Mar. 7th, 2025

hakurenshi: (Default)
 

Prompt: “Sapeva già che sarebbe stato un disastro”

Missione: M2 (week 1)
Parole: 1550
Rating: teen up
Fandom: original

Warnings: linguaggio colorito



Sapeva già che sarebbe stato un disastro. Quello che non aveva considerato era la portata del disastro e le aggravanti.


Yukinaga si è sempre reputato una persona pacifica e no, essere diventato capitano della squadra di kendo e avere dei legami con un ex gruppo mafioso non è il tipo di cosa che lo definisce - né quella di cui parla con i compagni di classe durante l'intervallo, a dirla tutta. Yukinaga, il cui nome è ormai storpiato in ogni modo perché evidentemente lì in Germania c'è un problema quando una parola include troppe vocali, è lo stereotipo del ragazzo giapponese nella mente di molti lì ma non se ne è mai davvero fatto un problema. Dopotutto la sua famiglia lo conosce in ogni sua sfumatura e gli basta questo - non importa davvero che la nuance in questione sia cosa gli piaccia mangiare nei giorni in cui è giù di morale, o quante persone sarebbe in gradi di uccidere impugnando una katana. 


La situazione lì nella cucina di casa Sievert è qualcosa che definirebbe drammatica e poco importa quanto Yamato, in visita, continui a ripetergli che "dopotutto la maggior parte del cibo era già stata spostata ed è salva". I suoi occhi non si schiodano dalla figura di Rikiya che, Yukinaga non ha bisogno di leggergli nella mente per saperlo, è a metà tra cercare una via di fuga già consapevole di non averla e il desiderio di potersi far inglobare dal pavimento. O di potersi fingere morto come un opossum ed essere credibile. E' solo con la coda dell'occhio che il ragazzo, ormai inquadrato da tutti anche ufficialmente come il secondo in comando dei Miyuki - se non fosse che non serve più il concetto di un secondo in comando, ma ha rinunciato a ripeterlo soprattutto a Irina -, tiene d'occhio il disastro purtroppo già analizzato fin troppo nel particolare. La credenza? Un ricordo di altri tempi, con uno sportello ancora aperto e il resto pieno di farina e polveri di altro genere. Una cosa che in casa Sievert può significare "cacao amaro" o "polvere da sparo" ma ha deciso per il proprio bene di dare per scontato ci sia solo il primo nella cucina. Il lavandino, un'ecatombe di piatti, forchette e ciotole utilizzate sopra cui un tempo doveva esserci stato del sapone per piatti o almeno dell'acqua corrente... ora devastati da glitter. Sulla sinistra, la tavolata usata ogni mattina per la colazione senza preoccuparsi di apparecchiare nel salone dati gli orari tutti diversi degli occupanti di casa. Basta uno sguardo anche solo sbieco per rendersi conto di come sia sinistramente piegata e la tovaglia poggiata sopra per evitare macchie del cibo preparato per tutta la durata della mattina non è sufficiente a mascherare come, quasi senza dubbio, nella parte centrale debba essere spezzata. 


Un sospiro lento e lungo è quello che si fa scivolare tra le labbra, le braccia incrociate al petto e gli occhi ambrati fissi sulla figura di Rikiya come se volesse sfidarlo ad alzarsi dalla posizione seiza in cui è da cinque minuti. Quasi lo sfidasse ad andarsene senza il suo permesso -  non che di norma debba chiederglielo né Yukinaga si sia mai posto in quei termini, ma un po' di sano regno del terrore a volte è necessario. 




Yamato ha smesso anche di cercare di salvare l'insalvabile, limitandosi a restargli di fianco, sebbene Yukinaga sospetti possa essere più per un eventuale e disperato tentativo di aiutare Rikiya che non per spalleggiare lui. Non che la cosa lo offenda, in ogni caso, e la sua attenzione è comunque su ben altro adesso.


«Rikiya.»


L'altro giapponese sobbalza appena, perché Yukinaga si ricorda bene di quando una volta gli ha detto "Yuki-san, mi fai più paura quando non urli. In effetti non urli mai, quindi mi fai sempre abbastanza paura" e dunque non solo per indole, ma anche per rimarcare il concetto non alza la voce in questo momento. Aspetta però di vedere le iridi altrui posarsi sulla propria figura, vedendolo irrigidirsi nelle spalle al pari di chi sta cercando di farsi coraggio e mostrare una sorta di dignità. Gliene dà atto.


