Feb. 26th, 2020

hakurenshi: (Default)

Fandom: Free!!
Prompt: spokon (m1)
Parole: 620
Warnings: vaghi spoiler S3 ; shonen-ai.



«Quanti anni sono che non ci fermiamo sul bordo di una piscina così?»

Nel sentire la voce di Haruka e, soprattutto, nel sentirsi rivolgere quella domanda, Ikuya sussulta. Non se l'aspettava affatto e non saprebbe dire se Haru lo abbia chiesto perché ricorda o se sia stato, il suo, un modo per dire "da quanto non passavamo del tempo così?". Anche se sembra poco credibile, da uno come lui. Ikuya a essere sincero non lo ha mai inquadrato come un tipo romantico, nemmeno quando erano ragazzini, e per quanto abbia capito - forse, in cuor suo, fin da allora - che Haruka ha dentro molto più di quanto mostri o dica a parole, gli riesce difficile credere che all'improvviso senta un eccessivo bisogno di esprimere i sentimenti in maniera tanto plateale e sdolcinata.

Per quanto lo riguarda, d'altronde, Ikuya è già piuttosto soddisfatto così: del tempo solo per loro due, seduti sul bordo della piscina, di sera e con tutto il tempo e la calma del mondo per guardare i fuochi d'artificio estivi venire sparati fino all'alto ed esplodere in cielo in mille colori e luci diversi. Considera già un miracolo che lui e Haru si siano ritrovati, che abbiano avuto modo di parlare e chiarirsi; è molto più di quanto immaginasse il semplice fatto di condividere un momento intimo come quello, almeno per lui, ma sentirsi rivolgere quella domanda con le possibili implicazioni gli fa chiudere lo stomaco e lo fa sentire di nuovo un ragazzino. 

Ikuya si volta piano, quasi sperasse di non farsi scoprire, nella speranza che il profilo di Haruka gli suggerisca qualcosa senza dover chiedere e magari scoprire di aver frainteso, di non star intendendo affatto la stessa cosa, lo stesso ricordo; e invece si ritrova a guardare Haruka negli occhi, lo trova già voltato verso di lui e intento a fissarlo, forse in attesa. Di cosa, Ikuya non lo sa, ma è impossibile non far sovrapporre il ricordo di anni prima a ora: le luci dei fuochi d'artificio si riflettono sulla piscina, e il buio in cui sono stati finora e nel quale sono riusciti a riconoscere e individuare l'uno i contorni dell'altro solo grazie alle luci artificiali dei telefoni cellulari non è più tale. 

«...Diversi. Perché?» riesce a domandare infine, deglutendo e portando lo sguardo sull'acqua. La scusa è che lo sguardo dei nuotatori come loro finisce sempre, inspiegabilmente lì, oppure potrebbe essere che il gioco di luci è meraviglioso da osservare. La verità è che c'è una punta di imbarazzo che gli accalora il viso, a sentire lo sguardo di Haruka su di sé. Una parte di lui vorrebbe tornare a guardarlo negli occhi, perché quelli di Haruka gli sono sempre piaciuti da morire; l'altra parte di lui, però, sa di non essere in grado di non tradirsi, facendolo.

«Ikuya?» si sente chiamare, coglie nella voce dell'altro la confusione di chi non è sicuro di aver capito cosa stia succedendo e non ha grande fiducia nella propria sensibilità tanto da ipotizzarlo senza chiedere. Ikuya inspira, scuote leggermente la testa e si sposta, di poco, quanto basta a far sfiorare le loro spalle e le loro mani. Un po' è casuale, un po' no.

«E' strano stare di nuovo così con te.» riesce a borbottare, più come una scusa implicita per il proprio atteggiamento che per risposta. Haruka al suo fianco rimane in silenzio; se soltanto Ikuya alzasse lo sguardo, ora, lo vedrebbe incurvare le labbra in uno di quei rari sorrisi così preziosi quando si tratta di Haru, quasi quanto le sue risate. 

Invece l'unica cosa su cui riesce a concentrarsi è la mano di Haru che gli stringe la spalla e lo porta a voltarsi per posare le labbra sulle sue. 

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Fandom: Kuroko no basket
Prompt: spokon (m1)
Parole: 370
Warnings: teiko arc, implied shonen-ai.



L'attesa sulla panchina non è spiacevole; Marzo è alle porte e si trascina dietro ancora un po' di freddo invernale e, al tempo stesso, lascia che qualche timido raggio di sole cominci a riscaldare l'aria in alcune fasi del giorno. Akashi mantiene la sciarpa chiara intorno al collo, affondandoci in parte il viso mentre attende che Nijimura torni. E' poco distante da lui, fermo in piedi di fronte a un distributore automatico; per la seconda volta nel giro di un minuto appena, Akashi sente l'inconfondibile rumore del pulsante della selezione che viene premuto e, subito dopo, della lattina scelta che cade nell'apposito spazio per recuperarla.

