Mar. 19th, 2022

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Prompt: caldo
Missione: M3 (week 4)
Parole: 305
Rating: teen up
Warnings: original, menzione di morte, tentato suicidio implicito



«Non mi hai mai chiesto della cicatrice.» se ne esce senza motivo né preavviso. Sono sdraiati sul letto, un posto dove hanno preso l'abitudine di stare durante il tardo pomeriggio quando Jin finisce i suoi doveri e lo ritrova circondato di libri e appunti, ora che ha finalmente deciso di proseguire gli studi. Lo fa più per ricambiare la gentilezza dell'uomo che lo ha accolto, a dire il vero, ma c'è anche dell'interesse personale. Sente lo sguardo di Jin su di lui ma non alza subito il proprio, volendo finire prima l'esercizio di matematica.


Sente delle dita sfiorargli la guancia offesa da quel segno indelebile, solo per portargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio. E' un gesto dolce al quale risponde con il silenzio, limitando a inclinare la testa verso di lui, quasi ad agevolare quel contatto per qualche istante ancora. Jin non chiederà mai, ma in quel semplice gesto Isen capisce che c'è un tacito invito a parlarne, se sente il bisogno di farlo. Forse lo avverte, o forse è solo volersi togliere un peso, concedergli qualcosa che pensa di dovergli.


«Una volta sono stato avvolto dalle mie stesse fiamme.» dice, lo racconta come se non riguardasse lui ma il passato di un bambino che ora vive chissà dove. Distaccarsi è l'unico modo di raccontare di cui è capace: «Henry pensa sia stato terribile, che abbia bruciato da morire. Perché il fuoco brucia. Ma io sentivo solo calore. Forte, molto vicino, come se mi venisse da dentro e distruggesse tutto ma era questo e niente di più. Nessuno riesce a capirlo, quando lo spiego.» ammette, spostando finalmente lo sguardo su Jin, che lo osserva come se avesse raccontato un aneddoto come tanti della propria infanzia.


«Era un caldo piacevole?»

«Non lo so. In un certo senso. Forse perché speravo di morire.»

 
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Prompt: freddo
Missione: M3 (week 4)
Parole: 3379
Rating: gen
Warnings: //



Una qualsiasi persona si sarebbe arresa all'idea di avventurarsi a Dragonspine dopo un assai fallimentare tentativo durante il training camp della Gilda, ma non Bennett. Lui può aver avuto qualche contrattempo l'ultima volta, aver rischiato di rotolare giù da un dirupo, essere finito in una gabbia e qualche altro sottile dettaglio trascurabile ma questo non può né deve bastare a frenarlo dall'avventurarsi di nuovo. D'altronde, è importante battere sentieri poco conosciuti e in fondo qualcuno potrebbe essersi perso e avere bisogno di aiuto. Senza contare, poi, che le commissioni affisse in bacheca e che riguardano Dragonspine sono sempre le ultime a essere accettate e portate a termine, salvo ci sia la dicitura urgente da qualche parte.


Proprio per questo motivo ha approfittato di averne trovata una dove si chiede di fare qualcosa per le torce disseminate lungo i pochi sentieri disponibili per facilitare il compito a chi, suo malgrado, deve recarsi almeno all'ingresso della zona innevata per raccogliere alcuni materiali. Strappa l'avviso affisso nella bacheca di Mondstadt e assicura a Katheryne che se ne occuperà lui: «Non c'è da preoccuparsi, il team di Benny è sempre pronto!» assicura con un sorriso entusiasta, fingendo che tutta la città non sia a conoscenza della composizione di suddetto team, ossia un unico membro che è Bennett stesso. Katheryne gli offre cordialmente le coordinate delle torce in questione e gli augura buona fortuna, non dimenticando di rivolgergli il motto della Gilda.


Gli ci vuole poco per preparare l'occorrente, lui che l'avventura ce l'ha nel sangue e per cui l'elemento fuoco - provvidenziale se si tratta di accendere torce - non ha segreti. Zaino in spalla, stivali ben indossati, lascia Mondstadt pieno di positività.