«Sono abbastanza sicuro di aver parlato con te di molte cose riguardanti il tuo potere.» comincia, senza spostare lo sguardo da lui «Proprio perché io non ne ho uno e quindi in molti casi non so bene come rendere più facili le cose a voi ability user, se non me lo dite chiaramente. Mi hai spiegato che a volte le esplosioni arrivano prima di poterle fermare o controllare, sì?» chiede una conferma di cui non ha bisogno, ma al di là di tutto ha sempre cercato di non dare per scontato niente con le abilità delle persone che Tatsuya ha conosciuto nel tempo o - come nel caso di Rikiya - direttamente accolto in casa. 


«...Esatto.» pronuncia Rikiya deglutendo, suo malgrado, in modo piuttosto rumoroso. Yukinaga finge di non notarlo.


«Se non sbaglio, poi, queste esplosioni spesso dipendono da quello che provi, giusto? Nel senso che se perdi il controllo e ti arrabbi molto, per esempio... beh.» un'occhiata laterale al tavolo «Credo di non dover fare descrizioni troppo lunghe.» aggiunge, tornando a guardare il colpevole dello stato pietoso in cui versa la cucina. Stavolta, Rikiya si limita ad annuire sebbene Yukinaga lo veda in procinto di dire qualcosa e poi ripensarci molto velocemente. Non ha bisogno di guardare Yamato per scommettere sull'alta possibilità che il suo ragazzo abbia fatto cenno a Rikiya di tacere per accelerare tutta la questione.


«Quindi» riprende, cercando di non incurvare le labbra nel sorriso spontaneo che minaccia di scappargli solo perché ha un partner troppo cuore di panna «cosa avevamo concordato riguardo i preparativi per la festa di oggi?» domanda e stavolta si assicura di guardare Rikiya in modo da non lasciare spazio a dubbi sul fatto di volere da lui una risposta verbale e articolata, non un docile annuire o dargli ragione.


«Ma Yuki-san...!» comincia lui, salvo fermarsi - deve bastargli l'occhiata che Yukinaga cerca di rifilargli in maniera inequivocabile, ossia una per suggerirgli di non iniziare da delle scuse ma da quanto si erano effettivamente... detti, più che promessi. Un accordo, per così dire appunto.


«...Avevamo detto che non avrei aiutato in cucina, ma che potevo occuparmi degli addobbi esterni.»

«E questo perché?»
«Perché se esplode qualcosa fuori al massimo chiediamo scusa ai vicini.» se ne esce Rikiya provando a buttar lì una battuta. Yamato, stavolta senza nemmeno curarsi di non farsi vedere o di indietreggiare di quel passo sufficiente a non rientrare nel campo visivo di Yukinaga, gli sillaba (con tanto di gesto della mano) un "too soon". Rikiya sembra cogliere al volo, come tutte le persone - e gli animali? - molto istintivi.


«Ehm» si schiarisce la voce «perché le esplosioni all'esterno possono essere contenute meglio. Insomma, almeno quelle del mio potere.» specifica, finendo per posare su Yukinaga lo sguardo di chi vorrebbe aggiungere altro ma non osa farlo senza permesso.


«Quindi perché è esplosa la cucina, Rikiya?» chiede lui, ancora con le braccia strette al petto, ma in evidente ascolto. L'altro giapponese sospira, sconsolato: «Perché volevo aiutare con la torta. Ma poi è passata Irina-san.» un nome una garanzia, per chi soffre di cuore (Freyr) o ha il tipo di capacità molto influenzata dall'emotività (Rikiya). Yukinaga sente già il mal di testa: «Che stava seguendo Jack» prosegue l'altro e questo, in effetti, fa inarcare un sopracciglio a Yukinaga perché non lo aveva affatto previsto.


«Jack?» ripete, per essere sicuro di aver compreso bene «Il pappagallo di Freyr?»