Nijimura si piega a prendere entrambe le bevande e poi si volta per tornare sui suoi passi e raggiungerlo; gli si siede accanto e gli porge la lattina - semplice succo d'arancia per lui - rimanendo in silenzio.

Guardano entrambi davanti, sorseggiando le proprie bibite. Akashi non trova il silenzio fastidioso e conosce la propria capacità di osservazione abbastanza da non dubitarne. Ha capito in fretta che a dispetto di quanto possa sembrare Nijimura è una persona che non è fatta per i lunghi discorsi complessi, per i fronzoli verbali su questo o quell'argomento.

Shuzo è il tipo da dire le cose come stanno, senza indorare la pillola, a volte risultando anche brusco ma Akashi, a essere sincero, lo apprezza e gli invidia questa abilità.

«Pensavano non saresti venuto fino alla fine, con il diploma di mezzo.» dice, guardandolo di sottecchi e riferendosi ai compagni di squadra; Nijimura sembra divertito, mentre lo adocchia con fare quasi complice per dirgli: «Vi piacerebbe.»

Dopo quello scambio tacciono di nuovo, entrambi, ma quando il silenzio viene rotto per la seconda volta è da parte di Nijimura.

«Penso davvero che sarai un grande capitano.»

Akashi si aspettava che lo dicesse così, come si potrebbe sganciare una bomba, e mentirebbe se affermasse di non esserselo aspettato per niente. Tuttavia sa anche come funziona il passaggio del capitanato - decide l'allenatore, il preside nel caso della Teiko, ma la raccomandazione del capitano attuale è presa spesso in grande considerazione.

Akashi non dice nulla, per il momento, e si limita a sorseggiare la sua bibita. Nel silenzio, le loro mani si sfiorano. 

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Fandom: Kuroko no basket
Prompt: spokon (m1)
Parole: 930
Warnings: cose losche con le dita.




Lo spogliatoio è praticamente vuoto, ormai. I compagni si sono già cambiati e persino chi si era attardato più degli altri è infine andato via.

Takao e Shintaro occupano la stessa panca, ma in due punti diversi, ognuno di fronte al proprio armadietto. Stanno parlando di piccole cose, roba di poco conto, mentre i rumori tipici di uno spogliatoio non ancora del tutto deserto riempiono i momenti di silenzio tra loro. Takao ha ancora la camicia della divisa scolastica aperta, mentre fruga nella borsa alla ricerca del cellulare - lo recupera, scrive al volo un messaggio per avvisare che non sarà a casa stasera, sarà da Shintaro.

Ben poco distante da lui Midorima sta togliendo la fasciatura alle dita, per poterla cambiare e rifare con maniacale attenzione come ogni giorno; il suo armadietto è semi aperto, l'oggetto fortunato del giorno - una paperella di gomma - fa capolino dalla parte visibile anche per Takao. Gli scappa uno sbuffo divertito che, inevitabilmente, attira lo sguardo di Midorima. Ha un cipiglio piuttosto eloquente mentre con un gesto abitudinario si sistema gli occhiali sul naso: «Hai qualcosa da dire?» pronuncia, quasi a sfidarlo a criticare qualcosa della sua routine ormai fin troppo familiare per Kazunari.

Lui scrolla le spalle e scuote la testa: «Non arrabbiarti, Shin-chan, stavo solo ammirando la paperella!» lo prende in giro e non si impegna nemmeno a nasconderlo, in parte perché pensa sarebbe abbastanza inutile e in parte perché vuole provocarlo, solo un pochino.

Purtroppo per lui Shintaro ha imparato bene quando vale la pena rispondergli e quando, invece, è molto più semplice ignorarlo e lasciar cadere la cosa. Lo vede indugiare per una manciata di secondi e poi tornare a occuparsi delle proprie mani: finisce di togliere la fasciatura all'ultimo dito e posare il bendaggio usato per potersi dedicare a cambiarlo.

Takao si muove dalla propria posizione dopo aver abbandonato il cellulare sulla panchina e raggiunge l'altro, affiancandolo; Shintaro lo guarda di sottecchi, cercando di capire quali intenzioni abbia, e si lascia scappare un verso tra la sorpresa e lo stizzito quando l'altro gli prende la mano nelle proprie per osservare l'assenza di bende da vicino. Non è la prima volta che succede - vederlo senza fasciatura - ma Kazunari sembra incredibilmente interessato.

