Feb. 19th, 2022

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Prompt: Passato
Missione: M1 (week 1)
Parole: 2793
Rating: teen up
Warnings: linguaggio colorito, angst 




Quando ha scoperto di manipolare il Tempo Tatsuya aveva nove anni: nessuno nella sua famiglia - non quella biologica, non quella allargata - aveva mai mostrato di possedere abilità speciali, eppure in modo del tutto istintivo ha capito quasi subito di non doverlo dire troppo in giro, di doverlo trattare come un segreto. Non avrebbe iniziato ad avere manifestazioni regolari fino agli undici anni, però, e fino a quel momento sarebbe stato solo qualcosa di molto speciale di cui non fare parola per non spezzare l’incantesimo.


Con il senno di poi è abbastanza sicuro che sua madre l’abbia sempre saputo.


A tredici anni, complice aver dovuto imparare a osservare gli altri molto presto, Tatsuya ha capito di dover imparare a controllare quel potere da solo, senza nessuno a insegnarglielo. Si è aggrappato alla dolcezza di sua madre quando non riusciva a migliorare e, per il resto del tempo, ha cercato di imparare da autodidatta.


(A quattordici anni suo cugino Chihiro gli dice «Ho un super potere: non sento dolore» e Tatsuya riesce solo a essere così sollevato all’idea di non essere l’unico.)


Non si rende conto di quanto la sua mente debba essere preparata, con un potere come il suo, fino a quando non rischia di usarlo perché accecato dal dolore della perdita. A diciotto anni è quasi pronto a prendere il posto di suo padre a capo del gruppo quando sua madre viene uccisa. E’ la moglie del boss e il funerale che le spetta è affollato quanto una cazzo di sagra di paese.


Suo padre nemmeno si presenta, non la piange, a stento sembra sapere che è morta. Tatsuya passa settimane davanti alla sua lapide e desidera che sia suo padre quello morto. Per la prima volta accarezza la seducente idea di riavvolgere il tempo grazie alla sua abilità per poter salvare sua madre. Per riaverla indietro. Tornare nel passato e cambiarlo non gli ha mai fatto così gola.


(Chihiro lo porta a Kyoto quasi di peso, gli dice «Vorrei poter fare qualcosa per il tuo dolore, ma posso far sparire solo quello fisico» e anche se irrazionalmente lo odia per questo, Tatsuya capisce che deve esserci un limite per quelli come loro.)


Mancano sei giorni al suo compleanno quando suo padre lascia a lui il comando di un gruppo a cui lo ha preparato per tutta la vita. Tatsuya non è ancora neanche maggiorenne, agli occhi della società giapponese, e ha ben pochi amici perché il suo carattere non lo rende popolare. Ma capisce che suo padre sta morendo, che qualcosa di invisibile a occhio nudo lo sta consumando dentro, giorno dopo giorno. Eppure nemmeno per un istante Tatsuya pensa di riavvolgere il tempo e cambiare il passato per lui. Sente che a questo tipo di dolore può sopravvivere, mentre ancora si sente soffocare per la perdita di sua madre. Guarda suo padre e pensa ti sta bene.


(Ha questo ricordo vivido di suo padre che rimprovera sua madre di renderlo troppo gentile: «La gentilezza lo farà uccidere.» dice l’uomo dei suoi ricordi. Ha di sicuro ucciso sua madre ma lui no, Tatsuya sente di poter guardare chi detesta esalare l’ultimo respiro senza alcun dispiacere. Persino se si tratta di suo padre. Questo non lo rende gentile, lo rende un mostro. Fa di lui qualcuno adatto a essere il capo che suo padre sperava diventasse.)


Tatsuya ha cominciato a credere nel karma presto, e quasi subito ha capito che il suo sarebbe stato tremendo - troppe morti per mano sua, direttamente o per suo ordine, troppi pensieri indicibili. Troppi nemici. Guarda l’edificio del suo gruppo bruciare e sa che dentro troverà solo cadavere di uomini che sono dipesi da lui. Uomini con mogli, con figli a cui Tatsuya dovrà dare spiegazioni.


Sono passati sei anni da quando è diventato il leader di quello che adesso è un gruppo di fantasmi e, per la prima volta, riavvolge il tempo.