*


«Freddo.» sentenzia Razor, il volto verso l'alto mentre annusa l'aria, quasi potesse sentire l'odore anche del gelo «Pericoloso.» aggiunge, come una sentenza. Bennett non si sente di dargli torto, non del tutto almeno: sono entrati dentro Dragonspine da meno di una manciata di metri e un gruppo di Treasure Hoarders poco oltre il ponte spaccato li ha subito attaccati. L'aiuto di Razor è stato provvidenziale, e lo stesso Bennett non ha avuto grossi problemi, ma la montagna innevata per tutto l'anno non è troppo rassicurante a vederla e di certo il clima freddo non la rende ospitale. Questo dovrebbe farlo desistere. Naturalmente, è un motivo in più per occuparsi di accendere le torce.


«Non preoccuparti, Razor!» esclama incoraggiante, un braccio attorno alle spalle dell'altro, gli occhi verdi verso la montagna che indica con la mano libera «Ormai conosce bene questo posto! Vedrai, faremo in un attimo!» assicura, perché ci crede davvero. Come si può immaginare facilmente, la sua fortuna la pensa diversamente e dopo quaranta minuti di tragitto seguito, poi lasciato perché era assolutamente necessario salvare una piccola volpe e averlo perso del tutto nel tentativo di ritornarci, si sono persi.


*


Si sente così in colpa per aver trascinato Razor nell'ennesima delle sue sfortune che non ha nemmeno il coraggio di guardarlo, mentre cercando di combattere il freddo vicino a una delle torce che - se non altro - hanno raggiunto e riacceso. Il cielo sopra Dragonspine è più plumbeo, nell'inequivocabile segno di una tarda ora che avanza. Bennett a questo punto è consapevole che difficilmente riusciranno a ritrovare la via per uscire dal territorio innevato e quindi, forse, sarebbe preferibile cercare un punto in cui accamparsi. Se solo non ci fosse neve ovunque... gli basterebbe un punto più riparato, per poter almeno offrire a Razor qualche provvista e un posto meno gelido in cui dormire.


Purtroppo però una volta smarrita la via è ben difficile ritrovarla, specie con l'avanzare della sera e il diminuire dell'illuminazione naturale. Bennett è così sconfortato da non accorgersi della presenza di qualcuno oltre lui e Razor fin quando una voce non lo raggiunge, chiedendogli a tradimento «Cosa ci fate qui?»


Gli occhi verdi abbandonano il terreno su cui si erano fissati, mentre una mortificazione crescente gli stava crollando addosso, per alzarsi e inquadrare di lì a poco la familiare figura di Albedo. All'improvviso si sente stupido per non aver pensato che l'alchimista potesse essere lì - non sarebbe cambiato molto, visto che non sapendo in che punto della montagna si trovano non avrebbe saputo nemmeno cercare l'accampamento altrui dove è stato una sola volta, ma almeno avrebbe risollevato il morale suo e di Razor sapere di poter trovare qualcuno di conosciuto con un po' di fortuna.


«Albedo!» esclama Bennett con rinnovato entusiasmo, muovendosi verso di lui. Neanche due passi e uno scivolone su un punto particolarmente ghiacciato del terreno lo fa finire sedere a terra. Sente Razor subito accanto, sebbene nel guardarlo per assicurare che è tutto a posto noti il suo sguardo fisso su Albedo. In effetti, Bennett non è sicuro che abbiano avuto modo di incontrarsi, ma...


«Razor, lui è il "fratellone" di cui parla sempre Klee!» gli fa presente, certo che questo possa dare all'altro un'indicazione migliore di qualsiasi presentazione. Razor lo osserva di sottecchi, senza ancora fidarsi a non tenere d'occhio l'alchimista, ma arriccia appena il naso come se non fosse sicuro di aver capito «Klee, la bambina che hai incontrato ogni tanto nella foresta!» spiega meglio e Razor tace per qualche momento, prima di annuire con lentezza.