«Sì!» si illumina Rikiya, quasi quel riconoscimento lo scagionasse «Urlava come al solito ed Elias urlava minacce e poi Irina è entrata e pensavo volesse tipo farci il tiro al bersaglio con i coltelli da lancio.» prosegue, tutto preso dalla discussione.


«I coltelli da lancio che usa per cercare di uccidere Tatsuya-san quando si annoia, in onore dei loro vecchi tempi prima che fossero alleati ufficiali?»

«No, credo a un certo punto abbia preso quelli di Xylia della cucina.»


Un silenzio di tomba cade tra loro, sebbene per la durata di non più di una manciata di secondi.


«...Non stai per dirmi che avete fatto esplodere la cucina e lanciato via i coltelli di Xylia, vero?»

«No, quelli li ha rubati Jack. Sapevi che sapeva prenderli al volo? Ci credo che Elias non riesce ad ammazzare quel pennuto di merda. Gli avevo proposto di farlo esplodere in aria, secondo me funzio–»

«Gli hai proposto che cosa?!» sbotta definitivamente, sciogliendo l'incrocio delle braccia e fissando Rikiya come se fosse a tanto così da renderlo un puntaspilli, ma con i suddetti coltelli che in effetti - a guardarsi meglio intorno - non riesce a individuare tutti.


«Ma solo per gioco, mica lo uccido davvero!»

«Ci mancherebbe altro!» sbotta Yukinaga, finendo col portarsi una mano alla tempia per massaggiare tutto: «Okay, lasciamo stare per un attimo Jack» riprende «ti voglio fuori dalla cucina, chiama chi non sta ultimando i preparativi e mandamelo, così cerchiamo di pulire e salvare quello che non avete completamente distrutto.» pronuncia, cercando di valutare intanto a vista cosa sia fattibile abbastanza.


Rikiya pronuncia uno sbrigativo «Sì!» fiondandosi fuori dalla cucina. 


Ci vogliono trenta secondi perché si sentano un «PENNUTO DI MERDA» e un'esplosione.


Yukinaga sospira, stanco. Se non altro proviene dal giardino e il fastidioso «CRAAAAAA» di Jack gli fa supporre di non dover anche sotterrare un cadavere.


hakurenshi: (Default)
 

Prompt: “Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo”

Missione: M2 (week 1)
Parole: 1550
Rating: teen up
Fandom: original

Warnings: accenni di violenza




Entrarono nella stanza chiedendosi perché lo stessero facendo.


O meglio: perché lo stessero facendo nonostante entrambi avessero cambiato vita, in un certo senso, dando a essa un indirizzo in apparenza lontano anni luce dal precedente. 


A Tatsuya veniva da ridere: non importava a quante persone, tra quelle che conoscevano Aoi da molti anni, rivelasse la loro parentela. C'era sempre una reazione al limite dell'incredulo che per lui finiva con l'essere solo estremamente divertente. Ma questo, al contrario del legame di sangue tra lui e Aoi, non stupiva nessuno. Dopotutto come Irina avrebbe detto - così sosteneva - anche quando da morta starò di sicuro tormentando qualcuno, era troppo stronzo perché il suo ridere del disagio altrui arrivasse come qualcosa di inaspettato. D'altronde, non sentiva di poterle dare torto. Lui stesso con Aoi non aveva condiviso l'infanzia, ma lo aveva comunque conosciuto che era un ragazzino di quindici anni di cui comprendeva il terribile lutto subito - la perdita di una madre, Tatsuya lo sapeva, era qualcosa di insuperabile. All'epoca non aveva la forza né l'empatia necessaria (e forse neanche il coraggio) di dirgli che il massimo che sarebbe riuscito a fare sarebbe stato imparare a convivere con quel dolore, con quella mancanza. Era il massimo che si poteva fare. Il massimo che si poteva chiedere a se stessi.


