa perché l’idea di vedere un film a casa, in pieno giorno, e per giunta una pellicola contro ogni tentazione - ucciderà Jiro per avergli noleggiato un cartone animato del genere. Non stanno nemmeno parlando. Sono due robot che fanno versetti - sembrasse geniale, tre giorni fa. Saburo sa solo che non sente di poter davvero giudicare Rio per essersi addormentato non molto dopo l’inizio ed esserlo rimasto finora che ormai si avviano alla fine. Gli lancia un’occhiata di traverso e si concede il tempo di osservarlo: le braccia incrociate al petto, le gambe stese in avanti, i muscoli del viso più rilassati di quando è sveglio ma senza una differenza marcata a dare l’idea che Rio lì si senta così a suo agio da non aver bisogno di alzare un muro di qualche tipo. Nei mesi Saburo ha notato che c’è qualcosa a renderli distanti, un elemento slegato dalla differenza di età, stili di vita ed esperienze; una parte di lui non vuole addentrarsi, ripetendosi che non è davvero affar suo, ma l’altra scalpita come se da quel segreto ne andasse tutta la sua vita. Quale alfa, di fronte al proprio omega, è capace di mantenere la calma e, di conseguenza, la promessa fatta a Ichiro di non fare nulla di sconveniente? In mesi, mesi, Rio e lui si sono a stento tenuti la mano - sempre che quello stare con le mani vicine, o una più o meno sopra l’altra, si possa considerare tale. Rio non rifiuta un contatto, se è Saburo a iniziare, ma nulla parte mai da lui.
Non sa nemmeno perché continuano quella farsa, a dire il vero.
«Saburo.» lo richiama a sorpresa la voce di Rio e, altrettanto inaspettato, quando Saburo si volta a guardarlo abbandonando lo schermo della televisione, la mano di Rio gli sfiora la guancia in una carezza appena accennata; senza dubbio, però, è la cosa più vicina a un gesto intimo che ci sia mai stata tra loro, soprattutto da parte dell’uomo. Saburo è abbastanza sicuro di non essere riuscito a nascondere la sorpresa in tempo perché Rio non la notasse - si imbroncia appena, a quella consapevolezza.
«Che c’è?»
«Stai emanando un odore diverso.» sentenzia Rio, facendolo sentire colto in flagrante per qualcosa di involontario e di cui non è nemmeno conscio. Odia come lo fa sentire, e odia ancora di più aver ormai compreso di volerlo, di essere sceso a patti con il fatto che Rio sia il suo compagno deciso da qualcosa che Saburo non può controllare - il destino, la genetica, ormai non è nemmeno così vitale saperlo, può incolpare tutto senza far torto a nessuno.
Finalmente, finalmente, vede una scintilla di sorpresa negli occhi azzurri di Rio quando, con un movimento un po’ goffo ma efficace, Saburo riesce a sistemarsi a cavalcioni su di lui. Rio resta immobile e lo guarda; solo in quel momento Saburo realizza che l’uomo avrebbe potuto facilmente interrompere il suo spostamento o inchiodarlo al suo posto sul divano. Con l’evidente differenza nella forza e nella prestanza fisica a Rio sarebbe bastato un istante, invece non ha mosso un muscolo. Forse in questi mesi in cui hanno cercato di conoscersi Saburo non ha colto tutte quelle piccole avvisaglie a cui invece non avrebbe faticato a prestare attenzione in un altro momento.
«Non è vero.» mente, un po’ anche per provocazione; al contrario di quanto avviene di solito, non riesce a prevedere le reazioni di quell’uomo che gli sta davanti.
Lo vede spostare l’attenzione per un istante verso la porta della stanza, forse per assicurarsi che Jiro non sia nascosto a origliare o a controllarli su richiesta di Ichiro o per propria iniziativa. Torna quasi subito su di lui, però, e Saburo sente un brivido passargli lungo la schiena. Non è nemmeno eccitazione, più… un fastidioso miscuglio di tante cose diverse.