Alza lo sguardo dalle dita lunghe al viso di Midorima, un sorrisetto strafottente a formarglisi sulle labbra prima di chinare appena il viso e posare un bacio quasi scherzoso sulle nocche di Shintaro. L'ex membro della Generazione dei Miracoli sobbalza, con grande soddisfazione di Takao tra l'altro. Fa una fatica tremenda a trattenere il leggero ridacchiare che sente salirgli su per la gola, e si limita a posare un altro bacio, un terzo, un quarto e così via; lo fa in punti diversi delle dita, spostandosi dalle nocche alla parte superiore delle falangi, poi alle punte, poi ai polpastrelli e scende fino a baciargli anche il centro del palmo. Sente Shintaro fare forza per liberarsi da quella situazione e stringe la presa sul suo polso, occhieggiandolo in modo eloquente. Ci vuole davvero poco per intravedere il viso di Midorima prendere colore, la mano libera che con nervosismo sistema di nuovo gli occhiali anche se stavolta non ce n'è alcun bisogno. 

Takao continua, quasi del tutto indisturbato, risalendo verso i polpastrelli per poter azzardare e mordicchiarli piano; ci prova con uno, ma con più cautela di quanto si potrebbe pensare - una piccola parte di lui è convinto di poter ricevere una ginocchiata in pieno stomaco se per caso il suo ragazzo dovesse percepire che, per quanto sexy, quello che gli sta facendo potrebbe mettere in discussione la sua performance sportiva. Per fortuna niente di così drastico sembra arrivare e Takao prosegue, scende di nuovo, ma prima di arrivare per la seconda volta al palmo della mano di Shintaro si ferma negli spazi tra le sue dita e sfiora quella porzione di pelle con la lingua, lento e lascivo. Nemmeno per un attimo stacca lo sguardo dal viso di Midorima, vedendolo sempre più in imbarazzo ma scorgendo anche una sorta di piacere nei suoi lineamenti, o comunque il segno che tutto quello non gli è per nulla sgradito.

E' solo quando gli prende la falange tra le labbra che lo sente sobbalzare e chiamarlo, quasi per redarguirlo. Il suo è un «Takao!» di monito pronunciato però a voce bassa, quasi temesse di vedere qualcuno entrare nello spogliatoio da un momento all'altro. Per tutta risposta Takao socchiude gli occhi, in sfida, concentrandosi solo sulla sensazione del dito di Shintaro nella propria bocca: succhia piano, nemmeno avessero tutto il tempo del mondo in quello spazio dove sono soltanto loro due e contrariamente al monito dell'altro pochi istanti prima, non sente più il polso fare forza per liberarsi della sua presa e di riflesso l'allenta appena, portando un dito a sfiorare la parte interna del polso, finendo persino senza volere a sentire il battito più accelerato pulsare sotto le proprie dita.

«Shin-chan?» lo chiama con fare giocoso, quasi, ben conscio di che effetto deve fare all'altro visto che non ha del tutto abbandonato il suo dito con la bocca. L'altro sta per rispondergli, o almeno suppone, quando l'inconfondibile rumore della porta dello spogliatoio si apre, comportando una serie di reazioni a catena: entrambi sobbalzano, d'istinto Midorima ritira la mano e gli dà una spinta leggera; peccato per la panca dietro Takao, che lo porta a perdere l'equilibrio, caderci seduto sopra e finire dall'altro lato con una testata in piena regola contro l'armadietto sotto il suo.

Nel mezzo dei suoi lamenti, sulla soglia appare Miyaji: «Siete ancora qui voi due?!» 

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Fandom: Ballroom e youkoso
Prompt: spokon (m1)
Parole: 640
Warnings: //



Le note del valzer risuonano, dando inizio alla finale.

Tatara è lì, al centro della pista da ballo: le luci sono su di lui e su Mako, i faretti fanno sembrare l’area dell’esibizione come un insieme di carboni ardenti che portano la temperatura a un punto insopportabile se si indossa un completo classico da competizione. Sente una goccia di sudore scendere lungo il collo, di riflesso stringe la presa sulla mano di Mako mentre muove il primo passo - scivola di lato, sposta il peso sulla gamba portante, gira appena il bacino, imprime forza nel movimento. Il ballo è iniziato, la musica gli scivola sotto la pelle, gli si insinua fino al cuore; Mako lo segue alla perfezione, si affida a lui e nell’esatto momento in cui lo percepisce Tatara comprende alla perfezione che il problema non è lei, ma lui, e dunque a poter risolvere la situazione non è lei ma - di nuovo - lui.

Conosce i suoi limiti: non ha tempo di imparare, si è allenato quanto poteva ma la verità brutale, tremenda, ineluttabile è che è un principiante e non c’è nulla da fare in gara, non sono quelle cose da poter aggiustare con l’improvvisazione.

La sua mente va a forza cento mentre volteggia, la mano minuta di Mako nella sua, il suo corpo esile fasciato dal meraviglioso abito giallo così vicino da sembrare parte di lui e al tempo stesso un essere diverso, sconosciuto eppure complementare. Cosa può fare? Cosa conosce? Cosa può utilizzare come un’arma senza che essa diventi a doppio taglio?