«Ragazza di fuoco» pronuncia «spesso guai nella foresta.» decreta infine, quasi a volersi assicurare di aver capito di chi stanno parlano. Bennett annuisce e nota un impercettibile rilassarsi nei muscoli di Razor. Albedo, d'altronde, ha mutato un poco espressione nella completa consapevolezza dei danni che Klee possa aver arrecato in un foresta piena, quindi di alberi infiammabili. Bennett, però, decide di non dargli il tempo di preoccuparsi troppo di qualcosa che non è di certo stato fatto con cattiveria: si alza, attento a non scivolare di nuovo nello stesso punto, e si scrolla dai pantaloni un po' di neve proprio mentre la voce di Albedo lo raggiunge di nuovo.


«E' tardi per un'escursione.» fa notare e Bennett annuisce «Ci stiamo occupando di riaccendere le torce che si sono spente, per facilitare i viaggiatori! Beh... o almeno lo stavamo facendo, poi però c'era una volpe che sembrava aver bisogno di aiuto... ci siamo allontanati solo un attimo dal sentiero e non lo abbiamo più ritrovato. Beh, ne abbiamo trovato uno, ma non era quello giusto mi sa!» fa presente, con un sorrisetto impacciato e una mano che va a grattare la nuca in un gesto meccanico. Quasi non si accorge di farlo sempre quando deve rendere conto di come la sua sfortuna non faccia che creare problemi, mentre si accorge eccome della folata di vento freddo che soffia dalla direzione in cui sono venuti. Rabbrividisce e si chiede come Albedo possa sembrare del tutto a suo agio con quel clima.


«Venite,» pronuncia l'alchimista, facendo loro cenno di seguirlo «si sta preparando una bufera e nessuno dovrebbe essere in giro per Dragonspine quando succede.»


*


L'accampamento è come Bennett lo ricorda, però lascia a Razor il tempo di guardarsi intorno, memorizzare e prendere confidenza con tutto ciò che per lui è nuovo, di abituarsi all'odore quanto alla presenza di Albedo. L'alchimista invece si comporta come se a stento avesse ospiti in quel momento e si muove con familiarità in quelli che sono i suoi spazi: i tavoli dove tiene le sue ricerche, forse persino nuovi esperimenti che Bennett non saprebbe neanche iniziare a immaginare senza renderli confuse fantasie improbabili. Se non fosse stato già ospite di quel posto, Bennett potrebbe pensare che Albedo si sia limitato a portarli con sé perché cittadini di Mondstadt o per avere la coscienza pulita - in verità, forse, Bennett non lo penserebbe a prescindere perché crede nel buono delle persone - ma sa bene che l'alchimista probabilmente sta solo pensando da dove cominciare per essere ospitale, come la volta scorsa.


«Razor!» lo richiama Bennett mentre l'altro sta occhieggiando curioso la parte dell'accampamento dove Albedo tiene uno dei suoi disegni su tela «Vuoi una sedia? Se la vuoi puoi dirlo ad Albedo, lui può crearla esattamente come la preferisci.» assicura, un po' per impressionarlo positivamente, quasi dovesse presentargli al meglio un amico. Nella testa di Bennett è proprio questa la situazione attuale. 


Razor abbandona la tela disegnata solo in parte per spostare lo sguardo su Albedo che, a sua volta e sentitosi chiamare in causa, ha diretto la sua attenzione sui due. Non sembra infastidito dalle sue parole, quindi Bennett immagina non gli dia noia che qualcuno oltre chi c'era la volta scorsa sappia delle sue capacità. O forse non è abituato al fatto che qualcuno non lo conosca, visto quanto è famoso tra gli abitanti di Mondstadt e anche fra alcuni di Liyue. 


«No sedia,» Razor sentenzia, ma sembra dirlo come per sottolineare che non c'è bisogno, e ha perfettamente senso considerato che dubita ci siano molte sedie nelle foreste di Wolvendom «Bennett tana per dormire. Io caccia.» spiega, un piede già fuori dall'accampamento. A poco vale il tentativo sia di Bennett che di Albedo di far presente che non è necessario e che il vento si sta alzando sempre di più, mentre le temperature continuano a diventare persino più rigide se possibile. Prima che riescano a convincerlo, Razor è sparito oltre il ponte spezzato.