«Saburo.» Rio lo chiama di nuovo, e lui detesta come l’altro non abbia nemmeno bisogno di parlare o di dare una particolare inflessione al proprio tono di voce per rendere chiaro cosa stia pensando ora - “sì che è vero”, “non mentirmi”, “non smetterò di chiedere finché non me lo dirai”.
Odia gli adulti come lui.
«Forse dovresti trovarti un altro compagno.» sputa fuori con tono arrogante, ormai oltre il concetto di provocazione e l’idea di vedere dove il provocare possa portarlo. La risposta è chiara da almeno un mese: da nessuna parte.
«Vuoi un altro compagno?» gli sente chiedere la cosa che meno si aspettava. Rio è serio, gli basta guardarlo in viso per capirlo: gli sta davvero facendo quella domanda come se potessero semplicemente decidere di andare ognuno per la sua strada e vivere felici, lontani e con altre persone.
«Sono uno studente delle medie» comincia, senza davvero rispondere alla sua domanda «sono mesi che ci vediamo sotto la supervisione di Ichi-nii» prosegue «parliamo per modo di dire, a stento ci siamo presi la mano e tu sei un adulto.» continua a sciorinare motivazioni, esasperato come se avesse a che fare con un bambino un po’ stupido e fosse già stufo di spiegargli le cose «E nemmeno te ne lamenti. Non ti interessa e quanto aspetterai? Dieci anni? O solo i sei che mancano alla mia maggiore età? Quale alfa ci riesce? Potresti essere presente mentre vado in calore» lo dice quasi schifato, perché ha sempre detestato quel modo di dire che gli ricorda quanto simile a un animale lui possa essere «e non faresti una piega. Ah già» si corregge, sarcastico «è già successo.»
Per una manciata di secondi c’è solo silenzio tra loro, ma quando Saburo fa per alzarsi, entrambe le mani di Rio si posano sui suoi fianchi, facendo solo una pressione sufficiente a tenerlo fermo lì dove si trova.
«Che c’è?!» sbotta, poggiando una mano contro lo schienale del divano per mantenere l’equilibrio senza assestarsi in braccio a Rio - per non dargliela vinta.
«Vuoi un altro compagno?» ripete Rio, guardandolo dritto negli occhi e ignorando tutto lo sproloquio, quasi fosse del tutto trascurabile. Saburo tace, incredulo, una stretta allo stomaco che non accenna ad allentarsi.
Lo vuole? Non lo vuole?
«Io sono un ex soldato» pronuncia «e alcuni omega finiscono a fare qualcosa nei campi di addestramento.» ammette - non dice cosa, ma Saburo può arrivarci da solo.
«Se non sapessi controllarmi, non sarei un buon soldato. O un buon compagno…?» c’è un punto di domanda vago alla fine di quella frase, come se Rio stesso non fosse sicuro del perché stiano affrontando quella conversazione.
«Beh io non sono un soldato» ribatte Saburo, piccato e testardo «quindi non sono un buon compagno.»
«Saburo può fare quello che vuole. Non devi controllarti.»
Quella frase è come una bomba sganciata a tradimento, senza preavviso - lo rende euforico, lo fa vergognare e lo disturba al tempo stesso. Sente il calore affluire al viso e non vuole sapere quale espressione abbia assunto.
«Mh» sfugge tra le labbra a Rio, un verso soddisfatto che in un primo momento non comprende «ora il tuo odore è tornato più dolce.»
E’ istintivo per Saburo sporgersi e posare, goffamente, le labbra su quelle di Rio; ma dall’altra parte non sembra esserci né sorpresa, né rifiuto. Rio sta immobile e, quando Saburo si allontana di nuovo, lo accoglie con lo sguardo come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Vedi?» mormora, accusatorio, di fronte a quella ennesima dimostrazione di calma apparente; stavolta, però, all’uomo non sembrano servire spiegazioni perché gli circonda la vita con un braccio, avvicinando Saburo a sé. L’altra mano ha abbandonato il suo fianco ma resta ferma e non lo tocca da nessun’altra parte. Quello che cambia, invece, è l’odore che Saburo sente: è molto diverso dall’esplosione di feromoni che Rio ha liberato in passato al loro primo incontro, per rivendicare un possesso di un certo tipo. Stavolta è meno violento, lo circonda senza annullare le altre percezioni che Saburo ha di se stesso e, in una certa misura, si mescola a qualcos’altro che - Saburo sospetta - potrebbe essere il proprio odore. In ogni caso è una reazione che non ha mai sentito prima, da parte sua.