Tatara inspira, espira, gira di nuovo, fa susseguire i passi adagiandosi sul brano di valzer; conosce le basi, ecco cosa. Conosce il suo corpo e come si muove durante le basi, perché ha passato ore a guardarsi allo specchio. Conosce una parte di routine di Hyoudou-kun. Ha impressi nella mente e nel corpo i giorni di perfezionamento di un solo movimento. E’ su quello che deve contare. E’ su quello che può contare.

Un pensiero gli attraversa la mente, febbrile, e senza bisogno di comunicare cambia il proprio andamento e Mako lo segue, perfetta come un braccio destro con il suo leader in cui crede ciecamente.

Ma lui non può essere il leader, lui deve essere l’appoggio e Mako deve splendere, essere il sole, il focus di tutti in quel luogo; decide, forse più d’istinto che di testa, di doverla rendere il gioiello più prezioso. Mako è delicata, ma forte, come i fiori di montagna che crescono nelle zone più impervie senza essere notati da nessuno se non per caso. Eppure, chi li vede almeno una volta nella vita, difficilmente può dimenticarli e sogna di poterli portare sempre con sé, desidera di strapparli alla terra e alle rocce pur consapevole che il fiore così appassirebbe in breve tempo.

Questa è l’immagine da creare, il modello da plasmare; Mako deve essere quel fiore, l’anemone da guardare e proteggere, da ammirare e sognare soltanto, quello che in mezzo alla neve è l’unico punto di colore dal quale non allontanare mai lo sguardo.

Tatara sente, anche se non comunicano con le parole, che Mako ha compreso le sue intenzione e percepisce il modo in cui lei si abbandona alla sua guida. 

Agli occhi di Tatara lei forse sospetta di essere un semplice bocciolo di campagna come se ne vedono a migliaia, così come lo crede anche suo fratello. 

Sbagliano. Tatara non può essere il ballerino perfetto, ma può essere la roccia, il terreno, può essere ciò che si calpesta per arrivare a guardare da vicino, in silenzio, quel fiore prezioso.

La musica sta volgendo al termine, e perciò c’è solo una cosa da fare: lasciare che tutti la guardino. Lasciare che ammirino. Farla brillare.

Le stringe la mano, la lascia volteggiare fino a guidarla con naturalezza al centro della pista mentre la musica finisce.

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Fandom: Kimetsu no Yaiba
Prompt: 1. Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine, non ti prostrerai davanti a quelle cose. (m3)
Parole: 1570
Warnings: nsfw, lieve blasfemia. 



Pillars meet more often than some of them wish they would. They may be somehow Ubuyashiki's children, which probably makes them some sort of siblings in a way they don't understand at all, but it's a fact that they are not the most social ones. So it's a given that people like Sanemi are not so happy about these gatherings - yet he would never disobey, so here they are.

They just finished their meeting, Ubuyashiki excused himself and left them in the yard with new missions for each one of them. To be worried for that man's health is something unavoidable: he is their saviour, he gave them a house, a purpose; he accepted them, no matter how bad the rumors about them were or if others had refused them before. When Giyuu looks at him and at his fellow pillars, it's not like he doesn't understand: after all he was sort of saved as well - he never mentioned to Ubuyashiki how being a pillar partly makes him feel horrible, as if he is locked up against his will, as if he will be damned for his entire life.

Yet there is a part of him that feels different from them and it's not only about how he thinks he doesn't deserve to be a pillar - it wasn't a position meant for him. He should have died, after all - but also about that something he manages to see often. In the others' eyes: adoration, the same one people have towards their God.

That, it's something Giyuu won't ever be able to feel for that man.

He's pretty sure Ubuyashiki knows it.


*


When they gather like today, Ubuyashiki often tells them to take advantage of them being there and rest, make sure to heal both the wounds of the body and those of the soul. So even if some of them look like they wouldn't die even if repeteadly stabbed, in the end there's no way they would refuse the offer.

Giyuu hates sleeping in the wisteria mansion: most of the time he can't help but wake up almost every hour as if he is expecting Kobutsuji to attack them at any time. So when it's deep in the night and the whole mansion is engulfed by silence, Giyuu just surrenders and leave his room. He could use those hours until dawn to train, but he is sure that people like Rengoku would wake up and join him. And, no offense, but no. So he makes sure to hide himself on the roof - it happened to meet Shinobu there a couple of times but, like an unspoken agreement, they basically ignored each other, respecting their wish to stay by themselves or, better said, with their own demons.

«So now I'm Giyuu's demon.» a deep voice says, a shade of amusement in his tone. Giyuu doesn't need to turn in that direction to know whose voice it is; who else could be, next to him, if not Sabito?

«Stop reading my thoughts.» he murmurs, and Sabito chuckles next to him: «That's hard to do, since I'm basically a trick of your mind, Giyuu.»