*


Evidentemente non si allontana poi troppo, considerato che non impiega molto a tornare ma soprattutto riesce a farlo senza problemi. Bennett non può che sospirare di sollievo, salvo poi ricordarsi che data la sua assenza è probabile che qualsiasi sfortuna potesse colpire Razor durante la caccia in un territorio mai visitato prima come Dragonspine, sia rimasta in accampamento con lui. Bennett sarebbe pronto a giurare di aver visto le spalle di Albedo rilassarsi impercettibilmente quando dei passi li hanno portati entrambi a guardare verso l'ingresso dell'accampamento dell'alchimista e hanno visto Razor, un cinghiale sulle spalle e del tutto illeso. 


La carne si rivela essere piuttosto buona, almeno a giudicare da come Razor la mangia con gusto e da come anche lui e Albedo la trovano buona abbastanza da trasformare la cena in un insieme di versi di apprezzamento qua e là e silenzi che però non sanno né di imbarazzo, né di disagio. Bennett si prende volentieri il compito di fare un po' di conversazione quando finiscono di mangiare, considerato come sia l'alchimista che Razor non siano persone di tante parole, ma di buon cuore senza dubbio. Così si cimenta nel racconto dell'ultima volta in cui è stato a Dragonspine e di tutto ciò che gli è successo, lesinando magari su qualche dettaglio di come sia finito in gabbia ma senza risparmiare invece su come Albedo lo abbia aiutato senza esitazioni e sia stato anche così gentile da non attribuire la colpa di quanto successo a più riprese alla sfortuna di Bennett. A un certo punto l'alchimista specifica che non c'è nulla per cui ringraziarlo e che l'unico motivo per il quale non c'è stata alcuna colpevolizzazione è perché era oggettivamente fuori dal controllo di Bennett e di quella che sia la sua sfortuna. E' carino da parte sua e, anche se non glielo dice, Bennett è grato nel sapere che la pensa così.


Non sa se sia per questo che Razor sembra decidere definitivamente di potersi fidare di Albedo abbastanza da accettare di dormire lì per la notte, più di buon grado di quanto ne avesse dimostrato ormai un paio di ore prima, quando più che un piacere era una necessità data dal freddo pungente e dalla poca familiarità con il territorio.


Parlano a lungo, Bennett gli fa le domande più disparate ed è a dir poco felice quando Albedo mostra interesse per Razor e per il modo in cui vive, tutto scaturito da un accenno a come il ragazzo e Klee si siano incontrati per la prima volta. Razor non lo dice, ma Bennett è sicuro che quelle domande date dalla genuina curiosità di conoscere - quella che sembra l'energia vitale stessa di Albedo - siano per Razor qualcosa di davvero importante. Parlare del luogo in cui è cresciuto e per il quale ha un profondo attaccamento, a dispetto di come all'orecchio di chiunque altro potrebbe sembrare strano, per l'altro ragazzo è così importante da fargli brillare gli occhi quando ne parla e tanto da ammorbidire i lineamenti e la linea della mascella, rimasta sempre in parte serrata fino a quel momento.


Sarebbe perfetto se solo Dragonspine non avesse palesemente deciso di dovergli offrire una delle notti più fredde di sempre. Persino Albedo, a un certo punto mentre stanno mettendo via quanto usato per mangiare, osserva che si tratti di una notte innaturalmente fredda persino per gli standard del luogo. Bennett non glielo chiede, lì per lì, ma gli sembra di vedere lo sguardo dell'alchimista adombrarsi sebbene non offra spiegazioni o ipotesi di alcun tipo. Si limita a guardarli e a dire: «Dopo notti come questa, la neve è più solida e il cielo tende a rischiararsi rispetto al solito. Posso accompagnarvi ad accendere le torce mancanti.»