Guardandolo ora, a venticinque anni e dopo dieci di conoscenza, era quasi difficile credere di avere davanti la stessa persona; Tatsuya, tuttavia, riconosceva in lui ancora un'anima non così dissimile da quella che era certo non avrebbe retto a lungo nella vecchia organizzazione in cui si erano incrociati per la prima volta. Era difficile dimenticare un ragazzino non troppo alto, pronto a impegnarsi nel comprendere qualcosa di difficile come la medicina pur di essere di supporto a discapito di un potere potenzialmente distruttivo. Era quasi impossibile dimenticarsi le sue mani fasciate nella speranza che una perdita di controllo distruggesse delle bende, prima di fare del male a qualcuno; di come lo trovava spesso a dormire fuori della sua stanza, rannicchiato tra i mobili, perché le cose, se distrutte, posso in qualche modo provare a ripararle. Lo aveva visto tentare e lo aveva visto fallire; lo aveva osservato affezionarsi e colpevolizzarsi ogni volta in cui qualcuno tornava con una ferita di troppo; lo aveva visto diventare il centro del mondo di una persona, condividere con quella tutto ciò che di più intimo aveva e di cui non aveva mai osato parlare; giorno dopo giorno Tatsuya aveva osservato, notato come Aoi fosse riuscito alla fine a toccare qualcuno senza paura di ucciderlo per errore. Lo aveva visto trovare una figura a metà tra un padre e un fratello.


Poi lo aveva visto capire di non essere abbastanza per loro - in quel modo terribile e collaterale, in cui si era importanti ma non abbastanza, non tanto quanto un ideale, non al pari di una decisione.


Tatsuya era sicuro di poter dire, non che fosse questo grande vanto nei confronti di un altro essere umano, di aver visto l'esatto istante in cui Aoi era passato dall'essere un ragazzo testardamente ottimista all'essere un uomo capace di vedere ancora il buono, ma anche di riconoscere le verità più crude. Non avrebbe saputo dire se quello fosse stato il momento in cui anche il suo potere aveva fatto un cambiamento importante né se fosse necessario perché avvenisse. Era solo cambiato, divenuto più stabile e Aoi aveva ora una consapevolezza e comprensione tale del proprio potere da essere uno degli ability user più forti e pericolosi in circolazione. Poco importava sottolineare quanto non fosse praticante, per dirlo in modo delicato, se non per esigenza.


«Non c'è nulla di sospetto nella stanza.» pronunciò Aoi, tirandolo fuori da quel flusso di coscienza che tempo fa non si sarebbe mai concesso. Tatsuya vorrebbe poter dire di non avere più l'istinto di una volta, ma saprebbe di mentire. Mai come negli ultimi anni aveva compreso le parole di suo padre che, nonostante non gli mancasse nemmeno un'unghia di quanto gli manchi sua madre, non era mai davvero riuscito ad accantonare. Troppo tempo della sua infanzia e della sua adolescenza era stato passato ad apprendere anche solo passivamente da lui, consapevole di come un giorno lo avrebbe sostituito, com'era poi successo. Lo diceva sempre, Kensuke Miyuki: un assassino non smette di esserlo solo perché decide di vestirsi da essere umano da un giorno all'altro.


A onor del vero, i Miyuki non erano mai stati assassini. Il codice gli imponeva un rigore assoluto. Ma nel loro ambiente era poco credibile pensare non sarebbe arrivato il giorno in cui ci si sarebbe sporcati le mani del sangue di qualcuno e Tatsuya non aveva fatto eccezione - aveva lasciato alle spalle, tra le dicerie dei vicoli, un record di cui non c'era nulla per cui essere fieri umanamente parlando. Ma il punto era che suo padre aveva ragione: Tatsuya non era più a capo del Miyuki-gumi - non esisteva più, un Miyuki-gumi - ma sapeva ancora come si impugnavano due katane contemporaneamente ed era certo di poterle usare meglio di molti altri, con la stessa precisione e freddezza di un tempo, al pari di quanto era sicuro di saper ancora respirare senza nemmeno dover pensare di farlo.


«Certo» riprese Aoi spostando lo sguardo su di lui e mantenendo un sorriso morbido «non pensavo sarebbe di nuovo capitato di essere insieme in una circostanza come questa, Tsuya.»


Ci era voluta una vita, prima di sentire Aoi utilizzare un nomignolo con lui; ora lo faceva come se non avessero avuto mai un rapporto diverso da quello di adesso.


«Ti dirò, un fidanzato nella mafia russa e essere adottato da una famiglia di assassini tedeschi forse avrebbe dovuto suggerirmi che potesse almeno succedere. Anche se ormai non esercito più, come direbbero alcuni.»