*


Il primo tentativo è quasi anti climatico. Si aspetta di sentire sul proprio corpo le ripercussioni di aver violato una sorta di tabù e invece non succede nulla. Davanti a lui c’è un edificio intero dove fino a poco fa c’era una torre di fuoco, il silenzio al posto delle urla. Vede ciò che non aveva visto prima, perché arrivato troppo tardi: uomini che non sono del suo gruppo, uomini che stanno per causare l’incendio che ucciderà i suoi. Non ha nemmeno bisogno di riflettere, Tatsuya, di accertarsi che siano loro perché ne ha già la certezza. Li uccide, quindi, eradica il problema alla radice. E’ convinto sia sufficiente a cambiare il passato, ma uno dei suoi lo vede da una finestra, gli urla qualcosa che Tatsuya non capisce e un attimo dopo esplode tutto: il calore gli divampa in faccia, sente l’allarme di qualcosa risuonargli nelle orecchie, l’inda d’urto lo spinge lontano e gli fa perdere l’equilibrio.


Registra a malapena di colpire qualcosa con la testa - l’asfalto, forse - prima di perdere conoscenza. Quando si risveglia non c’è più nessuno da salvare.


Di nuovo, si dice, mentre riavvolge il tempo per tornare nel passato.


*


Il suo secondo tentativo è come strappare un cerotto messo storto e cercare di rimetterlo per bene, seguendo i bordi immaginari che dovrebbero guidarti. Il passato che gli si presenta davanti è fatto dei rumori della città a cui è abituato da quando ha memoria, di un quartiere familiare come i corridoi della casa in cui è cresciuto. L’edificio del suo gruppo è intatto, le persone dentro sane e salve. Normalmente è difficile sapere il momento esatto in cui catapultarsi con la sua abilità, ma questo non significa che non sia capace di spaccare il secondo se vuole; sono necessari aggiustamenti come con una bilancia che va tarata con accuratezza, grammo dopo grammo, ma si può fare. E Tatsuya ha studiato troppo a lungo per non esserne in grado. 


Si è concesso una manciata di minuti in più rispetto al tentativo precedente, perché se non è sufficiente uccidere i colpevoli allora  significa che qualcuno, prima, deve aver posizionato esplosivi di qualche parte. O materiale infiammabile. Nella peggiore delle ipotesi, un altro ability user potrebbe essere la causa scatenante e Tatsuya ha intenzione di scovarlo meglio di come farebbe un cane rabbioso che deve cacciare per sopravvivere. 


In un certo senso, qui sta il paradosso del suo potere: sarebbe perfetto per investigare, se lui fosse dalla parte giusta della malavita, quella che lo vede come un buon poliziotto o un collaborato del governo. Sarebbe degno di un super eroe, mettere il proprio potere al servizio della comunità - gli vengono in mente almeno tre modi costruttivi con cui la sua capacità di manipolare il Tempo potrebbe risolvere casi o ottenere informazioni preziose per risolverli. Ma lui non è dalla parte della giustizia, non quella di cui si pregiano gli uomini in divisa almeno: a lui resta la giustizia personale di un codice di valori condiviso solo da chi condivide il suo mondo con lui. La moralità non può essere presa in considerazione quando sei lì ad aspettare di uccidere un uomo prima che lui uccida la tua famiglia.


Ma gli indizi si trovano, basta saperli cercare. Così Tatsuya vede movimenti sospetti e li segue, interviene, minaccia. Suo padre gli ha piantato in testa il seme dell’orgoglio e della dignità anche attraverso l’uso delle armi, quindi per quanto vorrebbe piantare una pallottola in fronte a tutti dalla sua parte ha solo armi bianche. Se sua madre avesse avuto coscienza di come suo marito insegnava al loro unico figlio a uccidere un uomo tagliandogli la gola, si sarebbe opposta con tutte le forze di una madre che vuole proteggere a costo della vita. Ma sua madre è stata tenuta all’oscuro di molte cose - forse è l’unica cosa del passato che non rimpiange, Tatsuya, l’unica bugia alla donna più importante della sua vita che è disposto a perdonarsi. Se lo avesse saputo, sarebbe morta di dolore molto prima di essere uccisa a sangue freddo.


Se non fosse stata così buona, se fosse stata più simile al mondo che suo marito ha sposato e amato più di quanto abbia fatto con lei, avrebbe potuto insegnare a Tatsuya a non fidarsi dell’illusione di ingannare la morte. Invece, ora si ritrova a impararlo nel modo peggiore.