Bennett non potrebbe essergli più grato e si offre di aiutare a preparare il giaciglio in più per lui e Razor; quest'ultimo, quando Albedo sta spostando proprio la tela con il suo disegno per fare spazio nella parte più riparata dell'accampamento, storce il naso come se avesse sentito un pessimo odore all'improvviso. Bennett prova ad annusare l'aria, aspettandosi che il vento gelido abbia portato qualcosa con sé, ma non avverte nulla.


«Alchimista ha odore di bugie.» mormora Razor vicino al suo orecchio e sebbene Bennett creda non si tratti di bugie ma di verità private e benché non abbia idea di quale odore possano mai avere le menzogne, capisce cosa intende Razor.


*

La notte è calata già da almeno un'ora, crede, ma non riesce a prendere sonno. Un po' se lo aspettava, con il vento a ululare così forte tra le pareti rocciose e un freddo a cui sono riusciti a ovviare solo in parte. Certo, se non altro Bennett può dire di avere la fortuna di esservi abituato con tutte le volte che per un'avventura ha dovuto dormire all'esterno a prescindere da cosa il meteo avesse deciso di offrire - senza contare che in più di un'occasione, Bennett suppone per la sua riconosciuta sfortuna, anche quando sembrava aver trovato il punto perfetto per dormire un temporale lo aveva colto impreparato e all'improvviso, a volte rendendo impossibile restare sul terreno scelto o distruggendo direttamente l'accampamento di fortuna che si era tanto impegnato a tirare su.

 

Albedo si è rivelato un bravo padrone di casa anche stavolta, anche se quella non è una casa vera, ma rende comunque l'idea: ha lasciato a lui e a Razor la parte più riparata, dandogli la possibilità di essere meno colpiti possibile dall'aria fredda che non può essere del tutto bloccata, visto che quello di Albedo rimane un accampamento all'aperto che non è pensato per dormire. O almeno quella è la sensazione che Bennett ha avuto fin dalla prima volta in cui è rimasto lì con Aether e gli altri. Certo, è chiaro, Albedo dovrà pur dormire a un certo punto ma un conto è farlo per la necessità di non spostarsi se sorpresi da una tormenta di neve come sembra essere quella là fuori stanotte, un altro è farlo perché si vuole e si è pianificato.

 

Non si stupisce quindi quando sente rumore di passi, ben diverso e facilmente distinguibile da quello del lento scoppiettare del fuoco lasciato acceso per riscaldarli un pochino. Sente il respiro regolare di Razor ma è sicuro che, sebbene sia a occhi chiusi, l'altro percepisca i rumori molto meglio di lui e sia quindi in un certo senso vigile. Apre gli occhi, Bennett, e cerca di spiare con discrezione in direzione del suono per avere conferma di quanto ipotizzato: Albedo è in piedi, di fronte a quello che immagina sia uno dei suoi tavoli da lavoro, gli occhi bassi su dei fogli tenuti lì fermi da qualche tomo a fare da peso. La lampada a olio è accesa per illuminare al meglio quanto riportano e l'espressione di Albedo, vista di profilo, è pensierosa. E' impossibile per Bennett dire se sia preoccupazione per qualcosa o solo il tentativo di decifrare qualcosa nei suoi appunti.

 

Il vento fuori si schianta con una violenza inaudita contro le pareti della montagna, ululando così forte da sembrare quasi un urlo. Albedo, almeno dalla posizione da cui lo osserva Bennett, sposta lo sguardo verso l'ingresso dell'accampamento ma lo fa con la lentezza di chi non sembra aspettarsi l'attacco di nessuno. Forse conosce Dragonspine così bene da sapere che nemmeno i mostri che la abitano azzarderebbero a uscire dai propri nascondigli in una notte tanto gelida e impietosa.

 

Bennett, però, potrà non capire molto di alchimia ma sa per certo che una notte in bianco - specie una come questa - non aiuta nessuno, soprattutto quando Albedo si è offerto di accompagnarli ai punti segnati sulla mappa e che dovrebbero corrispondere alle torce da accendere. Così si alza, cercando di muoversi piano abbastanza da non svegliare Razor o metterlo in allarme; è consapevole di aver fallito al primo spostamento di una gamba, ma Razor si limita a fissarlo attento e incuriosito da cosa lo stia facendo alzare a quell'ora.