«Sei bravo.» pronuncia Rio, più criptico di quanto Saburo possa sopportare - bravo a cosa, quando non ha la minima esperienza se si parla della sfera intima di una coppia? Bravo a rendersi ridicolo? «A controllarti. Sei già un buon compagno, anche senza essere un soldato.» chiarisce l’uomo, e Saburo avrebbe la perfetta risposta piccata per lui, se Rio non catturasse le sue labbra di propria spontanea volontà, stavolta. E’ un bacio che in qualche modo rispetta i suoi spazi e quelli imposti da Ichiro, questo Saburo lo capisce, ma non gli sfugge nemmeno come il controllo di Rio non sia assoluto, stavolta - c’è una breccia nel muro, si riconosce nel modo in cui l’uomo lo stringe contro il proprio corpo, più possessivo di quanto non si sia mai mostrato, e in come l’altra mano si posizioni sulla nuca di Saburo, avvicinandolo ancora di più.
Saburo azzarda, abbandonando la ragione dalla quale sa essere tanto dipendente - è questa la scusa che si darà, dopo, se qualcosa dovesse andare storto - e schiude appena le labbra, sfiora quelle di Rio con la punta della lingua, esitante e senza la minima idea di come si approfondisca un bacio, di come si possa chiedere senza doverlo fare a voce.
Rio però intuisce la sua richiesta, evidentemente, e Saburo comprende, quando quel bacio è molto più profondo di quanto si aspettasse, quanto facile sia perdere il controllo.
Se Rio ha sempre avuto questo istinto verso di lui…
«Saburo.» stavolta è appena un mormorio, rauco, il braccio attorno alla sua vita che si irrigidisce e la mano che si apre, spingendosi sul suo fianco. Saburo non realizza nemmeno perché lo stia richiamando a quel modo, né di essersi mosso più di quanto gli sia sembrato - di aver allargato appena le gambe, di starsi muovendo avanti e indietro, strusciandosi contro la coscia dell’uomo, cercando di soddisfare quel bisogno fisico che non ha mai imparato a conoscere davvero prima di allora, non così almeno. Saburo sa solo che a un certo punto - che non ricorda con precisione - ha portato le braccia al collo di Rio e perso un po’ di quella razionalità con cui analizza anche le cose che dovrebbe lasciar stare, alla sua età, e godersi in maniera diversa.
Assottiglia lo sguardo mentre lo focalizza alla meno peggio su Rio, un fare interrogativo nell’allungarsi di nuovo verso di lui per baciarlo di nuovo; trattiene un sospiro quasi sulla bocca dell’altro, però, quando sente la mano dell’uomo insinuarsi appena sotto la sua felpa. Non va troppo in là, ma è un contatto pelle contro pelle, molto più di quanto ci sia mai stato - ma tutto al momento lo è.
Le dita che prima gli hanno sfiorato la guancia invece sono scese, e Saburo se ne accorge solo quando le sente toccare il bordo dei propri pantaloni. Rio lo guarda, in una tacita richiesta o forse in un monito, a questo punto non lo sa più. Lui a sua volta non dice nulla, ma il movimento di bacino che si spinge ancora una volta verso il soldato forse la dice lunga, perché Rio non esita oltre e le dita si infilano oltre il bordo dei pantaloni e dei boxer, andando a sfiorarlo in modo diretto, di nuovo pelle contro pelle.
Un gemito vergognoso gli sfugge tra le labbra - morirà, quando se ne renderà conto a mente lucida, ma per adesso l’unica cosa che rischia di far avvicinare il momento della sua morte è sentire i passi frettolosi di Jiro per le scale che portano al loro appartamento.
«Saburo!» lo chiama a gran voce, e Saburo ha solo una certezza mentre sente Rio lasciarsi scappare un verso gutturale e frustrato poco prima di ritirare la mano.
Ucciderà suo fratello.



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