Proprio quando crede di aver fatto tutti i cambiamenti necessari in quel passato tremendo, uno dei suoi uomini si affaccia alla finestra (ancora), gli urla qualcosa che non sente (legge il suo labbiale e sembra gli dica ‘è dentro’, ma cosa sia dentro Tatsuya non riesce a capirlo) e dopo il mondo esplode per l’ennesima volta. Le fiamme lambiscono l’edificio, arriva l’inferno in terra in una strada di Tokyo mentre le persone urlano, gli allarmi suonano, lui sta per perdere di nuovo conoscenza.


Di nuovo, si dice. Perché se il nemico è dentro, se non può fermarlo prima che faccia esplodere il mondo, allora l’unica cosa da fare è andare nelle fiamme insieme a tutti gli altri.


*


Il terzo tentativo comincia con l’odore di bruciato che quasi lo soffoca e un calore quasi insopportabile sulla pelle. Tatsuya apre gli occhi e la prima cosa che mette a fuoco sono le fiamme che divampano davanti a lui. Subito dopo, le urla concitate di chi sta cercando di salvare chiunque sia rimasto vivo all’interno prima che sia troppo tardi. E’ difficile abituarsi al fumo così velocemente, ignorare il modo in cui fa lacrimare gli occhi, ma Tatsuya non si può concedere il lusso di aspettare e così muove un passo, un altro, un altro ancora e cerca di capire da quale direzione arrivi la voce più vicina. Ignora il rumore del fuoco, gli allarmi che risuonano per le strade all’esterno, penetranti come un pugnale nella carne. 


Il corridoio in cui si trova ha solo due possibili direzioni da imboccare: una porta a un’ala chiusa dell’edificio, con una sola stanza dove esclude possa esserci qualcuno visto che è riservata alle riunioni a cui lui deve presenziare sempre, restando chiusa il resto del tempo. L’altra porta in un lungo corridoio secondario ma che ospita diverse stanze dagli usi più disparati, aprendosi su un pianerottolo le cui scale possono portare sopra - ai dormitori - o sotto, verso l’ingresso. Si muove sulla sinistra, trovando stanze aperte che gli risparmiano di avventarsi contro le porte nel tentativo di sentire qualcuno all’interno da salvare, e si sofferma invece sulle porte chiuse. Non sono molte, ma lui le colpisce quasi dovesse buttarle giù a pugni. Nessuno risponde e non sa se perché sono altrove, perché stanno cercando di scappare o se perché sono già morti.


Aprire le porte senza la certezza che siano dentro è qualcosa che nessuno che abbia gestito un incendio almeno una volta consiglierebbe mai di fare, offrire ossigeno in più e all’improvviso a fiamme che stanno già distruggendo tutto. Così non gli resta altro da fare che sperare e convincersi che se nessuno risponde, è perché è troppo tardi. 


Raggiunge il pianerottolo e sale scale di fuoco che quasi gli bruciano la pelle già solo per la vicinanza e a metà scala finalmente un segno di vita nella forma di un uomo che conosce bene. Saburou si lascia passare sul viso cinque emozioni diverse nel vederlo, ma è un uomo della vecchia leva, uno che si farebbe uccidere a sangue freddo o si sparerebbe un colpo in testa da solo piuttosto che avere una qualsiasi mancanza nel confronto del suo boss. Così mentre lo afferra per un braccio e sbraita con i polmoni già messi a dura prova dal fumo («Eri fuori, quando cazzo sei rientrato?! Devi uscire!»), mentre lo tira verso il basso e Tatsuya gli urla di rimando che deve salire e cercare i suoi uomini perché non ha intenzione di salvarsi da solo, pensa al fatto che Saburou è padre di un mocciosetto che Tatsuya ha visto nascere e crescere. Uno che ha quasi dieci anni meno di lui, che lo ha chiamato Tatsu-nii finché non è cresciuto abbastanza da assorbire tutto ciò che suo padre è e, allo stesso tempo, cosa Tatsuya è per Saburou. Quello che accetta suo malgrado di farlo salire a cercare di salvare più persone possibili è un uomo buono, con un figlio e una moglie e Tatsuya non può sostenere lo sguardo di entrambi mentre gli dice che lui non tornerà più a casa.


Per questo sale gradini su gradini, trova uomini e li guida ai piani inferiori, li fa uscire da ogni finestra o porta possibile perché meglio una caviglia fratturata che morire in un incendio come topi. 