He grits his teeth. He knows it: this is just a delusion after all.

«You should rest a bit.» Sabito keeps talking «It's not good to go on a mission without getting a good rest. And you should talk about this with someone.»

«About what?»

«About the fact that you see your dead childohood friend. Maybe to the Insect Pillar?»

«No.»

How could she - anyone - understand? Shinobu would make fun of him for sure.

By the time he turns to the left to look at him, Sabito is not there anymore - has he ever been, though?


*


The demon is not so strong, yet Giyuu gets that he's not really focusing right now. He evades the enemy's attack and slashes him with his sword; nothing related to the Water Pillar's peculiar style, but useful enough to put some distance between them. The demon is not one of the strongest Giyuu has fought against until now, on the contrary, and yet he is being annoyingly persistent not only with his attacks, but also with his neverending chatter about Kobutsuji and how he will bring honour to his saviour by killing one of the Pillars.

«Kobutsuji-sama is our God. How could you ever understand?!» he shouts has he attacks again.

Oh, Giyuu understands way too well. The small part of him who is vaguely listening to his enemy thinks that, after all, some of the demons are not so different from Pillars: they can't help but want to give Kobutsuji what he wants the most, to gain his respect, his favour; Pillars want to do the same for Ubuyashiki, they simply wish to give him back everything he did for them and gave them. If Kobutsuji is like a God for them, Ubuyashiki is the Pillar's Messiah.

The demon attacks again: «You filthy Pillars are monsters as much as us! You can't win against us! You can't win against our God!»

Giyuu moves, flowing like water, dancing with his sword as if it's the easiest thing to do for him. He beheads the demon with just one fast slash.

Before crumbling and dying, the demon shutters something and the only thing Giyuu can understand is some stupid babbling about Kobutsuji.

«Unfortunately for you, the God I believe in is not Kobutsuji, nor Ubuyashiki-san.»


*


His new mission made him go far away from the locations of the other Pillars, which is good in more than a way and not only because Giyuu prefers to be alone.

The room he's staying at for the night is one of a modest inn with not even ten rooms available; full of darkness, even the moon outside is hidden by the clouds in the sky. The small village is quiet, its kind people asleep. Giyuu knows that the owner is sleeping downstairs, and that's good because it's very hard for him to stay completely silent. 

Sabito's is there once again, he appeared from nowhere while Giyuu was trying to rest at least his body, if not his mind. One moment Giyuu was alone, facing the wall and immediately after his waist was being hugged by someone. Sabito's body is warm, his hug makes Giyuu relax as it used to do back in the years, when they were both Urokodaki's disciples. But they were like brothers and yet now Sabito - what Giyuu's mind registers as Sabito, at least - is touching him where only lovers would touch each other. He feels him kiss his neck, nibble Giyuu's ear.

Sabito's hand is masturbating him, under the blankets and some layer of clothes, up and down his lenght; Giyuu moans, not so loudly but hearable, and Sabito moves his hand to his chin, to make him turn towars him to kiss him hard. Giyuu can't help but kiss him back, lose himself in Sabito's touch, feeling Sabito's crotch against his back. 

Giyuu can't focus on anything else and he can't think rationally - but maybe a very small part of his mind is still clear enough to ask unwanted questions. Why can't he stop seeing Sabito? Why, despite the fact he knows that's only his delusion, his desperation and sense of guilt playing tricks to his mind, can't Giyuu let him go?

Sabito was once his brother, his best friend, his hero; then he became his saviour, his sin, his mistake; Sabito is his curse, the reason why Giyuu feels like he should have died, the voice in his mind telling him this is not his place, not his role, not where he belongs to.

Sabito is everything, he's the most similar thing to God for Giyuu: he's the God that keeps him alive by telling him with a voice so dear to him that he should not die now, not yet; he's the God Giyuu wants to deny, to betray, and yet he just can't.

A louder moan escapes Giyuu's lips and die in Sabito's mouth as the orgasm hits him. Giyuu feels his whole body shiver, especially where Sabito's warm hands are still touching him. Sabito's breath - what Giyuu is convinced is Sabito's breath, at least - is a bit fast and hits Giyuu's cheeks.

«Giyuu» he whispers close to his ear «we should stop.»

«I know.»

«Giyuu, I'm not real.»

«I know.» 

It's so painful exactly because he knows - he created the image of God in his mind, he gave him the face of Sabito, the whole being of his childhood friend became the reason Giyuu gave himself to not just kill himself, to not run away, to atone for his sins.

He meets his God every time he wants to surrender. 

«Kobutsuji-sama is our God. How could you ever understand?!»

He understands. He wishes he didn't.

«Giyuu, I love you. I forgive you.»

As God forgives all his children, especially those who wronged him, Sabito does the same.


*


While staring the ceiling, as the dawn approaches him through the trees outside and the silence is still absolute, Giyuu knows Sabito is not there anymore.