Anche Albedo si accorge di lui e lo guarda, un sopracciglio leggermente alzato: «Non riesci a dormire?» chiede e Bennett scuote la testa. Non lo avvicina e, per la verità, non è nemmeno del tutto in piedi ma seduto nel giaciglio condiviso finora con Razor, ma gli fa cenno di avvicinarsi cercando di mantenere l'espressione più seria possibile, quasi grave. Vede la perplessità sul volto di Albedo ma l'alchimista si avvicina comunque fino a raggiungere dove si trovano. Bennett gli offre la mano, quasi a chiedergli un aiuto a tirarsi su, e anche se è sicuro l'altro abbia già valutato con uno sguardo che non ce ne sia reale bisogno, se la sente stringere.

 

Tira verso il basso, anziché farsi tirare verso l'alto. Albedo agevola il movimento un po' con la sorpresa, un po' perché evidentemente non sente di dover fare resistenza. Razor li fissa, entrambi, e a Bennett piace pensare che abbia capito le sue intenzioni e sia appena diventato suo complice quando lo vede avvicinarsi di più e passare un braccio sul fianco di Bennett; non lascia scivolare la mano per chiuderlo in un abbraccio, però, fissando Albedo in attesa.

 

«Non fa bene restare sveglio.» Bennett dà voce alla sua preoccupazione ma anche alla sua intenzione - condivisa, crede - di far dormire l'alchimista con loro. Albedo li guarda per qualche istante con fare interrogativo, prima di obiettare con un «Non serve, sono abituato.» che ottiene solo l'effetto contrario. Bennett tira un altro po', senza irruenza ma più come un invito fisico ad accontentarlo, e gli rivolge un sorriso.

 

«Allora diciamo che io e Razor non riusciremo a dormire se tu sei in piedi, sveglio e a lavorare a quest'ora e con questo freddo! Non ci riuscirebbe nemmeno Aether! Anzi, lui di sicuro ti avrebbe già trascinato via dagli appunti parecchio tempo fa.» fa presente Bennett - se si trattasse di chiunque altro questo sarebbe un colpo basso, ma nel suo caso sta solo facendo notare una verità. Aether è premuroso abbastanza da non permettere a nessuno di fare una notte in bianco per qualcosa a cui si potrà sempre rimediare il giorno seguente.

 

Albedo sembra figurarsi la situazione nello stesso momento in cui Bennett la fa presente e si lascia sfuggire un sospiro lieve, ma rassegnato. Bennett volta la testa per scambiarsi uno sguardo soddisfatto con Razor, per quanto la posizione renda la manovra piuttosto scomoda.

 

«Ecco, sdraiati qua di fianco» lo istruisce «bene, io rimango nel mezzo perché stavo pensando, la mia Visione causa un sacco di calore, no? Potrei usarla e potremmo dormire su—»

 

La mano di Razor si poggia sul fianco di Albedo, sistemandosi in modo da essere fisicamente a contatto con entrambi. Poi scuote la testa, la punta del naso contro la guancia di Bennett.

 

«Bennett fermo,» sentenzia «dormire su fuoco non va bene. Ragazza Klee fatto una volta e foresta incendiata.»

 

Bennett ridacchia, ma lascia al giorno dopo spiegazioni su come lui e Klee abbiano la stessa Visione ma operi in maniere molto diverse. Quando sfiora il braccio di Albedo, per stare a contatto abbastanza da scaldarsi, sente la pelle fredda sotto le dita.