«Credo sia solo perché non ti chiedono di esercitare.» sentì dire ad Aoi, il tono morbido di chi immaginava non sarebbe mai stato in grado di smettere di essere gentile almeno con i suoi affetti: «Ma se chiunque della famiglia di Xylia ti chiedesse di tornare a fare questo lavoro ogni giorno, non ci penseresti affatto. Nemmeno ora che sei padre, forse.» lo sentì aggiungere, quasi in extremis.


Padre. Non ci avrebbe scommesso neanche uno yen, meno di un anno fa.


«Ahimé, rimango uno dei migliori ed è la croce delle persone di talento.» pronunciò, suonando volutamente più arrogante di quanto già non fosse la frase di per sé. Aoi, alla sua destra e di un paio di passi più avanti per meglio lasciar fare al suo potere il proprio dovere, sbuffò una risata quasi infantile.




«Allora sarai felice di sapere che la tua fama ti precede.»

«Ah, mi dai sempre buone notizie. Ero quasi preoccupato di aver lucidato le lame per niente. Ci pensi, tornare da Irina e deluderla dicendole di non averle nemmeno estratte dal fodero?» ironizzò, premurandosi di estrarne una sola per il momento. Avvertì gli occhi di Aoi seguire quel movimento, attenti ma al tempo stesso come si sarebbe potuto fare nel vedere un gesto conosciuto. 


«Sai chi sarà davvero deluso? Chihiro.»

«Non dirglielo» si raccomandò con un pizzico di serietà in più «penserebbe che sono tornato davvero a muovermi in un certo ambito e insisterebbe per venire qui.» proseguì, cercando il contatto visivo con Aoi «E non tornerebbe più a casa.»


Aoi non chiese di più, perché in fondo non aveva bisogno di farlo - aveva conosciuto Chihiro, aveva parlato con lui e aveva inquadrato più di quanto forse lo stesso Chihiro immaginasse. 


«Quindi» riprese Tatsuya guardando davanti a sé prima e verso il soffitto poi «quanti ne senti?»

«Difficile darti un numero esatto. Se salissi più di due piani, forse bloccherei qualche piede e perderemmo l'effetto sorpresa.» ammise, spostando anche lui lo sguardo verso il soffitto «Ti direi Due. Poi tre.» riportò, abbassando gli occhi sulle proprie mani. Tatsuya lo vide iniziare a liberare la destra della benda - ormai erano più simboliche, lo sapeva, ma c'era qualcosa di inspiegabile nel vedere Aoi toglierle volontariamente e con la calma di chi si priva di un indumento nel cambiarsi d'abito, quando si sapeva cosa nascondevano. 


«Solo la destra?»

«Preferirei non dover togliere anche l'altra. Significherebbe che siamo nei guai.»

«Stai insinuando che non sappia proteggerti, moccioso?» lo prese in giro Tatsuya, incurvando le labbra in un sorrisetto sghembo. Sentì Aoi cercare, senza troppo impegno, di mascherare l'accenno di una risata da sbuffo rassegnato.


«Non oserei, Tsuya.»

«Bene.» chiuse il discorso ma, soprattutto, la parentesi poco seria lasciando che il proprio potere andasse a coprire più superficie possibile. Al contrario di Aoi, esteso per due piani o per quindici non c'era affatto differenza nel suo caso - se non nella stanchezza che lo avrebbe aggredito a lungo andare, era ovvio. Ma in termini di percezione, non c'era modo per un nemico di accorgersene, nemmeno per la quasi totalità degli ability user. O forse nemmeno tra loro c'era qualcuno che avrebbe potuto percepirlo prima che fosse troppo tardi. 


Una manciata di lunghissimi secondi, quelli in cui rimasero avvolti nel silenzio per lasciare a Tatsuya tutto il tempo del mondo - un modo di dire che non avrebbe mai smesso di farlo ridere.


«Aoi.»

«Mh?»

«Non credo avrai bisogno di togliere le altre bende.»


Profile

hakurenshi: (Default)
hakurenshi

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
6789101112
1314151617 1819
20212223242526
27282930   

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 29th, 2025 09:32 am
Powered by Dreamwidth Studios