It would so easy, to believe in Ubuyashiki. But how can he get rid of God, when his desire to see him, touch him and have God to himself is the reason why Sabito is always there?

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Fandom: Kaze ga tsuyoku fuiteiru (Run with the wind!)
Prompt: spokon (m1)
Parole: 820
Warnings: established relationship, shonen-ai.



L’umidità ha leggermente appannato le mattonelle chiare del bagno, il lieve gocciolare del rubinetto riecheggia nella stanza altrimenti in completo silenzio; è un breve sciabordio dato da un’acqua mossa all’improvviso e per pochi istanti - prima che si acquieti di nuovo - a interrompere quell’equilibrio fatto di tocchi leggeri e comunicazione non verbale. Almeno finché Haiji non decide di voler effettivamente parlare. 

Prima di farlo, però, china appena la testa e posa un bacio leggero sulla guancia; nel sentirlo arrivare a sorpresa, quando era perso nei suoi pensieri, Kakeru si volta un po' di scatto alla ricerca dello sguardo dell'altro, quasi dovesse dargli un'effettiva risposta senza nemmeno doversi prendere la briga di porre la domanda. La sua espressione deve essere buffa, visto quanto divertito sembra Haiji nel guardarlo.

«Sembravi così assorto, decidevi le sorti del mondo, Kakeru?» lo prende in giro con fare bonario, le braccia che si stringono appena di più intorno alla sua vita, immerse nell'acqua calda della vasca fin sopra i gomiti. Kakeru lo osserva ancora per qualche attimo e poi scuote la testa, un vaghissimo accenno di broncio ad arricciargli le labbra. La prima volta che Haiji gli ha proposto di condividere la vasca da bagno si è rifiutato - come anche la seconda, la terza, la quarta... - di assecondare quella richiesta; nella condivisione di per sé con altre persone non c'era niente di male, specie se si è abituati ai bagni pubblici. Nella loro cultura non c'è niente di vergognoso nello stare l'uno accanto all'altro a godersi l'acqua calda o a lavarsi di dosso la stanchezza. Ma farlo in una vasca privata, in casa, dava quel tocco di intimità che Kakeru non era ancora pronto ad avere con Haiji, nonostante una relazione stabilita da un anno e uno scambio di effusioni già andato oltre il bacio. 

Non avrebbe saputo spiegarlo, ma c'era qualcosa di molto diverso tra quelle due condivisioni e persino adesso, a momenti, non riesce del tutto a scrollarsi di dosso un imbarazzo e una timidezza tutti personali.

Kakeru scuote appena la testa, senza degnarlo di una risposta verbale, tornando a guardare davanti a sé; il corpo di Haiji, dietro di lui, aderisce in parte contro la sua schiena - è abbastanza sicuro che il più grande stia cercando di non instaurare un contatto che potrebbe facilmente sembrare un invito di un certo tipo, in contrasto con il suo desiderio sincero di stare semplicemente così, insieme nell'acqua.

Sono pur sempre due uomini grandi, però, dunque non c'è da stupirsi se per stare in quel modo hanno dovuto trovare il compromesso di una posizione non del tutto comoda; Haiji tiene entrambe le gambe ai due lati di Kakeru, semi piegate tanto che entrambe le sue ginocchia sono al freddo sopra il pelo dell'acqua calda. E' per questo che vedere la cicatrice dell'operazione è così facile per lui, quasi quanto è semplice nascondere il grosso delle sue espressioni, salvo quando Haiji si sporge per spiarle direttamente sul suo viso, senza aspettare sia Kakeru a dire nulla o iniziare il discorso.

A dispetto di questo e di quanto possa sembrare il contrario, la loro relazione non è fatta solo di compromessi da parte di Kiyoshi e di silenzi ostinati da parte di Kakeru, ma è anche conscio di come venga viziato molto spesso dal più grande. Per questo, quando può, cerca di fare uno sforzo a sua volta. La mano destra esce fuori dall'acqua e porta le dita a sfiorare lentamente la cicatrice, con la stessa attenzione riservata per una ferita ancora aperta; Kiyoshi non dice niente e lo lascia fare, lascia che Kakeru possa passare l'indice per tutta la lunghezza di quel segno non uniforme sul suo ginocchio, non chiede fin quando non è lui a dire qualcosa.

«Ti sta facendo male?» domanda, senza specificare se intenda in quel momento mentre lo tocca o che l'inverno e alcuni tipi di clima rendano più indolenzite le parti del corpo con ferite simili. Sente uno sbuffo divertito contro la propria pelle e il mento di Haiji poggiarsi sulla sua spalla.