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Prompt: interruzione
Missione: M1 (week 4)
Parole: 722
Rating: teen up
Warnings: original, linguaggio scurrile



Da quando si è unito ai Sohma, Ugetsu deve ammettere di aver trovato la dimensione ideale per chi come lui odia annoiarsi. Fin dall'inizio, ha compreso però le poche regole di cui Reiji si è premurato di informarlo e ha capito, anche dal modo in cui l'uomo gliene ha parlato, che il gruppo Sohma è destinato probabilmente a essere ora tanto quanto in futuro uno di quei gruppi in cui un tradimento dall'interno è da considerarsi impossibile. Ugetsu ha visto numerose persone interagire e unirsi sotto la promessa di un forte legame o di un accordo, persino degli interessi e ogni volta c'è stata una scappatoia. Ma nel modo in cui Reiji gli ha detto «Non ho la pretesa tu impari ad amarli tutti nello stesso modo, ma ho la pretesa che diventino per te più importanti da proteggere di te stesso. Il tradimento non è accettabile. E' mia cura assicurarmi che nessuno abbia mai anche solo la tentazione.» nel modo calmo di un uomo poco avvezzo alla violenza. Sono i più pericolosi.


Da allora sono passati mesi e questo, deve ammetterlo, per quanto sia un modo diverso di interagire e qualcosa che di norma lo avrebbe divertito è anche qualcosa che in un certo qual modo lo disturba. Sarà dovuto al fatto di averli sempre visti interagire come fratelli, di aver notato subito quanto attaccamento avessero l'uno all'altro tanto da non avere nulla da invidiare nemmeno ai gemelli, ma lo sguardo e le accuse che si stanno lanciando Akemi e Izumi è qualcosa che è certo nessuno nel gruppo avrebbe mai voluto vedere. Lo intuisce facilmente da come tutti li guardano ma è solo osservando con attenzione che riesce a distinguere le diverse di emozioni di ognuno di loro, senza nemmeno bisogno di avere una capacità speciale per farlo - i gemelli hanno l'orrore di chi ha appena scoperto quanto facilmente un legame possa sgretolarsi, se spinto fino al limite; Yuuya li osserva con la paura di chi ha sentito troppe volte urlare e in ognuna di esse il dolore fisico è arrivato subito dopo; Shinobu ha il distacco di chi ha instaurato una scala di priorità negli affetti come si farebbe come gli impegni della giornata, ma c'è un gelo ben nascosto dato dal rifiuto di fronte a qualcosa di sgradito.


Se Reiji fosse qui, chissà come si comporterebbe e cosa avrebbe negli occhi oltre al dispiacere. 


Akemi, il più aggressivo dei due anche in condizioni normali, fa un passo in avanti e afferra l'altro per il colletto della maglietta, tirandolo forte abbastanza che per la differenza di altezza tra loro Izumi è costretto a chinarsi in avanti. Non subisce passivamente però, una mano a stringersi attorno al suo polso mentre il viso si avvicina pericolosamente a quello di Akemi, fino a che le loro fronti quasi si toccano.


«Non ne avevi il diritto!» gli grida in faccia, qualcosa di impensabile per Izumi, eppure eccolo lì. Akemi lo guarda come se fosse la cosa che meno vorrebbe avere davanti agli occhi ora «Ne avevo il diritto perché mi sono rotto il cazzo di vederti fare il bravo bambino! E' nauseante!» sbraita, lasciandogli il colletto, liberandosi della stretta sul proprio polso e spintonandolo via. Izumi inciampa e si sbilancia, gli lancia un'occhiata come se volesse fargli crollare addosso l'intero edificio. Dall'altra parte Ugetsu può quasi sentire il rumore delle ossa di Akemi cambiare per assumere una forma che sarebbe l'ultimo limite da superare per non potersi riappacificare mai più, invece pronuncia provazioni dure e Izumi si muove verso di lui, la mano alzata e un colpo caricato che finirebbe di sicuro per abbattersi sul viso di Akemi se Ugetsu non decidesse che è abbastanza.


Questa sorta di rissa, questo litigio, questo distruggersi a vicenda perché si conoscono troppo bene le debolezze dell'altro si interrompe quando lui rilascia la sua abilità e l'oscurità è come una corda elastica che si avviluppa intorno al polso di Izumi, fermando quello schiaffo a metà, e attorno alla testa di Akemi coprendo la sua bocca come un bavaglio, fermando parole per cui poi sarebbe difficile scusarsi.