E’ finalmente fuori, una soglia appena varcata, quando un’esplosione lo gela sul posto: non è l’edificio dietro di lui, ancora in fiamme ma in piedi, ma un’esplosione vicina. Uccide i suoi uomini che pensavano di essere salvi, uccide civili. Quasi uccide anche lui, se non fosse per Saburou che gli fa da scudo.


Mentre grida ancora più forti gli invadono le orecchie e il mondo intorno a lui va nel panico completo, Tatsuya si chiede se sia un flash prima della morte quello che ha: all’improvviso lui ha di nuovo tredici anni, nella stanza in tatami della loro abitazione, con suo padre seduto come un uomo di altri tempi in abiti tradizionali. Ha lo sguardo e lineamenti severi che Tatsuya gli ha sempre associato e lo fissa da interminabili minuti come se si aspettasse la risoluzione di un enigma dal figlio a cui vorrebbe insegnare tanto, troppo, ma che è sempre inevitabilmente mai come vorrebbe lui. Suo padre lo guarda e gli chiede: «Un gruppo nemico mette in fila dieci dei tuoi uomini per ucciderli. Puoi intervenire per proteggerli o puoi intervenire per uccidere il gruppo nemico. Cosa fai?» e Tatsuya ha tredici anni, vuole fare il pianista da grande, non macchiarsi le mani di sangue. Anche se sa che è quello che finirà col fare e il pianoforte tanto amato da sua madre finirà pieno di polvere.


Ci vuole provare però, così gli risponde: «Proteggo i miei uomini.» perché il gruppo è assoluto, ha la priorità sempre e comunque su tutto. Suo padre però lo osserva, sospira leggermente ma con così tanta rassegnazione e disapprovazione da farlo vergognare.


«No,» gli dice, come un ordine assoluto «uccidi il tuo nemico. Sai perché proteggere i tuoi uomini è una scelta sciocca?» «Ma se–» 


Suo padre non ha mai ammesso negoziazioni sulle sue verità. Mentre Saburou gli muore addosso, Tatsuya ha di nuovo tredici anni e suo padre gli dice perché non si possono mai salvare tutti, ecco perché.


*


Riavvolge il tempo una volta, due, tre. Torna nel passato e cerca di cambiarlo, ancora e ancora, perché non può accettare che il suo potere lo deluda proprio l’unica volta in cui ha bisogno che funzioni.


Non gli importa se ogni volta che lo utilizza il suo corpo cede, se la nausea lo piega in due e gli fa vomitare la bile in mezzo alle fiamme o se alla fine ci rimarrà secco o chissà cosa. Ci deve provare, anche quando una trave di fiamme quasi gli cade addosso e lo colpisce in parte sulla schiena: non è logico, non è pianificato, non ottimizza niente, non c’è più alcuna strategia valida. 


Non può dire a Yukinaga, che ha solo quattordici anni, che lui e sua madre rimarranno soli perché Tatsuya non ci ha almeno provato.


Suo padre può andare a farsi fottere e con lui le sue memorie.


*


Ci prova così tanto da perdere il conto. Ci prova così tanto eppure fallisce. Ha il vago ricordo di un ospedale e poi di un limbo da cui si convince di non uscire - quando ne esce i medici gli dicono che è stato in coma per sei mesi. Poche visite, ma regolari, di un ragazzo registrato come Asagiri. Sa che è il figlio di Saburou e se ne va prima che possa tornare.


La notte prima di essere dimesso su regolare richiesta, dopo aver impedito visite dal suo risveglio, sta sdraiato su quel letto di ospedale a fissare un soffitto anonimo. Si chiede a cosa serva poter tornare nel passato se non lo si può cambiare, se alla fine chiunque si riesce a salvare finisce con il dover morire lo stesso o addirittura si coinvolgono altri innocenti - perché la morte è una puttana che non scende a compromessi.


Guarda il soffitto e gli sembra di impazzire, mentre si ricorda di Chihiro che da bambino gli dice ho un superpotere, non sento dolore e di sua madre che gli sorride assicurandogli che la gentilezza non è una cosa brutta, solo che tuo padre vuole essere forte e lui, proprio il padre di cui non ha mai sentito la mancanza, che gli ripete in testa come un mantra non si possono salvare tutti.


Fuori spunta l’alba, senza che lui abbia potuto cambiare il passato, e si ritrova tra le mani un futuro inutile.

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