«Solo qualche volta, ma non è niente di insopportabile.» ammette sincero, girando quasi subito il viso per cominciare a posargli una serie di baci leggeri contro il collo bagnato. Non è che Haiji sia mai stato scostante nei suoi confronti, nemmeno ai tempi del liceo, anzi; riusciva ad avere quel cameratismo tipico dei club, nonostante fossero veramente male assortiti. Ma la frequenza e il modo di instaurare un contatto con lui ora sono diversi - in parte è comprensibile, diverso è il loro rapporto, ma in parte Kakeru se ne meraviglia ancora come la prima volta in cui Kiyoshi lo ha baciato.

«Però se vuoi viziarmi per farmi soffrire meno, io non ti fermo.» ironizza Haiji, senza mascherare il principio di una risata che riecheggia appena nel bagno. 

Kakeru scuote la testa ma, senza dire nulla, si gira quanto basta a posargli un bacio sulle labbra. 

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Fandom: Kaze ga tsuyoku fuiteiru (Run with the wind!)
Prompt: spokon (m1)
Parole: 750
Warnings: //



La sensazione della corsa è qualcosa a cui Kakeru non è mai riuscito a dare una connotazione precisa, ma allo stesso tempo riusciva sempre in qualche modo a comprendere quasi tutto ciò che altri vi associavano mentre non capiva come, invece, tante cose non fossero mai nemmeno nominate. Con il tempo aveva compreso che forse non erano citate perché spiacevoli. 

Della corsa si diceva spesso che era come "sentirsi liberi", oppure che "sembrava di avere le ali ai piedi"; faceva "sentire leggeri", oppure "era naturale come respirare", o anche "aiutava a non pensare". Qualche volta aveva letto, in un'intervista a qualche atleta di livello mondiale, che "correre era la massima espressione di sé" e si era chiesto, la sua corsa era come lui? Lui correva sempre dritto, regolando il respiro, conscio di movimenti corretti e ideali per esprimere il massimo del suo potenziale, ma se guardava poi a se stesso come persona si rendeva dolorosamente conto che non c'era quasi niente di questo in lui. Non limava il suo carattere al pari dei movimenti della corsa, per far sì di non avere eccedenze nella propria indole o impedimenti nei rapporti con gli altri - anzi, lui era una parete rocciosa piena di spuntoni mai levigati, quasi sperasse di tenere lontano tutto ciò che non poteva sopravvivere alle ferite profonde.

Kakeru corre, corre, a volte contro ogni routine corre così veloce da sentire dolore al fianco, da percepire i polmoni bruciare e quando si ferma le gambe gli tremano così forte da fargli temere di crollare a terra; il gelo dell'aria contro il viso sudato sembra quasi ferirlo, tante piccole schegge di ghiaccio contro la sua pelle. A volte correre è come punirsi e darsi l'assoluzione insieme. E quando questo succede, quando si ritrova steso sul manto erboso dello spiazzo dove fanno spesso pausa con il club, quando è lì da solo a riprendere fiato mentre guarda un cielo sempre diverso, Kakeru non sa come le persone non riescano a vedere che correre non può essere solo "libertà", solo "essere leggeri". 

E' "essere pesanti". E' "non farcela più". E' "scappare più veloce che si può da tutto e da tutti". E' un sacrificio immenso, è lasciare indietro gli altri - è ferire e ferirsi, lui lo sa meglio di chiunque - e a volte, nei casi peggiori, è correre così forte da sentire di voler vomitare una volta fermi, mentre la testa gira e ci si sente disorientati perché non c'è più ossigeno, da nessuna parte, in nessuna cellula del proprio corpo. E' quando hai dato tutto, sei fermo oltre una meta immaginaria che non arriva mai davvero nemmeno nelle gare quando si taglia un traguardo fisico, e si finisce col pensare: cos'ho vinto? Niente. Niente.

«Kakeru?» la voce di Haiji lo strappa con violenza da quei pensieri, ironico considerato che il suo tono è basso come se temesse di svegliare un bambino addormentatosi da poco. Quando Kakeru si gira a guardarlo, il respiro ormai quasi del tutto regolarizzato e l'erba a solleticargli la guancia, Haiji lo sta guardando con quel suo modo di fare che sembra scrutarti l'anima. Kakeru lo odia, perché si sente spiato. Lo ama, perché Haiji vede anche le cose brutte, non solo quelle da intervista sul giornale.

«A che stai pensando?» gli chiede. Non "tutto a posto?", perché sa già la risposta e non si perde in domande inutili.

Kakeru deglutisce, inspira dal naso, ci riflette un attimo. Cerca le parole perfette, ma lui non è di tante parole in generale e quello dei discorsi motivazionali è Kiyoshi. Per questo abbandona quella ricerca mentale quasi subito, chiude gli occhi e butta fuori l'aria.