«Adesso basta.» pronuncia, placido e con quel sottotono divertito che non lo abbandona mai. Vede gli altri rilassarsi visibilmente e sente che in attesa di Reiji questa è la massima protezione che ha da offrire: fermarli prima che si uccidano a vicenda. 

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Prompt: interruzione
Missione: M1 (week 4)
Parole: 609
Rating: gen
Warnings: original




Sono passati anni dall'ultima volta in cui è stato richiamato durante una lezione che stava tenendo per una comunicazione importante. Capitava spesso quando c'era Airi, quando suo malgrado la lasciava alle cure di sua madre con la febbre perché non poteva cancellare in alcun modo le lezioni in ateneo - ed era giusto così in fondo, perché aveva un impegno nei confronti dei suoi studenti e perché, come gli hanno sempre fatto notare, i bambini sono dei contenitori di germi e da piccoli capita spesso che prendano febbre o raffreddori particolarmente forti. Così nonostante non lo facesse di buon grado, alla fine Reiji ha sempre evitato di prendere permessi e in passato una sola volta l'addetta della segreteria del personale universitario ha interrotto la sua lezione per dargli una comunicazione. 


Deve ammettere, quindi, che per lui è sempre stato strano sentire alcuni colleghi parlare della difficoltà a concludere alcuni argomenti. Non per sfiducia nelle loro capacità, sia chiaro, ma perché è estranea per lui la concezione di avere un fattore esterno a influenzare la durata e la buona riuscita di una sua lezione. Pertanto, arrivare alla fine è qualcosa che ha finito con il dare per scontato con l'avanzare degli anni, e di certo aver avuto studenti come Izumi non ha fatto altro che rafforzare questa sua convinzione radicata per cui una volta iniziato non si può che scivolare verso la fine, con naturalezza, portando a compimento ciò che si è prefissato nei suoi appunti. 


Finisce di segnare due nomi in tedesco sulla lavagna e, posato il gesso, si volta verso la classe. Vede diverse teste ancora basse, di sicuro intente a scrivere le ultime cose delle nozioni che ha offerto loro prima dei nomi in questione, e altre già alzate, gli studenti pronti ad ascoltare il resto. Riesce a individuare quelli in cui c'è vivo interesse - la maggior parte, per sua fortuna - da quelli che sono lì perché i crediti glielo impongono. Forse si aspettavano un po' meno nozioni e un libro di narrativa da leggere, ma Reiji spera che riuscirà comunque a passargli un po' della passione che lo coglie quando si mette a leggere un libro. Sta per ricominciare la spiegazione quando la porta dell'aula si apre con un impeto maggiore del semplice socchiudersi di qualche studente in ritardo; Reiji tende a non preoccuparsene né fermarsi per questo, di solito, ma lascia in sospeso una frase quando riconosce la segretaria del personale che lo guarda e fa un cenno del capo. Si chiude la porta alle spalle e avanza verso la cattedra, raggiungendo Reiji. La lezione è ormai interrotta e lui fa cenno agli studenti di dargli un momento.


La donna, ormai vicina, pronuncia un «Ha una chiamata da parte di suo figlio.» che, ne è consapevole, ha appena attirato l'attenzione di tutti gli studenti almeno delle prime due file, visto che in molti sanno di voci che circolano sulla sua famiglia allargata ma pochi sanno di quanti figli si tratti. Anche in questo caso, alle parole della segretaria rivolge un sorrisetto lieve quasi di scuse, mentre replica con un: «Le ha detto il nome?» «No, ma penso sia giovane, forse del liceo.» replica quella.


Reiji sorride, immaginando si tratti di Hotaru: «Ah, deve essere uno dei gemelli.» rivela con leggerezza.


Il mormorio nella classe è istantaneo e sa che, anche una volta di ritorno dalla chiamata in segreteria, sarà difficile ricominciare a fare lezione e riprendere il filo del discorso senza ricevere diverse domande. Alcune già serpeggiano tra gli studenti - gemelli? Ne ha più di uno? Liceo? Ma sembra così giovane! - alle quali vorrebbe rispondere... ma, in fondo, potrebbe anche mantenere un alone di mistero per questa volta. 

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