Quasi in risposta, sente la punta delle dita di Haiji sfiorare le sue; quando porta lo sguardo su di lui Kiyoshi non lo sta più guardando, ma i suoi occhi castani sono tutti presi dalle dita che si toccano, quasi fosse un infantile gioco da bambini, il timido sfiorarsi di due fidanzatini delle medie. Polpastrelli contro polpastrelli, carezze leggere e innocenti che finiscono con il distrarre anche lui. 

Finché, poi, le dita si intrecciano con morbidezza, senza stringere troppo; è allora che Haiji cerca di nuovo il suo sguardo e gli rivolge un sorriso leggero, un incurvarsi di labbra che sembrerebbe timido se non si parlasse di Haiji. Con quel gesto pare volerlo convincere a instaurare un contatto visivo e, quando ci riesce, è come aver rimesso tutto in ordine.

«Torniamo a casa camminando.» gli propone.

Kakeru gli stringe di rimando la mano. 

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Fandom: Hoshiai no sora (Stars Align)
Prompt: spokon (m1)
Parole: 620
Warnings: spoiler episodio finale, menzioni di omicidio.



Il rombo di un tuono si sente in lontananza. Dal cielo, fatto di nuvole scure e sfondo rosso, non si direbbe ci sia pioggia in arrivo, figurarsi un temporale.

Per la strada una sirena urla a squarciagola, dirigendosi chissà dove - questa cosa ce l'hanno le sirene, che fino a un certo punto non si riesce mai a capire se siano vicinissime o distanti interi quartieri, poi all'improvviso la macchina della polizia è proprio lì, quasi arrivasse all'ultimo secondo come nei film.

Forse, pensa Maki, se il soft tennis avesse un qualche segnale acustico per l'inizio della gara, qualcosa di potente come una sirena o un allarme, proverebbe la stessa cosa: un'inaspettata ondata di adrenalina, agitazione e voglia di giocare. Chi lo avrebbe mai detto che avrebbe finito con il trovare quello sport divertente e interessante, che sarebbe arrivato a considerarlo una piccola oasi di felicità? Se ripensa a quando Toma gli ha chiesto di unirsi al club un po' gli viene da ridere, un po' si sente una persona orrenda, un cattivo amico. Però crede di essersi riscattato, in fondo. Avrà pure iniziato con poche pretese se non fare lo stretto necessario a guadagnarsi i soldi chiesti all'altro, ma più andavano avanti, più conosceva gli altri membri e riusciva a scorgerne il potenziale - forse proprio perché un esterno, perché il marcio e i problemi e i difetti è sempre difficile vederli quando ci si sta nel mezzo, quando sono cose che toccano da vicino - più gli veniva voglia di spronarli, di impegnarsi di più e vedere quanto fossero un caso perso e quanto, invece, potessero migliorare.

Non ha la capacità di parlare con gentilezza né una particolare empatia, Maki; lo sa quanto sia difficile capire le sue buone intenzioni e riconoscerle nella sua ironia e nella punta di sarcasmo, nel suo sembrare a volte un calcolatore che se ne approfitta. La sua scorza non è delle più spesse, la sua corazza non è delle più forti, ma di sicuro è quella più stratificata. Ci vuole tempo, a scendere fino in fondo senza scoraggiarsi. Eppure quando sta al club di soft tennis è sicuro di essere compreso - magari non completamente, ma dopotutto nessuno ha quella pretesa. Né gli altri di riuscirci, né lui che loro possano farlo.

«Così non può andare avanti.» mormora a se stesso nella strada deserta, lo sguardo verso il condominio non proprio nuovo, anzi. Muove un passo, poi un altro e un altro ancora, si trascina in silenzio per un corridoio prima e una scala poi, svolta a sinistra, avanza ancora. C'è un silenzio innaturale, mentre si ferma davanti alla porta che cercava: è uguale a tutte le altre ma, a differenza loro, dietro c'è un mostro e lui lo sa.

Fa quasi ridere quanto sia facile per un ragazzino delle medie diventare pericoloso: se ripensa all'ultima volta che è andato in un conbini, è stato per prendere l'occorrente per cucinare cibo da rifilare a Ouji per farlo parlare e ricavare qualche piccola informazione sulla coppia contro cui avrebbero dovuto giocare. Coppia, poi: che stranezza, pensare di arrivare ad avere un partner come lui ha Toma, dove uno sguardo e un cenno d'intesa possono essere più esplicativi di un'intero discorso o spiegazione di una strategia. 

Lo sport di cui Maki conosceva a stento l'esistenza ha un peso tale sul suo cuore, adesso, da far quasi ridere di lui e della sua convinzione di potersi tenere in disparte, senza farsi davvero coinvolgere.

«Finché sarà vivo non saremo mai liberi.» sussurra, quasi stesse confortando un amico invisibile.

E pensare che nello stesso conbini ci ha comprato un coltello da cucina grazie al quale ha tutta l'intenzione di diventare assassino e liberatore insieme.

«Facciamola finita.»

Sorride. 

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